Citazione[font="Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif]Sorrise e levò lo sguardo a una foglia di pippala stagliata contro il cielo azzurro, la cui punta ondeggiava verso di lui come se lo chiamasse. Osservandola in profondità, Gautama vi distinse chiaramente la presenza del sole e delle stelle; perché senza sole, senza luce e calore, quella foglia non sarebbe esistita. Questo è in questo modo, perché quello è in quel modo. Anche le nuvole vide nella foglia, perché senza nuvole non c'è la pioggia e, senza pioggia, quella foglia non poteva esistere. E vide la terra, il tempo, lo spazio, la mente: tutti presenti nella foglia. In verità, in quel momento preciso, l'universo intero si manifestava nella foglia. La realtà della foglia era un miracolo stupefacente.
Generalmente si pensa che una foglia sia nata a primavera, ma Gautama vide che esisteva già da tanto, tanto tempo nella luce del sole, nelle nuvole, nell'albero e in se stesso. Comprendendo che quella foglia non era mai nata, comprese che anche lui non era mai nato. Entrambi, la foglia e lui stesso, si erano semplicemente manifestati. Poiché non erano mai nati, non potevano morire. Questa visione profonda dissolse le idee di nascita e morte, di comparsa e scomparsa; e il vero volto della foglia, assieme al suo stesso volto, divennero manifesti. Vide che è l'esistenza di ciascun fenomeno a rendere possibile l'esistenza di tutti gli altri fenomeni. L'uno contiene il tutto, e il tutto è contenuto nell'uno.
La foglia e il suo corpo erano una cosa sola. Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva essere indipendente dal resto dell'universo. Vedendo la natura interdipendente di tutti i fenomeni, Siddhartha ne vide perciò la natura vuota: tutte le cose sono vuote di un sé separato e isolato. Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell'interdipendenza e del non sé. Le nuvole correvano nel cielo, come uno sfondo bianco dietro la foglia traslucida di pippala. Forse quella sera stessa, incontrando una corrente fredda, le nuvole si sarebbero trasformate in pioggia. Le nuvole erano una manifestazione, e la pioggia un'altra manifestazione. Le nuvole, che non erano mai nate, non sarebbero mai morte. Se le nuvole potessero capirlo, pensò Gautama, avrebbero certo cantato di gioia cadendo sotto forma di pioggia sulle montagne, le foreste e le risaie.[/font]
tra le varie differenze con le altre religioni che ricordo brevemente:
- Non vi è alcun Dio onnipotente nel Buddismo per il semplice fatto che non potrebbe esistere, non esiste alcuna entità in grado di giudicare e distribuire ricompense o punizioni, non esiste nessun giorno del giudizio;
- Il Buddhismo non è una religione intesa come fede e culto ad un essere soprannaturale;
- Nessun concetto di Salvatore nel Buddhismo. Il Buddha non è un salvatore e anche se un buddhista cerca rifugio in lui, come guida incomparabile nella via della purezza, non è servile nei suoi confronti. Un buddhista è consapevole che egli non può ottenere la purezza semplicemente cercando rifugio nel Buddha o per un semplice atto di fede. Non è nel potere di un Buddha lavare le impurità degli altri;
- Buddha non è l'incarnazione di un Dio. La relazione tra Buddha e i suoi discepoli è quella di insegnante/studente;
- La liberazione di se stessi è unica responsabilità di se stessi. Il Buddhismo non richiede una fede cieca ed indiscutibile, bensì richiede fiducia in se stessi, auto-disciplina sforzo individuale ed analisi;
- Prendere rifugio nella Triplice gemma (Buddha, Dharma e Sangha) non significa auto-abbandono o affidamento totale su una agenti esterni per un aiuto o per la salvezza;
- Il Dharma esiste indipendentemente dal Buddha. Siddharta Sakyamuni il Buddha storico ha scoperto e condiviso gli insegnamenti e le verità universali con tutti gli esseri senzienti, non è né il creatore di tali insegnamenti, né il profeta di un Dio onnipotente per trasmettere tali insegnamenti;
- Nel Buddhismo tutti gli esseri senzienti hanno la Natura di Buddha. Pertanto tutti possono diventare un Buddha a tempo debito, se si pratica con diligenza e si raggiunge la purezza della mente;
- Nel buddhismo l'obiettivo finale è l'illuminazione e la liberazione dal samsara, piuttosto che andare in un luogo quale il paradiso;
- Il karma è un capisaldo e riguarda il concetto metafisico sulla correlazione tra le proprie azioni e le loro conseguenze, sul mistero del cosiddetto destino e della predestinazione, in ultimo anche sulla disuguaglianza evidente del genere umano.
- Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo.
penso che la piu' bella e piu' importante sia il concetto di vacuità:
La vacuità è fonte di liberazione per il praticante, perché attraverso la meditazione sulla stessa, l'individuo realizza un graduale distacco dal proprio egocentrismo. E' importante però non limitarsi ad una mera comprensione intellettuale, ma cercare invece di praticarlo quotidianamente anche se molto difficile.
Per definizione, la vacuità è l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni, intendendo qui per fenomeni sia la realtà sensibile sia i diversi aspetti dell'Io umano. e qui, anche grazie all'aiuto delle neuroscienze viene il bello...
Tutti i fenomeni hanno due modi di esistere; il primo è un modo di esistere convenzionale, così come è percepito dai nostri sensi ordinari, mentre il secondo è la vacuità di esistenza intrinseca. Quel sè illusorio che nasce nella nostra mente, che le neuroscienze definiscono come "sensazione" essenziale e prodotta dal nostro cervello per mettersi in relazione con l'ambiente esterno è, quando compresa, di una bellezza unica. La spiegazione finale e la cessazione di ogni turbamento.
ora la domanda... quando viene compresa la vacuità penso (forse erroneamente) che il resto degli insegnamenti perda di importanza (se non di significato) o qualcosa mi sfugge ?
ciao :)
Citazione di: bluemax il 07 Dicembre 2016, 10:11:10 AM
CitazioneSorrise e levò lo sguardo a una foglia di pippala stagliata contro il cielo azzurro, la cui punta ondeggiava verso di lui come se lo chiamasse. Osservandola in profondità, Gautama vi distinse chiaramente la presenza del sole e delle stelle; perché senza sole, senza luce e calore, quella foglia non sarebbe esistita. Questo è in questo modo, perché quello è in quel modo. Anche le nuvole vide nella foglia, perché senza nuvole non c'è la pioggia e, senza pioggia, quella foglia non poteva esistere. E vide la terra, il tempo, lo spazio, la mente: tutti presenti nella foglia. In verità, in quel momento preciso, l'universo intero si manifestava nella foglia. La realtà della foglia era un miracolo stupefacente.
Generalmente si pensa che una foglia sia nata a primavera, ma Gautama vide che esisteva già da tanto, tanto tempo nella luce del sole, nelle nuvole, nell'albero e in se stesso. Comprendendo che quella foglia non era mai nata, comprese che anche lui non era mai nato. Entrambi, la foglia e lui stesso, si erano semplicemente manifestati. Poiché non erano mai nati, non potevano morire. Questa visione profonda dissolse le idee di nascita e morte, di comparsa e scomparsa; e il vero volto della foglia, assieme al suo stesso volto, divennero manifesti. Vide che è l'esistenza di ciascun fenomeno a rendere possibile l'esistenza di tutti gli altri fenomeni. L'uno contiene il tutto, e il tutto è contenuto nell'uno.
La foglia e il suo corpo erano una cosa sola. Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva essere indipendente dal resto dell'universo. Vedendo la natura interdipendente di tutti i fenomeni, Siddhartha ne vide perciò la natura vuota: tutte le cose sono vuote di un sé separato e isolato. Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell'interdipendenza e del non sé. Le nuvole correvano nel cielo, come uno sfondo bianco dietro la foglia traslucida di pippala. Forse quella sera stessa, incontrando una corrente fredda, le nuvole si sarebbero trasformate in pioggia. Le nuvole erano una manifestazione, e la pioggia un'altra manifestazione. Le nuvole, che non erano mai nate, non sarebbero mai morte. Se le nuvole potessero capirlo, pensò Gautama, avrebbero certo cantato di gioia cadendo sotto forma di pioggia sulle montagne, le foreste e le risaie.
tra le varie differenze con le altre religioni che ricordo brevemente:
- Non vi è alcun Dio onnipotente nel Buddismo per il semplice fatto che non potrebbe esistere, non esiste alcuna entità in grado di giudicare e distribuire ricompense o punizioni, non esiste nessun giorno del giudizio;
- Il Buddhismo non è una religione intesa come fede e culto ad un essere soprannaturale;
- Nessun concetto di Salvatore nel Buddhismo. Il Buddha non è un salvatore e anche se un buddhista cerca rifugio in lui, come guida incomparabile nella via della purezza, non è servile nei suoi confronti. Un buddhista è consapevole che egli non può ottenere la purezza semplicemente cercando rifugio nel Buddha o per un semplice atto di fede. Non è nel potere di un Buddha lavare le impurità degli altri;
- Buddha non è l'incarnazione di un Dio. La relazione tra Buddha e i suoi discepoli è quella di insegnante/studente;
- La liberazione di se stessi è unica responsabilità di se stessi. Il Buddhismo non richiede una fede cieca ed indiscutibile, bensì richiede fiducia in se stessi, auto-disciplina sforzo individuale ed analisi;
- Prendere rifugio nella Triplice gemma (Buddha, Dharma e Sangha) non significa auto-abbandono o affidamento totale su una agenti esterni per un aiuto o per la salvezza;
- Il Dharma esiste indipendentemente dal Buddha. Siddharta Sakyamuni il Buddha storico ha scoperto e condiviso gli insegnamenti e le verità universali con tutti gli esseri senzienti, non è né il creatore di tali insegnamenti, né il profeta di un Dio onnipotente per trasmettere tali insegnamenti;
- Nel Buddhismo tutti gli esseri senzienti hanno la Natura di Buddha. Pertanto tutti possono diventare un Buddha a tempo debito, se si pratica con diligenza e si raggiunge la purezza della mente;
- Nel buddhismo l'obiettivo finale è l'illuminazione e la liberazione dal samsara, piuttosto che andare in un luogo quale il paradiso;
- Il karma è un capisaldo e riguarda il concetto metafisico sulla correlazione tra le proprie azioni e le loro conseguenze, sul mistero del cosiddetto destino e della predestinazione, in ultimo anche sulla disuguaglianza evidente del genere umano.
- Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo.
penso che la piu' bella e piu' importante sia il concetto di vacuità:
La vacuità è fonte di liberazione per il praticante, perché attraverso la meditazione sulla stessa, l'individuo realizza un graduale distacco dal proprio egocentrismo. E' importante però non limitarsi ad una mera comprensione intellettuale, ma cercare invece di praticarlo quotidianamente anche se molto difficile.
Per definizione, la vacuità è l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni, intendendo qui per fenomeni sia la realtà sensibile sia i diversi aspetti dell'Io umano.
e qui, anche grazie all'aiuto delle neuroscienze viene il bello...
Tutti i fenomeni hanno due modi di esistere; il primo è un modo di esistere convenzionale, così come è percepito dai nostri sensi ordinari, mentre il secondo è la vacuità di esistenza intrinseca.
Quel sè illusorio che nasce nella nostra mente, che le neuroscienze definiscono come "sensazione" essenziale e prodotta dal nostro cervello per mettersi in relazione con l'ambiente esterno è, quando compresa, di una bellezza unica. La spiegazione finale e la cessazione di ogni turbamento.
ora la domanda... quando viene compresa la vacuità penso (forse erroneamente) che il resto degli insegnamenti perda di importanza (se non di significato) o qualcosa mi sfugge ?
ciao :)
Io rispetto i Buddisti e i loro insegnamenti che impediscono all'uomo di scivolare nell'iniquità e aiutano a migliorarsi, ma non vanno oltre un certo livello perché manca la conoscenza della verità tutt'intera. Il Mistero umano non è nella mente ma nel cuore. La differenza fra Buddismo e cristianesimo è che il primo s'interessa principalmente della mente mentre il secondo si occupa del cuore che è l'unico modo per miglioraci in modo risolutivo, ciò che si chiama salvezza.
@bluemax scrive:
ora la domanda... quando viene compresa la vacuità penso (forse erroneamente) che il resto degli insegnamenti perda di importanza (se non di significato) o qualcosa mi sfugge ?
Perdono di importanza e di significato se si raggiunge la buddhità (Nibbana). Ma le cause dell'attaccamento alle idee condizionate non si esaurisce semplicemente con la comprensione intellettuale del concetto di vacuità. Pertanto, come giustamente scrivi:
E' importante però non limitarsi ad una mera comprensione intellettuale, ma cercare invece di praticarlo quotidianamente anche se molto difficile.
Il concetto compreso di "vacuità ( shunyata) dovrebbe spingere alla pratica della realizzazione esistenziale , se così si può dire, della condizione. Il rischio è di diventare degli "adoratori" della vacuità. Ovviamente questo sarebbe un assurdo dal punto di vista del Dhamma...
Quando , nel sutra del Cuore, il bodhisattva Avalokiteshvara si rivolge al mio omonimo Sariputra rivela: "Forma è vuoto, vuoto è forma. Così anche per i quattro restanti skandha".
Normalmente si mette l'accento sulla prima parte ( forma è vacuità di forma), ma bisogna considerare anche la seconda parte (La vacuità è forma). Questo per non cadere in due errori basilari: ritenere che la vacuità esista indipendentemente dalla forma (questo porterebbe all'estremo positivo dell'eternalismo, darebbe uno statuto ontologico alla vacuità) e quello di ritenere che la forma venga annientata dalla sua vacuità ( quest'altro porterebbe all'estremo negativo del nichilismo, ambedue chiaramente rigettati dal Buddha come concezioni erronee della realtà). La vacuità è essa stessa priva di esistenza intrinseca, infatti se ne può parlare solo in rapporto alla forma: se non c'è forma , non può esserci vacuità della forma. L'aspetto più problematico è l'aspetto paradossale o "illogico" del concetto di Shunyata. Come può un elemento della realtà essere e non-essere nello stesso identico istante? Per risolvere, o almeno mitigare questo dilemma, dobbiamo tenere bene a mente che la concezione intellettuale della Vacuità non è la Vacuità di per sé. La prima è un'astrazione proiettata e creata dalla mente degli uomini, mentre la seconda è un'esperienza diretta in cui ci si imbatte nell'Illuminazione. questo significa che la Shunyata concettuale è enormemente differente dalla Shunyata esistenziale. Possiamo crearci un concetto di Shunyata, ma non possiamo percepire direttamente la Shunyata in sè mediante la concettualizzazione. Se anche sembra che il concetto di Vacuità sia in contrasto con quello di Essere ( bhava ), la Shunyata in sé non è in opposizione con gli esseri.
Se la Shunyata fosse qualcosa si potrebbe dire che è in opposizione a qualcos'altro, ma siccome la Shunyata non è per niente un "qualcosa", come potrebbe essere in opposizione o in contraddizione a qualcosa? "La forma è vuoto e il vuoto è forma" è una descrizione di una realtà esistenziale, non una teoria filosofica astratta. Quando il bodhisattva Avalokiteshvara dice "la forma è vuoto", non ha intenzione di dare a chi lo ascolta un'idea o un concetto; tenta solamente di riferire, con i limiti strutturali del linguaggio, un'esperienza di prima mano assai, assai difficile da descrivere. Dal momento che tutti i nostri concetti sono per natura limitati dal linguaggio stesso, qualsiasi concetto di Vacuità fallisce necessariamente il suo scopo. Così si finisce che la formulazione di un concetto di Shunyata annulla di solito il suo fine. Per questo i "saggi illuminati" rimangono in silenzio... :)
Come possiamo fare per non considerare la vacuità un qualcosa ? La difficoltà mi pare inevitabile e può essere smantellata solo tramite realizzazioni dirette, esistenziali della vera vacuità. Però aggiungerei che, anche se la Shunyata non è di per sé un concetto, farsi un concetto della stessa può aiutare a colpire un bersaglio altrimenti irraggiungibile. Ovviamente, anche qui, come la famosa zattera che ci porta all'altra riva, va abbandonato una volta che si è centrato il bersaglio...
Nel suo fondamentale trattato Madhyamika-Karika (13.7), Nagarjuna dice:
Se ci fosse una cosa che è non-vuota,
Allora ci dovrebbe essere qualcosa che è vuoto.
Dal momento che niente è non-vuoto,
Come ci potrebbe essere una cosa vuota?
I Vittoriosi affermano la Vacuità
Allo scopo di rifiutare tutti i punti di vista;
Colui il quale afferma che c'é una Vacuità
Tutti i Buddha lo diranno incurabile.
Citazione di: giona2068 il 07 Dicembre 2016, 11:20:37 AM
Io rispetto i Buddisti e i loro insegnamenti che impediscono all'uomo di scivolare nell'iniquità e aiutano a migliorarsi, ma non vanno oltre un certo livello perché manca la conoscenza della verità tutt'intera. Il Mistero umano non è nella mente ma nel cuore. La differenza fra Buddismo e cristianesimo è che il primo s'interessa principalmente della mente mentre il secondo si occupa del cuore che è l'unico modo per miglioraci in modo risolutivo, ciò che si chiama salvezza.
ciao... io rispetto moltissimo ogni tipo di religione e sono stato cattolico prima di essere buddista.
Motivo per cui la domanda non era improntata su quale religione è la migliore anche se ho volutamente sottolinearne le differenza ma, Essendo stato (forzosamente) cattolico, e poi evoluto nel buddismo (evoluto naturalmente è soggettivo) posso dirti che la mente, nel buddismo, comprende anche cio' che nel cristianesimo viene definito "cuore".
grazie comunque della tua risposta :) te ne sono grato
Citazione di: Sariputra il 07 Dicembre 2016, 15:54:12 PM
@bluemax scrive:
ora la domanda... quando viene compresa la vacuità penso (forse erroneamente) che il resto degli insegnamenti perda di importanza (se non di significato) o qualcosa mi sfugge ?
Perdono di importanza e di significato se si raggiunge la buddhità (Nibbana). Ma le cause dell'attaccamento alle idee condizionate non si esaurisce semplicemente con la comprensione intellettuale del concetto di vacuità. Pertanto, come giustamente scrivi:
E' importante però non limitarsi ad una mera comprensione intellettuale, ma cercare invece di praticarlo quotidianamente anche se molto difficile.
Il concetto compreso di "vacuità ( shunyata) dovrebbe spingere alla pratica della realizzazione esistenziale , se così si può dire, della condizione. Il rischio è di diventare degli "adoratori" della vacuità. Ovviamente questo sarebbe un assurdo dal punto di vista del Dhamma...
Quando , nel sutra del Cuore, il bodhisattva Avalokiteshvara si rivolge al mio omonimo Sariputra rivela: "Forma è vuoto, vuoto è forma. Così anche per i quattro restanti skandha".
Normalmente si mette l'accento sulla prima parte ( forma è vacuità di forma), ma bisogna considerare anche la seconda parte (La vacuità è forma). Questo per non cadere in due errori basilari: ritenere che la vacuità esista indipendentemente dalla forma (questo porterebbe all'estremo positivo dell'eternalismo, darebbe uno statuto ontologico alla vacuità) e quello di ritenere che la forma venga annientata dalla sua vacuità ( quest'altro porterebbe all'estremo negativo del nichilismo, ambedue chiaramente rigettati dal Buddha come concezioni erronee della realtà). La vacuità è essa stessa priva di esistenza intrinseca, infatti se ne può parlare solo in rapporto alla forma: se non c'è forma , non può esserci vacuità della forma. L'aspetto più problematico è l'aspetto paradossale o "illogico" del concetto di Shunyata. Come può un elemento della realtà essere e non-essere nello stesso identico istante? Per risolvere, o almeno mitigare questo dilemma, dobbiamo tenere bene a mente che la concezione intellettuale della Vacuità non è la Vacuità di per sé. La prima è un'astrazione proiettata e creata dalla mente degli uomini, mentre la seconda è un'esperienza diretta in cui ci si imbatte nell'Illuminazione. questo significa che la Shunyata concettuale è enormemente differente dalla Shunyata esistenziale. Possiamo crearci un concetto di Shunyata, ma non possiamo percepire direttamente la Shunyata in sè mediante la concettualizzazione. Se anche sembra che il concetto di Vacuità sia in contrasto con quello di Essere ( bhava ), la Shunyata in sé non è in opposizione con gli esseri.
Se la Shunyata fosse qualcosa si potrebbe dire che è in opposizione a qualcos'altro, ma siccome la Shunyata non è per niente un "qualcosa", come potrebbe essere in opposizione o in contraddizione a qualcosa? "La forma è vuoto e il vuoto è forma" è una descrizione di una realtà esistenziale, non una teoria filosofica astratta. Quando il bodhisattva Avalokiteshvara dice "la forma è vuoto", non ha intenzione di dare a chi lo ascolta un'idea o un concetto; tenta solamente di riferire, con i limiti strutturali del linguaggio, un'esperienza di prima mano assai, assai difficile da descrivere. Dal momento che tutti i nostri concetti sono per natura limitati dal linguaggio stesso, qualsiasi concetto di Vacuità fallisce necessariamente il suo scopo. Così si finisce che la formulazione di un concetto di Shunyata annulla di solito il suo fine. Per questo i "saggi illuminati" rimangono in silenzio... :)
Come possiamo fare per non considerare la vacuità un qualcosa ? La difficoltà mi pare inevitabile e può essere smantellata solo tramite realizzazioni dirette, esistenziali della vera vacuità. Però aggiungerei che, anche se la Shunyata non è di per sé un concetto, farsi un concetto della stessa può aiutare a colpire un bersaglio altrimenti irraggiungibile. Ovviamente, anche qui, come la famosa zattera che ci porta all'altra riva, va abbandonato una volta che si è centrato il bersaglio...
Nel suo fondamentale trattato Madhyamika-Karika (13.7), Nagarjuna dice:
Se ci fosse una cosa che è non-vuota,
Allora ci dovrebbe essere qualcosa che è vuoto.
Dal momento che niente è non-vuoto,
Come ci potrebbe essere una cosa vuota?
I Vittoriosi affermano la Vacuità
Allo scopo di rifiutare tutti i punti di vista;
Colui il quale afferma che c'é una Vacuità
Tutti i Buddha lo diranno incurabile.
ti ringrazio tantissimo per la tua risposta... effettivamente ha aggiunto piccoli tasselli alla con - prensione di tale concetto.
cosa ne pensi per quanto riguarda il concetto di vacuità del sè ? Se posso chiedertelo ?
Effettivamente le neuroscienze hanno ormai confermato che la coscienza e la sensazione di "io" sono mere illusioni del cervello... questo significa che quell' io a cui siamo tanto attaccati è illusione necessaria per compiere le funzioni basilari biologiche e preservare la salute delle "cellule" che compongono i nostri "AGGREGATI" psico-fisici.
Sorge quindi una nuova domanda...
dato che quell' IO è illusione e dato che tutta la realtà percepita è fondamentalmente limitata dalla nostra mente che non riesce a vedere come un qualcosa di "manifesto" e non come "oggetto". Puo' darsi che la "speranza" di una rinascita (diverso da reincarnazione) sia sempre una illusione dell' IO che non vuole "cessare" in quanto necessario al nostro cervello ?
Ti diro'... quando ho compreso l'illusione dell' io ho passato istanti terribili... ho ancora il ricordo... mi è tremata per un attimo la terra sotto i piedi, mi sono sentito svenire, un terremoto cerebrale mai provato prima... seguito istantaneamente dal puro PANICO per qualche minuto...
Poi... una tranquillità estrema... un abbandono a quel che è stupendo... una pace mai provata prima... :) ho pensato che in fondo... se l'io è illusione, come gli studi confermano, non vi è nulla di piu' 'piacevole' al mondo di questa situazione dove io sono il semplice risultato di cause e condizioni e cosi' i miei pensieri... ecc... ecc....
difficilissimo da spiegare, anzi scusami... arrivo alla domanda...
quindi puo' essere che il concetto di "rinascita" sia una forma di EGO che vuole sopravvivere ? Ti spiego perchè dopo aver provato quella comprensione per qualche minuto, sinceramente non è piu' importante che vi sia qualcosa come la rinascita o simile... va bene cosi'... :)
ciao e spero di essermi spiegato :) (scrivo di fretta)
Citazione di: bluemax il 07 Dicembre 2016, 16:33:03 PM
Citazione di: giona2068 il 07 Dicembre 2016, 11:20:37 AM
Io rispetto i Buddisti e i loro insegnamenti che impediscono all'uomo di scivolare nell'iniquità e aiutano a migliorarsi, ma non vanno oltre un certo livello perché manca la conoscenza della verità tutt'intera. Il Mistero umano non è nella mente ma nel cuore. La differenza fra Buddismo e cristianesimo è che il primo s'interessa principalmente della mente mentre il secondo si occupa del cuore che è l'unico modo per miglioraci in modo risolutivo, ciò che si chiama salvezza.
ciao... io rispetto moltissimo ogni tipo di religione e sono stato cattolico prima di essere buddista.
Motivo per cui la domanda non era improntata su quale religione è la migliore anche se ho volutamente sottolinearne le differenza ma, Essendo stato (forzosamente) cattolico, e poi evoluto nel buddismo (evoluto naturalmente è soggettivo) posso dirti che la mente, nel buddismo, comprende anche cio' che nel cristianesimo viene definito "cuore".
grazie comunque della tua risposta :) te ne sono grato
Se la mente comprende anche il cuore, il che da quel poco che conosco non mi risulta, come si fa a sapere che se stiamo credendo come idea o se stiamo credendo con tutto il cuore?
La mente è il cuore sono due cose diametralmente opposte. Il cuore è il Signore Dio nell'uomo, mentre la mente in larga parte è satana nell'uomo.
In ogni caso proprio in questi giorni stiamo facendo degli incontri per stabilire se il sapere sia sufficiente per cambiare e la scoperta, non per me, è che se non ho il potere sul mio volere non riesco a vivere ciò che conosco. Infatti il peccato si impossessa della volontà della persona e lo rende schiavo impedendogli di fare quello che vorrebbe. L'illuminazione al quale il buddismo tende è praticamente un'idea che non sarà mai realizzata. Per questo occorre un aiuto divino che nel cristianesimo si chiama salvatore.
Avere fiducia in se stessi è fondamentale perché chi non ha fiducia in se stesso è praticamente un malato di mente, ma guai a confidare in noi stessi perché non vinceremo mai. La differenza fra avere fiducia in se stessi e confidare in se stessi consiste in questo: Nel primo caso ho la certezza che sono capace di essere strumento del Signore Dio, nel secondo caso, confidare, invece sono certo che con il Suo aiuto tutto per me è possibile se mi metto all'opera.
Questa seconda parte manca nel buddismo! Essa viene sostituita da me che aiuta me stesso.
Il risultato è che l'uomo rimane molto limitato.
Non è scritto da nessuna parte, ma sono convinto che ad ogni popolo il Signore Dio, comunque Lo si chiami, abbia dato un insegnamento adatto al suo karma, per cui il nostro Karma mal si adatta all'insegnamento data a chi ha un karma diverso dal nostro perché vive in un area con storie, tradizioni ed errori diversi.
** scritto da bluemax:
CitazioneEffettivamente le neuroscienze hanno ormai confermato che la coscienza e la sensazione di "io" sono mere illusioni del cervello...
"Il cuore ha le sue ragioni che la ragione ( o l'illusione del cervello)
non conosce". E questo vale anche per i neuroscienziati! :D
Citazione di: bluemax il 07 Dicembre 2016, 16:45:14 PM
CitazioneSto cercando di seguire questa discussione per cercare in qualche modo di conoscere qualcosa di "buddismo", dato che purtroppo sono del tutto digiuno di filosofia (e in generale di cultura) orientale (o per meglio dire: "non-occidentale"); in questo stimolato, grazie a questo forum, dalla conoscenza, sia pure meramente "virtuale" e comunque limitatissima, di una persona che mi fa un' ottima impressione di intelligenza, modestia, "leggerezza interiore" (nel senso del "non prendersi troppo sul serio") ma allo stesso tempo profondità di interessi e di pensiero: il "nostro" Sariputra (scrivo questo senza tema di passare per un viscido adulatore per il semplice fatto che i miei interventi nel forum di filosofia, spesso duramente polemici e del tutto privi di zuccherosa diplomazia, per chi li abbia letti o volesse farlo testimoniano il mio essere in proposito al di sopra di ogni sospetto; mi aspetto una tirata di orecchi dal buon Sari, che potrei senza volerlo aver messo un po' in imbarazzo con questa sviolinata, ma non so che farci: mi é proprio venuta "dal cuore". Spero anche di non contravvenire una qualche regola del forum; confesso di non averle lette interamente).
Fra l' altro trovo le tue (di Bulemax) considerazioni in questa discussione sulla mera apparenza fenomenica e non "realtà in sé, indipendentemente dall' accadere del suo essere sentito" di tutto ciò che può essere percepito, sensibilmente constatato o rilevato, "avvertito", sia di esteriore-materiale ("mondo" esterno", "non-io"), sia di "interiore-mentale" ("mondo interno", "io"), cioé (se ben ti intendo) sulla "vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni [...] Questo vale anche per la mente)", che costituisce, secondo le tue parole, un "capisaldo del buddismo".
Se ben ti intendo, queste affermazioni concordano pienamente con quanto credo per parte mia, essendo convinto di seguire in questo soprattutto gli insegnamenti del grande filosofo scozzese David Hume (e anche limitatamente, solo per certi aspetti e non per punti fondamentali delle loro rispettive filosofie, Berkeley, Kant e soprattutto Spinoza).
Tuttavia mi chiedo come si fa a d affermare che:
Effettivamente le neuroscienze hanno ormai confermato che la coscienza e la sensazione di "io" sono mere illusioni del cervello... questo significa che quell' io a cui siamo tanto attaccati è illusione necessaria per compiere le funzioni basilari biologiche e preservare la salute delle "cellule" che compongono i nostri "AGGREGATI" psico-fisici.
Citazionele neuroscienze studiano il cervello comprese le sue necessarie correlazioni con i fatti di coscienza.
Ma questi ultimi in linea di principio potrebbero anche non accadere affatto e il funzionamento del cervello, così come tutto il resto della natura materiale di cui esso fa parte e che le scienze naturali -in particolare le neuroscienze- studiano accadrebbe esattamente così come accade (essendo inoltre di fatto, ma non necessariamente in linea di principio, accompagnato, in talune sue determinate evenienze, dalla coscienza): come ha notato il filosofo australiano David Chalmers, qualcuno o anche tutti gli altri uomini con cui abbiamo a che fare potrebbero in linea teorica, di principio, essere dei meri zombi privi di coscienza, e non potremmo accorgercene in alcun modo, nulla di nulla cambierebbe per le neuroscienze.
Qui "finiscono le neuroscienze" (non é poco, ma le loro "competenze" di scienze naturali volte alla conoscenza scientifica dei dati empirici del mondo fisico, non si estendono a eventuali -e sempre più che lecite, ovviamente- "elucubrazioni ulteriori" di natura metafisica).
La filosofia ci può fare ipotizzare (ed eventualmente credere; ci può indurre a considerare, non dimostrare) che le sensazioni interiori o mentali siano manifestazioni fenomeniche a un soggetto in sé delle sensazioni in generale -l' "io"- di un oggetto a sua volta costituito dal, o coincidente con il, soggetto stesso; e che le sensazioni esteriori o materiali siano manifestazioni fenomeniche al soggetto in sé delle sensazioni in generale -sempre l' "io"- di oggetti in sé dal soggetto stesso diversi, distinti, altri.
Ma le sensazioni interiori o mentali (le manifestazioni fenomeniche dell' oggetto in sé "io") sono comunque altrettanto reali (nè più, né meno) di quelle esteriori o materiali, delle quali fanno parte i cervelli (le manifestazioni fenomeniche di oggetti in sé "diversi, altri dall' io"). Cioé esattamente allo stesso modo sono reali unicamente come insiemi e successioni di enti ed eventi fenomenici reali unicamente in quanto tali, cioé unicamente se e quando e fintanto che accadono in quanto insiemi e successioni di sensazioni.
Il cervello (il quale é reale nelle esperienze coscienti di chi -direttamente o indirettamente- lo esperisce empiricamente; e non viceversa: le esperienze coscienti non sono reali nei cervelli, contrariamente a neuroni, assoni, potenziali d' azioni, eccitazioni e inibizioni trans.-sinaptiche, ecc.: ben altre cose!) é "illusione fenomenica, apparenza sensibile esattamente come (né più né meno de-) i pensieri, i sentimenti, desideri, appagamenti e non appagamenti di desideri, ecc.
E la coscienza e l' autocoscienza che accompagna il funzionamento dei cervelli (unicamente di quelli umani, secondo me, per quanto riguarda l' autocoscienza) non ha alcuna funzione biologica evolutivamente spiegabile, contrariamente ai fatti meramente materiali della neurofisiologia (del funzionamento dei cervelli) che ad essa necessariamente si accompagnano e biunivocamente corrispondono (ma anche viceversa).
Dopo le belle parole, immeritate, spese dall'amico Sgiombo, a cui ovviamente risponderò e ringrazierò in separata sede, e ancora in stato... confusionale :o cerco di rispondere al quesito postomi da bluemax su rinascita ed ego...
La domanda è: Se non ci sono , secondo la visione buddhista, né il sè né un'anima, chi o che cosa rinasce? Chi o che cosa trae beneficio o danno dai frutti delle azioni?
Fondamentalmente, secondo la mia opinione, non c'è nessuno che rinasca e nessuno che goda dei frutti delle azioni. Ciò che ri-nasce, in continuazione ( e lo possiamo già sperimentare nella nostra vita) è il desiderio e conseguente attaccamento. Il "processo" della rinascita non appartiene a nessuno, è solo un processo causato da condizioni. La comprensione di questo processo si ritrova nella teoria degli anelli della produzione condizionata ( paticcasammupada). Non mi addentro nel territorio minato dell'esperienza della rinascita, che molti bambini dicono , o a cui sembra di ricordare, aver sperimentato. Questi "ricordi" che tendono a sparire intorno ai 5-6 anni di vita sono oggetto di studio da parte di psichiatri che praticano l'ipnosi regressiva. Il più famoso è J.B. Tucker che ha esaminato migliaia di questi casi e fatto tutte le necessarie verifiche e che parla di "prove concrete della sopravvivenza di emozioni umane ( ricordi) in presenza di specifiche circostanze ( soprattutto nel caso di morti improvvise o violente...). Un giorno forse racconterò la storia vera di Katsugoru e di Tozo. Personalmente non prendo posizione su queste cose e mi limito ( come faccio sempre... :) ) a citare il sommo poeta :
Ci sono più cose, in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia (Amleto).
Sorrise e levò lo sguardo a una foglia di pippala stagliata contro il cielo azzurro, la cui punta ondeggiava verso di lui come se lo chiamasse. Osservandola in profondità, Gautama vi distinse chiaramente la presenza del sole e delle stelle; perché senza sole, senza luce e calore, quella foglia non sarebbe esistita. Questo è in questo modo, perché quello è in quel modo. Anche le nuvole vide nella foglia, perché senza nuvole non c'è la pioggia e, senza pioggia, quella foglia non poteva esistere. E vide la terra, il tempo, lo spazio, la mente: tutti presenti nella foglia. In verità, in quel momento preciso, l'universo intero si manifestava nella foglia. La realtà della foglia era un miracolo stupefacente.
Generalmente si pensa che una foglia sia nata a primavera, ma Gautama vide che esisteva già da tanto, tanto tempo nella luce del sole, nelle nuvole, nell'albero e in se stesso. Comprendendo che quella foglia non era mai nata, comprese che anche lui non era mai nato. Entrambi, la foglia e lui stesso, si erano semplicemente manifestati. Poiché non erano mai nati, non potevano morire. Questa visione profonda dissolse le idee di nascita e morte, di comparsa e scomparsa; e il vero volto della foglia, assieme al suo stesso volto, divennero manifesti. Vide che è l'esistenza di ciascun fenomeno a rendere possibile l'esistenza di tutti gli altri fenomeni. L'uno contiene il tutto, e il tutto è contenuto nell'uno.
La foglia e il suo corpo erano una cosa sola. Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva essere indipendente dal resto dell'universo. Vedendo la natura interdipendente di tutti i fenomeni, Siddhartha ne vide perciò la natura vuota: tutte le cose sono vuote di un sé separato e isolato. Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell'interdipendenza e del non sé. Le nuvole correvano nel cielo, come uno sfondo bianco dietro la foglia traslucida di pippala. Forse quella sera stessa, incontrando una corrente fredda, le nuvole si sarebbero trasformate in pioggia. Le nuvole erano una manifestazione, e la pioggia un'altra manifestazione. Le nuvole, che non erano mai nate, non sarebbero mai morte. Se le nuvole potessero capirlo, pensò Gautama, avrebbero certo cantato di gioia cadendo sotto forma di pioggia sulle montagne, le foreste e le risaie.
secondo me questo passo qui sopra e' davvero illuminante e mi riesce difficile pensare che non sia stato il "cuore" ad intervenire per arrivare ad una tale consapevolezza.
credo che questo vada ben oltre le nostre etichette e le nostre "appartenenze"
"La foglia e il suo corpo erano due cose distinte. Entrambi i due possedevano un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva essere dipendente dal resto dell'universo. Vedendo la natura indipendente di tutti i fenomeni, ne vide perciò la natura piena: tutte le cose sono piene di un sé separato e isolato. Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell'indipendenza e del sé. Le nuvole correvano nel cielo, come uno sfondo bianco dietro la foglia traslucida di pippala. Forse quella sera stessa, incontrando una corrente fredda, le nuvole si sarebbero trasformate in pioggia. Le nuvole erano una manifestazione, e la pioggia un'altra manifestazione. Le nuvole, che erano nate, sarebbero morte. Se le nuvole potessero capirlo, pensò, avrebbero certo cantato di gioia cadendo sotto forma di pioggia sulle montagne, le foreste e le risaie."
Un cambio di prospettiva possibile.
Citazione di: baylham il 08 Dicembre 2016, 09:31:52 AM
"La foglia e il suo corpo erano due cose distinte. Entrambi i due possedevano un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva essere dipendente dal resto dell'universo. Vedendo la natura indipendente di tutti i fenomeni, ne vide perciò la natura piena: tutte le cose sono piene di un sé separato e isolato. Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell'indipendenza e del sé. Le nuvole correvano nel cielo, come uno sfondo bianco dietro la foglia traslucida di pippala. Forse quella sera stessa, incontrando una corrente fredda, le nuvole si sarebbero trasformate in pioggia. Le nuvole erano una manifestazione, e la pioggia un'altra manifestazione. Le nuvole, che erano nate, sarebbero morte. Se le nuvole potessero capirlo, pensò, avrebbero certo cantato di gioia cadendo sotto forma di pioggia sulle montagne, le foreste e le risaie."
Un cambio di prospettiva possibile.
Teoricamente possibile, ma realistica quanto affermare in matematica che 1+1 = 3. Con le parole si può dire tutto, ma poi questo deve avere un riscontro nella realtà altrimenti è puro verbalismo, e le parole si trasformano da simboli in meri suoni, puro rumore.
Citazione di: donquixote il 08 Dicembre 2016, 10:48:20 AM
Citazione di: baylham il 08 Dicembre 2016, 09:31:52 AM
"La foglia e il suo corpo erano due cose distinte. Entrambi i due possedevano un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva essere dipendente dal resto dell'universo. Vedendo la natura indipendente di tutti i fenomeni, ne vide perciò la natura piena: tutte le cose sono piene di un sé separato e isolato. Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell'indipendenza e del sé. Le nuvole correvano nel cielo, come uno sfondo bianco dietro la foglia traslucida di pippala. Forse quella sera stessa, incontrando una corrente fredda, le nuvole si sarebbero trasformate in pioggia. Le nuvole erano una manifestazione, e la pioggia un'altra manifestazione. Le nuvole, che erano nate, sarebbero morte. Se le nuvole potessero capirlo, pensò, avrebbero certo cantato di gioia cadendo sotto forma di pioggia sulle montagne, le foreste e le risaie."
Un cambio di prospettiva possibile.
Teoricamente possibile, ma realistica quanto affermare in matematica che 1+1 = 3. Con le parole si può dire tutto, ma poi questo deve avere un riscontro nella realtà altrimenti è puro verbalismo, e le parole si trasformano da simboli in meri suoni, puro rumore.
D'accordo, ma la stessa obiezione può essere rivolta al testo originario : "La foglia e il suo corpo erano una cosa sola." equivale ad affermare che 1+1= 3.
Citazione di: baylham il 08 Dicembre 2016, 10:54:16 AMD'accordo, ma la stessa obiezione può essere rivolta al testo originario : "La foglia e il suo corpo erano una cosa sola." equivale ad affermare che 1+1= 3.
Non è così, perchè
essenzialmente quella è una affermazione vera, ovvero l'essenza del suo corpo e quella della foglia è la medesima. La parola che simboleggia qualcosa di non immediatamente percepibile dai sensi o la frase non immediatamente verificabile in maniera istintiva o addirittura apparentemente contraddittoria necessita di una concentrazione particolare per essere compresa nel suo senso effettivo. Tornando all'esempio della matematica anche un bambino comprende che 1+1 = 3 è un errore, ma se io trasformo gli addendi e la somma in complicatissime e lunghissime equazioni sarà molto più difficile sia identificare gli addendi che verificare se la loro somma è sbagliata.
Citazione di: donquixote il 08 Dicembre 2016, 11:23:01 AM
Citazione di: baylham il 08 Dicembre 2016, 10:54:16 AMD'accordo, ma la stessa obiezione può essere rivolta al testo originario : "La foglia e il suo corpo erano una cosa sola." equivale ad affermare che 1+1= 3.
Non è così, perchè essenzialmente quella è una affermazione vera, ovvero l'essenza del suo corpo e quella della foglia è la medesima. La parola che simboleggia qualcosa di non immediatamente percepibile dai sensi o la frase non immediatamente verificabile in maniera istintiva o addirittura apparentemente contraddittoria necessita di una concentrazione particolare per essere compresa nel suo senso effettivo. Tornando all'esempio della matematica anche un bambino comprende che 1+1 = 3 è un errore, ma se io trasformo gli addendi e la somma in complicatissime e lunghissime equazioni sarà molto più difficile sia identificare gli addendi che verificare se la loro somma è sbagliata.
Ma è vero anche il contrario, che l'essenza del suo corpo e quella della foglia sono diverse. Ed è altrettanto, se non più, realistico e ragionevole.
Non insisto oltre, ho contrapposto ad una visione che ritengo parziale il suo opposto, ma ritengo che la distinzione, la differenza sia più essenziale dell'indistinzione, dell'indifferenza.
Citazione di: baylham il 08 Dicembre 2016, 11:57:10 AMMa è vero anche il contrario, che l'essenza del suo corpo e quella della foglia sono diverse. Ed è altrettanto, se non più, realistico e ragionevole. Non insisto oltre, ho contrapposto ad una visione che ritengo parziale il suo opposto, ma ritengo che la distinzione, la differenza sia più essenziale dell'indistinzione, dell'indifferenza.
Mi rendo conto che può apparire capzioso insistere su questo punto, poichè è evidente che pur parlando la stessa lingua attribuiamo alle parole un significato o un'importanza diversi ed è quindi difficile intendersi. Comunque l'
apparenza del corpo e della foglia è diversa mentre l'
essenza è la medesima.
Citazione di: sgiombo il 07 Dicembre 2016, 22:07:50 PM
Citazione di: bluemax il 07 Dicembre 2016, 16:45:14 PMCitazione
le neuroscienze studiano il cervello comprese le sue necessarie correlazioni con i fatti di coscienza.
Ma questi ultimi in linea di principio potrebbero anche non accadere affatto e il funzionamento del cervello, così come tutto il resto della natura materiale di cui esso fa parte e che le scienze naturali -in particolare le neuroscienze- studiano accadrebbe esattamente così come accade (essendo inoltre di fatto, ma non necessariamente in linea di principio, accompagnato, in talune sue determinate evenienze, dalla coscienza): come ha notato il filosofo australiano David Chalmers, qualcuno o anche tutti gli altri uomini con cui abbiamo a che fare potrebbero in linea teorica, di principio, essere dei meri zombi privi di coscienza, e non potremmo accorgercene in alcun modo, nulla di nulla cambierebbe per le neuroscienze.
Qui "finiscono le neuroscienze" (non é poco, ma le loro "competenze" di scienze naturali volte alla conoscenza scientifica dei dati empirici del mondo fisico, non si estendono a eventuali -e sempre più che lecite, ovviamente- "elucubrazioni ulteriori" di natura metafisica).
La filosofia ci può fare ipotizzare (ed eventualmente credere; ci può indurre a considerare, non dimostrare) che le sensazioni interiori o mentali siano manifestazioni fenomeniche a un soggetto in sé delle sensazioni in generale -l' "io"- di un oggetto a sua volta costituito dal, o coincidente con il, soggetto stesso; e che le sensazioni esteriori o materiali siano manifestazioni fenomeniche al soggetto in sé delle sensazioni in generale -sempre l' "io"- di oggetti in sé dal soggetto stesso diversi, distinti, altri.
Ma le sensazioni interiori o mentali (le manifestazioni fenomeniche dell' oggetto in sé "io") sono comunque altrettanto reali (nè più, né meno) di quelle esteriori o materiali, delle quali fanno parte i cervelli (le manifestazioni fenomeniche di oggetti in sé "diversi, altri dall' io"). Cioé esattamente allo stesso modo sono reali unicamente come insiemi e successioni di enti ed eventi fenomenici reali unicamente in quanto tali, cioé unicamente se e quando e fintanto che accadono in quanto insiemi e successioni di sensazioni.
Il cervello (il quale é reale nelle esperienze coscienti di chi -direttamente o indirettamente- lo esperisce empiricamente; e non viceversa: le esperienze coscienti non sono reali nei cervelli, contrariamente a neuroni, assoni, potenziali d' azioni, eccitazioni e inibizioni trans.-sinaptiche, ecc.: ben altre cose!) é "illusione fenomenica, apparenza sensibile esattamente come (né più né meno de-) i pensieri, i sentimenti, desideri, appagamenti e non appagamenti di desideri, ecc.
E la coscienza e l' autocoscienza che accompagna il funzionamento dei cervelli (unicamente di quelli umani, secondo me, per quanto riguarda l' autocoscienza) non ha alcuna funzione biologica evolutivamente spiegabile, contrariamente ai fatti meramente materiali della neurofisiologia (del funzionamento dei cervelli) che ad essa necessariamente si accompagnano e biunivocamente corrispondono (ma anche viceversa).
ciao :)
c'è un bellissimo libro uscito da poco si intitola "il cervello come IO" e raccoglie le ultime scoperte in ambito neuroscientifico riguardante lo studio del cervello. E' un libro a dir poco "illuminante".
Spiega molto bene la mancanza del libero arbitrio o meglio... come il cervello si illude di avere la possibilità di compiere una scelta. Parla di come funzione la coscienza... come mai quando dormiamo questa sensazione di coscienza svanisce... e sopratutto affronta quello strano fenomeno che si crea in determinate situazioni (perchè non sempre la coscienza del sè è presente, ad esempio quando dormiamo svanisce totalmente) che ci fa credere di essere "qualcuno".
Vi sono esempi molto calzanti...
la spiegazione è anch'essa di una semplicità estrema.
Il compito del cervello tra le varie cose (quali regolare il battito cardiaco, la temperatura corporea, il respiro ecc... ecc... ) è unicamente quella di favorire le cellule del nostro corpo che lo hanno "eletto" come "governante" (scusami l'esempio poco calzante ma questa cosa viene trattata in diversi capitoli).
Quando il cervello viene INVASO da miriadi di luci e colori (la retina viene sollecitata dai fotoni) durante l'evoluzione si è creato un problema. E' il mondo esterno a "muoversi" (le luci esterne si muovono) oppure è l'occhio o il collo o le gambe che stanno compiendo un movimento quindi siamo "noi" a spostarci ? (praticamente la sensazione che si prova in treno quando vediamo il treno a fianco a noi muoversi. Solo dopo capiamo se siamo noi a muoverci o il treno accanto).
Bene... questo problema evolutivo è stato risolto con la creazione da parte del cervello di un illusorio "IO" da mettere in relazione con il mondo circostante. Se la retina è invasa dalle luci e la sensazione tattile del movimento degli organi non c'è il cervello deduce che è il mondo esterno a muoversi. In caso contrario sono "io" (notare le virgolette) :)
Quando dormiamo ad esempio l' IO scompare... non esiste... ma il cervello continua ugualmente a compiere le sue azioni.
La sensazione di coscienza invece è un po' piu' complessa in quanto è (in poche parole) l'interesezione delle mappe mentali che il cervello usa per svolgere le proprie funzioni. :)
ogni suono, ogni colore che genera una forma, ogni sensazione tattile, ogni gusto usa una MAPPATURA.
beh... ora non voglio farla lunga anche perchè leggo solo libri di neuroscienze, non sono un neuroscenziato (anche se la cosa mi piacerebbe molto :D ) ed in questi libri ci trovo moltissimo degli insegnamenti buddisti.
Unica cosa che non capisco... appunto... è la cosidetta "rinascita" che per quanto mi riguarda non è ne necessaria ne tanto meno logica. e per questo chiedevo a sariputra se questa "voglia" di esistere che ha il proprio IO (che il cervello per funzionare non puo' farne a meno) sia la risposta a questo concetto di "rinascita".
Che per altro, studiando da ormai 12 anni buddismo mahayana, non mi pare che buddah ne abbia mai parlato... :)
ciao :)
** scritto da bluemax:
CitazioneSpiega molto bene la mancanza del libero arbitrio o meglio... come il cervello si illude di avere la possibilità di compiere una scelta.
Dunque se il cervello s'illude, di chi è il merito (giacché la soddisfazione si percepisce, ...eccome!) di aver compiuto una scelta piuttosto che un'altra?
Citazione di: Duc in altum! il 08 Dicembre 2016, 21:56:39 PM
** scritto da bluemax:
CitazioneSpiega molto bene la mancanza del libero arbitrio o meglio... come il cervello si illude di avere la possibilità di compiere una scelta.
Dunque se il cervello s'illude, di chi è il merito (giacché la soddisfazione si percepisce, ...eccome!) di aver compiuto una scelta piuttosto che un'altra?
beh... io per libero arbitrio intendo la possibilità di compiere una scelta differente nelle medesime circostanze spazio-temporali.
La risposta è unanime. Ed è che non vi è alcuna possibilità di fare una scelta differente da quella fatta.
Praticamente, ogni volta che il nostro cervello sceglie (da notare come il nostro "io" illusorio si riferisce al cervello come "a quello" mentre in realtà è proprio il cervello che stà formulando questo ragionamento :) ) non fa altro che "pescare" dalle precedenti esperienze una situazione simile che ha avuto un esito "registrato" come positivo e dopo aver scelto la comunica al proprio "io" vestendola come scelta. Il libero arbitrio è una sorta di "illusione necessaria" per poter migliorare le scelte future. In sostanza, se siamo davanti una scelta es il nostro illusorio io ci suggerisce di prendere la pillola blu anzichè la rossa, in realtà il cervello ha già pescato qualche istante (ma proprio istante) di tempo prima la risposta più adatta basandosi sul subconscio (insieme di ricordi, scelte e risultati effettuati in passato ecc... ecc... ) che ovviamente non è da "noi" controllabile. Soltanto in un secondo momento la decisione (che non è una nostra decisione) ci arriva alla coscienza travestita da libera scelta :)
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PM
ciao :)
c'è un bellissimo libro uscito da poco si intitola "il cervello come IO" e raccoglie le ultime scoperte in ambito neuroscientifico riguardante lo studio del cervello. E' un libro a dir poco "illuminante".
Spiega molto bene la mancanza del libero arbitrio o meglio... come il cervello si illude di avere la possibilità di compiere una scelta. Parla di come funzione la coscienza... come mai quando dormiamo questa sensazione di coscienza svanisce... e sopratutto affronta quello strano fenomeno che si crea in determinate situazioni (perchè non sempre la coscienza del sè è presente, ad esempio quando dormiamo svanisce totalmente) che ci fa credere di essere "qualcuno".
Vi sono esempi molto calzanti...
la spiegazione è anch'essa di una semplicità estrema.
Il compito del cervello tra le varie cose (quali regolare il battito cardiaco, la temperatura corporea, il respiro ecc... ecc... ) è unicamente quella di favorire le cellule del nostro corpo che lo hanno "eletto" come "governante" (scusami l'esempio poco calzante ma questa cosa viene trattata in diversi capitoli).
Quando il cervello viene INVASO da miriadi di luci e colori (la retina viene sollecitata dai fotoni) durante l'evoluzione si è creato un problema. E' il mondo esterno a "muoversi" (le luci esterne si muovono) oppure è l'occhio o il collo o le gambe che stanno compiendo un movimento quindi siamo "noi" a spostarci ? (praticamente la sensazione che si prova in treno quando vediamo il treno a fianco a noi muoversi. Solo dopo capiamo se siamo noi a muoverci o il treno accanto).
Bene... questo problema evolutivo è stato risolto con la creazione da parte del cervello di un illusorio "IO" da mettere in relazione con il mondo circostante. Se la retina è invasa dalle luci e la sensazione tattile del movimento degli organi non c'è il cervello deduce che è il mondo esterno a muoversi. In caso contrario sono "io" (notare le virgolette) :)
Quando dormiamo ad esempio l' IO scompare... non esiste... ma il cervello continua ugualmente a compiere le sue azioni.
La sensazione di coscienza invece è un po' piu' complessa in quanto è (in poche parole) l'interesezione delle mappe mentali che il cervello usa per svolgere le proprie funzioni. :)
ogni suono, ogni colore che genera una forma, ogni sensazione tattile, ogni gusto usa una MAPPATURA.
beh... ora non voglio farla lunga anche perchè leggo solo libri di neuroscienze, non sono un neuroscenziato (anche se la cosa mi piacerebbe molto :D ) ed in questi libri ci trovo moltissimo degli insegnamenti buddisti.
Unica cosa che non capisco... appunto... è la cosidetta "rinascita" che per quanto mi riguarda non è ne necessaria ne tanto meno logica. e per questo chiedevo a sariputra se questa "voglia" di esistere che ha il proprio IO (che il cervello per funzionare non puo' farne a meno) sia la risposta a questo concetto di "rinascita".
Che per altro, studiando da ormai 12 anni buddismo mahayana, non mi pare che buddah ne abbia mai parlato... :)
ciao :)
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PMCiao.
E' evidente che c' è stato un fraintendimento da parte mia.
Infatti avevo inteso la tesi buddista da te accennata in apertura di questa discussione ("Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo") nel senso che, se questo vale anche (e dunque non solo) per la mente, allora vale anche, esattamente allo stesso modo per il mondo materiale, cervello compreso (cioé per tutti i fenomeni, per quelli materiali esattamente come per quelli mentali).
Da quanto scrivi ora evidentemente non è così, dal momento che tu (e con te il buddismo?) ritieni (secondo me erroneamente) i cervelli (e credo, e se segui fino in fondo la Churchland è certamente così, la materia in generale) non affatto "vacui", ovvero privi "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
E' evidente, se segui la Churchland, che per te solo la mente, e non il cervello é "vacua" in questo senso, mentre la materia (che comprende i cervelli) non è affatto priva "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
Mi dispiace per il fraintendimento: " come non detto" ciò che affermavo nel precedente mio intervento.
Non posso però non esimermi dal criticare la Churchland, come anche suo marito, che conosco da altre precedenti letture, poiché ritengo che con il loro monismo materialistico "eliminativista" non abbiano capito nulla del rapporto coscienza/cervello (fra l' altro non essendo neurologi ma filosofi -a mio modesto parere pessimi filosofi- non credo possano raccontarci in maniera particolarmente competente le ultime scoperte ottenutesi in ambito neuroscientifico).
Il cervello è un organo (una "cosa" materiale appartenente a un organismo animale) di circa un chilo e mezzo di peso cui afferiscono segnali elettrici generati negli organi di senso, che tali segnali elabora e in conseguenza di tali afferenze ed elaborazioni di afferenze determina il comportamento dell' animale cui appartiene (è il cervello ad essere in relazione con il mondo -il mondo materiale- circostante, non la coscienza; la quale in linea di principio potrebbe anche non accompagnare affatto il cervello -essendo altra cosa- e ciononostante tutto nel mondo materiale – naturale continuerebbe ad accadere esattamente così come accade, essendo invece -e salvo questo- inoltre "accompagnato", ma al di fuori di esso, da coscienza).
E' in ultima analisi un meccanismo appartenete al mondo fisico che segue nel suo divenire o "funzionare" le leggi della fisica.
Non "decide" nulla, semplicemente funziona in sostanza allo stesso modo in cui funziona -senza prendere mai decisioni- un orologio, o magari un apparato per la guida automatica di un' auto o un pilota automatico di un aereo (il quale ultimo può funzionale in diversi modi, facendo accelerare oppure frenare, girare a Dx oppure a Sn, salire oppure scendere la macchina a seconda di ciò che i suoi sensori rilevano, ma assolutamente non "decide" proprio nulla: è chi l' ha costruito che ha deciso cosa deve fare in conseguenza dei diversi rilievi dei sensori; di diverso dall' orologio ha solo una maggiore complessità e variabilità, di funzionamento, il quale è comunque allo stesso identico modo puramente meccanico; così il cervello, anche umano).
Le "decisioni" (libero-arbitrarie o meno; e per la cronaca personalmente credo che non lo siano) accadono unicamente nell' ambito del pensiero (umano e in qualche misura animale); il quale fa parte dell' esperienza cosciente, della quale fanno parte anche i cervelli osservabili; si può ipotizzare (non dimostrare; in perfetto accordo con le neuroscienze, comprese le loro ultime scoperte) che ad ogni determinato stato di una certa parte degli stati funzionali di determinato un cervello corrisponda un certo determinato stato di un' esperienza cosciente (di regola diversa da quelle che includono tale determinato cervello, per lo più di fatto osservabile solo indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico funzionale: osservarlo direttamente è possibile, senza il pericolo di danneggiarlo, solo circostanze molto particolari: il grande neurochirurgo canadese Penfield lo fece più volte, molto proficuamente per le neuroscenze, già negli anni '50 del secolo scorso).
Ma il fatto che (in perfetto accordo con le neuroscienze) si possa ipotizzare che ogni determinato stato di una determinata coscienza necessariamente corrisponda biunivocamente a un determinato stato funzionale di un determinato cervello e viceversa é tutt' altra cosa dall' identificare le due ben diverse cose, come indebitamente, erroneamente fanno i monisti materialisti "a la Churchland".
E così pure, allo stesso modo, oltre alle decisioni anche le illusioni e le deduzioni fanno parte del pensiero (la parte mentale) nell' ambito della coscienza e non del funzionamento dei cervelli; il funzionamento dei quali alle illusioni (e decisioni, e deduzioni, sentimenti, ragionamenti, ecc.) biunivocamente corrisponde nell' ambito della parte materiale della coscienza (generalmente di altre coscienze di osservatori, e non a quelle corrispondenti ai cervelli osservati).
I pochi cenni che riferisci delle tesi della Curchland mi confermano questo suo grave fraintendimento di cui già ero al corrente, la confusione da parte sua fra coscienza e cervello; i quali (lo credo anche se mi rendo conto che non è dimostrabile né mostrabile; infatti contrariamente alla Churchland sono filosoficamente ben consapevole dei limiti delle conoscenze possibili, anche scientifiche, degli aspetti non dimostrabili né mostrabili di esse) si corrispondono biunivocamente e per così dire biunivocamente "si coimplicano" (non può darsi l' una cosa senza l' altra e viceversa), ma sono ben diverse cose; esattamente come non può darsi polo positivo senza polo negativo di un magnete e viceversa, il che non significa affatto che -contraddittoriamente!- siano la stessa cosa).
L' autocoscienza e la coscienza degli eventi del mondo materiale (fenomenico!) in cui vive l' organismo, che accompagnano certe fasi del funzionamento del cervello, non sono tale funzionamento (il quale ultimo del tutto ovviamente deve aver superato il vaglio della selezione naturale dal momento che gli animali che possiedono cervelli non si siano estinti; cosa ovvia, che per la sua ovvietà non dà alcuna spiegazione interessante degli eventi: non c' era nessun "problema evolutivo" da risolvere poiché -fatta salva l' ovvia loro maggiore semplicità iniziale- i cervelli "da che mondo è mondo" -cioè da che si sono sviluppati nei primi vertebrati- inevitabilmente si comportano così).
Ciao.
Citazione di: bluemax il 09 Dicembre 2016, 09:24:06 AM
Citazione di: Duc in altum! il 08 Dicembre 2016, 21:56:39 PM
** scritto da bluemax:
CitazioneSpiega molto bene la mancanza del libero arbitrio o meglio... come il cervello si illude di avere la possibilità di compiere una scelta.
Dunque se il cervello s'illude, di chi è il merito (giacché la soddisfazione si percepisce, ...eccome!) di aver compiuto una scelta piuttosto che un'altra?
beh... io per libero arbitrio intendo la possibilità di compiere una scelta differente nelle medesime circostanze spazio-temporali.
La risposta è unanime. Ed è che non vi è alcuna possibilità di fare una scelta differente da quella fatta.
Praticamente, ogni volta che il nostro cervello sceglie (da notare come il nostro "io" illusorio si riferisce al cervello come "a quello" mentre in realtà è proprio il cervello che stà formulando questo ragionamento :) ) non fa altro che "pescare" dalle precedenti esperienze una situazione simile che ha avuto un esito "registrato" come positivo e dopo aver scelto la comunica al proprio "io" vestendola come scelta. Il libero arbitrio è una sorta di "illusione necessaria" per poter migliorare le scelte future. In sostanza, se siamo davanti una scelta es il nostro illusorio io ci suggerisce di prendere la pillola blu anzichè la rossa, in realtà il cervello ha già pescato qualche istante (ma proprio istante) di tempo prima la risposta più adatta basandosi sul subconscio (insieme di ricordi, scelte e risultati effettuati in passato ecc... ecc... ) che ovviamente non è da "noi" controllabile. Soltanto in un secondo momento la decisione (che non è una nostra decisione) ci arriva alla coscienza travestita da libera scelta :)
CitazioneA parte tutti gli altri (ben più importanti) motivi di dissenso da parte mia già illustrati, che "necessità" vi sarebbe mai per il cervello che nasca (comunque non nel cervello, ma nella coscienza al cervello corrispondente, N. di R), onde "migliorare le scelte future", l' illusione del libero arbitrio?
Non c é proprio alcuna necessità di illudersi che le proprie scelte non siano deterministicamente necessarie per compiere le scelte "giuste" (atte a sopravvivere e riprodursi) anziché quelle "sbagliate (o viceversa), nè per "migliorare le scelte future"!
** scritto da bluemax:
Citazionebeh... io per libero arbitrio intendo la possibilità di compiere una scelta differente nelle medesime circostanze spazio-temporali.
La risposta è unanime. Ed è che non vi è alcuna possibilità di fare una scelta differente da quella fatta.
Non sono ben sicuro di aver compreso la tua risposta, spero di non sbagliarmi, quindi tu sostieni che se domani io tradisco mio fratello non avrei altra possibilità? ???
Spero, stavolta, di essere stato io ben chiaro. :-[
Citazione di: sgiombo il 09 Dicembre 2016, 10:37:23 AM
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PM
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PME' evidente che c' è stato un fraintendimento da parte mia.
Infatti avevo inteso la tesi buddista da te accennata in apertura di questa discussione ("Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo") nel senso che, se questo vale anche (e dunque non solo) per la mente, allora vale anche, esattamente allo stesso modo per il mondo materiale, cervello compreso (cioé per tutti i fenomeni, per quelli materiali esattamente come per quelli mentali).
Da quanto scrivi ora evidentemente non è così, dal momento che tu (e con te il buddismo?) ritieni (secondo me erroneamente) i cervelli (e credo, e se segui fino in fondo la Churchland è certamente così, la materia in generale) non affatto "vacui", ovvero privi "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
E' evidente, se segui la Churchland, che per te solo la mente, e non il cervello é "vacua" in questo senso, mentre la materia (che comprende i cervelli) non è affatto priva "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
Mi dispiace per il fraintendimento: " come non detto" ciò che affermavo nel precedente mio intervento.
no... forse siamo andati fuori percorso :) colpa mia... ti spiego cosa intendevo dire in poche parole.
Il buddismo asserisce (e secondo me giustamente avendo fatto studi scientifici è del tutto logico ed evidente) che ogni fenomeno "composto" è per sua natura impermanente, (1° sigillo), ogni fenomeno è privo di un sè (4° sigillo).
Ovviamente sia la materia (il cervello) che gli stati mentali (pensieri) sono per loro natura impermanenti e privi di un sè intrinseco ed indipendente ma sono semplici manifestazioni.
E questo è (almeno per me) un caposaldo sia a livello spirituale che a livello scientifico.
Da qui poi il dubbio...
avendo capito che questo corrisponde al vero (almeno per me) ed avendo intuito che quel sè che pensiamo esistere in modo intrinseco ed indipendente dal resto dell'universo mi ha portato a studiare la cosa da un punto di vista neuroscientifico e mi sono accorto che le neuroscienze confermano il tutto. Sia con deduzioni logiche sia con esperimenti su pazienti che avevano perso la sensazione del "sè" (in alcuni casi, persone avevano paura delle loro stesse mani perchè non sapevano di chi fossero. Ma questa è altra storia).
Da qui la domanda...
Mi chiedevo se il concetto di "rinascita" o "reincarnazione" (per non parlare della creazione mentale di una divinità o paradisi ecc... ecc... ) sia frutto del fatto che il cervello non ha possibilità di funzionamento senza la creazione di questo "sè" illusorio dato che nel buddismo si da molta enfasi al concetto di "rinascita" (diverso da reincarnazione).
Il cervello infatti, non potendo fare a meno del "sè", non puo' pensare ad uno stato dove questa illusione non esista. E quando pensa al nulla, o all'infinito o alla sua "fine", dato che non puo' fare a meno di se stesso, per non andare in "corto-circuito" trova una soluzione inventandosi una "rinascita" o una divinità per "tranquillizzarsi".
Ovvio che per me sia il cervello (materia) che un suo prodotto (mente) risponde pienamente al concetto di vacuità ma, siccome ho percepito in meditazioni molto profonde, l'illusione dell' IO mi sono chiesto e chiedo a sariputra se il concetto di rinascita sia ancora valido. Anche perchè dopo aver compreso il concetto di vacuità del se, la rinascita o reincarnazione o altro... perde di ogni significato... nel senso che è tutto perfetto cosi' :) tutto va come deve andare :)
ciao e grazie del tuo intervento... ci sono delle osservazioni molto acute :)
Citazione di: Duc in altum! il 09 Dicembre 2016, 12:18:29 PM
** scritto da bluemax:
Citazionebeh... io per libero arbitrio intendo la possibilità di compiere una scelta differente nelle medesime circostanze spazio-temporali.
La risposta è unanime. Ed è che non vi è alcuna possibilità di fare una scelta differente da quella fatta.
Non sono ben sicuro di aver compreso la tua risposta, spero di non sbagliarmi, quindi tu sostieni che se domani io tradisco mio fratello non avrei altra possibilità? ???
Spero, stavolta, di essere stato io ben chiaro. :-[
Se domani prenderai la decisione di tradire tuo fratello, potevi prendere solo quella decisione e nessun altra :)
questo video lo spiega in modo molto semplice... anche se dietro di esso ci sono migliaia di processi mentali INCONSCI quasi istantanei...
https://www.youtube.com/watch?v=83weUO1vhgA
Il Buddha non ha mai dichiarato apertamente che "Il Sé (Atta/Atman) non esiste". Ha dichiarato invece che non bisogna identificarsi con nulla ("questo non sono io, questo non è mio, questo non è il mio sé"). In sostanza Anatta non significa inesistenza del sé ma è un processo di disedintificazione. Da quello che ho capito io è simile al Neti-Neti dell'Advaita Vedanta con la differenza che questo "metodo" alla fine ti fa trovare il "vero Sé" mentre l'Anatta non ti fa mai trovare il Sé. Da qui a dire che il sé non esiste però c'è una bella differenza.
Chiedo conferma a Sariputra su questo punto comunque, lui ne sa sicuramente di più.
Quanto alle neuro-scienze non hanno stabilito che l'io non esiste. Siamo ben lontani da ciò. Inoltre se "siamo" uno spirito immateriale le neuro-scienze non lo troveranno mai perchè non è il loro campo di indagine. Non confondiamo le cose!
Inoltre il buddismo non è stato "confermato" dalle neuro-scienze: la dottrina dell'orginazione dipendente si fonda sui dodici Nidanas e non sulla causalità materiale. Inoltre le neuro-scienze sono per definizione riduzioniste (metodologicamente lo devono essere) quindi la teoria dei cinque skhandhas, le rinascite, la vacuità ecc non possono essere comprese con un approccio scientifico (altrimenti si cade nel "western buddhism").
Comunque qui http://www.canonepali.net/ trovate molti discorsi del Buddha. Partirei da qui per farmi un'idea del buddismo...
Il Buddha poi non è un determinista...
Citazione di: bluemax il 09 Dicembre 2016, 12:43:52 PM
Citazione di: Duc in altum! il 09 Dicembre 2016, 12:18:29 PM
** scritto da bluemax:
Citazionebeh... io per libero arbitrio intendo la possibilità di compiere una scelta differente nelle medesime circostanze spazio-temporali.
La risposta è unanime. Ed è che non vi è alcuna possibilità di fare una scelta differente da quella fatta.
Non sono ben sicuro di aver compreso la tua risposta, spero di non sbagliarmi, quindi tu sostieni che se domani io tradisco mio fratello non avrei altra possibilità? ???
Spero, stavolta, di essere stato io ben chiaro. :-[
Se domani prenderai la decisione di tradire tuo fratello, potevi prendere solo quella decisione e nessun altra :)
questo video lo spiega in modo molto semplice... anche se dietro di esso ci sono migliaia di processi mentali INCONSCI quasi istantanei...
https://www.youtube.com/watch?v=83weUO1vhgA
https://www.youtube.com/watch?v=wGPIzSe5cAU
** scritto da bluemax:
CitazioneSe domani prenderai la decisione di tradire tuo fratello, potevi prendere solo quella decisione e nessun altra.
Bah, sarà pure, rispetto la tua fede, ma preferisco la gioia nella speranza che domani mi farò violenza nella mia psicosi mistica pur di non tradire mio fratello, alla tristezza di essere un personaggio programmato rassegnato, senza meriti e difetti, nel video-gioco accidentale (perdipiù!!) dell'Universo,
Citazionequesto video lo spiega in modo molto semplice...
In modo semplice? ...dicendo che può quantificare i "bits" (??) della coscienza, quando solo Dio, se esiste, un giorno potrà rivelarci cosa è, cosa sia questa coscienza personale e oggettiva?!?! ???
Ma per favore... :o penso che il giornalista stesso (impazzito quanto un "profeta") abbia elaborato questa estrosa teoria, giacché nella pratica, andando oltre la percezione dei sensi, in quella misteriosa ma diligente coscienza, si afferra intuitivamente che la responsabilità della scelta/decisione è direttamente proporzionale con la nostra libertà e quindi la susseguente serenità esistenziale o perfetta letizia che essa contiene.
Citazione di: Apeiron il 09 Dicembre 2016, 12:55:59 PM
Il Buddha non ha mai dichiarato apertamente che "Il Sé (Atta/Atman) non esiste". Ha dichiarato invece che non bisogna identificarsi con nulla ("questo non sono io, questo non è mio, questo non è il mio sé"). In sostanza Anatta non significa inesistenza del sé ma è un processo di disedintificazione. Da quello che ho capito io è simile al Neti-Neti dell'Advaita Vedanta con la differenza che questo "metodo" alla fine ti fa trovare il "vero Sé" mentre l'Anatta non ti fa mai trovare il Sé. Da qui a dire che il sé non esiste però c'è una bella differenza.
Chiedo conferma a Sariputra su questo punto comunque, lui ne sa sicuramente di più.
Quanto alle neuro-scienze non hanno stabilito che l'io non esiste. Siamo ben lontani da ciò. Inoltre se "siamo" uno spirito immateriale le neuro-scienze non lo troveranno mai perchè non è il loro campo di indagine. Non confondiamo le cose!
Inoltre il buddismo non è stato "confermato" dalle neuro-scienze: la dottrina dell'orginazione dipendente si fonda sui dodici Nidanas e non sulla causalità materiale. Inoltre le neuro-scienze sono per definizione riduzioniste (metodologicamente lo devono essere) quindi la teoria dei cinque skhandhas, le rinascite, la vacuità ecc non possono essere comprese con un approccio scientifico (altrimenti si cade nel "western buddhism").
Comunque qui http://www.canonepali.net/ trovate molti discorsi del Buddha. Partirei da qui per farmi un'idea del buddismo...
Il Buddha poi non è un determinista...
Ti ringrazio molto per la tua collaborazione (con il link riportato). Unico appunto che mi sento di darti è quello che è ovvio che le neuroscienze non hanno negato l'esistenza di un sè... effettivamente è oggetto di studio quindi deve per forza esistere... ma hanno confermato che quella "sensazione" è solo illusoria... anche una illusione esiste se ci pensi... ma è cosa diversa dalla realtà e le neuroscienze studiano appunto tale "fenomeno" insieme alla "coscienza".
Considera che nell'ultimo anno sono stati fatti passi da gigante sull'indagare su questo fenomeno. Già testi dell'anno passato sono ormai superati se confrontati con i nuovi studi, farmaci e scoperte relative al cervello. :)
E' stata confermata persino l'illusione che il "sè" ha di essere "continuo ed ininterrotto nel tempo" ... eppure la nostra sensazione di coscienza ha numerosissimi tempi di pausa durante l'arco di 24 ore... (basti pensare a quando dormiamo e la coscienza viene temporaneamente sospesa dal cervello perchè inutile spreco di energie).
Ma siccome sono ormai due decenni che sto studiando seriamente il buddismo (inizialmente la via del diamante per poi approfondire con il mahayana) è ovvio che ad un certo punto... la crescita interiore (almeno per me) necessità di andare sempre piu' a fondo nelle cose. E da qui la mia ricerca su concetti fondamentali del buddismo quali vacuità, impermanenza, nobili verità, 4 sigilli ecc... ecc... ecc...
Se la ricerca finisce, sempre secondo me, si ha quella sgradevole sensazione di avere il SAPERE... e di conseguenza la bruttissima sensazione di essere nel giusto e gli altri nello sbagliato e da qui... l'oblio mentale e spirituale. Del resto... "se incontri buddah... uccidilo... :D )
grazie di cuore... ciao :)
Citazione di: Duc in altum! il 09 Dicembre 2016, 13:56:37 PMBah, sarà pure, rispetto la tua fede, ma preferisco la gioia nella speranza che domani mi farò violenza nella mia psicosi mistica pur di non tradire mio fratello, alla tristezza di essere un personaggio programmato rassegnato, senza meriti e difetti, nel video-gioco accidentale (perdipiù!!) dell'Universo,
Ma per favore... :o penso che il giornalista stesso (impazzito quanto un "profeta") abbia elaborato questa estrosa teoria, giacché nella pratica, andando oltre la percezione dei sensi, in quella misteriosa ma diligente coscienza, si afferra intuitivamente che la responsabilità della scelta/decisione è direttamente proporzionale con la nostra libertà e quindi la susseguente serenità esistenziale o perfetta letizia che essa contiene.
Aspetta... la mia è ricerca (che non ha nulla a che fare con la fede. Fedele lo sono i cani, spesso per tornaconto, le persone si spera siano leali) da non confondere col buddismo.
Il buddismo parla di rinascita e continuità della mente sia prima che dopo la morte (che poi la morte per il buddismo è semplice cambiamento semplice effetto di cause). Proprio per questo volevo sapere se il concetto di "rinascita" è comunque un qualcosa che il nostro "sè" crea per non affrontare la sua inesistenza. La domanda è tutta qua. Il buddismo viene prima di questo, quindi non parlare in termini religiosi ti prego. Io sto' cercando di andare oltre ;)
ciao :)
Citazione di: InVerno il 09 Dicembre 2016, 13:25:46 PM
https://www.youtube.com/watch?v=wGPIzSe5cAU
oddio bellissimo :) grazie tantissimo :)
Citazione di: bluemax il 09 Dicembre 2016, 13:58:13 PMCitazione di: Apeiron il 09 Dicembre 2016, 12:55:59 PMIl Buddha non ha mai dichiarato apertamente che "Il Sé (Atta/Atman) non esiste". Ha dichiarato invece che non bisogna identificarsi con nulla ("questo non sono io, questo non è mio, questo non è il mio sé"). In sostanza Anatta non significa inesistenza del sé ma è un processo di disedintificazione. Da quello che ho capito io è simile al Neti-Neti dell'Advaita Vedanta con la differenza che questo "metodo" alla fine ti fa trovare il "vero Sé" mentre l'Anatta non ti fa mai trovare il Sé. Da qui a dire che il sé non esiste però c'è una bella differenza. Chiedo conferma a Sariputra su questo punto comunque, lui ne sa sicuramente di più. Quanto alle neuro-scienze non hanno stabilito che l'io non esiste. Siamo ben lontani da ciò. Inoltre se "siamo" uno spirito immateriale le neuro-scienze non lo troveranno mai perchè non è il loro campo di indagine. Non confondiamo le cose! Inoltre il buddismo non è stato "confermato" dalle neuro-scienze: la dottrina dell'orginazione dipendente si fonda sui dodici Nidanas e non sulla causalità materiale. Inoltre le neuro-scienze sono per definizione riduzioniste (metodologicamente lo devono essere) quindi la teoria dei cinque skhandhas, le rinascite, la vacuità ecc non possono essere comprese con un approccio scientifico (altrimenti si cade nel "western buddhism"). Comunque qui http://www.canonepali.net/ trovate molti discorsi del Buddha. Partirei da qui per farmi un'idea del buddismo... Il Buddha poi non è un determinista...
Ti ringrazio molto per la tua collaborazione (con il link riportato). Unico appunto che mi sento di darti è quello che è ovvio che le neuroscienze non hanno negato l'esistenza di un sè... effettivamente è oggetto di studio quindi deve per forza esistere... ma hanno confermato che quella "sensazione" è solo illusoria... anche una illusione esiste se ci pensi... ma è cosa diversa dalla realtà e le neuroscienze studiano appunto tale "fenomeno" insieme alla "coscienza". Considera che nell'ultimo anno sono stati fatti passi da gigante sull'indagare su questo fenomeno. Già testi dell'anno passato sono ormai superati se confrontati con i nuovi studi, farmaci e scoperte relative al cervello. :) E' stata confermata persino l'illusione che il "sè" ha di essere "continuo ed ininterrotto nel tempo" ... eppure la nostra sensazione di coscienza ha numerosissimi tempi di pausa durante l'arco di 24 ore... (basti pensare a quando dormiamo e la coscienza viene temporaneamente sospesa dal cervello perchè inutile spreco di energie). Ma siccome sono ormai due decenni che sto studiando seriamente il buddismo (inizialmente la via del diamante per poi approfondire con il mahayana) è ovvio che ad un certo punto... la crescita interiore (almeno per me) necessità di andare sempre piu' a fondo nelle cose. E da qui la mia ricerca su concetti fondamentali del buddismo quali vacuità, impermanenza, nobili verità, 4 sigilli ecc... ecc... ecc... Se la ricerca finisce, sempre secondo me, si ha quella sgradevole sensazione di avere il SAPERE... e di conseguenza la bruttissima sensazione di essere nel giusto e gli altri nello sbagliato e da qui... l'oblio mentale e spirituale. Del resto... "se incontri buddah... uccidilo... :D ) grazie di cuore... ciao :)
Figurati :)
sono in ricerca anche io, perciò non dico di sapere la verità. Una volta ero un "fervente" spinozista perchè il suo sistema era perfetto. Quello che è successo è che mi sono convinto che la mia vita è determinata
completamente e che quello che pensavo fossero scelte in realtà erano "scherzi" della coscienza. Ebbene mi sono ritrovato a vivere una "non-vita" in cui ero completamente passivo. Quando la cosa è diventata ridicola ho smesso di credere nel "necessitarianesimo" di Spinoza. Il libero arbitrio lo devi però prendere per "fede" tutti i giorni ogni volta che attraversi la macchina, saluti un amico ecc. Non ho mai incontrato nessuno che vive seriamente senza questo atto di fede.
Chiaramente non posso provare l'esistenza del libero arbitrio perchè incompatibile con TUTTE le leggi della fisica conosciute. Però è anche vero che lo stesso riduzionismo è dopotutto un atto di fede.
Sulla questione buddismo/cristianesimo. Hanno certamente elementi comuni però non ha senso dire che dicono la stessa cosa, altrimenti letteralmente si impazzisce. Personalmente il buddismo mi piace per la sua onesta trattazione dell'impermanenza e del dolore. Mi convince molto di meno l'anatta perchè partire dalla convinzione che "non trovi un sé" non te lo farà trovare mai e quindi blocca la ricerca fin dal principio (sarebbe molto meglio secondo me se si dicesse "cerca il tuo sé" più che "nessuna cosa è un sé"...). Inoltre non mi convince nemmeno la possibilità che ci si possa salvare senza l'aiuto di qualcosa di più "grande".
Per quanto riguarda la "sensazione di un sé": questa sensazione in ogni religione di cui so qualcosina (cristianesimo, buddismo, vedanta, taoismo) è sempre vista come un "ostacolo" all'essere "altruisti". Questo perchè l'attaccamento al sé provoca certamente egoismo. Comunque purtroppo il superamento dell'egoismo è una strada molto stretta...
Citazione di: bluemax il 07 Dicembre 2016, 10:11:10 AM
- Nel Buddhismo tutti gli esseri senzienti hanno la Natura di Buddha. Pertanto tutti possono diventare un Buddha a tempo debito, se si pratica con diligenza e si raggiunge la purezza della mente;
- Nel buddhismo l'obiettivo finale è l'illuminazione e la liberazione dal samsara, piuttosto che andare in un luogo quale il paradiso;
- Il karma è un capisaldo e riguarda il concetto metafisico sulla correlazione tra le proprie azioni e le loro conseguenze, sul mistero del cosiddetto destino e della predestinazione, in ultimo anche sulla disuguaglianza evidente del genere umano.
- Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo.
Rilevo alcune contraddizioni nel tuo pensiero: come si concilia il determinismo (tutto va come deve andare) con il volontarismo (tutti possono diventare Buddha)?
Il concetto di vacuità: se l'esistere di un fenomeno dipende da cause e condizioni esterne, le cause esterne da che cosa dipendono?
La questione determinismo/indeterminismo, necessità/libertà, non è affatto risolta, anzi probabilmente è irrisolvibile. La parità di condizioni su cui ti basi non si danno in realtà.
Condivido la tesi che i presupposti della scienza occidentale, neuroscienze comprese, non siano conciliabili con il buddismo.
Citazione di: baylham il 09 Dicembre 2016, 16:06:13 PM
Citazione di: bluemax il 07 Dicembre 2016, 10:11:10 AM
- Nel Buddhismo tutti gli esseri senzienti hanno la Natura di Buddha. Pertanto tutti possono diventare un Buddha a tempo debito, se si pratica con diligenza e si raggiunge la purezza della mente;
- Nel buddhismo l'obiettivo finale è l'illuminazione e la liberazione dal samsara, piuttosto che andare in un luogo quale il paradiso;
- Il karma è un capisaldo e riguarda il concetto metafisico sulla correlazione tra le proprie azioni e le loro conseguenze, sul mistero del cosiddetto destino e della predestinazione, in ultimo anche sulla disuguaglianza evidente del genere umano.
- Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo.
Rilevo alcune contraddizioni nel tuo pensiero: come si concilia il determinismo (tutto va come deve andare) con il volontarismo (tutti possono diventare Buddha)?
Il concetto di vacuità: se l'esistere di un fenomeno dipende da cause e condizioni esterne, le cause esterne da che cosa dipendono?
La questione determinismo/indeterminismo, necessità/libertà, non è affatto risolta, anzi probabilmente è irrisolvibile. La parità di condizioni su cui ti basi non si danno in realtà.
Condivido la tesi che i presupposti della scienza occidentale, neuroscienze comprese, non siano conciliabili con il buddismo.
Infatti la prima questione è la cosa che mi preme scoprire. Il buddismo in realtà (almeno in quello mahayana) pensa che vi sia solo una piccola frazione di istante durante ogni "pensiero" dedicata alla "libera scelta". Tale frazione è piccolissima e per farla breve, coincide con l'intenzione. Intensione positiva o intenzione negativa. (dove poi, per positivo o negativo si apre un ulteriore mondo... )
Il concetto di cause e condizioni "esterne" prende spunto dal fatto che la mente è abituata (sbagliando) a considerare un qualcosa come "a se stante" (ad esempio "un bicchiere", "un piatto", "un mouse" ecc... ecc... ) che sia una unica cosa e non invece a considerarla come una semplice manifestazione di un susseguirsi di cause e condizioni. Motivo per cui, si aggiunge il concetto di causa "esterna" ad essa.
la terza non l'ho capita.. scusami :) colpa mia...
Beh... per la quarta io stavo dicendo il contrario... ossia che moltissime delle ultime scoperte scientifiche sia in ambito psicologico, che in ambito neurologico che in quello fisico sono molto vicine a quel che è stato intuito 2500 anni fa. Vero che non sono prettamente uguali... ma molto vicine sicuramente. Da considerare il fatto che purtroppo molti testi antichi sono "inquinati" da giudizi personali, intendimenti personali da parte degli autori (buddah non ha scritto nulla di suo... ) e nel tempo sono stati ulteriormente inquinati da credenze popolari e quant'altro... ma il messaggio iniziale rimane... ed è da questo messaggio che parte la ricerca (almeno secondo me).
E non credo sia saggio prendere per oro colato qualsiasi tipo di "insegnamento" senza "verificarlo" o per lo meno "assaggiarlo dopo averlo dubitato" :)ciao :)
Citazione di: bluemax il 09 Dicembre 2016, 12:39:33 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Dicembre 2016, 10:37:23 AM
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PM
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PME' evidente che c' è stato un fraintendimento da parte mia.
Infatti avevo inteso la tesi buddista da te accennata in apertura di questa discussione ("Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo") nel senso che, se questo vale anche (e dunque non solo) per la mente, allora vale anche, esattamente allo stesso modo per il mondo materiale, cervello compreso (cioé per tutti i fenomeni, per quelli materiali esattamente come per quelli mentali).
Da quanto scrivi ora evidentemente non è così, dal momento che tu (e con te il buddismo?) ritieni (secondo me erroneamente) i cervelli (e credo, e se segui fino in fondo la Churchland è certamente così, la materia in generale) non affatto "vacui", ovvero privi "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
E' evidente, se segui la Churchland, che per te solo la mente, e non il cervello é "vacua" in questo senso, mentre la materia (che comprende i cervelli) non è affatto priva "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
Mi dispiace per il fraintendimento: " come non detto" ciò che affermavo nel precedente mio intervento.
no... forse siamo andati fuori percorso :) colpa mia... ti spiego cosa intendevo dire in poche parole.
Il buddismo asserisce (e secondo me giustamente avendo fatto studi scientifici è del tutto logico ed evidente) che ogni fenomeno "composto" è per sua natura impermanente, (1° sigillo), ogni fenomeno è privo di un sè (4° sigillo).
Ovviamente sia la materia (il cervello) che gli stati mentali (pensieri) sono per loro natura impermanenti e privi di un sè intrinseco ed indipendente ma sono semplici manifestazioni.
E questo è (almeno per me) un caposaldo sia a livello spirituale che a livello scientifico.
Da qui poi il dubbio...
avendo capito che questo corrisponde al vero (almeno per me) ed avendo intuito che quel sè che pensiamo esistere in modo intrinseco ed indipendente dal resto dell'universo mi ha portato a studiare la cosa da un punto di vista neuroscientifico e mi sono accorto che le neuroscienze confermano il tutto. Sia con deduzioni logiche sia con esperimenti su pazienti che avevano perso la sensazione del "sè" (in alcuni casi, persone avevano paura delle loro stesse mani perchè non sapevano di chi fossero. Ma questa è altra storia).
Da qui la domanda...
Mi chiedevo se il concetto di "rinascita" o "reincarnazione" (per non parlare della creazione mentale di una divinità o paradisi ecc... ecc... ) sia frutto del fatto che il cervello non ha possibilità di funzionamento senza la creazione di questo "sè" illusorio dato che nel buddismo si da molta enfasi al concetto di "rinascita" (diverso da reincarnazione).
Il cervello infatti, non potendo fare a meno del "sè", non puo' pensare ad uno stato dove questa illusione non esista. E quando pensa al nulla, o all'infinito o alla sua "fine", dato che non puo' fare a meno di se stesso, per non andare in "corto-circuito" trova una soluzione inventandosi una "rinascita" o una divinità per "tranquillizzarsi".
Ovvio che per me sia il cervello (materia) che un suo prodotto (mente) risponde pienamente al concetto di vacuità ma, siccome ho percepito in meditazioni molto profonde, l'illusione dell' IO mi sono chiesto e chiedo a sariputra se il concetto di rinascita sia ancora valido. Anche perchè dopo aver compreso il concetto di vacuità del se, la rinascita o reincarnazione o altro... perde di ogni significato... nel senso che è tutto perfetto cosi' :) tutto va come deve andare :)
ciao e grazie del tuo intervento... ci sono delle osservazioni molto acute :)
CitazioneCiao; ricambio i complimenti per le osservazioni interessanti anche da parte tua.
Non so se a questo punto sia conveniente continuare la discussione (forse a me interessano tutt' altre questioni che a te). Nel dubbio accenno a ciò che credo di comprendere e che non mi convince delle tue credenze.
Se "sia la materia (il cervello) che gli stati mentali (pensieri) sono per loro natura impermanenti e privi di un sè intrinseco ed indipendente ma sono semplici manifestazioni", allora il materialismo eliminativista dei Churchland (e anche le convinzioni -quelle filosofiche, sia chiaro- di moltissimi neuroscienziati e di non pochi filosofi della mente, cognitivisti, ecc.) é errato e falso. Infatti afferma la realtà in sé e non in quanto semplice manifestazione fenomenica della materia (in generale; e del cervello in particolare), al contrario del pensiero (in generale e dell' autocoscienza, del pensiero di "sé" in particolare).
Le neuroscienze possono solo conoscere il funzionamento del cervello e le correlazioni fra esso e la coscienza (descrivere queste correlazioni così come di fatto nelle varie circostanze accadono) ma non risolvere il problema della natura di questa correlazione; fra l' altro di fatto molti neuroscienziati (in questo facendo della filosofia) e non pochi filosofi come i Churchland del tutto erroneamente (a mio parere, ovviamente) identificano la natura di questa correlazione con l' identità.
IL cervello nel suo funzionamento fa del tutto a meno, senza affatto andare "in cortocircuito" e senza inventarsi alcunché, dell' autocoscienza (che a certi suoi stati funzionali corrisponde biunivocamente e viceversa): si limita a regolare il comportamento degli animali che lo posseggono (azionare fasci muscolari più o meno "a proposito"; produrre secrezioni ghiandolari et similia) dipendentemente dalle situazioni ambientali in cui gli animali (uomo compreso) vengono a trovarsi: nient' altro.
Che l' "io" (soggetto di esperienza) non sia identificabile con i pensieri, l' autocoscienza, la "res cogitans" in generale, non toglie che sia illusione: i pensieri, esattamente come gli enti ed eventi materiali, sono manifestazioni fenomeniche e non cose in sé, ma non per questo:
essi (pensieri ed enti ed eventi materiali esattamente allo stesso identico modo) non sono reali: sono realmente meri insiemi di sensazioni;
e inoltre ciò non significa necessariamente con non debbano esistere realmente come cose in sé non sensibili ma solo congetturabili (dal greco e a la Kant: noumena) l' "io", soggetto delle sensazioni (tutte: materiali e mentali o di pensiero; oltre che oggetto di queste ultime) e gli oggetti delle sensazioni materiali (compresi i cervelli nelle esperienze fenomeniche coscienti diverse da quelle biunivocamente corrispondenti a ciascuno di essi).
Ti ringrazio per l' attenzione (comunque, sia che ritenga di tuo interesse seguirmi e obiettarmi su questo problema, sia che non lo ritenga di tuo interesse di seguace del buddismo).
Mi intrometto nuovamente per segnalare anche questo sito in inglese, sempre per chi è interessato al buddismo, specialmente se theravada. http://www.accesstoinsight.org/
Per essere molto onesti al Buddha bisogna riconoscere il grandissimo merito della chiarezza. Ci ha lasciato il suo metodo per trovare un po' di pace interiore (per i credenti buddisti la Liberazione): il nobile ottuplice sentiero. Un insegnamento così limpido non lo si trova da nessun'altra parte. Questa chiarezza rende la filosofia e la religione buddista sia facilmente comprensibile che criticabile.
Provo a entrare nella discussione anche se il mio cervello funziona ottenebrato dagli antidolorifici...succedono, questi stati dolorosi,proprio per non farci dimenticare la nostra reale natura ;D...
Leggendo e rileggendo le posizioni di Apeiron e anche di Bluemax mi sembra di poter affermare che non sono propriamente posizioni buddhiste, soprattutto sulla natura dell'anatta, che è obiettivamente molto sfuggevole e di difficile comprensione( e' sicuramente il pronunciamento del Buddha più controverso e più originale, in campo religioso, a mio modesto parere...). Il primo fraintendimento è quello di ritenere il sé un'illusione". Il termine "illusione" va riferito alla credenza del pensiero sulla permanenza duratura del sè e non sul sé in quanto tale. Il sè esiste ma, come tutti i fenomeni composti da aggregati, è impermanente, ossia non è dotato di sostanza propria che non sia quella degli aggregati che lo compongono( a loro volta impermanenti...). Dobbiamo sempre sforzarci di comprendere che il Buddha storico ha insegnato la via di mezzo, ossia quella visione del reale lontana dai due estremi in cui , solitamente, si rifugia il pensiero. Buddha rifiuta la visione di una sostanza eterna nelle cose e , nello stesso tempo, rifiuta la visione che le cose siano illusorie come "bolle di sapone". Ossia rifiuta in egual misura l'idea che i fenomeni (interiori ed esteriori) siano oppure non siano realmente esistenti ( qui per realmente esistente s'intende che un fenomeno sia dotato di natura intrinseca, duratura, eterna, non modificabile...). Quando si parla di non-sé ci si deve riferire alla sua inconsistenza , impermanenza e assenza di identità. Questa inconsistenza non deve essere intesa come una fantasmagoria, una magia, un "velo di maya" che come una nebbia cela la realtà del "vero sé". Non c'è alcun vero sé , al di là degli aggregati che compongono il sé. Postulare l'esistenza di un vero sé ci farebbe cadere nell'estremo positivo dell'eternalismo, chiaramento rigettato dal Buddha. Affermare però semplicemente che "il sé non esiste" ci farebbe a sua volta precipitare nella visione negativa del nichilismo, a sua volta chiaramente e indubitabilmente rifiutata da Gotama.
Tutti gli asceti e i brahmani che concepiscono le molteplici ( cose o idee) come un sé, concepiscono i cinque aggregati, o uno qualsiasi di essi, ( come un sé). Samyutta Nikaya, 22:47
L'ordinaria formulazione della dottrina dell'anatta:" Questo non fa parte di me, io non sono questo, questo non è il mio io" fa ritenere da alcuni ( anche autori buddhisti...) che il buddha presupponeva l'esistenza di un "sé" al di fuori, o al di là, dei cinque aggregati ai quali si riferisce, di solito, la formulazione. Questa deduzione errata viene smentita dal Buddha stesso che dice chiaramente che tutte le molteplice concezioni di un sé sono sempre relative ai cinque aggregati. Come potrebbe formarsi una qualsiasi idea di un sé o di una personalità, se non in base al materiale costituito dai cinque aggregati e ad un fraintendimento al loro riguardo? Su che altro potrebbero essere fondate le nozioni riguardo al sé? :o
Buddha, nel seguito del testo citato, afferma che questa è la sola possibile causa per la formazione delle idee di un sé:
"Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità ( indipendente)...e lo speculare relativo a un sé ( Samyutta Nikaya, 22: 154,155).
Nessuna concezione eternalistica di un "vero sé" oltre le apparenza del sè convenzionale, e nessuna concezione eternalistica del Nirvana, in qualsiasi forma, è conciliabile con gli insegnamenti del Buddha esposti nei testi più antichi, ossia nel Canone pali. Personalmente ho trovato sempre utile tenere a mente che l'anatta ( o non-sé) è l'effetto di anicca ( impermanenza di tutti i fenomeni). Solo nella comprensione profonda, nel nostro "animo", che tutto passa si può capire la dimensione esistenziale dell'anatta.
Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, l'originarsi del ( e nel) mondo, non c'é quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza' (natthita). Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, il cessare del ( e nel) mondo, non c'è quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' (atthita). Questo mondo, Kacchana, è generalmente imprigionato nelle inclinazioni, negli attaccamenti e nei pregiudizi. Ma per quanto concerne queste inclinazioni, attaccamenti, rigidi atteggiamenti mentali, pregiudizi e tendenze profondamente radicate, egli ( l'uomo che ha la giusta comprensione) se ne tiene lontano, non vi aderisce, non nutre l'atteggiamento mentale: 'Io ho un sè'. Egli non ha dubbi o incertezze sul fatto che è la sofferenza, in verità, che appare ed è la sofferenza che cessa. Riguardo a questo la sua conoscenza non dipende dagli altri. Questo, Kacchana, è ciò che qualifica l'uomo che ha una giusta comprensione". (Samyutta Nikaya, 12:15).
Adesso vado a bermi un pò di tachidol... :P
Citazione di: Sariputra il 09 Dicembre 2016, 23:15:26 PMProvo a entrare nella discussione anche se il mio cervello funziona ottenebrato dagli antidolorifici...succedono, questi stati dolorosi,proprio per non farci dimenticare la nostra reale natura ;D... Leggendo e rileggendo le posizioni di Apeiron e anche di Bluemax mi sembra di poter affermare che non sono propriamente posizioni buddhiste, soprattutto sulla natura dell'anatta, che è obiettivamente molto sfuggevole e di difficile comprensione( e' sicuramente il pronunciamento del Buddha più controverso e più originale, in campo religioso, a mio modesto parere...). Il primo fraintendimento è quello di ritenere il sé un'illusione". Il termine "illusione" va riferito alla credenza del pensiero sulla permanenza duratura del sè e non sul sé in quanto tale. Il sè esiste ma, come tutti i fenomeni composti da aggregati, è impermanente, ossia non è dotato di sostanza propria che non sia quella degli aggregati che lo compongono( a loro volta impermanenti...). Dobbiamo sempre sforzarci di comprendere che il Buddha storico ha insegnato la via di mezzo, ossia quella visione del reale lontana dai due estremi in cui , solitamente, si rifugia il pensiero. Buddha rifiuta la visione di una sostanza eterna nelle cose e , nello stesso tempo, rifiuta la visione che le cose siano illusorie come "bolle di sapone". Ossia rifiuta in egual misura l'idea che i fenomeni (interiori ed esteriori) siano oppure non siano realmente esistenti ( qui per realmente esistente s'intende che un fenomeno sia dotato di natura intrinseca, duratura, eterna, non modificabile...). Quando si parla di non-sé ci si deve riferire alla sua inconsistenza , impermanenza e assenza di identità. Questa inconsistenza non deve essere intesa come una fantasmagoria, una magia, un "velo di maya" che come una nebbia cela la realtà del "vero sé". Non c'è alcun vero sé , al di là degli aggregati che compongono il sé. Postulare l'esistenza di un vero sé ci farebbe cadere nell'estremo positivo dell'eternalismo, chiaramento rigettato dal Buddha. Affermare però semplicemente che "il sé non esiste" ci farebbe a sua volta precipitare nella visione negativa del nichilismo, a sua volta chiaramente e indubitabilmente rifiutata da Gotama. Tutti gli asceti e i brahmani che concepiscono le molteplici ( cose o idee) come un sé, concepiscono i cinque aggregati, o uno qualsiasi di essi, ( come un sé). Samyutta Nikaya, 22:47 L'ordinaria formulazione della dottrina dell'anatta:" Questo non fa parte di me, io non sono questo, questo non è il mio io" fa ritenere da alcuni ( anche autori buddhisti...) che il buddha presupponeva l'esistenza di un "sé" al di fuori, o al di là, dei cinque aggregati ai quali si riferisce, di solito, la formulazione. Questa deduzione errata viene smentita dal Buddha stesso che dice chiaramente che tutte le molteplice concezioni di un sé sono sempre relative ai cinque aggregati. Come potrebbe formarsi una qualsiasi idea di un sé o di una personalità, se non in base al materiale costituito dai cinque aggregati e ad un fraintendimento al loro riguardo? Su che altro potrebbero essere fondate le nozioni riguardo al sé? :o Buddha, nel seguito del testo citato, afferma che questa è la sola possibile causa per la formazione delle idee di un sé: "Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità ( indipendente)...e lo speculare relativo a un sé ( Samyutta Nikaya, 22: 154,155). Nessuna concezione eternalistica di un "vero sé" oltre le apparenza del sè convenzionale, e nessuna concezione eternalistica del Nirvana, in qualsiasi forma, è conciliabile con gli insegnamenti del Buddha esposti nei testi più antichi, ossia nel Canone pali. Personalmente ho trovato sempre utile tenere a mente che l'anatta ( o non-sé) è l'effetto di anicca ( impermanenza di tutti i fenomeni). Solo nella comprensione profonda, nel nostro "animo", che tutto passa si può capire la dimensione esistenziale dell'anatta. Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, l'originarsi del ( e nel) mondo, non c'é quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza' (natthita). Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, il cessare del ( e nel) mondo, non c'è quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' (atthita). Questo mondo, Kacchana, è generalmente imprigionato nelle inclinazioni, negli attaccamenti e nei pregiudizi. Ma per quanto concerne queste inclinazioni, attaccamenti, rigidi atteggiamenti mentali, pregiudizi e tendenze profondamente radicate, egli ( l'uomo che ha la giusta comprensione) se ne tiene lontano, non vi aderisce, non nutre l'atteggiamento mentale: 'Io ho un sè'. Egli non ha dubbi o incertezze sul fatto che è la sofferenza, in verità, che appare ed è la sofferenza che cessa. Riguardo a questo la sua conoscenza non dipende dagli altri. Questo, Kacchana, è ciò che qualifica l'uomo che ha una giusta comprensione". (Samyutta Nikaya, 12:15). Adesso vado a bermi un pò di tachidol... :P
Come sempre ti ringrazio per la chiarezza Sariputra. Però d'altronde il Buddha dice chiaramente che per abbracciare l'anatta devi riconoscere che la ricerca del sé fallisce nei riguardi dei cinque aggregati. Quindi almeno come concetto lo devi usare e devi provare ad applicarlo alla realtà. La conclusione di tale ricerca però per il Buddha è l'impossibilità di trovare il Sé, non la sua assenza e nemmeno la sua presenza. Tuttavia almeno all'inizio devi pensare che sia possibile trovarlo altrimenti non inizi nemmeno a chiederti se gli aggregati sono o no il sé.
Citazione di: Apeiron il 09 Dicembre 2016, 23:24:31 PM
Citazione di: Sariputra il 09 Dicembre 2016, 23:15:26 PMProvo a entrare nella discussione anche se il mio cervello funziona ottenebrato dagli antidolorifici...succedono, questi stati dolorosi,proprio per non farci dimenticare la nostra reale natura ;D... Leggendo e rileggendo le posizioni di Apeiron e anche di Bluemax mi sembra di poter affermare che non sono propriamente posizioni buddhiste, soprattutto sulla natura dell'anatta, che è obiettivamente molto sfuggevole e di difficile comprensione( e' sicuramente il pronunciamento del Buddha più controverso e più originale, in campo religioso, a mio modesto parere...). Il primo fraintendimento è quello di ritenere il sé un'illusione". Il termine "illusione" va riferito alla credenza del pensiero sulla permanenza duratura del sè e non sul sé in quanto tale. Il sè esiste ma, come tutti i fenomeni composti da aggregati, è impermanente, ossia non è dotato di sostanza propria che non sia quella degli aggregati che lo compongono( a loro volta impermanenti...). Dobbiamo sempre sforzarci di comprendere che il Buddha storico ha insegnato la via di mezzo, ossia quella visione del reale lontana dai due estremi in cui , solitamente, si rifugia il pensiero. Buddha rifiuta la visione di una sostanza eterna nelle cose e , nello stesso tempo, rifiuta la visione che le cose siano illusorie come "bolle di sapone". Ossia rifiuta in egual misura l'idea che i fenomeni (interiori ed esteriori) siano oppure non siano realmente esistenti ( qui per realmente esistente s'intende che un fenomeno sia dotato di natura intrinseca, duratura, eterna, non modificabile...). Quando si parla di non-sé ci si deve riferire alla sua inconsistenza , impermanenza e assenza di identità. Questa inconsistenza non deve essere intesa come una fantasmagoria, una magia, un "velo di maya" che come una nebbia cela la realtà del "vero sé". Non c'è alcun vero sé , al di là degli aggregati che compongono il sé. Postulare l'esistenza di un vero sé ci farebbe cadere nell'estremo positivo dell'eternalismo, chiaramento rigettato dal Buddha. Affermare però semplicemente che "il sé non esiste" ci farebbe a sua volta precipitare nella visione negativa del nichilismo, a sua volta chiaramente e indubitabilmente rifiutata da Gotama. Tutti gli asceti e i brahmani che concepiscono le molteplici ( cose o idee) come un sé, concepiscono i cinque aggregati, o uno qualsiasi di essi, ( come un sé). Samyutta Nikaya, 22:47 L'ordinaria formulazione della dottrina dell'anatta:" Questo non fa parte di me, io non sono questo, questo non è il mio io" fa ritenere da alcuni ( anche autori buddhisti...) che il buddha presupponeva l'esistenza di un "sé" al di fuori, o al di là, dei cinque aggregati ai quali si riferisce, di solito, la formulazione. Questa deduzione errata viene smentita dal Buddha stesso che dice chiaramente che tutte le molteplice concezioni di un sé sono sempre relative ai cinque aggregati. Come potrebbe formarsi una qualsiasi idea di un sé o di una personalità, se non in base al materiale costituito dai cinque aggregati e ad un fraintendimento al loro riguardo? Su che altro potrebbero essere fondate le nozioni riguardo al sé? :o Buddha, nel seguito del testo citato, afferma che questa è la sola possibile causa per la formazione delle idee di un sé: "Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità ( indipendente)...e lo speculare relativo a un sé ( Samyutta Nikaya, 22: 154,155). Nessuna concezione eternalistica di un "vero sé" oltre le apparenza del sè convenzionale, e nessuna concezione eternalistica del Nirvana, in qualsiasi forma, è conciliabile con gli insegnamenti del Buddha esposti nei testi più antichi, ossia nel Canone pali. Personalmente ho trovato sempre utile tenere a mente che l'anatta ( o non-sé) è l'effetto di anicca ( impermanenza di tutti i fenomeni). Solo nella comprensione profonda, nel nostro "animo", che tutto passa si può capire la dimensione esistenziale dell'anatta. Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, l'originarsi del ( e nel) mondo, non c'é quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza' (natthita). Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, il cessare del ( e nel) mondo, non c'è quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' (atthita). Questo mondo, Kacchana, è generalmente imprigionato nelle inclinazioni, negli attaccamenti e nei pregiudizi. Ma per quanto concerne queste inclinazioni, attaccamenti, rigidi atteggiamenti mentali, pregiudizi e tendenze profondamente radicate, egli ( l'uomo che ha la giusta comprensione) se ne tiene lontano, non vi aderisce, non nutre l'atteggiamento mentale: 'Io ho un sè'. Egli non ha dubbi o incertezze sul fatto che è la sofferenza, in verità, che appare ed è la sofferenza che cessa. Riguardo a questo la sua conoscenza non dipende dagli altri. Questo, Kacchana, è ciò che qualifica l'uomo che ha una giusta comprensione". (Samyutta Nikaya, 12:15). Adesso vado a bermi un pò di tachidol... :P
Come sempre ti ringrazio per la chiarezza Sariputra. Però d'altronde il Buddha dice chiaramente che per abbracciare l'anatta devi riconoscere che la ricerca del sé fallisce nei riguardi dei cinque aggregati. Quindi almeno come concetto lo devi usare e devi provare ad applicarlo alla realtà. La conclusione di tale ricerca però per il Buddha è l'impossibilità di trovare il Sé, non la sua assenza e nemmeno la sua presenza. Tuttavia almeno all'inizio devi pensare che sia possibile trovarlo altrimenti non inizi nemmeno a chiederti se gli aggregati sono o no il sé.
Che schifo il tachidol! Secondo voi mi farebbe male sciacquarmi la bocca con quel che mi resta del vino novello, ormai passato...? :-\
Ma chi è che si chiede se esiste il sé ? Anche Buddha stesso iniziava, a volte, i suoi discorsi con : "Io affermo, o monaci, che...ecc." ;D E' evidente che c'è un senso innato del sé che può dire "Io affermo..." e questo sé esiste in dipendenza delle parti che lo compongono ( corpo, sensazioni , percezioni, coscienza,ecc...). Un albero può esistere
indipendentemente dal terreno , dalla luce , dall'ossigeno, ecc.? Non lo può fare. ma questo non significa che non ci sia "un albero"! Allo stesso modo un sé può esistere indipendentemente dai suoi aggregati? Non lo può fare, ma questo non significa che non ci sia un sé...
** scritto da bluemax:
CitazioneAspetta... la mia è ricerca (che non ha nulla a che fare con la fede. Fedele lo sono i cani, spesso per tornaconto, le persone si spera siano leali) da non confondere col buddismo.
Benissimo, quindi se è ricerca, e non fede, non devi dire:
"...così è, potevi prendere solo quella decisione e nessun altra..."; ma:
"...potrebbe, forse, essere così..."Come vedi le cose già si presentano differentemente. Mentre invece se tu sostieni che non esiste il libero arbitrio, visto che non ci sono prove certe al 100%, siamo nel campo della fede. Quindi io domani posso anche decidere, per fede, di non tradire mio fratello.
CitazioneIl buddismo parla di rinascita e continuità della mente sia prima che dopo la morte (che poi la morte per il buddismo è semplice cambiamento semplice effetto di cause). Proprio per questo volevo sapere se il concetto di "rinascita" è comunque un qualcosa che il nostro "sè" crea per non affrontare la sua inesistenza. La domanda è tutta qua. Il buddismo viene prima di questo, quindi non parlare in termini religiosi ti prego. Io sto' cercando di andare oltre
Difficile andare oltre i termini religiosi quando si parla di contenuti e riflessioni sul buddismo, in un forum di tematiche spirituali.
Comunque, se può servirti, leggi il colloquio con Nicodemo, nel capitolo 3 del Vangelo di Giovanni, e ti renderai conto che senza rinascita in vita, è difficile poi vedere quella dopo la morte.
Buona ricerca.
Citazione di: Duc in altum! il 10 Dicembre 2016, 14:13:01 PM
** scritto da bluemax:
CitazioneAspetta... la mia è ricerca (che non ha nulla a che fare con la fede. Fedele lo sono i cani, spesso per tornaconto, le persone si spera siano leali) da non confondere col buddismo.
Benissimo, quindi se è ricerca, e non fede, non devi dire: "...così è, potevi prendere solo quella decisione e nessun altra..."; ma: "...potrebbe, forse, essere così..."
Come vedi le cose già si presentano differentemente. Mentre invece se tu sostieni che non esiste il libero arbitrio, visto che non ci sono prove certe al 100%, siamo nel campo della fede. Quindi io domani posso anche decidere, per fede, di non tradire mio fratello.
Ricordo l'annedoto di uno scienziato (mi sfugge purtroppo il nome) che passò la vita a cercare di dimostrare la validità di una sua ricerca, salvo che poi prima di morire gli venne dimostrato che aveva torto. La sua reazione fu quella di piangere di gioia. La tua, sarebbe quella di piangere dalla disperazione (per questo non lo farai mai). Smettila di inquinare i thread con queste false analogie per far tornare i tuoi conti interni (è proprio un vizio..)
** scritto da InVerno:
CitazioneRicordo l'annedoto di uno scienziato (mi sfugge purtroppo il nome) che passò la vita a cercare di dimostrare la validità di una sua ricerca, salvo che poi prima di morire gli venne dimostrato che aveva torto.
Ripeto, so che è difficile distinguere per chi riflette con pregiudizi, se è una ricerca metafisica o spirituale, senza dare un verdetto (anche se poi le personali opere parlano per noi) con fede, resta pur sempre un'indagine, un'osservazione, quindi, per logica, si dovrebbe omettere il:
è così e basta, e perdipiù oggettivamente, sostenendo poi:
ma non è per fiducia irrazionale! :-\
Il problema è che era uno scienziato e non un cristiano, a un "santo" non è mai accaduto quel tipo di aneddoto (purtroppo o grazie a Dio)!! :D
Quindi il tuo:
CitazioneSmettila di inquinare i thread con queste false analogie per far tornare i tuoi conti interni (è proprio un vizio..)
...non ha senso, se non per credenza popolare, come la non esistenza del libero arbitrio. ;)
Sulle difficoltà , anche da parte dei "simpatizzanti" buddhisti occidentali, di poter credere a qualcosa come la rinascita dopo la trasformazione del corpo materiale nel processo della morte, bisogna, a mio parere, tener in debito conto la sostanziale differenza filosofica tra la visione delle religioni abramitiche , con la netta separazione tra coscienza e materia ( profondamente neo-platonica, con la separazione del mondo materiale dal mondo delle idee)e quella indiana, in cui questa separazione non è mai avvenuta praticamente. Coscienza e "mondo" formano un tutt'uno per la visione e la percezione meditativa indiana: non può essere dato l'uno senza l'altro. La coscienza interna (
vinnana) è lo spazio dove si depositano e prendono forma le azioni morali volontarie o involontarie (
Kamma). Nel loro prendere forma costruiscono il "mondo condizionato" come appare ai cinque aggregati e in particolare alle volizioni. Questo processo ininterrotto di costruzione dei "mondi" da parte di vinnana, condizionata dall'ignoranza sulla natura
anatta di tutti i fenomeni, è la base della ri-nascita della brama, o sete inestinguibile di esistere in eterno. Nella visione specificamente buddhista ( o per meglio dire del buddhismo delle origini...) la vinnana non è un elemente inattivo , ma bensì invece estremamente creativo. Bisogna dar conto che i cinque aggregati (
skandha) interagiscono costantemente fra loro e l'elemento vinnana ( coscienza) è , dagli altri quattro , continuamente proiettato all'"esterno" di sé, per aggrapparsi alle forme costruite dagli aggregati e cercarvi il piacere e la soddisfazione, ignaro che questo processo è insoddisfacente e causa di sofferenza, in quanto l'aggrapparsi a qualcosa in perenne mutamento è impossibile di fatto e frustrante. Quando si parla del processo di ri-nascita s'intende propriamente questo continuo sorgere ( o ri-sorgere) nella coscienza della brama di aggrapparsi ai mondi da lei stessa ( in comunione con gli altri aggregati che formano la persona) immaginati e costruiti. Questo processo è chiramente visto nella consapevolezza (
sati-panna) quando osserviamo in noi il continuo ri-nascere del desiderio, che non riesce a trovare vero appagamento. Questo processo di ri-nascita dell'attaccamento alle proprie costruzioni mentali, da parte di vinnana, è , secondo la visione buddhista, influenzato dal potere dell'azione ( kamma). Un'azione moralmente salutare sarà dunque quella che impedirà il ri-nascere dell'attaccamento; un'azione moralmente dannosa sarà quella che farà ri-nascere l'attaccamento della coscienza alle proprie insostanziali visioni e costruzioni del "mondo". Non essendo mai avvenuta, nel buddhismo, la scissione tra
vinnana e
nama-rupa (mente-corpo/ nome e forma) il processo della trasformazione del corpo ( che non è solo materia, come lo consideriamo noi occidentali, ma per il Buddha
anche vinnana, cioè coscienza), spingerà l'aggregato vinnana , man mano che si chiudono le porte sensoriali ( per ultima quella dell'udito, nel processo della morte) ad introiettarsi al suo interno ( in quello che la psicologia occidentale definisce come "inconscio"), in quanto la coscienza non può esistere
indipendentemente dai suoi contenuti; non trovando più contenuti a cui aggrapparsi nelle percezioni e nelle sensazioni, in quanto il corpo sta morendo, si aggrappa, per continuare ad esistere nei suoi contenuti interni. Questi contenuti interni però sono essenzialmente il frutto dell'azione volontaria ( le tracce, le impronte...) con cui si è condotta ( in senso moralmente salutare oppure dannoso) la propria esistenza. Se questi contenuti sono salutari , cioè privi di attaccamento, vinnana non troverà nulla a cui aggrapparsi per ri-esistere e perciò si avrà la realizzazione del
Parinibbana; se invece troverà la possibilità di aggrapparsi al contenuto dannoso dell'azione darà vita a nuovo nama-rupa, si avrà perciò quella che viene comunemente definita ri-nascita, ossia ri-nascita dell'attaccamento di
vinnana a
nama-rupa ( ri-nascere dell'attaccamento dell'aggregato coscienza a nuovo mente-forma).
E' piuttosto complesso...spero di essere stato sufficientemente leggibile... :-\ molti termini e concezioni buddhiste non trovano analogie, se non per approssimazione, con corrispondenti idee della filosofia o della psicologia occidentale...
Per finire la mia solita, classica, immancabile citazione "dotta" ;D :
« 54. "E cos'è questa nāma-rūpa, qual è l'origine di questa nāma-rūpa, qual è la cessazione della nāma-rūpa, qual è la via che conduce alla cessazione della nāma-rūpa? La sensazione, la percezione, la volizione, il contatto e l'attenzione, questi sono detti nāma. I quattro grandi elementi e la forma materiale che deriva dai quattro grandi elementi, questi sono detti rūpa. E così questa nāma e questa rūpa sono quello che si dice nāma-rūpa. Con il sorgere della coscienza c'è il sorgere di nāma-rūpa. Con la cessazione della coscienza c'è la cessazione dināma-rūpa. La via che mena alla cessazione di nāma-rūpa è proprio questo Nobile Ottuplice Sentiero e cioè retta visione... retta concentrazione. » |
« 55. "Quando un nobile discepolo ha così compreso nāma-rūpa, l'origine di nāma-rūpa, la cessazione di nāma-rūpa e la via che mena alla cessazione di nāma-rūpa... egli qui e ora pone fine alla sofferenza. È così anche che un nobile discepolo è dotato di retta visione... ed è giunto all'autentico Dhamma." » |
Majjhima-Nikāya 9, Sammaditthi Sutta, "Il discorso sulla Retta Visione".Buona domenica a tutti i lettori del forum da Villa Sariputra, immersa in una nebbia gelida che raffredda ogni ardore dell'animo...P.S. Mi sono dimenticato di scrivere che è molto più importante , per il Buddha, comprendere come mai ri-nasce continuamente in noi l'attaccamento qui e ora, che non immaginare con la fantasia quale forma vinnana ( coscienza) andrà ad assumere dopo la trasformazione nella morte. In quanto è qui e ora che possiamo indebolire e poi annullare questo ri-nascere della sete d'esistere in eterno...