La spiritualità definita come vita interiore conduce alla considerazione della vita come percorso temporale e quindi come cammino progettabile. Una visione di questo tipo rischia però di far disprezzare ciò che non percepiamo come evoluzione, progresso. Per esempio, possiamo trovarci indotti ad avere scarsa stima per sperdute tribù africane, che si sono mantenute in condizioni paragonabili all'età della pietra, e però non creano certo al mondo tutti i danni che l'uomo progressive occidentale è riuscito a provocare; oppure scarsa stima per tutto ciò che in tante religioni si presenta come ritualità mantenutasi intatta per millenni, fino ad oggi, quindi, almeno da certi punti di vista, senza radicali progressi.
D'altra parte, in spiritualità incontriamo espressioni come ascesi o esercizi spirituali, che presuppongono come importante, se non proprio necessario, un camminare progettato. Tuttavia mi sembra che l'uomo comune preferisca dare molto spazio alla sensazione di novità, di inaspettato, derivante proprio dal non progettare troppo.
Ancora più complesso sarebbe considerare un progredire che però intenda mantenersi entro binari prestabiliti che dovranno rimanere inalterati, come le dottrine religiose o delle idee filosofiche: in che misura può considerarsi vero e radicale progredire un cammino che ha già prestabilito i binari entro cui mantenersi per sempre?
È quindi opportuno considerare la spiritualità come sinonimo di cammino interiore, che quindi esige un progettare che porti a cambiamenti, rinnovamenti, progressi, oppure ha almeno altrettanta importanza vederla come un'esperienza di permanenza, di fedeltà a dei princìpi immutabili, un atteggiamento di fondo che si mantiene abbastanza uguale a se stesso durante tutta l'esistenza dell'individuo?
Ciao Angelo.
La dimensione temporale è un fatto innegabile per l'uomo.
Perchè si collega alla propria morte.
A mio modo di vedere però è ben più importante la dimensione di orizzonte.
Finchè ho un orizzonte che mi chiude o a cui vado incontro, la vita ha un senso.
Altrimenti no. In questo caso la vita spirituale non riesco nemmeno a intenderla.
Certamente se vogliamo trovare i caratteri comuni delle religioni, dobbiamo tenerlo in considerazione.
Ovvero il cammino DEVE avere un senso (di marcia).
Citazione di: green demetr il 20 Maggio 2017, 22:01:32 PM
Ciao Angelo.
La dimensione temporale è un fatto innegabile per l'uomo.
Perchè si collega alla propria morte.
A mio modo di vedere però è ben più importante la dimensione di orizzonte.
Finchè ho un orizzonte che mi chiude o a cui vado incontro, la vita ha un senso.
Altrimenti no. In questo caso la vita spirituale non riesco nemmeno a intenderla.
Certamente se vogliamo trovare i caratteri comuni delle religioni, dobbiamo tenerlo in considerazione.
Ovvero il cammino DEVE avere un senso (di marcia).
Non dobbiamo sforzarci di dare un senso alla vita, ce l'ha già e consiste nel salvare la nostra anima.
Se ci diamo altri sensi non facciamo altro che perdere in vero senso.
L'orizzonte temporale è la morte, cioè il tempo in cui non potrò fare altro per me stesso.
Il senso di marcia è un viaggio all'interno di noi stessi o meglio del nostro cuore, ma questo non è ancora sufficiente perché il viaggio mi fa scoprire, qualunque sia la religione che avrò scelto, chi sono io. Quando avrò scoperto come sono messo dovrò scegliere se cambiare oppure no. In quel momento si scateneranno il bene il male e, secondo di quello che sceglierò, diventerò spirituale oppure no. Ci sarà un prezzo da pagare che è la rinuncia o no all'orgoglio, non sempre sarò io a scegliere perché se l'orgoglio - satana nell'uomo - è forte rinuncerò al cambiamento andando incontro alle conseguenza che sappiamo.
Purtroppo dappertutto trovo persone che pensano di fare un cammino spirituale acculturandosi in teologia. Studieranno tanto ma non arriveranno mai a scoprire chi sono l'oro e per questo non camminano pur credendo di camminare.
La spiritualità è quindi lo scopo di un cammino ma a condizione che si parta disposti a rinunciare a noi stessi.
Citazione di: green demetr il 20 Maggio 2017, 22:01:32 PM
è ben più importante la dimensione di orizzonte.
Forse dipende anche da quant'è lontano quest'orizzonte: se è troppo lontano, dove trovare sostegno e forza per il cammino verso di esso? Basterà la sola speranza di raggiungerlo?
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 00:47:37 AM
Citazione di: green demetr il 20 Maggio 2017, 22:01:32 PM
è ben più importante la dimensione di orizzonte.
Forse dipende anche da quant'è lontano quest'orizzonte: se è troppo lontano, dove trovare sostegno e forza per il cammino verso di esso? Basterà la sola speranza di raggiungerlo?
Tutto è stato fatto per l'uomo e nulla di quanto fatto è impossibile essere raggiunto dall'uomo, ma ad una condizione e cioè che l'uomo abbia fiducia in stesso e creda quindi che con l'aiuto del Signore Dio tutto diventa possibile. Il pericolo arriva quando crediamo di poter fare da soli. In questo ultimo caso la meta diventa troppo lontana, la forza scarseggia e la speranza ci abbandona. In ogni caso la speranza è una possibilità su enne possibilità, per arrivare alla spiritualità occorre la certezza, cioè il credere. "Chi crede in me fa ciò che io faccio ed anche di più", dice il Signore.
Se fino ad oggi non siamo arrivati vuol dire che la nostra fede non è ancora un credere ma solo un'idea molto ingannevole.
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 00:47:37 AM
Citazione di: green demetr il 20 Maggio 2017, 22:01:32 PM
è ben più importante la dimensione di orizzonte.
Forse dipende anche da quant'è lontano quest'orizzonte: se è troppo lontano, dove trovare sostegno e forza per il cammino verso di esso? Basterà la sola speranza di raggiungerlo?
L'importante è vedere l'orizzonte.
Non è tanto il raggiungimento, quanto il cammino stesso che si svolge all'interno di una descrizione, quella religiosa.
Se una religione toglie il cammino, diventa una religione senza senso.
A mio parere ogni religione prevede un viaggio.
Che sia quello dei tre monoteismi (cha attraversa un pertugio), sia che esso sia una riappropriazione del senso cosmico, e la strada fatta, consista in una illusione, nelle tradizioni orientali.
C'è sempre un viaggio da fare.
Bisogna però intendere i fini teleologici. (gli orizzonti appunto)
Perchè aderente alla religione vi sono le tematiche politiche (ampiamente moderate in questa sezione) e quelle invece essenzialmente di una saggezza che unisce l'intera umanità.
Io penso che se vogliamo dare un senso a questa prova dobbiamo cominciare ad elencare qualcosa di quella saggezza.
Cosa che mi sembra tu stia prolungando in maniera sospetta.
Per tornare alla tua bici, mi sembra che per ora ti sei seduto sopra ma non hai ancora dato un colpo di pedale.
Trovo simpatico questo tuo sospettare. Di fronte al bisogno di individuare mete, orizzonti, la via che io seguo è quella del raccogliere nel presente la storia. Cioè, mete e orizzonti non possono essere stabiliti con pretesi criteri assoluti, universali, validi per sempre: quanto più si pretendono tali, tanto più facile è sottoporli a critica e demolirli. Perciò ritengo più sensato tener conto che, sia ognuno di noi, sia il mondo intero, facciamo parte di una storia con fisionomie ben precise. Allora, quando mi trovo in necessità di compiere delle scelte, oppure di individuare mete e orizzonti, cerco di fare una sintesi della storia mia e del mondo, una sintesi ovviamente soggettiva, tutta da sottoporre a revisione la volta successiva in cui compirò lo stesso lavoro. Faccio una sintesi, non solo razionale, ma in ascolto di tutte le mie migliori facoltà, e compio la mia scelta provvisoria, individuo il mio orizzonte provvisorio, assumendomene le responsabilità e dico: "Oggi mi sembra bene questo, mi sembra bene andare in questa direzione, domani vedremo".
A questo punto è ovvio che poi la questione si trasferisce sull'interpretare la storia, e quindi discutere anche di politica, ma non solo.
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 20:28:15 PM
Trovo simpatico questo tuo sospettare. Di fronte al bisogno di individuare mete, orizzonti, la via che io seguo è quella del raccogliere nel presente la storia. Cioè, mete e orizzonti non possono essere stabiliti con pretesi criteri assoluti, universali, validi per sempre: quanto più si pretendono tali, tanto più facile è sottoporli a critica e demolirli. Perciò ritengo più sensato tener conto che, sia ognuno di noi, sia il mondo intero, facciamo parte di una storia con fisionomie ben precise. Allora, quando mi trovo in necessità di compiere delle scelte, oppure di individuare mete e orizzonti, cerco di fare una sintesi della storia mia e del mondo, una sintesi ovviamente soggettiva, tutta da sottoporre a revisione la volta successiva in cui compirò lo stesso lavoro. Faccio una sintesi, non solo razionale, ma in ascolto di tutte le mie migliori facoltà, e compio la mia scelta provvisoria, individuo il mio orizzonte provvisorio, assumendomene le responsabilità e dico: "Oggi mi sembra bene questo, mi sembra bene andare in questa direzione, domani vedremo".
A questo punto è ovvio che poi la questione si trasferisce sull'interpretare la storia, e quindi discutere anche di politica, ma non solo.
Di politica qua proprio no ;) non si può. (ciò già provato ;) )
Ma ovviamente se per esempio diciamo l'amore, si aprirà la possibilità di andare contro a questo concetto. (ma d'altronde giona veglia su di noi comunque ;) ).
Ma infatti mi sembrava strano l'apertura di questi topic da parte tua.
Per come ti sto conoscendo, per te la priorità è proprio sulle modalità di conoscenza.
Ma le religioni (spero giona, in mancanza di duc in altum possa correggere se lo ritiene) non
impostano un discorso di conoscenza, ma di divulgazione di un certo tipo di saggezza.
Io da quando ho provato a stare in questa sezione, devo ancora trovare la dimensione giusta.
Sono felicissimo delle conoscenze di JsebBach, e ora di myfriend.
ma come mi sembra scriveva Inverno, dire delle questioni storiografiche ancora non dice nulla della religione, come saggezza diffusa.
E d'altronde essendo un neofita della religione cristiana, nemmeno riesco a capire certe durezze di un duc in altum, o di un giona, cerco di seguire, ma non trovo ancora la mia dimensione.
Poi certo capisco benissimo il tuo discorso che cerca la sintesi, precaria molto precaria, o semplicemente debole.
Ma mi pare astratto. Troppo astratto. (le cose più importanti d'altronde sono quelle che hai deciso di raccontarci del tuo vissuto).
Seguo comunque con interesse.
Vedo che usi volentieri il termine "saggezza" in riferimento alle religioni. Sia che tu la intenda come tua predisposizione di fiducia verso di esse, sia che la intenda come percezione di una giustezza oggettiva presente in esse, la cosa sarebbe da discutere, tanto più che la ritieni come un qualcosa di diffuso in tutto il pianeta.
Se cerchi una tua dimensione nell'interesse tra le religioni, non penso che farai molta strada cercando in mezzo al peggio di esse, selezionando i fanatici o chi manca di autocritica: io ritengo che nelle religioni ci siano tesori di spiritualità, ma bisogna cercare il meglio di esse, le loro manifestazioni più aperte al confronto, non certo le deviazioni meno disposte a cercare di essere consapevoli di se stesse.
Riguardo all'astrattezza, penso che si tratti di accorgersi del legame tra le varie cose che ho espresso in più occasioni: quando ho raccontato il mio vissuto, quel raccontare era esattamente il raccogliere la storia di cui ho parlato: se il mio vissuto ti è sembrato concreto, allora raccogliere nel presente la storia è una cosa concreta, perché consiste proprio nell'esempio che ne ho dato raccontando il mio vissuto; un altro esempio è proprio il discorso politico, che è simile al mio raccontare il vissuto, solo che invece di limitarsi alla mia persona diventa un discorso allargato alla società; che poi il discorso politico sia impossibile perché magari non si riesce ad evitare le polemiche, sarebbe una questione meritevole di approfondimento.
Citazione di: green demetr il 22 Maggio 2017, 00:17:48 AMCitazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 20:28:15 PMTrovo simpatico questo tuo sospettare. Di fronte al bisogno di individuare mete, orizzonti, la via che io seguo è quella del raccogliere nel presente la storia. Cioè, mete e orizzonti non possono essere stabiliti con pretesi criteri assoluti, universali, validi per sempre: quanto più si pretendono tali, tanto più facile è sottoporli a critica e demolirli. Perciò ritengo più sensato tener conto che, sia ognuno di noi, sia il mondo intero, facciamo parte di una storia con fisionomie ben precise. Allora, quando mi trovo in necessità di compiere delle scelte, oppure di individuare mete e orizzonti, cerco di fare una sintesi della storia mia e del mondo, una sintesi ovviamente soggettiva, tutta da sottoporre a revisione la volta successiva in cui compirò lo stesso lavoro. Faccio una sintesi, non solo razionale, ma in ascolto di tutte le mie migliori facoltà, e compio la mia scelta provvisoria, individuo il mio orizzonte provvisorio, assumendomene le responsabilità e dico: "Oggi mi sembra bene questo, mi sembra bene andare in questa direzione, domani vedremo". A questo punto è ovvio che poi la questione si trasferisce sull'interpretare la storia, e quindi discutere anche di politica, ma non solo.
Di politica qua proprio no ;) non si può. (ciò già provato ;) ) Ma ovviamente se per esempio diciamo l'amore, si aprirà la possibilità di andare contro a questo concetto. (ma d'altronde giona veglia su di noi comunque ;) ). Ma infatti mi sembrava strano l'apertura di questi topic da parte tua. Per come ti sto conoscendo, per te la priorità è proprio sulle modalità di conoscenza. Ma le religioni (spero giona, in mancanza di duc in altum possa correggere se lo ritiene) non impostano un discorso di conoscenza, ma di divulgazione di un certo tipo di saggezza. Io da quando ho provato a stare in questa sezione, devo ancora trovare la dimensione giusta. Sono felicissimo delle conoscenze di JsebBach, e ora di myfriend. ma come mi sembra scriveva Inverno, dire delle questioni storiografiche ancora non dice nulla della religione, come saggezza diffusa. E d'altronde essendo un neofita della religione cristiana, nemmeno riesco a capire certe durezze di un duc in altum, o di un giona, cerco di seguire, ma non trovo ancora la mia dimensione. Poi certo capisco benissimo il tuo discorso che cerca la sintesi, precaria molto precaria, o semplicemente debole. Ma mi pare astratto. Troppo astratto. (le cose più importanti d'altronde sono quelle che hai deciso di raccontarci del tuo vissuto). Seguo comunque con interesse.
greendemetr, la saggezza presente in tutte le religioni. Persone di spiccata spiritualità le trovi OVUNQUE: nell'induismo, nel cristianesimo, nel buddismo, nel taoismo, nell'ebraismo, nell'islam ecc. Sono davvero tutte interessanti e sono come dice Angelo un tesoro di spiritualità. Ma nuovamente hai una scelta: o ne scegli una e non vuoi nemmeno riconoscere la saggezza altrui - anzi li consideri nemici - come fanno i fanatici o ne scegli una ma resti tollerante o cerchi di trovare il meglio. Nell'ultimo caso sarai un ricercatore solitario, uno dei pochi che cerca la strada da sé. Certa gente la vede come una sorta di arroganza o di stupidità. La scelta deve essere tua.
A dire il vero ho notato che le persone più "spirituali" delle varie tradizioni pensano (e vivono o almeno cercano di vivere) in modo simile. E queste persone sono quelle più "aperte" che nelle loro tradizioni hanno voluto però fare un loro cammino personale. Ma ricordati che la maggior parte delle persone non vogliono fare questa sfida...
Mi hai fatto ricordare il racconto, secondo me molto profondo, del
gabbiano Jonathan Livingston, che vuole cercare il meglio, volare più in alto, ma più va in alto, più si ritrova solo.
Citazione di: Angelo Cannata il 22 Maggio 2017, 13:35:24 PMMi hai fatto ricordare il racconto, secondo me molto profondo, del gabbiano Jonathan Livingston, che vuole cercare il meglio, volare più in alto, ma più va in alto, più si ritrova solo.
Sì è molto bello e rende molto. Purtroppo chi cerca il meglio è sempre solo anche se rimane nella sua tradizione. Non a caso nel Medioevo la gran parte di chi "cercava il meglio" veniva descritto come eretico oppure si isolava diventando profondamente religioso. Purtroppo il vero problema secondo me è che
veramente pochi decidono di "cercare il meglio" e inoltre ognuno ha una sua unicità e quindi tra di loro ci sono enormi divergenze. Basta pensare ai filosofi: sono tutti estremamente diversi :)
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2017, 08:59:07 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 22 Maggio 2017, 13:35:24 PMMi hai fatto ricordare il racconto, secondo me molto profondo, del gabbiano Jonathan Livingston, che vuole cercare il meglio, volare più in alto, ma più va in alto, più si ritrova solo.
Sì è molto bello e rende molto. Purtroppo chi cerca il meglio è sempre solo anche se rimane nella sua tradizione. Non a caso nel Medioevo la gran parte di chi "cercava il meglio" veniva descritto come eretico oppure si isolava diventando profondamente religioso. Purtroppo il vero problema secondo me è che veramente pochi decidono di "cercare il meglio" e inoltre ognuno ha una sua unicità e quindi tra di loro ci sono enormi divergenze. Basta pensare ai filosofi: sono tutti estremamente diversi :)
Chi cerca il meglio si ritrova solo! OK
Il problema non è essere soli cioè senza compagnia umana ma la solitudine la quale non è mancanza di compagnia umana bensì mancanza del Signore Dio nel proprio cuore; quel senso di vuoto che fa sentire inutile la persona.
Ritrovarsi soli nel senso di cui sopra è un aspetto della ricerca del meglio. In altre parole chi cerca il meglio cerca le cose di lassù le quali si trovano lasciando quelle di quaggiù. Una delle cose di quaggiù è la compagnia umana.
Si arriva a vivere nel mondo senza essere del mondo. Per questo il Signore dice: Chi ama sua madre, suo padre, sua figlia ecc.. più di me non è degno di me.
Mi chiederete allora come si vive il comandamento che dice di amare il prossimo come se stessi? L'uomo che ha trovato il Signore Dio nel suo cuore non ha bisogno di altri ma è disponibile ad aiutare quelli che vogliono camminare sulla strada che lui ha percorso.
Questo è l'amore. Fino quando non avremo raggiunto questa dimensione chiameremo amore il bisogno di altri ed in particolare il bisogno di compagnia. Arriverà il giorno in cui scopriremo che gli altri non possono riempire il nostro cuore e che attaccandoci a loro non abbiamo camminato.
Geremia: Benedetto l'uomo che confida nel Signore Dio e maledetto l'uomo che confida nell'uomo.
L'uomo che ha trovato il Signore non è solo né soffre di solitudine perché sente di esser parte di un'immensa vita.
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2017, 08:59:07 AMBasta pensare ai filosofi: sono tutti estremamente diversi :)
Infatti per certi versi penso che Sartre abbia un po' di ragione quando dice che "l'inferno sono gli altri"; nella mia visione di spiritualità il male è l'universo, oppure anche gli altri; ovviamente non in senso metafisico, ma come percezione che mi sembra si verifichi abbastanza spesso. Di conseguenza anch'io sono un male per gli altri, nella misura in cui sono un loro concorrente. D'altra parte, omogeneizzare tutto significa morte. Da qui ritengo che non sappiamo se e come il male possa essere eliminato; proprio il fatto di non saperlo mi induce ad andare per tentativi, tentativi storici. Forse del bene si può fare e se questo sospetto si lascia pensare non abbiamo altro da fare che compiere questi tentativi storici.
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Maggio 2017, 11:40:13 AM
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2017, 08:59:07 AMBasta pensare ai filosofi: sono tutti estremamente diversi :)
Infatti per certi versi penso che Sartre abbia un po' di ragione quando dice che "l'inferno sono gli altri"; nella mia visione di spiritualità il male è l'universo, oppure anche gli altri; ovviamente non in senso metafisico, ma come percezione che mi sembra si verifichi abbastanza spesso. Di conseguenza anch'io sono un male per gli altri, nella misura in cui sono un loro concorrente. D'altra parte, omogeneizzare tutto significa morte. Da qui ritengo che non sappiamo se e come il male possa essere eliminato; proprio il fatto di non saperlo mi induce ad andare per tentativi, tentativi storici. Forse del bene si può fare e se questo sospetto si lascia pensare non abbiamo altro da fare che compiere questi tentativi storici.
Ma benedetto, ti presente come maestro di spiritualità e non sai come si elimina il male?
Se non sappiamo queste cose con ogni possibilità il male è in noi con tutto l'inganno che gli appartiene e ci ha vinto.
Citazione di: Apeiron il 22 Maggio 2017, 09:44:27 AM
Citazione di: green demetr il 22 Maggio 2017, 00:17:48 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 20:28:15 PMTrovo simpatico questo tuo sospettare. Di fronte al bisogno di individuare mete, orizzonti, la via che io seguo è quella del raccogliere nel presente la storia. Cioè, mete e orizzonti non possono essere stabiliti con pretesi criteri assoluti, universali, validi per sempre: quanto più si pretendono tali, tanto più facile è sottoporli a critica e demolirli. Perciò ritengo più sensato tener conto che, sia ognuno di noi, sia il mondo intero, facciamo parte di una storia con fisionomie ben precise. Allora, quando mi trovo in necessità di compiere delle scelte, oppure di individuare mete e orizzonti, cerco di fare una sintesi della storia mia e del mondo, una sintesi ovviamente soggettiva, tutta da sottoporre a revisione la volta successiva in cui compirò lo stesso lavoro. Faccio una sintesi, non solo razionale, ma in ascolto di tutte le mie migliori facoltà, e compio la mia scelta provvisoria, individuo il mio orizzonte provvisorio, assumendomene le responsabilità e dico: "Oggi mi sembra bene questo, mi sembra bene andare in questa direzione, domani vedremo". A questo punto è ovvio che poi la questione si trasferisce sull'interpretare la storia, e quindi discutere anche di politica, ma non solo.
Di politica qua proprio no ;) non si può. (ciò già provato ;) ) Ma ovviamente se per esempio diciamo l'amore, si aprirà la possibilità di andare contro a questo concetto. (ma d'altronde giona veglia su di noi comunque ;) ). Ma infatti mi sembrava strano l'apertura di questi topic da parte tua. Per come ti sto conoscendo, per te la priorità è proprio sulle modalità di conoscenza. Ma le religioni (spero giona, in mancanza di duc in altum possa correggere se lo ritiene) non impostano un discorso di conoscenza, ma di divulgazione di un certo tipo di saggezza. Io da quando ho provato a stare in questa sezione, devo ancora trovare la dimensione giusta. Sono felicissimo delle conoscenze di JsebBach, e ora di myfriend. ma come mi sembra scriveva Inverno, dire delle questioni storiografiche ancora non dice nulla della religione, come saggezza diffusa. E d'altronde essendo un neofita della religione cristiana, nemmeno riesco a capire certe durezze di un duc in altum, o di un giona, cerco di seguire, ma non trovo ancora la mia dimensione. Poi certo capisco benissimo il tuo discorso che cerca la sintesi, precaria molto precaria, o semplicemente debole. Ma mi pare astratto. Troppo astratto. (le cose più importanti d'altronde sono quelle che hai deciso di raccontarci del tuo vissuto). Seguo comunque con interesse.
greendemetr, la saggezza presente in tutte le religioni. Persone di spiccata spiritualità le trovi OVUNQUE: nell'induismo, nel cristianesimo, nel buddismo, nel taoismo, nell'ebraismo, nell'islam ecc. Sono davvero tutte interessanti e sono come dice Angelo un tesoro di spiritualità. Ma nuovamente hai una scelta: o ne scegli una e non vuoi nemmeno riconoscere la saggezza altrui - anzi li consideri nemici - come fanno i fanatici o ne scegli una ma resti tollerante o cerchi di trovare il meglio. Nell'ultimo caso sarai un ricercatore solitario, uno dei pochi che cerca la strada da sé. Certa gente la vede come una sorta di arroganza o di stupidità. La scelta deve essere tua.
A dire il vero ho notato che le persone più "spirituali" delle varie tradizioni pensano (e vivono o almeno cercano di vivere) in modo simile. E queste persone sono quelle più "aperte" che nelle loro tradizioni hanno voluto però fare un loro cammino personale. Ma ricordati che la maggior parte delle persone non vogliono fare questa sfida...
Certamente lo so che la via è solitaria.
Vi è un capitolo nell'eterna ricerca dell'uomo del Maestro Yogananda, che insengnava una verità molto semplice, solo chi ha varcato il cancello del silenzio, è pronto ad accogliere Dio.
Lato occidentale, mi vengono in mente, le pratiche monacali.
La missioni di Yogananda era quella di trovare una ritualità che rispondesse al gusto occidentale.
Il suo messaggio di amore, la sua luce interiore hanno toccato persone totalmente aliene come Steve Jobs.
Yogananda era una persona altamente tollerante.
Ma la dimensione introspettiva è fondamentale nel mondo orientale, perchè da quella parte del Mondo il reale è illusione.
Ma il reale non è illusione.
Ormai anche L'India, che come scriveva il Maestro Terzani, era l'ultimo grande baluardo contro il capitalismo, sta cedendo sempre più.
Il rito non può nulla contro la tecnica. E' stato a lungo, e tutt'ora viene cavalcato come trait d'union della società, ma gli individui più colti, vanno oltre, cercano il meglio per loro e per le loro famiglie. E così anche in India.
Stiamo assistendo a quello che è già successo in Giappone, il sincretismo culturale, dove tecnologia e templi si innestano gli uni accanto gli altri.
Dove l'umanità perde sempre più il suo senso.
(e d'altronde il Giappone, essendo l'avanguardia mondiale dei fenomeni sociali (pensiamo al fenomeno del gender, avvenuto lì già negli anni 80), sta vedendo un serie di mutazioni comportamentali, che allarmano parecchio: il sincretismo sta scoppiando, le persone o si rinchiudono in sè, o spariscono).
Sto raccontando questo, perchè l'eremitismo, il monachesimo, e le forme interiorizzanti d'occidente e d'oriente, possono funzionare SOLO DENTRO una società.
Quindi è annessa a quelle pratiche un qualcosa che si dava per scontato.
(l'eremita riceveva cibo, e il monaco commerciava).
In questo senso nell'epoca moderna non possiamo occuparci solo di una cosa, ma di entrambe.
Sia del lato spirituale, sia del lato sociale.
La mia attenzione è allora stata catturata dal maestro Panikkar recentemente.
Spero presto di occuparmene.
ciao!
Mi hai fatto venire in mente il libretto "Il deserto nella città" di Carlo Carretto, in cui l'autore mostra come nell'ambiente chiassoso della città sia anche possibile coltivare spazi di deserto, cioè silenzio, meditazione. Aggiungerei di più: il silenzio, oltre ad essere uno spazio ricavato in mezzo al non silenzio, può essere contenuto anche proprio nel non silenzio: anche una musica o un parlare possono contenere molto silenzio, non tanto per le pause che contengono, ma per come i contenuti sono organizzati ed espressi.
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Maggio 2017, 14:08:32 PM
Mi hai fatto venire in mente il libretto "Il deserto nella città" di Carlo Carretto, in cui l'autore mostra come nell'ambiente chiassoso della città sia anche possibile coltivare spazi di deserto, cioè silenzio, meditazione. Aggiungerei di più: il silenzio, oltre ad essere uno spazio ricavato in mezzo al non silenzio, può essere contenuto anche proprio nel non silenzio: anche una musica o un parlare possono contenere molto silenzio, non tanto per le pause che contengono, ma per come i contenuti sono organizzati ed espressi.
E' proprio vero, grazie a Dio quello possiamo ancora farlo.
Un abbraccio.
Citazione di: giona2068 il 23 Maggio 2017, 10:04:18 AM
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2017, 08:59:07 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 22 Maggio 2017, 13:35:24 PMMi hai fatto ricordare il racconto, secondo me molto profondo, del gabbiano Jonathan Livingston, che vuole cercare il meglio, volare più in alto, ma più va in alto, più si ritrova solo.
Sì è molto bello e rende molto. Purtroppo chi cerca il meglio è sempre solo anche se rimane nella sua tradizione. Non a caso nel Medioevo la gran parte di chi "cercava il meglio" veniva descritto come eretico oppure si isolava diventando profondamente religioso. Purtroppo il vero problema secondo me è che veramente pochi decidono di "cercare il meglio" e inoltre ognuno ha una sua unicità e quindi tra di loro ci sono enormi divergenze. Basta pensare ai filosofi: sono tutti estremamente diversi :)
Chi cerca il meglio si ritrova solo! OK Il problema non è essere soli cioè senza compagnia umana ma la solitudine la quale non è mancanza di compagnia umana bensì mancanza del Signore Dio nel proprio cuore; quel senso di vuoto che fa sentire inutile la persona. Ritrovarsi soli nel senso di cui sopra è un aspetto della ricerca del meglio. In altre parole chi cerca il meglio cerca le cose di lassù le quali si trovano lasciando quelle di quaggiù. Una delle cose di quaggiù è la compagnia umana. Si arriva a vivere nel mondo senza essere del mondo. Per questo il Signore dice: Chi ama sua madre, suo padre, sua figlia ecc.. più di me non è degno di me. Mi chiederete allora come si vive il comandamento che dice di amare il prossimo come se stessi? L'uomo che ha trovato il Signore Dio nel suo cuore non ha bisogno di altri ma è disponibile ad aiutare quelli che vogliono camminare sulla strada che lui ha percorso. Questo è l'amore. Fino quando non avremo raggiunto questa dimensione chiameremo amore il bisogno di altri ed in particolare il bisogno di compagnia. Arriverà il giorno in cui scopriremo che gli altri non possono riempire il nostro cuore e che attaccandoci a loro non abbiamo camminato. Geremia: Benedetto l'uomo che confida nel Signore Dio e maledetto l'uomo che confida nell'uomo. L'uomo che ha trovato il Signore non è solo né soffre di solitudine perché sente di esser parte di un'immensa vita.
giona rispetto la tua opinione - anche se ritengo che vedi le cose "troppo in bianco e in nero". In effetti il bello del cristianesimo è come diceva anche Duc che non ci si sente mai solo perchè "Dio è sempre con noi...". Ma Dio - se esiste - mi ha
donato una mente estremamente curiosa, che è in continua ricerca (e per ricercare bisogna essere scettici), piena di debolezze ecc. Ritengo e probabilmente mi sbaglio che il mio dubitare, il ricercare ecc sia il miglior modo con cui posso usare questo
dono (che in certi momenti è un fardello...). Io continuo a farmi domande, a farmi domande scomode ecc. Sicuramente chi non è interessato a queste question non ha "fede" (non solo nel cristianesimo ma in tutte le "fedi"). Ma continuare a farsi domande??? Perchè Dio avrebbe donato ad una certa fetta della popolazione una mente che continua a problemizzare tutto, fede inclusa? Forse quel ... di Calvino ha ragione "alcuni forse sono destinati a non salvarsi!". Davvero devo credere in un Dio che
condanna scetticismo e dubbio visto che è proprio lui che dona una ragione? Tu dici spesso che dire di credere non equivale a credere. Ma allora chi crede? Forse crede di più il non credente di chi crede di credere?...Troppe contraddizioni, troppe. Visto che parliamo di cammini. Tu che consigli daresti ad un non-credente ? Oppure: se trovi un buddista cosa gli diresti?
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Maggio 2017, 11:40:13 AM
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2017, 08:59:07 AMBasta pensare ai filosofi: sono tutti estremamente diversi :)
Infatti per certi versi penso che Sartre abbia un po' di ragione quando dice che "l'inferno sono gli altri"; nella mia visione di spiritualità il male è l'universo, oppure anche gli altri; ovviamente non in senso metafisico, ma come percezione che mi sembra si verifichi abbastanza spesso. Di conseguenza anch'io sono un male per gli altri, nella misura in cui sono un loro concorrente. D'altra parte, omogeneizzare tutto significa morte. Da qui ritengo che non sappiamo se e come il male possa essere eliminato; proprio il fatto di non saperlo mi induce ad andare per tentativi, tentativi storici. Forse del bene si può fare e se questo sospetto si lascia pensare non abbiamo altro da fare che compiere questi tentativi storici.
Già concordo sui tentativi... e se il male, come dicono i buddisti, deriva da
noi? Ossia dai nostri tentativi di possedere, identificarci ecc?
Citazione di: green demetr il 23 Maggio 2017, 13:57:03 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Maggio 2017, 09:44:27 AM
Citazione di: green demetr il 22 Maggio 2017, 00:17:48 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 20:28:15 PMTrovo simpatico questo tuo sospettare. Di fronte al bisogno di individuare mete, orizzonti, la via che io seguo è quella del raccogliere nel presente la storia. Cioè, mete e orizzonti non possono essere stabiliti con pretesi criteri assoluti, universali, validi per sempre: quanto più si pretendono tali, tanto più facile è sottoporli a critica e demolirli. Perciò ritengo più sensato tener conto che, sia ognuno di noi, sia il mondo intero, facciamo parte di una storia con fisionomie ben precise. Allora, quando mi trovo in necessità di compiere delle scelte, oppure di individuare mete e orizzonti, cerco di fare una sintesi della storia mia e del mondo, una sintesi ovviamente soggettiva, tutta da sottoporre a revisione la volta successiva in cui compirò lo stesso lavoro. Faccio una sintesi, non solo razionale, ma in ascolto di tutte le mie migliori facoltà, e compio la mia scelta provvisoria, individuo il mio orizzonte provvisorio, assumendomene le responsabilità e dico: "Oggi mi sembra bene questo, mi sembra bene andare in questa direzione, domani vedremo". A questo punto è ovvio che poi la questione si trasferisce sull'interpretare la storia, e quindi discutere anche di politica, ma non solo.
Di politica qua proprio no ;) non si può. (ciò già provato ;) ) Ma ovviamente se per esempio diciamo l'amore, si aprirà la possibilità di andare contro a questo concetto. (ma d'altronde giona veglia su di noi comunque ;) ). Ma infatti mi sembrava strano l'apertura di questi topic da parte tua. Per come ti sto conoscendo, per te la priorità è proprio sulle modalità di conoscenza. Ma le religioni (spero giona, in mancanza di duc in altum possa correggere se lo ritiene) non impostano un discorso di conoscenza, ma di divulgazione di un certo tipo di saggezza. Io da quando ho provato a stare in questa sezione, devo ancora trovare la dimensione giusta. Sono felicissimo delle conoscenze di JsebBach, e ora di myfriend. ma come mi sembra scriveva Inverno, dire delle questioni storiografiche ancora non dice nulla della religione, come saggezza diffusa. E d'altronde essendo un neofita della religione cristiana, nemmeno riesco a capire certe durezze di un duc in altum, o di un giona, cerco di seguire, ma non trovo ancora la mia dimensione. Poi certo capisco benissimo il tuo discorso che cerca la sintesi, precaria molto precaria, o semplicemente debole. Ma mi pare astratto. Troppo astratto. (le cose più importanti d'altronde sono quelle che hai deciso di raccontarci del tuo vissuto). Seguo comunque con interesse.
greendemetr, la saggezza presente in tutte le religioni. Persone di spiccata spiritualità le trovi OVUNQUE: nell'induismo, nel cristianesimo, nel buddismo, nel taoismo, nell'ebraismo, nell'islam ecc. Sono davvero tutte interessanti e sono come dice Angelo un tesoro di spiritualità. Ma nuovamente hai una scelta: o ne scegli una e non vuoi nemmeno riconoscere la saggezza altrui - anzi li consideri nemici - come fanno i fanatici o ne scegli una ma resti tollerante o cerchi di trovare il meglio. Nell'ultimo caso sarai un ricercatore solitario, uno dei pochi che cerca la strada da sé. Certa gente la vede come una sorta di arroganza o di stupidità. La scelta deve essere tua. A dire il vero ho notato che le persone più "spirituali" delle varie tradizioni pensano (e vivono o almeno cercano di vivere) in modo simile. E queste persone sono quelle più "aperte" che nelle loro tradizioni hanno voluto però fare un loro cammino personale. Ma ricordati che la maggior parte delle persone non vogliono fare questa sfida...
Certamente lo so che la via è solitaria. Vi è un capitolo nell'eterna ricerca dell'uomo del Maestro Yogananda, che insengnava una verità molto semplice, solo chi ha varcato il cancello del silenzio, è pronto ad accogliere Dio. Lato occidentale, mi vengono in mente, le pratiche monacali. La missioni di Yogananda era quella di trovare una ritualità che rispondesse al gusto occidentale. Il suo messaggio di amore, la sua luce interiore hanno toccato persone totalmente aliene come Steve Jobs. Yogananda era una persona altamente tollerante. Ma la dimensione introspettiva è fondamentale nel mondo orientale, perchè da quella parte del Mondo il reale è illusione. Ma il reale non è illusione. Ormai anche L'India, che come scriveva il Maestro Terzani, era l'ultimo grande baluardo contro il capitalismo, sta cedendo sempre più. Il rito non può nulla contro la tecnica. E' stato a lungo, e tutt'ora viene cavalcato come trait d'union della società, ma gli individui più colti, vanno oltre, cercano il meglio per loro e per le loro famiglie. E così anche in India. Stiamo assistendo a quello che è già successo in Giappone, il sincretismo culturale, dove tecnologia e templi si innestano gli uni accanto gli altri. Dove l'umanità perde sempre più il suo senso. (e d'altronde il Giappone, essendo l'avanguardia mondiale dei fenomeni sociali (pensiamo al fenomeno del gender, avvenuto lì già negli anni 80), sta vedendo un serie di mutazioni comportamentali, che allarmano parecchio: il sincretismo sta scoppiando, le persone o si rinchiudono in sè, o spariscono). Sto raccontando questo, perchè l'eremitismo, il monachesimo, e le forme interiorizzanti d'occidente e d'oriente, possono funzionare SOLO DENTRO una società. Quindi è annessa a quelle pratiche un qualcosa che si dava per scontato. (l'eremita riceveva cibo, e il monaco commerciava). In questo senso nell'epoca moderna non possiamo occuparci solo di una cosa, ma di entrambe. Sia del lato spirituale, sia del lato sociale. La mia attenzione è allora stata catturata dal maestro Panikkar recentemente. Spero presto di occuparmene. ciao!
Secondo me serve un equilibrio. Però come dici tu questo obbiettivo non implica la non-differenziazione. Anzi, l'equilibrio si fonda sull'unità nella diversità.
P.S. In topic come questo io credo che sia giusto "dare consigli e parlare della propria esperienza". Non pretendo di possedere la realtà.
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2017, 18:48:42 PMe se il male, come dicono i buddisti, deriva da noi? Ossia dai nostri tentativi di possedere, identificarci ecc?
Nella mia visione, diciamo, simbolica, tanto per evitare che si pensi che si tratta di una metafisica, il male è l'universo e sono gli altri (Sartre: l'inferno sono gli altri), il bene sono io. Ne consegue che anch'io sono il male per gli altri. Ogni alterità può essere vista come male per l'altro, cioè ogni atomo può essere considerato come male per gli altri atomi. L'altro mi arricchisce, ma è anche colui che mi fa concorrenza, occupa uno spazio che io non posso occupare. In questo senso anche la stessa spiritualità, proprio come vita interiore può essere male, perché vita interiore significa anche egoismo e tutto il resto, cioè tutta la vita interiore, non solo una selezione dei suoi aspetti più belli. Anch'io sono male per me stesso, perché io sono plurimo e tutte le cose che sono in me non vanno certo d'amore e d'accordo. Alla fine, quindi, si potrebbe anche dire che tutto è male, noi stessi siamo fatti di male.
Una visione del genere può apparire spaventosa, oppure disprezzabile, ma apparirà tale solo se la si scambierà per una metafisica. Ma io non sono affatto convinto che tutto sia male. Mi si dirà: "Ma come, neghi ciò che hai appena affermato?" No, si tratta di interpretare nel giusto senso ciò che ho detto. Un buon paragone può essere la colorazione degli elementi al microscopio: inserire dei coloranti altera tutto, ma consente anche di vedere cose che altrimenti non si vedono. E così è questa mia visione improntata al male: è solo una prova per vedere cosa viene fuori, come quando lo scienziato dice: "Mettiamo del colorante verde in questa cellula e vediamo cosa viene fuori". Così come lo scienziato non è affatto convinto che la cellula sia verde, anch'io non sono affatto convinto che tutto sia male; ma provo a pensarlo per vedere cosa viene fuori. Si chiama ermeneutica, cioè usare chiavi di lettura che servano ad evidenziare cose che altrimenti non si vedrebbero.
Tornando alla visione in cui tutto è male, ne consegue che non ci sono speranze, non ci sono sensi, non c'è alcun progetto né progettista che si occupi provvidenzialmente del destino di questo mondo o di alcuno di noi; c'è solo da lavorare, umilmente, modestamente, perché l'esperienza sembra mostrare che in molti casi il male possa essere attenuato, limitato, a volte forse addirittura eliminato; sembra che si possa arrivare anche a momenti di bellissima convivenza tra noi umani; se ciò si può tentare, perché non tentarlo?
Pensiamo alla scena in Giovanni del pane e del pesce e del vino.
Prima di leggere i meravigliosi paesaggi di giovanni, la conoscevo sopratutto per via dei miracoli.
Ma alla mia prima lettura effettiva, un senso sacrale mi ha preso.
Era invece la celebrazione della convivialità, del gusto di stare insieme, del mangiare e bere insieme.
Dell'elargire (e non del tassare e confiscare) agli uomini per gli uomini.
E quindi Angelo, sì, esiste del bene a stare con gli altri.
Ed esiste anche il tassare e il confiscare, esiste l'uomo che è nemico dell'uomo.
La convivialità espressa in quel brano è senz'altro ammaliante. Considerando come tu prosegui il discorso, vedo però proprio in quel brano una malvagità colpevolizzante, cioè come se lì Dio pretendesse di dire: "Vedete? Io sono buono, con me si mangia e si beve, siete voi ad essere cattivi".
Io non ci sto e gli ribatto: "Se hai potuto saziare quel gruppo, perché non sazi il mondo intero? Se ti è piaciuto vivere la convivialità con loro, perché non lo fai con tutti? Allora il cattivo sei tu, che con brani poetici come questi cerchi di allontanare dalla nostra mente l'idea che tu sei responsabile del male del mondo". È il problema della teodicea, che demolisce in un niente ogni filosofia e ogni religione.
Ogni tanto cerco di ricordare alla mia mente che, quando ai politici ricconi ed egoisti, se io fossi al loro posto, col 99% di probabilità mi comporterei come loro. Perciò non ha senso che io accusi il loro tassare e confiscare: io sono come loro. Perciò va bene il dibattito politico, ma non devo dimenticare che devo accompagnarlo con un mio sforzo continuo di evoluzione spirituale, altrimenti non faremo altro che contribuire a far essere il mondo sempre uguale.
Quando dico che tutto è male, non intendo negare l'esperienza del bene; intendo esprimere una percezione esistenziale; ovvio che io sperimento anche il bene, tutti i giorni, ma è sempre un bene inquinato. Visto che nessuna filosofia e nessuna religione sa darmi ragione di ciò, prendo la strada dell'andare per umili tentativi, se non altro non avrò sollecitato la gente a romanticismi ingannatori e fuorvianti come fa il racconto dei pani e dei pesci.
Il sacro è una bella esperienza, umanamente apprezzabile, ma non c'è sacro che non possa essere dissacrato; credo che una buona spiritualità debba saper apprezzare l'uno e l'altro: il sacro, che è profondamente umano, e il dissacrare, che peraltro non può mai pretendere di essere l'ultima parola, altrimenti si trasformerebbe in metafisica.
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2017, 18:48:42 PM
Citazione di: giona2068 il 23 Maggio 2017, 10:04:18 AM
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2017, 08:59:07 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 22 Maggio 2017, 13:35:24 PMMi hai fatto ricordare il racconto, secondo me molto profondo, del gabbiano Jonathan Livingston, che vuole cercare il meglio, volare più in alto, ma più va in alto, più si ritrova solo.
Chi cerca il meglio si ritrova solo! OK Il problema non è essere soli cioè senza compagnia umana ma la solitudine la quale non è mancanza di compagnia umana bensì mancanza del Signore Dio nel proprio cuore; quel senso di vuoto che fa sentire inutile la persona. Ritrovarsi soli nel senso di cui sopra è un aspetto della ricerca del meglio. In altre parole chi cerca il meglio cerca le cose di lassù le quali si trovano lasciando quelle di quaggiù. Una delle cose di quaggiù è la compagnia umana. Si arriva a vivere nel mondo senza essere del mondo. Per questo il Signore dice: Chi ama sua madre, suo padre, sua figlia ecc.. più di me non è degno di me. Mi chiederete allora come si vive il comandamento che dice di amare il prossimo come se stessi? L'uomo che ha trovato il Signore Dio nel suo cuore non ha bisogno di altri ma è disponibile ad aiutare quelli che vogliono camminare sulla strada che lui ha percorso. Questo è l'amore. Fino quando non avremo raggiunto questa dimensione chiameremo amore il bisogno di altri ed in particolare il bisogno di compagnia. Arriverà il giorno in cui scopriremo che gli altri non possono riempire il nostro cuore e che attaccandoci a loro non abbiamo camminato. Geremia: Benedetto l'uomo che confida nel Signore Dio e maledetto l'uomo che confida nell'uomo. L'uomo che ha trovato il Signore non è solo né soffre di solitudine perché sente di esser parte di un'immensa vita.
giona rispetto la tua opinione - anche se ritengo che vedi le cose "troppo in bianco e in nero". In effetti il bello del cristianesimo è come diceva anche Duc che non ci si sente mai solo perchè "Dio è sempre con noi...". Ma Dio - se esiste - mi ha donato una mente estremamente curiosa, che è in continua ricerca (e per ricercare bisogna essere scettici), piena di debolezze ecc.
Se il mio modo di vedere fosse mio allora sì che ci sarebbe da ridire, ma il mio modo di vedere non esiste, conta solo ciò che è scritto. A questo riguardo è scritto:: "O con me o contro di me" - e questo sarebbe ciò che chiami bianco o nero.
Fuori da questo schema siamo nella fantasia mentale dannosa per noi e per altri che ci leggono.
Fino a quando il Signore è con noi abbiamo ancora strada da fare, saremo cristiani quando il Signore Dio sarà in noi. In quel momento scopriremo che il Signore Dio non ci ha dato la mente bensì il cervello per ragionare e il cuore per amare. La mente è una sovrastruttura ingannatrice che ci siamo creati facendo incarnare il mondo in noi. Da qui il nome mente che procede da mentire.
La curiosità della mente che ci spinge a ricercare è un camminare fuori strada perché ci perdiamo per cercare cose che non ci servono per la ns salvezza/unica ragione della nostra vita, a meno che non ci incanaliamo nella curiosità positiva che consiste nel cercare perché non siamo santi o come i santi sino arrivati alla santità/amore.
Ritengo e probabilmente mi sbaglio che il mio dubitare, il ricercare ecc sia il miglior modo con cui posso usare questo dono (che in certi momenti è un fardello...). Io continuo a farmi domande, a farmi domande scomode ecc. Sicuramente chi non è interessato a queste question non ha "fede" (non solo nel cristianesimo ma in tutte le "fedi"). Ma continuare a farsi domande??? Perchè Dio avrebbe donato ad una certa fetta della popolazione una mente che continua a problemizzare tutto, fede inclusa? Forse quel ... di Calvino ha ragione "alcuni forse sono destinati a non salvarsi!". Davvero devo credere in un Dio che condanna scetticismo e dubbio visto che è proprio lui che dona una ragione? Tu dici spesso che dire di credere non equivale a credere. Ma allora chi crede? Forse crede di più il non credente di chi crede di credere?...Troppe contraddizioni, troppe. Visto che parliamo di cammini. Tu che consigli daresti ad un non-credente ? Oppure: se trovi un buddista cosa gli diresti?
Le domande che l'uomo si pone a ripetizione sono suscitate dal maligno che usa l'esaurimento nervoso e non solo per rendere l'uomo invalido. Il credere è un sentire non un sapere, per sentire occorre avere un raggio di vita che è sempre Lui. Come per accendere la luce in uno stanzone buio occorre lo spioncino dell'interruttore.
E' vero che alcuni sono destinati a non salvarsi, ma il destino è una scelta dell'uomo, il Signore Dio è presciente. Nel piccolo come il meteorologo che sa in anticipo se domani pioverà ma non è lui che farà piovere.
A un non credente non dico niente perché senza la Sua chiamata (nessuno può venire a me senza la volontà del Padre mio) le parole rivolte a un non chiamato non servono a niente.
Chi non è chiamato non lo è perché il Padre Celeste non vede in Lui la speranza. (Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti - oppure vedi ladrone di sx)
Ad un buddista direi quello che direi a chi non è buddista:Dalle tue opere scopri chi sei/la tua verità, dopo entra in te stesso e risvegli la tua coscienza)
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Maggio 2017, 12:57:51 PM
La convivialità espressa in quel brano è senz'altro ammaliante. Considerando come tu prosegui il discorso, vedo però proprio in quel brano una malvagità colpevolizzante, cioè come se lì Dio pretendesse di dire: "Vedete? Io sono buono, con me si mangia e si beve, siete voi ad essere cattivi".
Io non ci sto e gli ribatto: "Se hai potuto saziare quel gruppo, perché non sazi il mondo intero? Se ti è piaciuto vivere la convivialità con loro, perché non lo fai con tutti? Allora il cattivo sei tu, che con brani poetici come questi cerchi di allontanare dalla nostra mente l'idea che tu sei responsabile del male del mondo". È il problema della teodicea, che demolisce in un niente ogni filosofia e ogni religione.
Ogni tanto cerco di ricordare alla mia mente che, quando ai politici ricconi ed egoisti, se io fossi al loro posto, col 99% di probabilità mi comporterei come loro. Perciò non ha senso che io accusi il loro tassare e confiscare: io sono come loro. Perciò va bene il dibattito politico, ma non devo dimenticare che devo accompagnarlo con un mio sforzo continuo di evoluzione spirituale, altrimenti non faremo altro che contribuire a far essere il mondo sempre uguale.
Quando dico che tutto è male, non intendo negare l'esperienza del bene; intendo esprimere una percezione esistenziale; ovvio che io sperimento anche il bene, tutti i giorni, ma è sempre un bene inquinato. Visto che nessuna filosofia e nessuna religione sa darmi ragione di ciò, prendo la strada dell'andare per umili tentativi, se non altro non avrò sollecitato la gente a romanticismi ingannatori e fuorvianti come fa il racconto dei pani e dei pesci.
Il sacro è una bella esperienza, umanamente apprezzabile, ma non c'è sacro che non possa essere dissacrato; credo che una buona spiritualità debba saper apprezzare l'uno e l'altro: il sacro, che è profondamente umano, e il dissacrare, che peraltro non può mai pretendere di essere l'ultima parola, altrimenti si trasformerebbe in metafisica.
Dipende, non so perchè JsebB e myfriend leggano in Giovanni Gesù come se fosse Dio, cosa che mi pare faccia anche tu.
Gesù è un uomo fra gli uomini che impersonifica l'azione divina.
Il suo messaggio è certamente ultraterreno, ma il suo esempio è totalmente umano, uomo tra gli uomini.
Essendo una metafora, sta a mio avviso ad indicare nella convivialità uno dei mattoni sacrali della spiritualità (della vita spirituale come ci siamo già chiariti).
E' sempre nel canone della imitatio christi. Un canone lato umano, è evidente a mio parere. (e non capisco come invece sia diventato celebre come uno dei miracoli più citati, lato divino immagino).
La teodicea non riesco a sentirla in quei passaggi.
Certo se parliamo di teodicea, stiamo portando una balena nell'acquario di questo thread, forse sarebbe il caso di aprire 3d a parte.
Ma chi sarebbe in grado di farlo. Io non ho abbastanza cultura generale per farlo.
La dissacrazione a cui alludi però dovrebbe avere un chiaro riferimento.
Ed è quello della sperequazione dei beni, fra poveri e ricchi. Tema politico presentissimo nel vangelo di Giovanni, che non a caso è il vangelo della conversione per eccellenza.
Ma ripeto non vorrei che l'admin di questa sezione poi protestasse. Parlavano di dolcezza come motivo essenziale all'apertura di ogni discussione.
A mio modo di vedere di quello possiamo parlarne altrove.
Ti consiglio di aprire 3d su filosofia tra legami fra religione e politica, oppure di continuare tale discorso sul 3d del Dubbio.
Non ha senso qui insomma mettere timore nella gente (come il telefilm "il giovane papa", testimonia).
Personalmente sono ateo (anche se ateo non metafisico).
Mi sono riferito a Gesù come se fosse Dio perché l'evangelista Giovanni lo considera Dio (basti pensare al prologo: il Verbo era Dio... e il Verbo si fece carne). Dunque, leggere il vangelo di Giovanni considerando Gesù uomo tra gli uomini significherebbe non rispettare il contesto creato dall'evangelista: anche se io sono ateo, ciò non mi autorizza a travisare il contesto in cui Giovanni presenta Gesù, cioè un contesto di fede in Gesù considerato Dio, come ho mostrato.
La metafora della convivialità va bene, ma è anche importante tener presente che essa non è né l'unica possibile, né l'unico senso di quel racconto.
Nei Vangeli è ovviamente molto presente il lato umano di Gesù, ma ciò non consente di considerarlo solo un essere umano. Dico "considerarlo" sempre nel senso non che noi dobbiamo credere che Gesù è Dio, ma che va rispettato il fatto che i Vangeli lo presentano come tale.
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Maggio 2017, 11:40:13 AM
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2017, 08:59:07 AMBasta pensare ai filosofi: sono tutti estremamente diversi :)
Infatti per certi versi penso che Sartre abbia un po' di ragione quando dice che "l'inferno sono gli altri"; nella mia visione di spiritualità il male è l'universo, oppure anche gli altri; ovviamente non in senso metafisico, ma come percezione che mi sembra si verifichi abbastanza spesso. Di conseguenza anch'io sono un male per gli altri, nella misura in cui sono un loro concorrente. D'altra parte, omogeneizzare tutto significa morte. Da qui ritengo che non sappiamo se e come il male possa essere eliminato; proprio il fatto di non saperlo mi induce ad andare per tentativi, tentativi storici. Forse del bene si può fare e se questo sospetto si lascia pensare non abbiamo altro da fare che compiere questi tentativi storici.
Il male non è nell'Universo o negli altri, il male è negli occhi. Se negli occhi c'è il male allora tutto sarà visto come male.
Sì, sono d'accordo: infatti più avanti ho scritto che si tratta di un'ermeneutica, una chiave di lettura che io applico.
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Maggio 2017, 00:39:41 AM
Personalmente sono ateo (anche se ateo non metafisico).
Mi sono riferito a Gesù come se fosse Dio perché l'evangelista Giovanni lo considera Dio (basti pensare al prologo: il Verbo era Dio... e il Verbo si fece carne). Dunque, leggere il vangelo di Giovanni considerando Gesù uomo tra gli uomini significherebbe non rispettare il contesto creato dall'evangelista: anche se io sono ateo, ciò non mi autorizza a travisare il contesto in cui Giovanni presenta Gesù, cioè un contesto di fede in Gesù considerato Dio, come ho mostrato.
La metafora della convivialità va bene, ma è anche importante tener presente che essa non è né l'unica possibile, né l'unico senso di quel racconto.
Nei Vangeli è ovviamente molto presente il lato umano di Gesù, ma ciò non consente di considerarlo solo un essere umano. Dico "considerarlo" sempre nel senso non che noi dobbiamo credere che Gesù è Dio, ma che va rispettato il fatto che i Vangeli lo presentano come tale.
Certamente possiamo intendere Gesù come Dio. Ma anche come uomo.
Quello che intendevo è che non ci vedo alcuna teodicea, e mi sorprende che tu ce la veda.
Tutto qua.
Sì, il testo non parla di teodicea, sono io che decido di introdurla come mia reazione ad un messaggio che vedo trasmesso dal testo.
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Maggio 2017, 12:57:51 PM
La convivialità espressa in quel brano è senz'altro ammaliante. Considerando come tu prosegui il discorso, vedo però proprio in quel brano una malvagità colpevolizzante, cioè come se lì Dio pretendesse di dire: "Vedete? Io sono buono, con me si mangia e si beve, siete voi ad essere cattivi".
Io non ci sto e gli ribatto: "Se hai potuto saziare quel gruppo, perché non sazi il mondo intero? Se ti è piaciuto vivere la convivialità con loro, perché non lo fai con tutti? Allora il cattivo sei tu, che con brani poetici come questi cerchi di allontanare dalla nostra mente l'idea che tu sei responsabile del male del mondo". È il problema della teodicea, che demolisce in un niente ogni filosofia e ogni religione.
Ogni tanto cerco di ricordare alla mia mente che, quando ai politici ricconi ed egoisti, se io fossi al loro posto, col 99% di probabilità mi comporterei come loro. Perciò non ha senso che io accusi il loro tassare e confiscare: io sono come loro. Perciò va bene il dibattito politico, ma non devo dimenticare che devo accompagnarlo con un mio sforzo continuo di evoluzione spirituale, altrimenti non faremo altro che contribuire a far essere il mondo sempre uguale.
Quando dico che tutto è male, non intendo negare l'esperienza del bene; intendo esprimere una percezione esistenziale; ovvio che io sperimento anche il bene, tutti i giorni, ma è sempre un bene inquinato. Visto che nessuna filosofia e nessuna religione sa darmi ragione di ciò, prendo la strada dell'andare per umili tentativi, se non altro non avrò sollecitato la gente a romanticismi ingannatori e fuorvianti come fa il racconto dei pani e dei pesci.
Il sacro è una bella esperienza, umanamente apprezzabile, ma non c'è sacro che non possa essere dissacrato; credo che una buona spiritualità debba saper apprezzare l'uno e l'altro: il sacro, che è profondamente umano, e il dissacrare, che peraltro non può mai pretendere di essere l'ultima parola, altrimenti si trasformerebbe in metafisica.
La mia modesta sensibilità mi suggerisce che la tua critica all'operato di Dio in antitesi alla gioia conviviale sia in conflitto con lo spirito del testo e di origine moderna, di -quasi perniciosa- continua disputa sull'esistenza di Dio (problematica che sicuramente non faceva tremare le mani del\gli autore\i). Ho letto in altre occasioni che presti attenzione durante la lettura dei testi, alla visione\intenzione dell'autore oltre alla pura azione descritta, perciò te lo segnalo. Per curiosità mi sono andato a rileggere il passo e vorrei segnalare alcune possibili interpretazioni parallele, che non hanno nulla a che fare con la dialettica e le rigide interpretazioni vaticane, quanto con evidenti rimandi a questioni storiche.
La sovrapposizione Dio-Re (Re inteso come capo della comunità e distributore di benessere) è stata lungamente criticata sopratutto se rapportata a culti "recenti", io non ho un opinione forte a riguardo, tuttavia qui pare ci troviamo di fronte ad un esempio lampante e in uno stato di conservazione eccellente (non stiamo certo interpretando un bassorilievo sbiadito). L'elemento della festa (momento sia celebrativo, che rito decisionale nella "elezione" di un RE) annesso alla distribuzione del cibo rimanda al tipico sistema di organizzazione di comunità di piccole\medie dimensioni ed in tempi non molto più antichi di quello evangelico (letteratura sterminata a riguardo). Sebbene geograficamente quella parte di mondo fosse già satura ai tempi evangelici con pochissime "terre promesse" disponibili alla generazione di nuove identità culturali, è probabile che anche le "comunità interne" ad altre società riutilizzassero gli stilemi delle "normali" genesi identitarie in terre vergini, ponendo un accento tradizionale (anziché eccezionale e miracolistico) sull'evento. Tentando un approccio interpretativo verso questo passo sicuramente interessante da molti punti di vista suggerisco di considerare questi elementi aggiuntivi.
- La sacralità del cibo, non un sacralità aulica e patinata, ma bucolica e intimamente legata ad un concetto di necessità e di sopravvivenza. E' forse anche solo difficile sfiorare, per noi appena tornati dal supermercato.
- L'atto della divisione, del discernimento, della allocazione del benessere (anch'esso lungamente ripetuto nella tradizione biblica) come atto positivo, privilegio di un Re e fondamento di un regno, di una gerarchia, di una migliore organizzazione, di migliori speranze di sopravvivenza.
- L'elemento miracolistico devia completamente l'attenzione (Green Demetr giustamente si stupisce ad una rilettura) e trasforma in "eccezionale" un evento che a mio avviso doveva (vista la diffusione di questo tipo di eventi) avere un carattere rituale e di passaggio, come una sorta di informale momento fondante di una comunità che celebrava la propria maturità tramite l'espressione di un Re-distributore, di sostanza organica e sostanza morale . "La generosità era la legge della festa" . Non a caso miracolo "centrale" e presente in tutti i sinottici.
In generale è utile notare che lo scorcio narrato parla di un cristianesimo completamente diverso e opposto allo spirito del cristianesimo moderno. Le cosidette "feste dell'amore" che si consumavano nei sagrati con grandi redistribuzioni di cibo vennero definitivamente abolite nel 360d.c. (circa) e alla redistribuzione del cibo venne preferita l'economica e non-proteica ostia ed una maggior importanza dei "doni nell'aldilà" che oggi sono il perno della rapporto domanda-offerta tra credente e istituzione religiosa (e che già Gesù si premura di promettere qualche versetto dopo). La teodicea ha poco a che fare con questa questione come ce l'ha con tutte le altre narrate, la teodicea è una contraddizione di sostanza insita nell'idea di Dio, è ovvio che ogni qualvolta esso sia presente, la teodicea si ripresenti. Ciò che è invece a mio avviso chiaro, è l'incomunicabilità tra lo spirito dei testi e il lettore moderno se non attraverso faziose e complesse analisi come anche la mia, che infatti potrebbe essere completamente errata.
No l'interpretazione è corretta :) , d'altronde bisogna ri-citare anthonyi, per poter far capire l'errore ad Angelo.
E' vero avevo dimenticato completamente la generosità, come fulcro di una morale, non so se effettivamente retributiva, ma comunque di fatto lo era.
Generosità che si realizza nella convivialità e anche nel relazione sacrale col cibo.
E' vero a questo terzo punto non ci avevo ancora pensato. grazie inverno!
Forse non sarà più sacrale, ma in molte feste patronali, di paese, o nelle fiere o sagre che dir si vogliano, il piatto della festa un pò ancora lo ricorpre il carattere di sacralità anche solo se nella forma dell'appartenenza. Appartenenza ad un luogo e dunque ad una comunità.
Hai ragione, noi possiamo ricevere solo qualcosa di quell'esperienza.
Eppure alla lettura, l'emozione che la scrittura mi ha suscitato la ritengo genuina.
Ancora qualcosa (e anche di rilevante) passa della tradizione.
Non ho capito la storia dei Re, quella storica a quanto dici inverno.
Ma mi fido, se esiste una letteratura sterminata (trattandosi della bibbia, qualsiasi cosa che la riguarda è sterminata). Preferisco non indagare, sopratutto per quella parolina, "gerarchico"....ne sono allergico ;)
Mi sembra tre punti da mettere nel paniere.
Perché la convivialità era molto presente nell'Induismo, basti pensare che i Veda erano dei ricettari!
Anzi a dire il vero in India, la convivialità e la sacralità del cibo è ancora presente! (anche se è più formale, più devozionale, che conviviale, anche se il risultato è comunque la convivialità ;) )
Riguardo alla mia critica, ho già detto, proprio nel mio messaggio precedente, che si tratta di una mia reazione al testo, non di un'interpretazione di esso. D'altra parte, nel messaggio in cui avevo espresso tale critica, ciò era già chiarissimo, perché avevo scritto "Io non ci sto e gli ribatto..."; di conseguenza non mi si può imputare alcun errore in questo senso.
Riguardo al brano di Giovanni 6,1-15, c'è un criterio di fondo che necessita attenzione: se vogliamo interpretare il brano, dobbiamo anzitutto avere rispetto del testo. Non è rispetto del testo attribuirgli significati basati soltanto su somiglianze con altri fenomeni storici, a meno che non si dica apertamente, come ho fatto io a proposito della suddetta critica riguardante la teodicea, che l'intenzione non è interpretare il testo.
Pensare che nel brano sia presente un concetto di "...sacralità del cibo, non un sacralità aulica e patinata, ma bucolica" non è rispettoso del testo. Il testo infatti, al versetto 11, dice "dopo aver reso grazie": quel rendimento di grazie non è un gesto qualsiasi, ma fa parte dei riti di ringraziamento che al tempo di Gesù venivano osservati. I gesti che Gesù compie non sono descritti per puro caso: la sequenza "prese... rese grazie... distribuì" fa parte di una precisa ritualità che si ritrova nell'ultima cena (sebbene essa sia assente nel vangelo di Giovanni). Dunque il testo descrive una sacralità a tutti gli effetti, legata a riti ben precisi, non una vaga e romantica sacralità di tipo "bucolico".
Il fatto che alla fine si dica che volevano farlo re non autorizza ad individuare paralleli dovunque nella storia troviamo re che provvedano a nutrire il loro popolo. Altro è individuare nel brano in sé l'idea di Gesù re che nutre il suo popolo, altro pensare di riscontrare parallelismi extrabiblici che sarebbero da dimostrare. Come ho detto all'inizio del messaggio, non possiamo metterci a riscontrare parallelismi solo perché ci sono somiglianze con altri fenomeni storici; le connessioni storiche vanno dimostrate.
Anche sostenere che l'elemento miracolistico sia solo una deviazione dell'attenzione, significa sostituire al testo le proprie supposizioni. Il testo contiene ripetuti richiami e sottolineature del fatto che si tratta di un miracolo: al v.7 si chiarisce che, anche a voler spendere una grande somma di denaro tutta in pane, ciò non sarebbe bastato a darne neanche un solo pezzo a ciascuno; non contento di ciò, il testo al v.9 richiama ancora l'impossibilità di ciò che sta per succedere: "che cos'è questo per tanta gente?". Al v.10 altro richiamo: si precisa al lettore che si tratta di una folla sterminata: circa cinquemila, nonostante si fosse detto già prima che era una grande folla; v.11: dopo la distribuzione c'è, contro ogni aspettativa, abbondanza: "finché ne vollero"; vv.12-13, se per caso ci fossero ancora dubbi: quella folla non riuscì a consumare tutti i pani che furono distribuiti. Di fronte a tutte queste marcature, se vogliamo rispettare il testo dobbiamo ammettere che l'evento viene raccontato come miracolo, tutt'altro che "informale".
Riguardo all'idea di una comunità che celebri la propria maturità, anch'essa manca di rispetto al testo: Gesù è costretto a ritirarsi al più presto, perché questa folla, volendolo fare re, non ha capito niente del significato del segno che egli ha compiuto; ciò è detto a chiare lettere da Gesù stesso poco più avanti, sotto forma di rimprovero, ai vv. 26-27: "voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna". Gesù quindi sta dicendo alla gente, in pratica: "Non avete capito niente"; abbiamo l'esatto opposto di una comunità matura.
Con questo non intendo vietare ipotesi e teorie sul testo: basta semplicemente che si ammetta che l'intenzione non è di interpretare con esattezza il testo, ma di avanzare libere idee, e allora si può dire tutto quello che si vuole.
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Maggio 2017, 23:20:01 PMCon questo non intendo vietare ipotesi e teorie sul testo: basta semplicemente che si ammetta che l'intenzione non è di interpretare con esattezza il testo, ma di avanzare libere idee, e allora si può dire tutto quello che si vuole.
Non di interpretarlo (almeno non teologicamente) ma di contestualizzarlo, immaginare il paesaggio in cui accade, anche senza volerne tirare fuori una morale o un messaggio di fede, ma anche solo per "gustare" più profondamente aspetti apparentemente di contorno come quello della convivialità. Riguardo ai punti da te espressi, correggo il tiro perchè pare che mi sia espresso male (la facilità con cui accade tra contemporanei rimarca solo le difficiltà abissali che ci sono nella lettura di testi antichi)
La sacralità del cibo non è espressa dalle parole ma dal fatto che sono il mezzo tra re e discepoli, è la loro posizione nel rituale, il loro movimento dalle mani di uno dall'altro che simboleggiano il rapporto di potere tra il distributore e il ricevitore, dico bucolico perchè si vede bene la differenza tra un simbolo agreste come il pane, e un simbolo tipicamente urbano come l'ostia o un qualsiasi altro mezzo dei rituali moderni (o anche solo bovini\ovini che rappresentavano "la ricchezza" ). E' una sacralità legata a riti ben precisi forse dal punto di vista della cultura israelita, ma sopratutto a una tradizione millenaria mondiale, come ho già sottolineato la letteratura a riguardo è sterminata e va dal 5000ac al primo medioevo, dall'indonesia alla norvegia. Per questo dico che l'attenzione all'elemento magico (che magico è) distoglie l'attenzione nel lettore moderno, non perchè l'autore abbia avuto questa intenzione, ma perchè rimarca una eccezionalità dell'evento che non ha assolutamente nulla di eccezionale (anche le coppe di alcool di Sigfrido - XIII secolo - erano sempre piene). Per questo
suppongo che il lettore del tempo prestasse davvero poca attenzione al fatto della moltiplicazione, quanto invece al fatto che quella comunità avesse raggiunto una sorta di maturità, l'abbondanza è il simbolo del successo, di un tentativo identitario che funziona. Non sei d'accordo che sia una sorta di maturità? Eh beh ma il
caso vuole che fosse poco prima della pasqua ebraica, ovvero, la redistribuzione statale dei leviti (anche per loro l'elemento bucolico era perso, essendo che la carne era già monetizzata). Giorno a caso? A me pare proprio una comunità che dimostra a se stessi e la società che sono capaci di autosostentarsi in piena antitesi al regime costituito, l'elemento politico è insito nel giorno scelto. In termini moderni potremmo immaginare una comunità che il giorno della riscossione delle tasse statali, decidesse di riscuoterle per una cassa comune non facente riferimento allo stato. Se non è celebrazione di identità e maturità questa..Poi ripeto lungi da me interpretare il Cristo della fede, quello è tutto e niente, basta entrare nelle varie chiese del mondo per vederlo dipinto di vari colori e di varie fattezze, ognuno se lo immagina come gli pare, io mi interesso dello scenario storico.
@Green Demetr, mi viene in mente "Centochiodi" di Ermanno Olmi, la convivialità dei paesani contrapposta alla dura legge del "libro sacro" e la fuga del "Cristo" . Non ho particolarmente apprezzato l'interpretazione di Raz Degan, ma dato questo spunto l'idea del film mi riaffiora.
È senz'altro importante contestualizzare i testi che leggiamo, ma il contesto in cui porli dev'essere dettato dal testo, altrimenti possiamo anche porre questo brano nel contesto delle imprese di Garibaldi e trarne in libertà tutte le conseguenze che vogliamo.
Citazione di: InVerno il 27 Maggio 2017, 10:59:06 AMLa sacralità del cibo non è espressa dalle parole ma dal fatto che sono il mezzo tra re e discepoli, è la loro posizione nel rituale, il loro movimento dalle mani di uno dall'altro che simboleggiano il rapporto di potere tra il distributore e il ricevitore
Io ho fornito le prove testuali del fatto che c'è un tipo di sacralità ben determinata, radicata nel contesto ebraico del brano. Tu dai un'importanza così centrale alla regalità di Gesù in questo brano, al punto da sostituire tale funzione di Gesù all'importanza delle sue parole, nello stabilire il tipo di sacralità a cui il brano fa riferimento. Per compiere quest'operazione bisogna prima indicare quali sono nel brano questi elementi così importanti che renderebbero centrale la regalità di Gesù. C'è nel testo un evidente richiamo, quando viene detto che volevano farlo re, ma in questo caso siamo costretti a concludere l'opposto, cioè in questo brano c'è un rifiuto della regalità da parte di Gesù. Questo rifiuto può essere considerato funzionale al tipo di regalità a cui Gesù teneva (Giovanni 18,36: "Il mio regno non è di questo mondo"); anche questo fatto, però, depone a sfavore dell'immagine del re che sfama i suoi sudditi: Gesù si autoconsidera re, ma non è questa la funzione con cui egli desidera essere considerato tale. Tant'è vero che rivolge a coloro che lo seguivano il rimprovero che ho citato sopra: a lui non piace essere seguito per il fatto che li ha sfamati. Dunque quali sarebbero gli elementi per dire che in questo brano sia corretto vedere Gesù nella funzione di re che distribuisce cibo a suoi sudditi?
Citazione di: InVerno il 27 Maggio 2017, 10:59:06 AME' una sacralità legata a riti ben precisi forse dal punto di vista della cultura israelita, ma sopratutto a una tradizione millenaria mondiale, come ho già sottolineato la letteratura a riguardo è sterminata e va dal 5000ac al primo medioevo, dall'indonesia alla norvegia.
Che senso ha preferire contesti più lontani a quello più vicino, richiamato dal testo in maniera chiara? Tu dici "
forse dal punto di vista della cultura israelita" e "
sopratutto a una tradizione millenaria mondiale". Cioè, riguardo al contesto di cui nel testo abbiamo le prove dici "forse"; riguardo ad un contesto lontano, per il quale bisogna fare acrobazie mentali per riscontrarlo nel testo, dici "soprattutto". Si può pensare che ciò significhi rispettare il testo?
Citazione di: InVerno il 27 Maggio 2017, 10:59:06 AMevento che non ha assolutamente nulla di eccezionale (anche le coppe di alcool di Sigfrido - XIII secolo - erano sempre piene).
Il fatto che al tempo di Gesù fosse diffusa la credenza nei miracoli non significa che per quelle persone un miracolo non fosse un evento eccezionale; significa, piuttosto, che in quel contesto storico l'assenza di una mentalità scientifica consentiva a molti di passare per persone eccezionali, sfruttando la facilità che la gente aveva a credere nei miracoli. Ma per la gente si trattava pur sempre di miracoli, non di eventi ordinari, e il testo lo rimarca ripetutamente, come ho fatto notare.
Citazione di: InVerno il 27 Maggio 2017, 10:59:06 AMil caso vuole che fosse poco prima della pasqua ebraica, ovvero, la redistribuzione statale dei leviti (anche per loro l'elemento bucolico era perso, essendo che la carne era già monetizzata).
Il riferimento alla Pasqua all'inizio del brano è di primaria importanza per il senso di questo testo. Ma nel Vangelo il senso fondamentale della Pasqua è il senso che vi ha dato Gesù attraverso la sua morte e la sua risurrezione. Anche in questo caso, dunque, non vedo perché ad un contesto già richiamato dal testo in maniera forte, cioè la Pasqua di Gesù, si debba preferire un contesto riguardo al quale non troviamo nel testo alcun richiamo.
Citazione di: InVerno il 27 Maggio 2017, 10:59:06 AMuna comunità che dimostra a se stessi e la società che sono capaci di autosostentarsi
Il testo dice l'opposto: le persone lì presenti furono incapaci di autosostentarsi; il sostentamento fu dato da Gesù attraverso il compimento di un miracolo.
Citazione di: InVerno il 27 Maggio 2017, 10:59:06 AMl'elemento politico è insito nel giorno scelto.
Come ho detto, la Pasqua a cui nei Vangeli si tiene in maniera fondamentale non è una Pasqua politica, è la Pasqua di Gesù. Per sostenere idee diverse bisogna prima individuarle nel testo.
Citazione di: InVerno il 27 Maggio 2017, 10:59:06 AMPoi ripeto lungi da me interpretare il Cristo della fede, quello è tutto e niente, basta entrare nelle varie chiese del mondo per vederlo dipinto di vari colori e di varie fattezze, ognuno se lo immagina come gli pare, io mi interesso dello scenario storico.
Il Cristo dei Vangeli è il Cristo della fede. Non ha senso leggere i Vangeli trascurando questo fatto fondamentale. Senza fede i Vangeli non sarebbero stati scritti. Trascurando questo, fai esattamente l'opposto di ciò che hai detto in conclusione, cioè stai leggendo i Vangeli immaginando il Cristo che pare a te. Ma Giovanni non scrisse il suo Vangelo affinché ognuno vi vedesse un Cristo arbitrario: egli voleva trasmettere nel suo testo una fedeltà al Cristo della sua fede. Lo scenario storico del testo è esattamente questo: quel Vangelo fu scritto da una persona (o più persone) che intese comunicare la propria fede.
Parlando di storia, è senz'altro possibile tentare di individuare nel testo tutti quegli elementi che consentano di risalire a ciò che storicamente si verificò, dietro e oltre la visione di fede con cui il testo fu scritto. Una lettura storicistica del testo non può però trascurare in maniera così grave la visione di fede che l'autore impresse al testo, al punto da sostituirsi ad essa. In questo senso, per esempio, è anche possibile affermare che, da un punto di vista puramente storico, i Vangeli non parlano di un uomo che era Dio, ma di un uomo che fu ritenuto Dio. Ma non si può trascurare che quell'uomo fu ritenuto Dio dall'autore del testo. Non si può trattare una lettura storicistica del testo come se fosse la lettura essenziale. Non lo si può proprio perché, come ho scritto, una lettura storicistica tenta di andare
oltre il testo, pur basando questo andare oltre sempre sul testo stesso. Ma una lettura che va
oltre il testo non può essere considerata primaria rispetto ad una lettura che invece aderisce al testo nella maniera più rispettosa possibile. Io posso anche interpretare la Divina Commedia a partire dagli eventi storici della vita di Dante, a partire dal contesto sociale in cui egli visse; ottimo. Ma non posso presentare questo tipo di lettura come il modo essenziale, principale, con cui interpretare la Divina Commedia. Il modo principale, di base, di partenza, è il messaggio presente nel testo preso così com'è; poi ben venga qualsiasi altro tipo di lettura, sempre che non pretenda di sostituirsi alla lettura fondamentale, presentando se stessa come principale. Al contrario, qualsiasi altro tipo di lettura dovrà prendersi la briga di vedersela con la lettura di base e verificare la propria attendibilità in base a come esce da questo confronto.
Guarda io continuo questo argomento ma non ho alcuna intenzione di "deragliare" il topic vedi te dove sta il limite, continuo a rispondere non perchè ho agguerritamente a cuore questa tesi, quanto mi sembra di non spiegarmi e cerco di spiegare.
Penso che l'interpretazione dei testi antichi non sia difficile solamente perchè è necessario scovare le intenzioni dell'autore, ma sopratutto perchè è necessario immedesimarsi nel lettore, ed è questa la sfida davvero complessa. L'autore scrive per occhi che dovranno leggere, lui conosce quegli occhi, noi abbiamo grande grande grande difficoltà a immaginare la forma mentis di qualcuno che non sapeva dove andava il sole di notte (per dirne una). L'informazione si fa di un agente e un ricevente, il risultato sta nel rapporto tra i due, non è esclusiva del testo. L'autore cercava di comunicare qualcosa entro un certo spettro interpretativo ai suoi contemporanei cercando di immedesimarsi nel loro gusto, nella loro sensibilità in modo tale da poter comunicare. Cosa? Penso che sia proibitivo saperlo, seppure della Palestina del tempo conosciamo anche il prezzo al chilo dell'insalata, manca la vita in queste informazioni, possiamo solo immaginare, e la mia, specificato più volte, è più una rappresentazione del contesto non un esegesi del testo.
Detto questo, e detto anche che non ho mai voluto che la mia tesi venisse considerata come "principale" in nessun caso, anzi ho ribadito più volte la sua estraneità alla teologia e la sua precarietà. E detto anche che conosco bene il poco valore storico dei vangeli e non pretendo di analizzarli in quel senso, io provo (seppur ribadisco penso sia operazione impossibile) a capire il rapporto tra autore e lettore suo contemporaneo, e il perchè di determinate scelte narrative e che cosa simbolicamente o meno sanciscono nella narrativa identitaria, partendo da un ipotesi del contesto storico . Riguardo alle tue obiezioni
- Sono assolutamente d'accordo che non abbia alcuna intenzione di fermarsi a quella festa o alla semplice "elezione". Forse ti ha sviato il fatto che ho parlato di maturità, quando in realtà avrei dovuto parlare di "fondazione" della comunità. Non ho mai messo in dubbio avesse piani successivi, d'altro canto è una storia e non finisce a quella pagina come è noto.
- Se io prendo un libro a caso, non so "i dolori del giovane Werther" aiuta a capirlo dirti che nel frattempo in tutta europa stava sbocciando il romanticismo, oppure è un informazione superflua che non rispetta il testo? Ma davvero?
- Fai esattamente la stessa operazione mia traendo una conclusione diversa (che fosse facile spacciarsi eccezionali). Ci sono conclusioni che dallo stesso metodo sono lecite, e altre no?
- No, il testo dice "era vicina la pasqua, la festa dei giudei" questa è la pasqua ebraica, tu sai che questo evento è ipoteticamente accaduto a Tiberiade, poco prima che ai templi giudei fossero portati gli agnelli, cosa centra il significato della pasqua, è un riferimento temporale.
- E' ovvio che prima fossero affamati, non avevano un Re, e se non li avesse sfamati non lo sarebbe mai diventato, non ci sono terze vie...è il fulcro della questione. Non sono cosi attaccato alla parola "Re" quanto invece credo che sia quella davvero adatta e descriva il momento.
Citazione di: InVerno il 27 Maggio 2017, 22:29:05 PM
L'autore scrive per occhi che dovranno leggere, lui conosce quegli occhi, noi abbiamo grande grande grande difficoltà a immaginare la forma mentis di qualcuno che non sapeva dove andava il sole di notte (per dirne una). L'informazione si fa di un agente e un ricevente, il risultato sta nel rapporto tra i due, non è esclusiva del testo. L'autore cercava di comunicare qualcosa entro un certo spettro interpretativo ai suoi contemporanei cercando di immedesimarsi nel loro gusto, nella loro sensibilità in modo tale da poter comunicare. Cosa? Penso che sia proibitivo saperlo, seppure della Palestina del tempo conosciamo anche il prezzo al chilo dell'insalata, manca la vita in queste informazioni, possiamo solo immaginare, e la mia, specificato più volte, è più una rappresentazione del contesto non un esegesi del testo.
Detto questo, e detto anche che non ho mai voluto che la mia tesi venisse considerata come "principale" in nessun caso, anzi ho ribadito più volte la sua estraneità alla teologia e la sua precarietà. E detto anche che conosco bene il poco valore storico dei vangeli e non pretendo di analizzarli in quel senso, io provo (seppur ribadisco penso sia operazione impossibile) a capire il rapporto tra autore e lettore suo contemporaneo, e il perchè di determinate scelte narrative e che cosa simbolicamente o meno sanciscono nella narrativa identitaria, partendo da un ipotesi del contesto storico.
Mi sembra che le parti del tuo messaggio che ho evidenziato consentano di spiegare le difficoltà che sono sorte: da una parte tu stesso dici che c'è ...grande difficoltà..., ...proibitivo saperlo..., ...operazione impossibile...; dall'altra però è proprio questa l'operazione in cui ti avventuri. La conseguenza è che, ovviamente, tutto ciò che ti ritrovi a sostenere presta come minimo il fianco a migliaia di obiezioni.
La tua operazione mi ricorda una linea metologica che qualche decina di anni fa si seguiva nell'interpretare i testi della Bibbia: era la cosiddetta "storia delle forme", spesso citata con il suo nome tedesco Formgeschichte. In questa metodologia si privilegiava un tipo di indagine che ponesse al primo posto la ricostruzione delle varie fasi che il testo aveva attraversato prima di arrivare alla sua forma finale che oggi noi possediamo. Era un'indagine di tipo storico, storia del testo. Fior di studiosi riversarono le loro energie in questo tipo di ricerca, ma il risultato fu un fallimento: dopo anni in cui in tutto il mondo si dedicavano tempo e pazienza in questo lavoro, si dovette ammettere che esso conduceva a risultati eccessivamente incerti e limitati.
Trovo importante, a questo punto, aggiungere una nota: chi leggesse
uno qualsiasi dei commenti alla Bibbia che furono scritti seguendo quel metodo non potrebbe accorgersi del suo fallimento, anzi, ne sarebbe subito affascinato ed entusiasmato. È possibile accorgersene soltanto leggendo
più commenti e confrontando le loro affermazioni: solo a quel punto ci si rende conto della discutibilità delle tesi dei vari commentatori, perché ci si accorge di quanto le loro affermazioni siano contrastanti.
Da qui segue una conclusione utile: le affermazioni di
un commentatore della Bibbia non hanno alcuna importanza se di tali affermazioni non si trova riscontro in altri autori.
Da qui mi viene da dirti: posso trovare opportuno prestare attenzione alle tue ipotesi se mi potrai citare i nomi di tre, quattro o più studiosi che siano d'accordo su quelle certe affermazioni. Se si tratta di un solo studioso, non posso dedicarvi attenzione, perché il tempo è prezioso.
Questo sposterebbe il discorso sui problemi della ricerca: tutti sappiamo che gli studiosi sono anche esseri umani e può benissimo darsi il caso che uno solo possa anche avere ragione contro tutti. Il problema è che non solo gli studiosi sono umani, ma anche noi che dovremmo leggerli. Cioè, io purtroppo ho il dovere di spendere il mio tempo in ciò che possa farlo fruttare al meglio. Il fatto che uno studioso potrebbe anche avere ragione contro tutti non è per me una ragione sufficiente a spendere tempo nel seguire le ipotesi di studiosi solitari. Certo, in questo modo corro il rischio di seguire le mode, ciò che tra gli studiosi va più in voga, che magari non mette in discussione certi sistemi di potere affermati nel mondo. Riguardo a questo problema, purtroppo non ho altra soluzione che gestire al meglio le mie letture, cercando attraverso di esse anche di formare al meglio il mio senso critico; un criterio per scegliere cosa meriti di essere conosciuto e approfondito è l'esame del senso critico e dell'autocritica presente in ogni autore, ogni fonte, ogni libro.
In questo modo si potrebbe anche pensare che stiamo un po' tornando al tema di questa discussione: spiritualità come cammino. Un problema essenziale del camminare è proprio questo: scegliere le strade più fruttuose, che non ci faranno sprecare il tempo della nostra vita.
Diciamo allora che abbiamo 3 chiavi di lettura.
Quella delle forme di Inverno, che si concentra sulla perdita di senso rispetto al diacronico.
Quello tuo Angelo di Verità storica.
Quello mio di verità metaforica.
Ma la verità della metafora starebbe non tanto se una tale verità sia tale o meno. (gesù uomo o Dio?)
Non mi interessa tanto storicamente, quanto rispetto al cammino spirituale.
Ossia quale simbolo posso trarre da quel brano?
nel tempo in cui gesù non cammina più fra noi, cammina con noi il suo messaggio.
Ora se il messaggio sia Dio stesso, a me non interessa più di tot.
Se quello che passa da quanto scrivi è che la ritualità sia il vero messaggio del testo.
Cosa confermata da Inverno. (o meglio tu fai notate che la ritualità è stata messa in discussione da Gesù, mentre a Inverno interessa più il contesto, ignorando gravemente a mio avviso, questa nota).
Non sarei d'accordo dunque.
Ovviamente parlo da esterno alle questioni di fede, pur sapendo cosa è la fede.
A mio avviso come notato da Inverno, si ha una storia, che non finisce certo con quell'episodio.
La mia domanda è molto semplice dunque. Se ritieni che la convivialità sia un elemento al di fuori di ogni sospetto. Perchè tra contro-tesi (teodicea) e tesi (veritùà storica del rituale), io non ho capito se tu la metteresti o no nel tuo paniere personale.
Hai fatto bene a ricordare i passaggi che ricordano che siamo di fronte ad un miracolo.
Ma questo viene interpretato col fatto che stiamo parlando di qualcosa di veramente importante (tesi di non ricordo più se Cacciari o mon.Ravasi).
Mi riesce veramente difficile mettere nel paniere della spiritualità il miracolo.
A me sembra che ad ogni miracolo di gesù, poi lui si penta di averlo fatto. (tranne quello della resurrezione).
Come a dire. non è il miracolo che conta quanto la testimonianza, l'exemplum christi di aiuto al prossimo. E non al popolo, in particolare. gesù , come noti tu, scappa dalla gente.
rifugge quindi la formalità della vecchia alleanza per una della sostanza.
La ritualità di gesù e la sua ritirata mi paiono un bell'enigma. Rito o no?
In questo caso la proposta di Inverno mi piace tantissimo, perchè il ricordo del pane vero, contro l'ostia artificiale. dice che abbiamo scelto la forma piuttosto che la sostanza.
In questo senso metto il pane nel paniere, e butto l'ostia. Questa è la mia seconda domanda per te, sei d'accordo? a livello metaforico ti prego! ma se te la senti visto la tua precedente vita, puoi anche spiegare il valore dell'ostia storico per te.
L'altra ultima domanda è: ti sei accorto che c'è una bicicletta da mettere in moto?????
Non credo che al mondo possano esistere persone in grado di mettere in discussione il valore della convivialità; a meno che non si metta nel cibo del veleno, lo dico scherzando :) , la convivialità è qualcosa che non può non piacere, tocca l'intero essere umano. Perfino quando non c'è un consumare cibi o bevande si può parlare di convivialità, perché in questo caso il cibo condiviso è la propria stessa presenza, il parlare, l'essere. L'intera esistenza umana può essere considerata tutta una convivialità.
Per quanto riguarda il valore del miracolo, se esso viene inteso esclusivamente come manifestazione di potere dell'uomo sulla natura, e quindi fine della fame e della sofferenza, allora neanche Gesù accettò di metterlo, come tu dici, nel paniere della spiritualità: lo dice egli stesso chiaro e tondo, quando rimprovera la folla di averlo seguito solo perché attirata dalla prospettiva di avere cibo in abbondanza. Al contrario, il testo stesso guida alla corretta considerazione del miracolo: esso va considerato come segno, una parola che si trova ripetuta tre volte nel corso di questa narrazione. La parola "segno" è facilmente collegabile a ciò che tu chiami metafora. La contrapposizione tra miracolo come segno e miracolo come affermazione di potere umano sulla natura si trova espressa nel rimprovero di Gesù a cui mi sono già riferito: voi mi cercate perché avete apprezzato non il segno, ma il saziarvi. È questo che induce Gesù, sempre per dirlo con parole tue, a pentirsi di aver fatto il miracolo: perché esso viene frainteso. Se il miracolo viene colto, secondo l'intenzione manifestata da Gesù, nella sua valenza di segno, allora sta ottimamente nel paniere della spiritualità. Da notare che in un primo momento la folla si era posta sulla strada giusta, come detto al versetto 14: "Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!»". Questa strada giusta, purtroppo, viene immediatamente smarrita: al versetto successivo si dice che volevano farlo re e Gesù è costretto a ritirarsi.
A questo punto, una volta compreso che la strada giusta è guardare il miracolo come segno, si aprirebbe tutta un'indagine da compiere su cosa significa segno e di cosa è segno. Per la prima questione possiamo osservare una cosa abbastanza semplice, ma importante: il segno in Gesù non è soltanto un linguaggio per dire qualcosa (per esempio quando dico "mela" per rinviare all'oggetto mela), ma è già esso stesso qualcosa: se, per esempio, vogliamo considerare che quel miracolo è segno della sua capacità di nutrire l'uomo, bisogna osservare che quest'atto del nutrire l'uomo si viene a verificare già nel segno stesso, perché di fatto il popolo mangia subito. Se io dico "mela", la parola "mela" non contiene dentro di sé l'oggetto mela. Quando invece è Gesù a dire "io ti sazio", il saziare avviene già con quel semplice dire, senza con questo escludere gli sviluppi e i rimandi del segno. Dietro ciò c'è una teologia, una spiritualità, che in breve si può esprimere così: in Dio non c'è differenza tra il dire e il fare.
Ci sarebbe poi il secondo interrogativo: segno di cosa? Corrisponde alla domanda che hai posto tu "quale simbolo posso trarre da quel brano?". Qui mi basta dire che i simboli sono infiniti, si tratta solo di distinguere tra quelli più aderenti al testo e quelli invece che se ne allontanano con più libertà.
Per quanto riguarda la ritualità, nell'esistenza di Gesù è possibile riscontrare un adattarsi, e quindi un'accettazione dei riti tradizionali ebraici, ma anche un intenzionale rivoluzionarli dal di dentro. Per una sintesi teologica di ciò potremmo dire così: se rito significa ubbidire a certe regole stabilite da Dio, Gesù ne trae la conseguenza che l'intera esistenza del credente dev'essere tutta un rito, visto che l'intera esistenza dev'essere un'ubbidienza a Dio. A questo punto nasce la conflittualità che provocò a Gesù la condanna a morte: se Dio ha dato dei riti, ben stabiliti e chiaramente obbligatori, come mai con Gesù Dio sembra smentire se stesso? Secondo me, a quest'interrogativo neanche Gesù diede una risposta chiara, tant'è vero che nel Cattolicesimo ciò che doveva essere rivoluzione del rito da parte di Gesù si ridusse a un ritorno al legalismo dell'Antico Testamento. Personalmente ritengo che la risposta stia nella prospettiva del divenire, crescere, camminare, che Gesù non chiarì esplicitamente: Dio sembrò in Gesù smentire tanti suoi comandi perché il vero comando di Dio, sostanza di tutti i comandi, era in realtà crescere, divenire, camminare. Ci voleva la venuta in terra di Angelo Cannata 8) per renderlo finalmente esplicito. Ecco risolto l'enigma di Gesù che compie riti, ma anche si ritira.
Riguardo alle ostie, posso dirti che in vent'anni di sacerdozio le ho sempre odiate, proprio perché consapevole del loro significato; feci diversi tentativi, facendo confezionare qualche volta ai parrocchiani stessi qualcosa che avesse maggiormente una parvenza di pane, ma sono cose molto difficili da portare avanti per tanti motivi.
Riguardo alla bicicletta, io spero di essere in moto da quando sono nato e sempre di più vorrei far sì di non essere in realtà fermo. Se tu vedi aspetti su cui potresti far osservare l'opportunità di metterli in moto, sono tutt'orecchi: camminare, crescere, è lo scopo fondamentale che mi sono prefisso per la mia esistenza.
@AngeloCannata non ho capito,se mi chiedi se questa tesi abbia fondamento da un commentatore biblico la risposta è no, o almeno non ne sono al corrente se non alla lontana e per analisi tangenti (il Gesù "politico" per esempio è stato largamente esplorato). Quando dico per esempio che il fatto magico non poteva essere il baricentro della storia non cito un particolare autore mi riferisco alla diffusione spropositata di questi "eventi" in culture coeve che lo depotenziano automaticamente, a pochi chilometri da li parlavano con gli alberi, mi spiego? L'unico commento biblico che penso abbia davvero rilievo sopra tutti è quello del rettore della facoltà di teologia di Baltimora "Nemmeno le persone che vivevano al tempo di Gesù si raccappezzarono mai su chi davvero egli fosse.. e loro furo testimoni oculari".
Riguardo alla questione ostia\pane, non fa altro che seguire una curva evolutiva che si può rintracciare in tantissimi altri culti. Non ho mai voluto affermare che il cristianesimo si sia "corrotto" in maniera unica e per questo maggiormente criticabile. Se vogliamo guardare oltre alle vicende bibliche, l'oggetto del sacrificio (hostia appunto) cosi' come il culto di alcuni animali in alcune tradizioni, ha evidenti collegamenti con l'equilibrio sociale, ecologico, e spirituale della comunità che li sceglie, al punto che le comunità in "cattive acque" ricorsero pure spesso al cannibalismo e altre tradizioni scelsero altro (ebrei->agnello) per questioni di riflesso alla società in cui essi vivevano, con ragioni ben chiare in moltissimi casi. Io vedo l'ostia (e di contrasto il pane) come il riflesso di due comunità molto diverse, con necessità diverse, gradi di maturità diversi, speranze diverse. Passare da un nutrimento a un finto-nutrimento per le proprie celebrazioni, è un bel salto per una comunità coeva ai romani.
In questo caso rinuncio ad intervenire su questa linea: affrontare l'argomento come si deve richiederebbe un serio approfondimento sui rapporti della religione ebraica con le culture confinanti (non basta dire che ci furono influssi reciproci, questo lo sappiamo tutti; si tratterebbe piuttosto di scendere nei dettagli e vedere come, con chi, in quali epoche, con quali variazioni questi influssi si verificarono e quali prove accreditate è possibile riscontrare nei testi). Lo stesso vale per la questione dell'ostia: non basta certo aver letto un libro sul cannibalismo (mi sembra di aver capito che i tuoi interventi facciano riferimento al libro di Marvin Harris, Cannibali e re) per poter giungere a conclusioni meritevoli di considerazione. Sarebbero tutti approfondimenti affascinanti e meritevoli di attenzione, ma purtroppo non ho il tempo di approfondire tutto, il tempo mi obbliga a compiere scelte severe e drastiche. Per parlare con cognizione di causa di queste cose, per quello che percepisco io, bisognerebbe prima leggere non uno o due libri, ma almeno qualche decina, altrimenti passiamo il tempo a giocare con supposizioni e ipotesi di scarsissimo valore. Perciò ci rinuncio.
Durkheim, Weber, Frazer, Eliade etc? No eh? Poi vabbè, mi prendo volentieri la squalifica del "hai letto 1 libro!", stavo cominciando a pensare che anche io sto perdendo tempo, buonagiornata!
Qui stiamo parlando di un brano del Vangelo ben preciso: ciò che gli antropologi o gli storici delle religioni affermano in generale non può essere applicato come se niente fosse a un testo preciso: bisogna comunque fare i conti con la specificità di quel testo. In questo senso ben venga che un antropologo o uno storico delle religioni si esprimano anche su un testo biblico, non è certo vietato, anzi, è proficuo, ma a patto che questi studiosi lavorino in collaborazione con gli esegeti. Se manca questa collaborazione, il risultato è proprio quello che è successo: si cominciano ad avanzare ipotesi di lettura che è facilissimo smentire a partire dal testo. Questo è un errore riscontrabile già in passato in tanti tipi di studiosi che si sono pronunciati sul testo a partire solo dalla loro disciplina e senza alcun confronto con gli specialisti del testo. Il risultato è che le loro ipotesi sono cadute nel nulla. In questo senso, le decine di libri di cui ho parlato dovrebbero essere studi in grado di avvicinare le idee degli antroplologi o degli storici delle religioni a quel testo. Se non si trova nulla che consenta un accostamento a quel testo specifico, anche milioni di libri non serviranno a niente. Io mi sento ignorante in proposito perché non ho letto alcun testo che si occupi specificamente dei riscontri antropologici o di storia delle religioni non dico con quel testo, ma almeno specificamente con il Vangelo di Giovanni; e allora non mi metto a fare ipotesi di questo genere.
C'è un'altra via che consente di evitare questa severità di indagini ed è quella dell'applicazione di ermeneutiche. Applicare un'ermenutica ad un testo consente di dire quello che si vuole perché non si sta parlando con la pretesa di aderire a quel testo, ma semplicemente di vedere cosa succede facendo reagire quel testo con quell'ermeneutica. In questo caso non si dirà "Nel testo c'è questo... il testo dice questo...", ma piuttosto "applicando quest'ermenutica verrebbe fuori questo..."; ok, ottimo, perché ci si sta limitando a verificare delle reazioni col testo, guardandosi bene dal pretendere di dire ciò che effettivamente è contenuto nel testo.
Senza questi criteri, ci ritroviamo con marxisti che hanno fatto dire a Gesù che bisogna essere comunisti, psicologi che hanno ritenuto di vedere in Gesù uno psicopatico e così anche antropologi che ritengono di vedere in Gesù il re che sfama i suoi sudditi, nella folla la comunità che celebra la propria maturità e così via.
x inverno
non capisco come mai negli ultimi post sei entrato in questo loop storico.
anche se avessi ragione, e il rito si dovesse appiattire a una questione diacronica, con un salto (qualitativo? a me sembra il contratio) dal primitivo al borghese, quale sarebbe dunque il messaggio che faresti passare?
Perchè a questo punto non si capisce, in un ipotetico tuo cammino spirituale il conviviale lo metti o no nelpaniere?
E sopratutto il regale, il re, l'accentramento di potere, il borghese, lo metteresti o no (nel paniere)? (perchè mi pare visto l'ostinazione a farlo diventare una questione che riguarda l'antropologia generale, per te sia cosa importante).
Ecco perchè vedi, non hai risposto ancora alla mia provocazione, che Gesù è scappato dalla folla!
Dunque la regalità, benchè presente, come genere letterario, come evento storico etc....
Non ha alcun senso come spiritualità.
Ha invece senso il contrario, che la gente pur di mangiare è pronta a incoronare il primo venuto.....
In questo senso mi sento di avvallare le considerazioni di Angelo come pertinenti.
E ti invito a riflettere di come sia potuto accadere che dalla parte della ragione ( angelo e la teodicea) sei passato a quella del torto. E a darcene conto. Ciao ;)
Passo dalla parte del torto (forse ;) ) e mi infilo nei loop perchè mi si affibbiano intenzioni che non ho mai avuto e pur di mantenere il messaggio originale (la digressione è in realtà protezione) mi tocca fare lunghe scalate, e a volte capita di dover attraversare pareti vetrate pur di arrivare alla cima di diatribe che poi davvero non mi appartengono. Non saprei se qualitativo o meno, io direi.. coerente. Voglio dire, Gesù abbandona la festa e elargisce promesse spirituali, se la Chiesa ha abbandonato il cibo e si è data a "doni spirituali" penso che sia stata coerente con il vangelo, eventuali ulteriori valutazioni (come giustamente l'accezione borghese – in senso dispregiativo suppongo – sono sulla bilancia di ulteriori valutazioni).
Il conviviale lo metto assolutamente nel paniere. Intendiamoci, la convivialità è una forma complessa di incontro con l'altro, l'incontro con l'altro – qualsiasi sia la forma – è la legna del nostro fuoco. Perchè se sottolineo la questione diacronica è semplicemente per rimarcare la labilità dell'incontro con l'altro, e la necessità di ricercare le forme più "pure" di questo incontro, quelle dirette e meno verbose. Presto attenzione quando mi si dice "ho visto Cristo negli occhi dell'altro", mi domando cosa lessicalmente significhi Cristo in questo tipo di affermazioni "miste" ma prediligo quelle dirette.
Il regale – o per meglio dire l'autorità – NON la metto nel paniere, L'autorità stravolge il rapporto con l'altro e lo subordina, lo rende infertile e frutto di codici di iterazione. Infatti mi è già capitato di intervenire altre volte dubitando in maniera radicale dell'unità minima, il rapporto maestro-discepolo, che fino ad oggi nessuno mi ha tolto dalla testa sia un fallimento sistematico ed in termini. Figurarsi se il "maestro" è un testo, sacro o meno. Per arrivare all'unità minima della convivialità invece, farei riferimento al sensuale multiforme come opposto al liturgico monolitico, in una sorta di democratizzazione (ma non realitivismo morale) della spiritualità.
Citazione di: InVerno il 31 Maggio 2017, 21:20:01 PM
Voglio dire, Gesù abbandona la festa e elargisce promesse spirituali, se la Chiesa ha abbandonato il cibo e si è data a "doni spirituali" penso che sia stata coerente con il vangelo
Non so se ho capito bene ciò che volevi scrivere, ma credo che, se seguiamo questa linea, facciamo sia di Gesù che della Chiesa dei soggetti che si pongono in una prospettiva platonica, cioè una prospettiva in cui lo spirituale (in Platone il mondo delle idee) è il mondo delle cose autentiche, mentre il materiale sarebbe il mondo delle brutte copie, del fallace e della falsità. Ma sia Gesù che la Chiesa non possono essere concepiti in questi termini. In Gesù il mondo ha bisogno di essere redento, ma ciò non significa che abbia bisogno di essere ricondotto al mondo delle idee, e quindi smaterializzato. Lo stesso vale per la Chiesa. Purtroppo ci sono cattolici che ritengono che secondo il Cristianesimo questa vita, questo mondo, siano soltanto dei momenti di passaggio, il cui orizzonte è ultra terreno. Ma il fatto è che redimere questo mondo non significa ridurlo a spirito, eliminandone la materialità. Sia Gesù che la Chiesa danno al mondo materiale l'importanza che merita; il fatto che essi siano orientati a "nuovi cieli e terra nuova" non significa orientati alla smaterializzazione, ma piuttosto a un tipo di esistenza in cui regni Dio. Che poi tale esistenza rimanga materiale o diventi spirituale, non ha importanza: sia per Gesù che per la Chiesa tutto può benissimo rimanere materiale, purché vi si realizzi il regnare di Dio.
Citazione di: InVerno il 31 Maggio 2017, 21:20:01 PM
Presto attenzione quando mi si dice "ho visto Cristo negli occhi dell'altro", mi domando cosa lessicalmente significhi Cristo in questo tipo di affermazioni "miste" ma prediligo quelle dirette.
Riguardo a ciò sono in accordo con te e in disaccordo col Vangelo. In esso viene detto esplicitamente "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Ciò significa far risiedere l'importanza dell'altro nella presenza in lui di Gesù, far dipendere la dignità dell'altro da Gesù. Secondo me la dignità dell'altro non deve dipendere da nulla di esterno a lui, nulla di diverso da lui. L'altro ha la sua dignità semplicemente perché è lui; non deve elemosinare la sua dignità da niente e da nessuno.
Citazione di: InVerno il 31 Maggio 2017, 21:20:01 PML'autorità stravolge il rapporto con l'altro e lo subordina, lo rende infertile e frutto di codici di iterazione. Infatti mi è già capitato di intervenire altre volte dubitando in maniera radicale dell'unità minima, il rapporto maestro-discepolo, che fino ad oggi nessuno mi ha tolto dalla testa sia un fallimento sistematico ed in termini. Figurarsi se il "maestro" è un testo, sacro o meno.
Secondo me il rapporto di subordinazione è controproducente solo se viene divinizzato. Penso questo a partire dal fatto che in natura esiste un rapporto fondamentale di subordinazione, almeno quando si nasce: il rapporto genitore-figlio. D'altra parte, anche a scuola trovo inutile non tener presente o negare che il maestro ne sa più di me. Il rapporto secondo me si fa viziato quando il maestro o genitore viene considerato immune da errore, da cambiamento di opinione, da relatività. Allora abbiamo l'adolescente che si scandalizza di scoprire che i suoi genitori hanno dei limiti, oppure maestri psicologicamente autoindotti a fare carte false pur di difendere la loro infallibilità. A mio parere un esempio tipico di rapporto ottimale è quello che si viene a creare tra professore e studente quando si tratta di fare certe tesi di laurea specialistiche: in quel caso entrambi sanno che la materia è talmente vasta che, appena parte il lavoro, lo studente ne sa già più del professore e il professore non ha problemi a porsi in tale posizione: lì ciò che è superiore ad entrambi è solo la materia, entrambi sono ricercatori; nonostante ciò, lo studente sa benissimo che il professore conserva una sua superiorità fatta di bagaglio di cultura e di esperienza proprio nel fare ricerca, una superiorità che sarebbe inutile nascondersi.
Citazione di: InVerno il 31 Maggio 2017, 21:20:01 PMPer arrivare all'unità minima della convivialità invece, farei riferimento al sensuale multiforme come opposto al liturgico monolitico, in una sorta di democratizzazione (ma non realitivismo morale) della spiritualità.
Anche su questo sono d'accordo. Già da prete ero dell'idea che, piuttosto che esserci il sacerdote che sistematicamente presiede nella Messa, ciò dovrebbe essere fatto a turno da ciascuno dei fedeli. A questo proposito tenevo presente un'incoerenza che c'è nella Chiesa: secondo la sua dottrina, ogni fedele diventa sacerdote già con il battesimo: nel Cattolicesimo si è un popolo di sacerdoti, in cui cambia solo il grado di sacerdozio; l'incoerenza consiste nel fatto che, all'atto pratico, del sacerdozio dei fedeli non si tiene alcun conto, se non in forme che sono solo un contentino.
- Sono d'accordo con te. Vedi però che un analisi antropologica torna "comoda" quando dal rapporto chiesa-testi si traggono solo considerazioni circolari per forza di cose.
- Provocatoriamente potrei dirti che il tema della fratellanza potrebbe smontare questa tua critica. Gesù è nostro fratello, fare del male a lui non lo rende peccato perchè è lui, ma perchè lui rappresenta ognuno di noi? (che poi sarebbe la famosa formula quranica "Chiunque uccida un uomo, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera") ma è forse un ipotesi peregrina.
- Fondamentalmente hai ragione, ma a quel punto del rapporto che usi come esempio, l'autorità è solo una questione formale (nemmeno troppo, suppongo che persino il codice verbale sia arrivato al "tu"). Poi ci sono diverse gradazioni, dall'autorità divina all'esempio tuo di flebile subordinazione, in generale la tendenza non fa altro che dimostrare l'assunto?
- Ohibò scopro ora di essere sacerdote profeta e re! E beh ma un autorità di "tutti" è un autorità di nessuno, è ovvio che valga poco :) Peccato, mi stavo già comprando una corona e ordinato i panini! Attenzione comunque che appena si parla di sensuale scattano le "sirene" e arrivano le accuse di intimismo e spiritualità di bassa lega.
Grazie comunque dell'interessante intervento, a buon rendere.
Inverno sono contento che abbiamo risolto qualche fraintendimento! :) bentornato sulla retta via ;D
cit angelo
"L'altro ha la sua dignità semplicemente perché è lui; non deve elemosinare la sua dignità da niente e da nessuno."
Penso che si debba pensare a cristo come comunità, in quel passo.
chi uccide un uomo uccide la comunità.
ma gesù non è un gerarca, nella scena essenziale della puttana, gesù dice anche tu sei un essere umano. (ogni essere umano ha la sua dignità).
Giovanni mi è di grande ispirazione.
cit angelo
"Secondo me il rapporto di subordinazione è controproducente solo se viene divinizzato. Penso questo a partire dal fatto che in natura esiste un rapporto fondamentale di subordinazione, almeno quando si nasce: il rapporto genitore-figlio."
In generale nel mondo ebraico è la famiglia ad essere codificata.
ma la famiglia si fa clan....e fra clan non ci sono maestri, ma convenienze.
ecco che la famiglia deve rispondere a strani precetti.
cit angelo
"l'incoerenza consiste nel fatto che, all'atto pratico, del sacerdozio dei fedeli non si tiene alcun conto, se non in forme che sono solo un contentino".
questa incoerenza è dovuta al fatto della convenienza di cui parlavo prima.
perchè esistono clan diversi da quello cristiano....la convenienza sta nella sopravvivenza del clan, e non più della famiglia. Che è qualcosa di più radicale e vero.
incominciano ad esserci ministri che dicono cosa dire ai padri per i figli affinchè la comunutà sussista.
Il ministro è sempre un ministro politico.
La menzogna nasce da lì dalla divisione dei compiti tra cultura e politica.
menzogna necessaria.
da lì il problema dell'ospitalità verso i clan che si faccia sempre più culturale e sempre meno politico.
in poche parole il problema della comunità ecclesiale con cui parlo con un giovane amico.
a mio parere non bisogna dare troppo adito alla funzione sacerdoziale. è dall'interno della comunità che deve nascere l'ospitalità culturale.
Ma come dici tu angelo....è un argomento stanco....la gente non si fida più, i ministri della politica hanno fallito. la necessità sta diventando globale, abbattimento di ogni clan in nome di qualcosa di necessario, ma che non rende più conto della cultura. E di rimbalzo della comunità.
La chiesa sta cercando di fare l'equilibrista, tra una funzione di mantenimento di apertura culturale e di vassallo dei ministri che vinceranno globalmente.
all'interno della sua guerra di apertura al culturale, è invischiata in vecchi problemi legati ai suoi stessi ministri...da che so si richiede ai parroci di essere sempre più stupidi per rimanere a contatto con la gente.....il che sarebbe a dire che li porta ad avere lo stesso tipo di sfiducia in essi.
Ma che razza di comunità può nascere? se non ci si fida della cultura degli altri??
Come se non si credesse alla effettiva portata convertitrice del messaggio evangelico...quello sì che è assurdo!!! e Grave....perchè così facendo la chiesa cederà di essere forza di resistenza, e rimarrà mero fantoccio di promesse future....senza comunità....solo fedeli. brrrrrrr che tempi buj!
Si potrebbe notare che, dopo l'avvio di questa discussione sulla spiritualità come cammino, viene fuori essenzialmente che il problema è come camminare insieme, far dialogare i cammini delle persone, che per tanti versi giungono ad essere opposti.
Riesce la spiritualità ad individuare prospettive comuni su cui concordare e di conseguenza su cui procedere con efficacia?
Se la spiritualità è vita interiore, queste prospettive esistono già, perché tutti abbiamo una vita interiore. Credo che si tratti di crescere nella coscienza che l'attenzione alla spiritualità come vita interiore è in grado di favorire il meglio del nostro essere umani.
Affinché questa consapevolezza cresca e si diffonda, è necessario sperimentare il gusto, il sapore di un camminare su questa strada. Qui però si viene a creare un circolo vizioso: per gustare bisogna essere attirati; che viene ad essere: per gustare bisogna aver gustato. Ecco la contraddizione, il circolo vizioso.
Il mondo degli imperi economici ha buon gioco in questo, perché non si fa scrupolo di far leva sugli istinti più bassi dell'uomo per indurre la massa a gustare ciò che viene prodotto; la spiritualità, cercando crescita, innalzamento (che non significa allontanamento dalla concretezza: è questo un frequente malinteso), non accetta compromessi con la bassezza. Eppure bisogna abbassarsi, senza neanche sentirsi troppo in alto, perché proprio nella bassezza possono nascondersi altezze sublimi. Gesù si abbassò, ma disse anche di non dare le perle ai porci. È questo il problema. Torniamo così alla metafora della bicicletta, del doverci muovere in continuazione tra squilibri, tra abbassamenti, seguiti da pentimenti di esserci abbassati troppo, oppure l'opposto.
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Giugno 2017, 12:19:12 PM
Si potrebbe notare che, dopo l'avvio di questa discussione sulla spiritualità come cammino, viene fuori essenzialmente che il problema è come camminare insieme, far dialogare i cammini delle persone, che per tanti versi giungono ad essere opposti.
Riesce la spiritualità ad individuare prospettive comuni su cui concordare e di conseguenza su cui procedere con efficacia?
Se la spiritualità è vita interiore, queste prospettive esistono già, perché tutti abbiamo una vita interiore. Credo che si tratti di crescere nella coscienza che l'attenzione alla spiritualità come vita interiore è in grado di favorire il meglio del nostro essere umani.
Affinché questa consapevolezza cresca e si diffonda, è necessario sperimentare il gusto, il sapore di un camminare su questa strada. Qui però si viene a creare un circolo vizioso: per gustare bisogna essere attirati; che viene ad essere: per gustare bisogna aver gustato. Ecco la contraddizione, il circolo vizioso.
Il mondo degli imperi economici ha buon gioco in questo, perché non si fa scrupolo di far leva sugli istinti più bassi dell'uomo per indurre la massa a gustare ciò che viene prodotto; la spiritualità, cercando crescita, innalzamento (che non significa allontanamento dalla concretezza: è questo un frequente malinteso), non accetta compromessi con la bassezza. Eppure bisogna abbassarsi, senza neanche sentirsi troppo in alto, perché proprio nella bassezza possono nascondersi altezze sublimi. Gesù si abbassò, ma disse anche di non dare le perle ai porci. È questo il problema. Torniamo così alla metafora della bicicletta, del doverci muovere in continuazione tra squilibri, tra abbassamenti, seguiti da pentimenti di esserci abbassati troppo, oppure l'opposto.
E' del tutto inutile cercare di spiegare con la mente ciò che in verità appartiene al cuore.
E' vero che chiunque voglia fare un cammino di fede deve camminare assieme ad altri sperimentando/gustando lo stare insieme, ma il pericolo è che cammini verso una direzione sbagliata o peggio ancora creda di camminare pur restando fermi mentre scambia la cultura teologica acquisita per strada percorsa.
Questi pericoli cessano di essere pericoli solo ed unicamente quando si cammina perché si è chiamati dal Signore Dio che guida i nostri passi.
Se siamo chiamati da noi stessi o peggio da satana, sì sto parlando di satana che chiama quelli che ritiene possano realizzare il suo progetto malefico, la speranza di arrivare non c'è.
Tutti siamo chiamati ma non tutti sentiamo la chiamata alla spiritualità, per cui parliamo di chiamati dal Signore Dio per intendere quei chiamati che hanno sentito la Sua voce e conseguentemente si lasciano guidale da Colui che li chiamati. Per costoro il manuale di come camminare è la loro spontaneità la quale equivale a fare la volontà del Signore Dio in persona che li ha chiamati.
Costoro portano la croce con gioia e danno il frutto sperato mentre sono la pupilla degli occhi del Signore Dio geloso di loro.
Il loro cammino verso la spiritualità li porta ad essere luce del mondo e sale della terra.
Gioia per loro e gioia per il mondo e gioia per il Signore Dio.
Grazie Signore Gesù.
Certo Giona ma anche Gesù ha parlato agli altri!
E ha camminato con loro!
Nella fede, la frase, gesù è con te, gesù cammina con te....quante volte l'ho sentita.
Dunque bisogna capire non gli altri ma gesù negli altri.
Se io capisco gesù negli altri, allora non è satana che mi chiama, o comunque sia fuori di metafora (per chi non crede in entità esterne) la spiritualità è il messaggio di cristo.
ma è una spiritualità che vive in terra. destinata ai cieli certo. ma che vive in terra.
gesù come ogni induista dice gusta, ma fallo in nome di dio.
Esiste cioè un corrispettivo trascendente. Ovviamente se viene dimenticato.
Se non si fa attenzione alla dimensione del sociale, che il banchetto richiama. allora sarebbe un mero banchettare in testa agli altri. Che mi sa è anche un modo di dire.
la mia idea è che la comunità favorisca col banchetto la trascendenza.
quando facevamo banchetti per fini politici alla fine ci rimaneva una bella sensazione di unione tra le persone.
col passare del tempo, la politica svanisce. ma il senso di benessere che la comunità suscita no.
benessere e unità.
ed è proprio l'unità che suscita la trascendenza.
essendo stato uno yoghi junior, so benissimo come l'unità sia legato all'armonia.
un altra cosa da mettere nel paniere è la musica sacra.
la musica sacra richiama alla spiritualità.
oggi come oggi nella parrocchia si suona la chiatarra, per unire, certo, ma la musica era un altro strumento della spiritualità che è andato o sta andando perduto.
bisogna tenerlo a tutti i costi.....la mia è una intuizione radicale.
Citazione di: green demetr il 08 Giugno 2017, 17:44:43 PM
Certo Giona ma anche Gesù ha parlato agli altri!
E ha camminato con loro!
Nella fede, la frase, gesù è con te, gesù cammina con te....quante volte l'ho sentita.
Dunque bisogna capire non gli altri ma gesù negli altri.
Se io capisco gesù negli altri, allora non è satana che mi chiama, o comunque sia fuori di metafora (per chi non crede in entità esterne) la spiritualità è il messaggio di cristo.
ma è una spiritualità che vive in terra. destinata ai cieli certo. ma che vive in terra.
gesù come ogni induista dice gusta, ma fallo in nome di dio.
Esiste cioè un corrispettivo trascendente. Ovviamente se viene dimenticato.
Se non si fa attenzione alla dimensione del sociale, che il banchetto richiama. allora sarebbe un mero banchettare in testa agli altri. Che mi sa è anche un modo di dire.
la mia idea è che la comunità favorisca col banchetto la trascendenza.
quando facevamo banchetti per fini politici alla fine ci rimaneva una bella sensazione di unione tra le persone.
col passare del tempo, la politica svanisce. ma il senso di benessere che la comunità suscita no.
benessere e unità.
ed è proprio l'unità che suscita la trascendenza.
essendo stato uno yoghi junior, so benissimo come l'unità sia legato all'armonia.
un altra cosa da mettere nel paniere è la musica sacra.
la musica sacra richiama alla spiritualità.
oggi come oggi nella parrocchia si suona la chiatarra, per unire, certo, ma la musica era un altro strumento della spiritualità che è andato o sta andando perduto.
bisogna tenerlo a tutti i costi.....la mia è una intuizione radicale.
Caro Green, concordo con quanto hai affermato. E' vero che lo stare insieme è cosa buona, ma bisogna vedere di quale stare insieme si parla. C'è lo stare insieme per curare interessi economici, politici, sportivi, artistici ecc.., c'è anche lo stare insieme per paura della solitudine e c'è lo stare insieme, non nel nostro caso, per delinquere. Tutte le ragioni dello stare insieme di cui sopra sono il frutto di una scelta dell'uomo, ma per stare insieme con lo scopo di crescere spiritualmente occorre la chiamata del Signore Dio, altrimenti, quando si sta insieme per scelta dell'uomo, ci si illude di camminare, di crescere di migliorarsi ecc.. senza che sia vero.
Il segno per scoprire quanto siamo interessati alla vita spirituale o, se vuoi, che abbiamo sentito la chiamata è la nostra disponibilità a scoprire i nostri difetti e la disponibilità a cambiare mettendo in discussione noi stessi.
Citazione di: green demetr il 08 Giugno 2017, 17:44:43 PM
un altra cosa da mettere nel paniere è la musica sacra.
la musica sacra richiama alla spiritualità.
oggi come oggi nella parrocchia si suona la chiatarra, per unire, certo, ma la musica era un altro strumento della spiritualità che è andato o sta andando perduto.
bisogna tenerlo a tutti i costi.....la mia è una intuizione radicale.
La musica, come in genere ogni forma d'arte, e non solo la musica sacra, è sorgente di esperienza spirituale, come ho spiegato nel post del mio blog
16 Il silenzio e le esperienze spirituali. Anche la musica della chitarra lo è: spesso si pensa alla chitarra come ad uno strumento da strimpellare, per musica chiassosa o leggera, ma da chitarrista posso assicurarti che tutto dipende da cosa si suona e come la si suona.
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Giugno 2017, 12:24:55 PM
Citazione di: green demetr il 08 Giugno 2017, 17:44:43 PM
un altra cosa da mettere nel paniere è la musica sacra.
la musica sacra richiama alla spiritualità.
oggi come oggi nella parrocchia si suona la chiatarra, per unire, certo, ma la musica era un altro strumento della spiritualità che è andato o sta andando perduto.
bisogna tenerlo a tutti i costi.....la mia è una intuizione radicale.
La musica, come in genere ogni forma d'arte, e non solo la musica sacra, è sorgente di esperienza spirituale, come ho spiegato nel post del mio blog 16 Il silenzio e le esperienze spirituali. Anche la musica della chitarra lo è: spesso si pensa alla chitarra come ad uno strumento da strimpellare, per musica chiassosa o leggera, ma da chitarrista posso assicurarti che tutto dipende da cosa si suona e come la si suona.
Naturalmente la coloritura della musica, foss'anco metal, colora il ricordo dello stare assieme e risveglia la spiritualità.
Ma il canto polifonico gregoriano e la musica d'organo barocca, sono altra cosa.
Creano spiritualità senza bisogno d'altro che non l'ascolto (raccolto, attento ovviamente).
Senza bisogno di comunità in fin dei conti.
cit Giona
"Il segno per scoprire quanto siamo interessati alla vita spirituale o, se vuoi, che abbiamo sentito la chiamata è la nostra disponibilità a scoprire i nostri difetti e la disponibilità a cambiare mettendo in discussione noi stessi."
Non posso conoscere che tipo di disillusioni tu possa aver avuto.
Ma non credi che chi è più forte, debba aiutare chi è più debole?
E comunque sia la comunità porta conforto alle solitudini.
Forse non è la funzione principale della chiesa, ma essendo una conseguenza non la vedo così nera come la vedi tu Giona.
Certo, se la comunità comincia veramente a disinteressarsi dello spirituale cominciano i guai.
Certamente il signore chiama a sè i suoi.Eppure non dice agli apostoli andate e diffondete il verbo? (o è un falso ricordo della mia infanzia?)
Quindi ci vuole un pò di nerbo in più!
Citazione di: green demetr il 09 Giugno 2017, 14:35:37 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Giugno 2017, 12:24:55 PM
Citazione di: green demetr il 08 Giugno 2017, 17:44:43 PM
un altra cosa da mettere nel paniere è la musica sacra.
cit Giona
"Il segno per scoprire quanto siamo interessati alla vita spirituale o, se vuoi, che abbiamo sentito la chiamata è la nostra disponibilità a scoprire i nostri difetti e la disponibilità a cambiare mettendo in discussione noi stessi."
Non posso conoscere che tipo di disillusioni tu possa aver avuto.
Ma non credi che chi è più forte, debba aiutare chi è più debole?
E comunque sia la comunità porta conforto alle solitudini.
Forse non è la funzione principale della chiesa, ma essendo una conseguenza non la vedo così nera come la vedi tu Giona.
Scusa Green, ma non riesco a trovare la connessione fra la tua risposta e quanto da me postato. Ho indicato solo un criterio per scoprire il livello del nostro interesse per la spiritualità. Se vuoi, chiariscimi.
Certo, se la comunità comincia veramente a disinteressarsi dello spirituale cominciano i guai.
Certamente il signore chiama a sè i suoi.Eppure non dice agli apostoli andate e diffondete il verbo? (o è un falso ricordo della mia infanzia?)
E' vero che dice di andare e diffondere il Santo Vangelo, ma dice anche di non buttare le perle davanti ai porci e di scuotere la polvere delle proprie scarpe che hanno calpestato la dimora di quelli che non accettano la Pace la quale nasce dalla parola di verità.
Quindi ci vuole un pò di nerbo in più!
Non so cosa tu intenda per nerbo in questo caso, forse intendi insistenza, ma non dimenticare che in GV è detto: Nessuno può venire a me senza la volontà del padre mio.
Insomma il "dio" bonaccione lasciamolo ai falsi religiosi.
Io sono sempre stato allibito di come dottrine che predicano la sospensione del giudizio agli adepti(in attesa del "grande giudizio"), generino in realtà "giudici seriali" capaci di misurare l'umidità nell'aria e decidere o meno se è opera del buon Dio o di altri. Ci dev'essere qualcosa che sistematicamente si inceppa in queste dottrine, perchè il silenzio non maschera a sufficienza quanto queste persone siano perniciosamente ossessionate dal catalogare e dividere moralmente qualsiasi cosa secondo i propri gusti (avvalorati ovviamente dal sigillo in ceralacca divino).
Nessuna sorpresa: semplicemente la parte cattiva dell'umana natura prevale. Penso agli anarchici che, pur affermando solennemente come giusta la totale assenza di leggi e dunque di qualsiasi coercizione sull'essere umano.......non si sono fatti storicamente scrupoli nel lanciare ordigni esplosivi con estrema noncuranza..........
...penso ai sostenitori del liberismo che, pur affermando solennemente come giusta la totale assenza di leggi che governano l'economia........non si fanno scrupoli nell'avallare, de facto, la legge della giungla. La più illiberale di tutte.
Insomma una dottrina non si giudica SOLO da come alcuni "adepti" la mettono in pratica.
Citazione di: InVerno il 10 Giugno 2017, 14:11:19 PM
Io sono sempre stato allibito di come dottrine che predicano la sospensione del giudizio agli adepti(in attesa del "grande giudizio"), generino in realtà "giudici seriali" capaci di misurare l'umidità nell'aria e decidere o meno se è opera del buon Dio o di altri. Ci dev'essere qualcosa che sistematicamente si inceppa in queste dottrine, perchè il silenzio non maschera a sufficienza quanto queste persone siano perniciosamente ossessionate dal catalogare e dividere moralmente qualsiasi cosa secondo i propri gusti (avvalorati ovviamente dal sigillo in ceralacca divino).
Gli adepti, come tu li chiami, sono quelli maggiormente esposti al giudizio divino perché, sia quando lo sono per volontà loro che quando lo sono perché chiamati, vengono giudicati secondo la corrispondenza della loro vita a quanto hanno predicato.
Quello che chiami dividere secondo i "propri gusti", in chi cammina sulla retta via, altro non è che distinguere il bene dal male. Senza questa distinzione, ovviamente fatta secondo le scritture e valida solo per se stessi, viviamo da ubriachi perché non sappiamo quello che stiamo facendo. Lo specchio per sapere se distinguiamo il bene dal male e operiamo il bene, è il vivere in pace, cosa opposta all'indifferenza che spesso viene scambiata per pace.
Citazione di: Freedom il 10 Giugno 2017, 14:24:08 PM
Nessuna sorpresa: semplicemente la parte cattiva dell'umana natura prevale. Penso agli anarchici che, pur affermando solennemente come giusta la totale assenza di leggi e dunque di qualsiasi coercizione sull'essere umano.......non si sono fatti storicamente scrupoli nel lanciare ordigni esplosivi con estrema noncuranza..........
...penso ai sostenitori del liberismo che, pur affermando solennemente come giusta la totale assenza di leggi che governano l'economia........non si fanno scrupoli nell'avallare, de facto, la legge della giungla. La più illiberale di tutte.
Insomma una dottrina non si giudica SOLO da come alcuni "adepti" la mettono in pratica.
Non vedo il nesso, e sospetto che "alcuni" sia la parola da mettere tra virgolette, visto che adepti descriveva persone che coltivano un rapporto "deviato" con la dottrina, quindi giusta l'accezione negativa.
Qui non si parla di estremisti bombaroli, ne di persone che applicando la propria ideologia creano un vuoto accanto. Si parla di persone normalissime che contraddicono sistematicamente un principio fondante. Perchè se ti permetti di giudicar, significa che non credi davvero esista un giudice altrimenti non ti sarebbe di alcuno sforzo lo stare zitto. Una dottrina si giudica anche da questo, dalla capacità di replicare efficacemente i propri principi, una dottrina inefficiente (o ipocrita) non può essere considerata una strada buona per un cammnino spirituale onesto e serio. Sfortunatamente per noi la dottrina non si sceglie, ci si finisce dentro, e se ne diventa de facto avvocati difensori. Giustamente, non si è mai visto un bambino cedere ad un altro il gessetto per scrivere i cattivi alla lavagna.
Citazione di: green demetr il 09 Giugno 2017, 14:35:37 PMMa il canto polifonico gregoriano e la musica d'organo barocca, sono altra cosa.
Il canto gregoriano non è polifonico, comunque non è una cosa importante per il nostro discorso.
Mi interessa piuttosto notare che un criterio che ritengo utile è quello di chiedersi quante aperture una strada crea.
Il canto gregoriano contiene una grande profondità e per certi versi si potrebbe dire che non fa altro che trasmettere l'interiorità che vi è stata immessa nel comporlo. Però non contiene apertura, non incoraggia ad esplorare altro; al contrario, in tanti anni l'ho vissuto come un gabbia, che imprigiona le infinite potenzialità della voce umana e della musica in genere.
In questo senso la musica leggera è più aperta, però manca di profondità, si va a finire nello sperimentare tanto per sperimentare.
Questo criterio può consentire di trovare motivazioni per darsi dei giudizi di valore su certe esperienze, che si possono considerare pur sempre spirituali: anche la droga crea nel nostro intimo esperienze spirituali che sarebbero interessanti da esplorare; il problema è che essa non apre ad altre strade (per esempio non favorisce certo la riflessione critica) e rende praticamente nulle le possibilità di tornare indietro.
Da questo punto di vista la religione mi viene a risultare inferiore alla spiritualità, perché con le sue determinazioni forma dei binari obbligati che limitano le possibilità di creatività, di esplorazione. In questo senso, chi scelga di seguire
la spiritualità e non
una spiritualità mi viene a risultare più libero, libero anche di esplorare le singole spiritualità senza impantanarsi nelle loro vischiosità, che sono ciò che crea il fanatismo a cui i vostri ultimi messaggi hanno fatto cenno.
In un mio ultimo video ho preso in considerazione proprio l'apertura della spiritualità alla creatività, rispetto alla religione che invece è più conservatrice.
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Giugno 2017, 18:36:29 PM
Citazione di: green demetr il 09 Giugno 2017, 14:35:37 PMMa il canto polifonico gregoriano e la musica d'organo barocca, sono altra cosa.
Il canto gregoriano non è polifonico, comunque non è una cosa importante per il nostro discorso.
Mi interessa piuttosto notare che un criterio che ritengo utile è quello di chiedersi quante aperture una strada crea.
Il canto gregoriano contiene una grande profondità e per certi versi si potrebbe dire che non fa altro che trasmettere l'interiorità che vi è stata immessa nel comporlo. Però non contiene apertura, non incoraggia ad esplorare altro; al contrario, in tanti anni l'ho vissuto come un gabbia, che imprigiona le infinite potenzialità della voce umana e della musica in genere.
In questo senso la musica leggera è più aperta, però manca di profondità, si va a finire nello sperimentare tanto per sperimentare.
Questo criterio può consentire di trovare motivazioni per darsi dei giudizi di valore su certe esperienze, che si possono considerare pur sempre spirituali: anche la droga crea nel nostro intimo esperienze spirituali che sarebbero interessanti da esplorare; il problema è che essa non apre ad altre strade (per esempio non favorisce certo la riflessione critica) e rende praticamente nulle le possibilità di tornare indietro.
Da questo punto di vista la religione mi viene a risultare inferiore alla spiritualità, perché con le sue determinazioni forma dei binari obbligati che limitano le possibilità di creatività, di esplorazione. In questo senso, chi scelga di seguire la spiritualità e non una spiritualità mi viene a risultare più libero, libero anche di esplorare le singole spiritualità senza impantanarsi nelle loro vischiosità, che sono ciò che crea il fanatismo a cui i vostri ultimi messaggi hanno fatto cenno. In un mio ultimo video ho preso in considerazione proprio l'apertura della spiritualità alla creatività, rispetto alla religione che invece è più conservatrice.
Angelo C.
se vuoi andare avanti devi tornare indietro.
Anni fa frequentai forumisticamente il newagismo perchè volevo capire e approfondire: tutti spirituali dicevano. mai visto più liti ed egoismo sotto le spoglie spirituali.
Dicevano che le religioni sono cose vecchie e parlavano di teosofia, dei rosacroce, di meditazione e medicina orientale.
C' è chi si inventava teorie spirituali.C'era più bisogno di uno psicanalista che di un saggio spirituale.
Non sono un apologeta di religioni, ma queste sono strutturate e quindi hanno un binario, perchè un comportamento per essere etico ha bisogno di riferimenti chiari e un profondo motivo sulla natura umana lo ha.
Se si pensa come dicevano i newagisti che le religioni sono sorpassate e che oggi siamo pronti al "salto quantistico": si vede come sta evolvendo in meglio lo spirito umano.Infatti sono in crisi le etiche, la morale personale.
Quando invece tornai alle origini mi accorsi come ebraismo, cristianesimo e islam abbiano storie, evoluzioni e contenuti per quanto simili, diversi.
Ma se si indaga in profondità si vedranno dei fili logici interpretativi che hanno determinato dei percorsi storici, compresa la nostra filosofia e la nostra teologia.
Vuol essere una semplice riflessione.
Penso che il tuo intervento sia utile per farmi fare una precisazione:
la spiritualità non può avere come scopo quello di sostituirsi al
le spiritualità, né al
le religion
i, allo stesso modo in cui
la religione non può essere sostituita al
le religion
i.
La spiritualità, nella sua definizione oggettiva di vita interiore, si pone come astrazione di tutto quanto di vita interiore è possibile riscontrare nelle varie manifestazioni particolari dell'esistenza umana. In questo senso è impensabile che l'astrazione pretenda di sostituirsi alle manifestazioni particolari da cui proviene. Non è possibile sostituire il calcio alle partite, l'arte alle opere d'arte. In questo senso la spiritualità non potrà mai cantare la fine delle religioni per sostituirsi ad esse.
Si tratta a questo punto di comprendere il ruolo del
la spiritualità, in rapporto al
le spiritualità e al
le religion
i. Ho già evidenziato alcuni elementi di questo ruolo nel
mio post a cui ho già fatto riferimento nel messaggio precedente.
Può essere utile aggiungere qui che è possibile approfondire un approccio alle religioni dal punto di vista della spiritualità. Mi sembra che qualsiasi religione abbia tutto da guadagnare dal confronto con questo punto vista, per esempio prendendo atto del pericolo di ridursi a pratiche esteriori. Allo stesso modo,
le spiritualità hanno molto da guadagnare da un confronto con
la spiritualità, specialmente tenendo presente che la spiritualità è per molti versi figlia della filosofia e quindi vanta alle spalle una lunga familiarità con il senso critico.
Infine mi sembra di poter dire che la spiritualità può essere praticata anche a sé, senza che si debba appartenere ad alcuna spiritualità o religione particolare, allo stesso modo in cui è possibile interessarsi di sport senza praticarne alcuno in prima persona, per lo meno ad alto livello, o essere musicologi senza saper suonare alcuno strumento con destrezza da professionisti. D'altra parte, anche ogni modo di trattare o praticare la spiritualità è pur sempre storico, così come, per esempio, non esiste la letteratura in astratto, ma il modo in cui essa è stata intesa nei vari periodi della storia. In questo senso, io cerco di occuparmi della spiritualità, ma non posso non riconoscere che il mio modo di trattare la spiritualità è pur sempre il mio modo, per esempio, nel mio caso specifico, molto condizionato da categorie prese a prestito dal Cristianesimo, a cominciare dalla parola stessa "spiritualità".