LOGOS

LOGOS - Argomenti => Tematiche Spirituali => Discussione aperta da: sgiombo il 10 Luglio 2016, 18:52:28 PM

Titolo: pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 10 Luglio 2016, 18:52:28 PM
(Spero di non far perdere la pazienza a tutti con una nutrita serie di "premesse" di interesse per lo meno dubbio; invito chi faticasse a seguire le mie considerazioni a "saltare" oltre i cinque asterischi rossi che porrò alla fine delle premesse medesime, per entrare nel "sodo" delle considerazioni che mi sento di proporre).

Frequento di solito il forum di filosofia, che però in questi ultimi tempi mi sembra impegnato in discussioni alquanto "poco filosofiche" (e comunque per me soggettivamente poco interessanti).

Apro la presente discussione in questa sezione (dal titolo per me assai poco allettante!) perché, avendo cercato nel forum con la parola chiave "pentimento", vi sono stato indirizzato (in particolare a un intervento di Paul11 nella discussione sul perdono; e avendo constatato che quanto vorrei proporre all' attenzione dei frequentatori del forum non si prestava bene ad esservi inserito).

Spesso si pone il problema del vero o presunto "pentimento" da parte di chi ha compiuto delitti, soprattutto se particolarmente esecrabili (contro bimbi, oppure con motivazioni decisamente abbiette come intenti razzisti o indiscriminatamente terroristici).
Ricordo che la questione si pose alla mia attenzione per la prima volta negli anni '70 - '80 del secolo scorso di fronte ai primi pentimenti dei terroristi di (quelle che mi dispiace per i politicamente corretti, ma per me sono sempre state e continuano ad essere) le "sedicenti Brigate Rosse" (che, a parte l' eventuale buona fede di qualche utile idiota, di fatto hanno sempre egregiamente, diligentemente e molto efficacemente servito "il re di Prussia". Almeno nel caso delle "prime brigate rosse"; sospenderei invece il giudizio sui giustizieri dei nemici del popolo Biagi e D' Antona, che mi sembrano paragonabili a quegli anarchici di fine '800 che, come Bresci, in modo ingenuo e politicamente inefficace ma per lo meno eticamente apprezzabile -da parte mia ovviamente!- cercavano appunto per lo meno di vendicare il popolo dei soprusi dei suoi peggiori e più miserabili oppressori; ma prego i certamente numerosi politicamente corretti fra i frequentatori del forum di ignorare queste utlime mie considerazioni, certamente assai discutibili, che non ho saputo trattenere ma che non vogliono essere l' argomento principale di questo mio intervento e che non mi sembra si prestino ad essere serenamente discusse nel forum stesso: spero vi limiterete a manifestare il vostro deciso, magari sdegnato e scandalizzato dissenso senza argomentare, cosa che comunque mi guarderò bene dal fare da parte mia, anche in caso di vostre considerazioni più o meno dettagliate in proposito).



*  *  *  *  *



Per tornare a quella che a mio parere é invece una questione, oltre che interessante, anche tale da prestarsi a una serena discussione nel forum, noto che queste professioni di "pentimento" sono solitamente (direi "di regola"; e con scarsissime, "più uniche che rare" eccezioni) associate a richieste di riduzioni delle pene comminate o in attesa di essere decise dalla giustizia legale (e hanno tutta l' aria di essere suggerite dagli avvocati difensori per poterne trarre vantaggio nei processi).
E questo me le fa inevitabilmente ritenere dei puri e semplici e alquanto miserabili escamotages per cercare appunto di "farla franca" nei limiti del possibile.
Infatti le mie convinzioni in proposito, che credo fra le poche rimaste intatte dall' educazione cristiana alquanto tradizionalista che ho ricevuto in famiglia fin dalla più tenera età (mentre ho decisamente superato criticamente quasi tutte le altre da quando ho cominciato a ragionare con la mia testa), ma che potrebberio avere "radici giudaiche", oltre e forse più che "cristiane", sono che

il "pentimento" implica necessariamente come una conditio sine qua non per essere realmente tale, per essere autentico, la richiesta di "epiazione".

Senza richiesta di "espiazione" non si da sincero, reale "pentimento" (ma casomai solo furbesco tentativo di attenuare le meritate pene).
Non per niente negli ultimi anni in cui sono stato credente (nella mia ormai lontana adolescenza) il "sacramento" che prima era comunemente denominato "confessione" (dal suo aspetto più superficialmente evidente) cominciava ad essere chiamato "penitenza", che é un sinonimo di "espiazione", di sofferenza etero- o anche auto- inflitta per placare un bisogno di giustizia.

Solo chiedendo inasprimenti (e non affatto attenuazioni!) delle pene si può dimostrare un autentico pentimento per il male perpetrato, cioé il fatto di rendersi conto che il proprio agire é stato malvagio e dunque degno di punizione secondo etica e giustizia (oltre ovviamente che cercando se e per quanto possibile di rimediare, di riparare i "danni materiali, morali ed etici" perpetrati).
E solo in questo modo si può almeno in qualche misura (difficilmente valutabile) riacquistare rispettabilità etica e umana e chiedere (e auspicabilmente ottenere) "perdono" anche da parte delle vittime o dalle persone care sopravvissute alle vittime: solo alla conditio sine qua non di esigere per primi, anche indipendentemente dalla giustizia legale, di essere adeguatamente puniti, e dunque di "pagare" per ciò che si é fatto, di pagare comunque più di quanto la legge prescriva e ci si potrebbe limitare a subire, così annullando il "debito morale" (verso le vittime dirette e indirettamente verso tutta l' umanità onesta e devota alla giustizia che si sono offese) in cui si é precipitati.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Sariputra il 10 Luglio 2016, 22:05:40 PM
Il legame profondo tra il pentimento e l'espiazione viene mirabilmente sviluppato da quell'immenso narratore che è F.M.Dostoevskij in uno dei suoi grandi capolavori: "Delitto e Castigo".
Il protagonista, lo studente idealista Raskolnikov, dopo il brutale omicidio di una vecchia usuraia e la di lei serva, una donna inerme e pure ritardata mentalmente, matura, tra una febbre interiore e l'altra, la decisione di costituirsi e confessare il crimine. E' vero che ormai il cerchio si sta stringendo su di lui ma, al di là dei sospetti, nessuna prova può incastralo...Sarà l'incontro con la povera Sonja ( rimando al vecchio forum...) a farlo precipitare in se stesso , nella sua dimensione più umana, più autentica. Sonja come immagine, presenza del Cristo che accompagna la "discesa agli inferi" del pentito. E' proprio in questo annientamento della volontà nell'espiazione che può nascere l'"uomo nuovo". Il pentimento diventa così il primo passo verso la resurrezione, verso il rientrare in sè che abbraccia il proprio passato per superarlo e lasciarlo andare...Dostoevskij fa intendere che è nell'amore autentico che può esserci vera espiazione e vero pentimento. Da autore profondamente cristiano lo vede in una Bibbia che Sonja legge ogni giorno al carcerato Raskolnikov; una lettura che, come un balsamo, lenisce e sana lentamente, goccia a goccia, la rabbia profonda che è stata il motore primo della colpa commessa.
L'espiazione diventa una necessità per ritrovarsi e dovrebbe, come giustamente scrivi, essere accettata non con semplice, umana rassegnazione ma con spirito di sfida verso se stessi, per poter ri-nascere, per dare un senso alla parola pentimento.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Phil il 10 Luglio 2016, 23:42:12 PM
Citazione di: sgiombo il 10 Luglio 2016, 18:52:28 PMil "pentimento" implica necessariamente come una conditio sine qua non per essere realmente tale, per essere autentico, la richiesta di "epiazione". Senza richiesta di "espiazione" non si da sincero, reale "pentimento" [...] Non per niente negli ultimi anni in cui sono stato credente (nella mia ormai lontana adolescenza) il "sacramento" che prima era comunemente denominato "confessione" (dal suo aspetto più superficialmente evidente) cominciava ad essere chiamato "penitenza", che é un sinonimo di "espiazione", di sofferenza etero- o anche auto- inflitta per placare un bisogno di giustizia 
Non sono troppo pratico di cristianesimo (che, se non erro, è la prospettiva a cui ti riferisci pur non essendo fedele), ma credo che il binomio espiazione-sofferenza non sia esattamente alla base della confessione: per quel che so, l'amore divino richiede pentimento sincero, ma non necessariamente castigo o punizione terrena (semmai, ciò accadrà dopo la morte, se non ricordo male...). Non a caso, il prete che confessa non prescrive autoflagellamenti o "sofferenze", ma semplicemente preghiere a conferma del pentimento ("atto di dolore" e simili...) e l'impegno a non ripetere il peccato-colpa. L'espiazione cristianamente intesa non mi pare sia sinonimo di "sofferenza etero- o anche auto- inflitta per placare un bisogno di giustizia" (cit.)
[Se ho scritto delle inesattezze chiedo a chi è più ferrato nella religione di correggermi...]


Citazione di: sgiombo il 10 Luglio 2016, 18:52:28 PMSolo chiedendo inasprimenti (e non affatto attenuazioni!) delle pene si può dimostrare un autentico pentimento per il male perpetrato [...] E solo in questo modo si può almeno in qualche misura (difficilmente valutabile) riacquistare rispettabilità etica e umana [...] solo alla conditio sine qua non di esigere per primi, anche indipendentemente dalla giustizia legale, di essere adeguatamente puniti, e dunque di "pagare" per ciò che si é fatto
Passando alla dimensione pubblica, lasciando dunque tra parentesi la dimensione religiosa individuale, distinguerei fra "pentimento", "perdono", "punizione": il primo resta personale (o lo si è, o non lo si è), il secondo è una concessione-risposta degli altri (della società, delle vittime, etc....), la terza è la modalità con cui si dimostra il proprio pentimento oppure è semplicemente la conseguenza delle proprie malefatte. 
L'espiazione può anche non aver nessun legame con il pentimento: non è necessario che tutti i detenuti siano pentiti di ciò che hanno fatto, eppure stanno espiando... mentre, d'altro canto, suppongo che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si sarà pentito sinceramente di ciò che ha fatto, pur non avendo poi espiato la propria colpa in nessun modo...

Non confonderei quindi il pentimento (ovvero l'intimo riconoscimento di un errore-colpa) con le possibili conseguenze esteriori di una colpa, che può portare anche all'espiazione "dimostrativa" tramite prassi religiose o sociali.
Il pentimento e l'ammissione di colpa, come ben ricordavi, possono essere solo un escamotage strumentale per arginare i contraccolpi di un errore, ma anche l'espiazione può risultare talvolta solo un escamotage per tutelare la società, almeno per qualche anno, ma senza garanzie che il colpevole non si dimostri poi recidivo e affatto pentito della colpa precedente... 
A farla breve, secondo me, il pentimento è inverificabile...
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Sariputra il 10 Luglio 2016, 23:57:55 PM
@ Phil scrive:
A farla breve, secondo me, il pentimento è inverificabile...


Beh...se una persona chiede di espiare una colpa  non ti sembra una dimostrazione di pentimento?
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Phil il 11 Luglio 2016, 00:21:53 AM
Non prendermi per misantropo, ma talvolta la diffidenza è lecita... mi viene in mente un esempio sciocco: un po' di tempo fà, un comico fece una battuta un po' pesante, o forse semplicemente fuori luogo, su un bambino obeso; la stampa pubblicò la notizia; il comico si scusò e, supponiamo, abbia poi regalato al bambino e alla famiglia 50 biglietti per i suoi spettacoli, o abbia speso con lui una giornata al parco, o... decidi tu... possiamo essere sicuri che il comico sia davvero pentito della battutaccia, avendo "espiato" tramite doni economici o di tempo personale, pur non essendo costretto a farlo? 
Ripeto che l'esempio è davvero banale, ma dimostra come talvolta anche le espiazioni (proprio come l'ammissione di colpa) possano avere una loro logica di interesse (in questo caso tutelare l'immagine pubblica e salvaguardare la carriera), ed essere un tentativo demagogico di puntare al danno minore...
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: paul11 il 11 Luglio 2016, 01:56:18 AM
Dal punto di vista del diritto, il pentimento è un ravvedimento, il riconoscimento di aver causato un'offesa, lenisce la pena ma la parte
lesa necessita di giustizia
Dal punto di vista spirituale Sariputra ha ricordato le pagine mirabili di Dostoevskiij, profondo indagatore dell'animo umano, infatti scrive anche Umiliati e offesi.
La Confessione è un sacramento e la sua procedura è un'invenzione della chiesa.
Infatti diversi cristianesimi adottano forme diverse di pentimento.Non vorrei andare fuori tema, ma l'intermediazione del prete, figura
istituzionale benchè abbia il segreto confessionale, è una strana forma di raccontare i propri errori e limiti, ovvero i peccati non direttamente a Dio ,ma a qualcuno che come al solito intercede. personalmente la ritengo una ragione storica, dove la figura del prete è il pastore del gregge è una figura di guida spirituale e pedagogica.Ha senso ,sempre a mio parere, all'interno di bassi livelli spirituali da parte dei componenti del gregge.
L'espiazione è francamente un termine  a me sgradevole, una pubblica ammenda.Allora chi tira il sasso per primo a Maddalena?
Dal delitto al castigo all'umiliazione? Il vero e sincero pentimento è interiore fra l'individuo e Dio e solo i successivi comportamenti possono dimostrare se si è ravveduti.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Sariputra il 11 Luglio 2016, 09:32:08 AM
@ Phil
Deve essere sempre presente una componente di sacrificio nell'espiazione di una colpa.  Dare dei biglietti omaggio o dei gadgets ad una persona offesa non comporta certo un grosso sacrificio dal punto di vista personale. Diventa quasi una forma pubblicitaria che innalza il colpevole, che invece deve abbassare la testa...Dal punto di vista cristiano abbiamo la simbologia della Croce. Nell'atto del supremo sacrificio il Cristo realizza l'espiazione del peccato del mondo. Sacrificio di purificazione che diventa rito di propiziazione. Espiando si placa l'ira della divinità. L'espiazione, il concetto che sta alla base del termine greco Ιλασμος, si può intendere come lo sforzo umano di trarre dalla propria parte la potenza misteriosa e spesso funesta della divinità ,adirata per le nostre mancanze e in particolare per il nostro mancato ( o finto) pentimento. Solo espiando si dimostra tangibilmente il nostro sincero ravvedimento che altrimenti rimane un impulso interiore, una riflessione che, come tutte le riflessioni, muta, si trasforma con il passare del tempo e degli anni della nostra vita, arrivando persino a rimuovere inconsciamente in noi il ricordo stesso del male compiuto. Conosciamo bene gli inganni della nostra mente e come sia sempre pronta ad autogiustificarsi, a trovare validissimi motivi ( per lei...) per autoassolversi. L'espiazione va contro proprio ai desideri della mente ( "passi da me questo calice...") che rischia di escogitare e mettere in scena il "pentimento" proprio per non sacrificarsi, per non espiare, per non uscire dal proprio sè narcisistico che si alimenta proprio dalla "sensazione" del pentimento. Che inganno!...
Raskolnikov infatti è sinceramente pentito del male commesso, del duplice omicidio. A cosa serve espiare se è già sicuro di essere pentito , si chiede il giovane...ma è proprio Sonja ( il Cristo...) a chiedergli di uscire da questo inganno, di abbracciare l'espiazione per poter essere di nuovo vivo nella resurrezione. A cosa serviva morire atrocemente sulla Croce se il Cristo aveva già compreso e assunto in sè tutto il male e il dolore del mondo? Non bastava questa intima certezza, questa convinzione? Invece no...
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 09:41:42 AM
Ma come può chiedere un inasprimento della pena chi si pente per convenienza.
Hai ragione @Sgiombo, la stragrande maggioranza dei condannati pentiti cercano di farla franca attenuandosi le pene, altro che espiazione !
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Mariano il 11 Luglio 2016, 10:43:17 AM
Avendo inserito questa discussione nella sezione del forum che tratta di spiritualità, ritengo che si debba restare in questo ambito e mi permetto di esprimere la mia personale idea.
Da Wikipedia ( che volenti o nolenti e "cui grano salis" è diventato il mezzo più rapido per chiarirsi le idee ) si può leggere che espiazione ha il significato di riparare ad una colpa scontandone la pena; nella sua accezione religiosa comporta usualmente un rito o un sacrificio compiuto per placare la divinità e renderla nuovamente propizia quando la si ritiene offesa.
Ritengo che il concetto di penitenza definita da un esterno a chi commette la colpa possa derivare dalla tradizione Cristiana alquanto tradizionalista che tutti noi abbiamo subito.
A mio avviso il vero pentimento (e che sia vero lo può sapere solo la persona che lo prova) comprende in se stesso anche l'espiazione in quanto pentirsi implica anche un profondo dolore per aver male agito.
Il voler cercare una "giusta" pena per un male commesso è un utopia che nella nastra societa spesso  può confondersi con vendetta.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 11 Luglio 2016, 11:37:36 AM
Scrive Paul11, credo erroneamente, in un' altra discussione:

Lo stesso concetto di espiazione della colpa nella segregazione carceraria non è vista dal diritto come fine a se stessa.
Il carcere toglie dalla società una possible reiterazione nell'azione di un delitto, ovvero la persona è pericolosa socialmente.
Ma il diritto e la sua storia insegnano che il carcere deve essere il momento del ravvedimento, in cui la persona ritorna nella socialità, all a sua vita, quindi la società e la giustizia,come momenti astratti, riaccolgono nella comunità il reo, il peccatore affinchè ritorni alla sua vita sociale.Quindi il carcere dovrebbe essere il momento rieducativo.Non ha senso la pena a vita o addirittura la pena di morte.
Ma quale società può imporsi una verità così assoluta da decidere per quanto efferata potrebbe essere una colpa, un giudizio così totale per quella persona.
Quando la giustizia umana diventa astrazione IN SE' ecco che l'umanità perde i suoi significati , il pentimento perde la sua ragione, e la giustizia diventa il simulacro di una società ingiusta.




Credo sia vero.
Però personalmente non condivido la visione corrente del diritto.
Per me la punizione (il carcere) può anche contribuire a rieducare e fare reinserire a pieno titolo nella società titolo il reo, se la sua colpa non é troppo grave.
Ma secondo me il carcere é anche e innanzitutto la giusta punizione da infliggere da parte della società e da esigere anche da parte del reo se sinceramente pentito; e se la colpa é grave oltre un certo livello (per esempio omicidi plurimi e/o variamente aggravati) non può che essere "a vita" e dunque in questi casi é fisicamente impossibile possa servire a reinserire a pieno titolo nella società il reo (certe colpe sono irrimediabili; ma comunque espiabili).

Sono contro la pena di morte (anche se qualora personalmente mi sentissi in colpa e pentito per gravissime malefatte -omicidi- credo che me la infliggeri da me; come Giuda, secondo me grandissimo personaggio letterario, shakespeariano ante-litteram, che autopunendosi, e solo aurtopunendosi con adeguata severità, riacquista a mio parere dignità e rispettabilità etica) per il fatto che si può sempre sbagliare e la morte é irrimediabile; ma non sono contro l' ergastolo.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: paul11 il 11 Luglio 2016, 13:23:39 PM
Sgiombo,
mi hai "beccato", infatti ho sbagliato l'inserimento del post in altra discussione.
Aspergerò il capo di cenere al muro del pianto ,colpendomi al petto in penitenza........

No il carcere non è educare, in realtà è la socializzazione della violenza, per cui una persona sensibile o si uccide o si annichilisce moralmente, perchè dovrebbe essere seguita personalmente, cosa che nemmeno accade nella scuola di massa.
Ecco perchè il carcere è diseducativo soprattutto per i piccoli reati, quindi diventa il luogo di confino.

La vera espiazione è convivere con una colpa una vita intera, a volte è meglio finire l'esistenza che doversi accettare, e adatto che
sono strambo in certi pensieri, ritengo che siano proprio i vissuti a farci morire, così interpreto un passaggio biblico, in cui
si scrive che la durata della vita è direttamente proporzionale al decadimento spirituale, per cui oggi noi possiamo vivere al massimo 120 anni e non centinaia di anni, come prima del diluvio universale.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: donquixote il 11 Luglio 2016, 13:27:29 PM
Il pentimento, a mio avviso, è sempre indice di ipocrisia, anche quando è sincero o perlomeno al reo appare tale. Se ognuno agisce secondo giustizia (ovvero secondo ciò che l'attore considera tale) non ha alcuna ragione di pentirsi, anche se per la legge commette un reato. Un conto è il pentimento, che è personale, altro è l'espiazione della pena, che è un fatto sociale. Si può (e si deve, se si è "uomini") accettare e scontare la pena che la società ti infligge, ma non per questo si deve ammettere che si è sbagliato e fare atto di contrizione e sottomissione. Se ognuno è responsabile delle proprie azioni deve essere responsabile anche delle conseguenze a cui eventualmente portano, e solo le persone irresponsabili (e anche un po' vili) si comportano con leggerezza quando agiscono e poi si "pentono" con altrettanta leggerezza in modo tale da attenuare le conseguenze delle loro azioni. Socrate aveva commesso dei reati, secondo la legge di Atene: ma si è forse pentito? Ha però accettato serenamente le conseguenze delle sue azioni. Per Gesù Cristo è accaduto lo stesso. Si può pentire solo chi commette delle azioni sbagliate sapendo che sono sbagliate ("sbagliate" non significa necessariamente "contro la legge")  sperando di farla franca, ma allora anche il suo pentimento sarà falso e strumentale. Altra cosa è dire: "ho fatto questa cosa e ora non la rifarei perchè ho capito che è sbagliata", perchè in questo caso non ci sarebbe pentimento ma eventualmente "ravvedimento", ovvero acquisizione a posteriori di una ulteriore conoscenza che eviterebbe la commissione di un atto simile. Solo coloro che non vogliono o non sono in grado di sopportare le conseguenze delle proprie azioni (i vili, appunto, come Raskolnikov) possono pentirsi delle medesime e magari augurarsi di "tornare indietro" per poter rimediare.


PS: il carcere è il posto peggiore per rieducare un reo e reinserirlo nella società. Un vecchio e conosciutissimo proverbio recita: chi va con lo zoppo impara a zoppicare, quindi se si mette una persona in mezzo a tanti delinquenti come ci si può aspettare che rinsavisca? O si trova la maniera di inserirlo fra persone "buone" che con il loro esempio lo condurranno su di una "buona" strada o altrimenti meglio ripristinare il vecchio "esilio" oppure per i casi irrimediabili la pena di morte rimane la soluzione migliore: la società, il suo ordine e i suoi equilibri dovrebbero essere molto più importanti di un singolo componente della medesima perchè una società che salvaguarda i delinquenti incalliti (anche a spese e contro la  volontà di chi si comporta correttamente) non è una società civile ma una società corrotta.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 14:44:32 PM
**  scritto da Sgiombo:

Citazione(come Giuda, secondo me grandissimo personaggio letterario, shakespeariano ante-litteram, che autopunendosi, e solo aurtopunendosi con adeguata severità, riacquista a mio parere dignità e rispettabilità etica)

Per precisare, visto che siamo in spiritualità, il suicidio di Giuda (la sua autopunizione) potrebbe anche acquisire una rispettabilità etica, una moralità socialmente decente, ma solo dal punto di vista terrestre, generalizzando il pensiero umano, ma non agli occhi di Dio; giacché il suo gesto estremo, invece di riabilitarlo, venendo meno a 2 (Disperazione per la salvezza e Impenitenza finale) dei peccati contro lo Spirito Santo ("In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna" - Mc 3, 28-29), lo allontana maggiormente (e definitivamente, teologicamente parlando) dalla "misericordia", unico balsamo espiativo per un colpevole sinceramente contrito.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 15:03:37 PM
**  scritto da paul11:
CitazioneNo il carcere non è educare, in realtà è la socializzazione della violenza [...] Ecco perchè il carcere è diseducativo soprattutto per i piccoli reati, quindi diventa il luogo di confino...
Non sarà educativo, ma in tanti in carcer, si riabilitano o incontrano ciò che erano molto prima di entrarvi, uscendo cambiati o trasformati per sempre (a differenza, opinione personalissima, di tanti altri che essendo riusciti ad evitarlo per sotterfugi, od a non essere stati beccati  in flagranti per pochissimo, continuano a delinquere, illudendosi anche di essere, per gli altri, interessanti modelli educativi).
Quindi penso che il discorso rieducativo nel sistema penitenziario, cada sempre, come ogni altra cosa, sul desiderio di amor proprio o amor di sé, sul senso che uno decide di attribuire alla propria esistenza.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Phil il 11 Luglio 2016, 16:37:03 PM
Richiamerei in causa  la "necessità tematica" di distinguere fra la dimensione intima, personale, del pentimento:
Citazione di: paul11 il 11 Luglio 2016, 01:56:18 AMIl vero e sincero pentimento è interiore
Citazione di: Mariano il 11 Luglio 2016, 10:43:17 AMil vero pentimento (e che sia vero lo può sapere solo la persona che lo prova)
per cui 
Citazione di: Phil il 10 Luglio 2016, 23:42:12 PMil pentimento è inverificabile...
e la dimensione pubblica, in cui il pentimento va comunicato ed esternato poiché
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 09:32:08 AMSolo espiando si dimostra tangibilmente il nostro sincero ravvedimento che altrimenti rimane un impulso interiore,
[corsivo mio]
La "tangibilità" dell'espiazione, secondo me, resta comunque un gesto accessorio ed interpretabile: è il presunto pentimento che si espande fuori dal colpevole e viene palesato alla comunità, ma il pentimento può essere già completo e compiuto prima di diventare espiazione, prima di essere dimostrato (così come ogni sentimento o stato d'animo, può essere provato completamente e pienamente anche senza essere dichiarato e palesato...).
Per dirla in altri termini
Citazione di: donquixote il 11 Luglio 2016, 13:27:29 PMUn conto è il pentimento, che è personale, altro è l'espiazione della pena, che è un fatto sociale.
Mi trovo quindi in disaccordo con chi lega indissolubilmente e necessariamente il pentimento all'espiazione (Sariputra, sgiombo e Mariano se non ho frainteso), perché per me è come confondere la sfera pubblica con quella privata (e sappiamo quale delle due è la più autentica...). 
Poi, (ri)chiedo: a voi non è mai capitato di essere sinceramente pentiti senza aver espiato? O di aver "espiato astutamente" (fermo restando che non tutte le espiazioni sono fatte di sacrifici umani!)? Suvvia, possiamo pure dircelo, siamo fra ignoti forumisti  ;)

P.s.
Parentesi sul cristianesimo:
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 09:32:08 AMNell'atto del supremo sacrificio il Cristo realizza l'espiazione del peccato del mondo. Sacrificio di purificazione che diventa rito di propiziazione. Espiando si placa l'ira della divinità.
Ma in questo caso non è il colpevole (l'umanità) ad espiare, ma la divinità stessa che si incarna, si fa punire ed espia così colpe non certo sue (un bel gesto d'amore, ma è un esempio sovra-umano: nessun padre umano può espiare le colpe al posto della sua "creatura" tramite un "intermediario consustanziale"...). 
In fondo, a ben vedere, è un caso, se non il caso di espiazione-senza-pentimento... o no?

Sulla figura di Giuda
Citazione di: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 14:44:32 PMil suo gesto estremo, invece di riabilitarlo, venendo meno a 2 (Disperazione per la salvezza e Impenitenza finale) dei peccati contro lo Spirito Santo[...], lo allontana maggiormente (e definitivamente, teologicamente parlando) dalla "misericordia", unico balsamo espiativo per un colpevole sinceramente contrito.
En passant, senza il ruolo di Giuda (o chi per lui) non si sarebbe compiuto il destino di Cristo... fra tutti gli apostoli è dunque quello più necessario per la nascita del cristianesimo: il suo "sacrificio" nel peccato del tradimento è la causa efficiente del sacrificio di Cristo per la redenzione... 
Sarebbe potuto uscire di scena diversamente? Certo, ma non voglio proporre "finali alternativi" perché rischierei di risultare involontariamente inopportuno e non voglio assolutamente mancare di rispetto ai credenti presenti nel forum (augurandomi di non averlo già fatto!).
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PM
@ Phil
Cristo, vero Dio e Vero Uomo, assume su di sè tutte le colpe del mondo. L'innocente viene lordato dai peccati dei molti, di tutti. E la Croce è il momento del sacrificio dell'uomo Gesù di Nazareth, non del Dio consustanziale al Cristo. I infatti dirà: "Perchè mi hai abbandonato?..." Paolo lo definirà il nuovo Adamo. "Come a causa di un uomo il peccato è penetrato nel mondo, così per il sacrificio di un uomo..."
L'espiazione non è solo un atto pubblico; prima di ogni cosa è un atto personale. Per me stesso espio la mia colpa. Il sentimento del pentimento non è affatto sufficiente, come non è affatto sufficiente provare un sentimento d'amore per dire di amare veramente. Solo con l'atto d'amore dimostri d'amare e solo con un atto di sacrificio personale dimostri la tua intenzione di risollevarti dalla caduta.
Non è per forza la galera o la gogna pubblica. Una donna che magari si prende cura amorevole di un bimbo abbandonato, dopo magari aver abbandonato il suo per paura dell'avvenire, compie un nobile atto d'espiazione ( senza necessariamente sbandierarlo ad alcuno...).
Sto cercando di inquadrarlo all'interno dell'etica giudaico-cristiana. Ma anche se spostiamo la prospettiva, per esempio, a quella orientale vediamo che l'azione negativa (karma negativo) si può sanare solo mettendo in moto l'azione positiva opposta ( karma positivo). C'è una comune universalità dei valori etici basilari.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: paul11 il 11 Luglio 2016, 18:15:51 PM
Francamente non sono chiari alcuni punti nei vari post che si stanno succedendo.
Di quale giustizia stiamo discutendo di quella umana, di quella divina o convergono entrambe insieme?
Io le distinguo perchè quella umana è fallibili per definizione quella divina è invece infallibile.
Quella umana è il teatro della giustizia formale dentro la legge positiva.
Il giudice adempie il suo procedimento dentro una legislazione e una giurisprudenza dove  vi sono più gradi di giudizio propio in forza di una fallibilità giudiziaria. Prorio per questo viene dato un avvocato  a chiunque e la facoltà della difesa è un diritto.
Quello che voi definite un fatuo, falso, ingannevole pentimento è dentro la regola del gioco fra pubblico ministero e avvocato, così come pa pazzia in un momento criminoso .Perchè è accettato? Perchè nessuno ha la verità assoluta sulla natura umana, perchè la giustizia stessa umana non sarà mai un' assoluta verità, ma un'interpretazione in itinere storica e culturale.

La legge e il suo governo è una costrizione di una sublimazione della violenza sociale che vine pacificata nelle convenzioni accettate e per questo c'è necessità di un'autorità e di un corpo armato per esercitare il potere della sanzione nel giudizio.
Quindi dentro questo teatrino della giustizia vale tutto ciò che è legale, che è nella regola del gioco costruita e limitata dalla legislazione.
Qu' è impossiible dirimere il vero dal falso pentimento, perchè il gioco fra ila convenienza e lo stato d'animo non è una questione pubblica(ha ragione Phil), ma privata. E' a tu per tu fra il colpevole e chi subisce il reato che avviene pentimento e perdono,non in sedi pubbliche dove fra l'altro non vine contemplato, ovvero il reo porta prove a discolpa il pentimento in sede processuale vale il tempo che trova laddove sono perizie e  prove delle scienze forensi a determinare la colpevolezza o meno.
L'espiazione pubblica è semplicemente l'atto finale del teatro delle organizzazioni sociali, in cui una sovranità, un'autorità mostra all'intera società il ruolo sanzionatorio del giudizio ovvero la magistratura che interpreta la legge. e dà mandato  l corpo armato pubblico di salvaguardare la società isolando il pericolo sociale, ,ovvero salvaguardando l'ordine sociale dentro la legalità-

Quindi è chiaro Sgiombo che il crimine eseguito per seguire un'ideologia sovversiva all'ordine costituito è un crimine diverso dal delinquente comune.Le persone uccise o ferite, sono nell'ordine della logica creduta, non c'è nulla di personale, è impersonale l'ideologia nella scelta delle strategie per i fini.

Se invece si discute di giudizio divino ,dipende a quale confessione ci si ispira. Gesù,ad esempio , ha perdonato soprattutto per il semplice gesto venuto dal cuore.
Io non conosco il punto di vista di Dio, da semplice umano non posso che cercare di vedere l'atto della fiducia,della sincerità, e solo a posteriori possiamo sapere se quella persona si è redenta.Ma la  stessa legge umana segue questo percorso,comminando una prima pena con la condizionale, e la buona condotta abbuona parte della sanzione.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: cvc il 11 Luglio 2016, 18:28:22 PM
I cristianissimi soldati di Carlo Magno massacravano i pagani e poi espiavano. I crociati vedevano addirittura nell'uccisione dei nemici l'espiazione dei propri peccati. Ciò sta a significare che per quanto a fondo si possa calare il senso del peccato nell'animo umano, c'è sempre modo di sviare. L'umanità a volte  sembra un branco di pecore che cerca solo un pastore che con bastone e carota gli offra l'assoluzione dai peccati, incapace com'è di ragionarvi in proprio.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Phil il 11 Luglio 2016, 18:36:10 PM
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PMla Croce è il momento del sacrificio dell'uomo Gesù di Nazareth, non del Dio consustanziale al Cristo. I infatti dirà: "Perchè mi hai abbandonato?..." 
Ovviamente (per chi crede) la "sostanza divina" non poteva morire (ecco perché c'è "l'abbandono"); tuttavia qui non è il colpevole che espia le sue colpe: il colpevole è l'umanità, eppure è solo Gesù a perire; per questo è l'espiazione-senza-pentimento per antonomasia: ad espiare è il senza-colpa, mentre il vero colpevole nemmeno si pente...

Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PMPer me stesso espio la mia colpa. Il sentimento del pentimento non è affatto sufficiente, come non è affatto sufficiente provare un sentimento d'amore per dire di amare veramente 
Chiaramente l'amore è un sentimento "estroverso": si alimenta anche di vissuti sociali, o almeno di coppia... a differenza di sentimenti "introversi" come appunto il pentimento, l'invidia, la tristezza, l'ammirazione, la nostalgia... che, secondo me, non necessitano di essere estroflessi per essere "completi"...

Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PMUna donna che magari si prende cura amorevole di un bimbo abbandonato, dopo magari aver abbandonato il suo per paura dell'avvenire, compie un nobile atto d'espiazione ( senza necessariamente sbandierarlo ad alcuno...). 
Questo esempio lo leggerei così (nella mia prospettiva): la donna era già pentita pienamente della sua scelta, così che quando si è presentata un'occasione di "riprendere" ciò che si era pentita di aver perso, ha saputo giovarsene... ma se anche non avesse accolto il nuovo bambino, non potrei dedurre che il suo pentimento non fosse già compiuto e autentico...
 
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PMvediamo che l'azione negativa (karma negativo) si può sanare solo mettendo in moto l'azione positiva opposta ( karma positivo)
Non saprei se il karma positivo di una scelta-azione sia necessariamente l'espiazione o la contro-azione di quello negativo di una scelta-azione collegata: se ogni azione è causa della rispettiva conseguenza (positiva o negativa), il rimediare-espiare è da intendere nell'intera catena dell'agire umano, e non solo relativamente al caso singolo particolare: colpa del fatto x -> karma negativo / pentimento-espiazione del fatto x -> karma positivo... alla fine, per la reincarnazione o la sua cessazione, conta il "karma totale" (che brutta espressione, neanche parlassimo di contabilità!); sbaglio?
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 11 Luglio 2016, 18:56:00 PM
Citazione di: paul11 il 11 Luglio 2016, 13:23:39 PM
Sgiombo,
mi hai "beccato", infatti ho sbagliato l'inserimento del post in altra discussione.
Aspergerò il capo di cenere al muro del pianto ,colpendomi al petto in penitenza........
CitazioneBeh, come espiazione mi sembra più che sufficiente...

No il carcere non è educare, in realtà è la socializzazione della violenza, per cui una persona sensibile o si uccide o si annichilisce moralmente, perchè dovrebbe essere seguita personalmente, cosa che nemmeno accade nella scuola di massa.
Ecco perchè il carcere è diseducativo soprattutto per i piccoli reati, quindi diventa il luogo di confino.
CitazioneCredo sia la differenza fra il "dover essere" e l' "essere di fatto"; anche se personalmente dissento anche dal "dover essere": per me il carcere deve anche essere sofferenza in qualche modo "proporzionale" (ovviamente non in senso matematico - letterale) al male fatto, una sorta di "laico purgatorio", oltre che rieducazione.
E quando il male fatto é tale da meritare l' ergastolo non può di fatto "restituire il colpevole a una vita libera e "nornale".

La vera espiazione è convivere con una colpa una vita intera, a volte è meglio finire l'esistenza che doversi accettare, e adatto che
sono strambo in certi pensieri, ritengo che siano proprio i vissuti a farci morire, così interpreto un passaggio biblico, in cui
si scrive che la durata della vita è direttamente proporzionale al decadimento spirituale, per cui oggi noi possiamo vivere al massimo 120 anni e non centinaia di anni, come prima del diluvio universale.
CitazioneEffettivamente vivere fra sinceri rimorsi di coscienza può anche essere più penoso (e dunque più compiuta espiazione) che morire.

Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PM
Citazione di: donquixote il 11 Luglio 2016, 13:27:29 PM
Il pentimento, a mio avviso, è sempre indice di ipocrisia, anche quando è sincero o perlomeno al reo appare tale. Se ognuno agisce secondo giustizia (ovvero secondo ciò che l'attore considera tale) non ha alcuna ragione di pentirsi, anche se per la legge commette un reato. Un conto è il pentimento, che è personale, altro è l'espiazione della pena, che è un fatto sociale. Si può (e si deve, se si è "uomini") accettare e scontare la pena che la società ti infligge, ma non per questo si deve ammettere che si è sbagliato e fare atto di contrizione e sottomissione. Se ognuno è responsabile delle proprie azioni deve essere responsabile anche delle conseguenze a cui eventualmente portano, e solo le persone irresponsabili (e anche un po' vili) si comportano con leggerezza quando agiscono e poi si "pentono" con altrettanta leggerezza in modo tale da attenuare le conseguenze delle loro azioni. Socrate aveva commesso dei reati, secondo la legge di Atene: ma si è forse pentito? Ha però accettato serenamente le conseguenze delle sue azioni. Per Gesù Cristo è accaduto lo stesso. Si può pentire solo chi commette delle azioni sbagliate sapendo che sono sbagliate ("sbagliate" non significa necessariamente "contro la legge")  sperando di farla franca, ma allora anche il suo pentimento sarà falso e strumentale. Altra cosa è dire: "ho fatto questa cosa e ora non la rifarei perchè ho capito che è sbagliata", perchè in questo caso non ci sarebbe pentimento ma eventualmente "ravvedimento", ovvero acquisizione a posteriori di una ulteriore conoscenza che eviterebbe la commissione di un atto simile. Solo coloro che non vogliono o non sono in grado di sopportare le conseguenze delle proprie azioni (i vili, appunto, come Raskolnikov) possono pentirsi delle medesime e magari augurarsi di "tornare indietro" per poter rimediare.

CitazioneConcordo che si da il caso dell' obiezione di coscienza e dunque che la rettitudine morale può imporre di contravvenire una legge ingiusta, pagandone le conseguenze (ma eventualmente anche "facendola franca se possibile": non credo sia eticamente doveroso accettare pene ingiuste da leggi ingiuste).
E anche Socrate forse ha accettato l' ingiusta condanna a morte non tanto per un feticistico e acritico attaccamento alla legge ad ogni costo ma piuttosto perché di fatto riteneva che sottrandovisi avrebbe inficiato gli insegnamenti impartiti ai concittadini (ma potrei sbagliarmi: non sono certo un buon esegeta di Platone e degli insegnamenti socratici).

Non trovo invece differenze fra "pentimento" e "ravvedimento" (per come ne parli tu).
Secondo me tutti si può sbagliare e anche compiere azioni malvagie (nessuno é perfetto!), e  dirsi "ho fatto questa cosa e ora non la rifarei perchè ho capito che è sbagliata" (lo sapevo anche prima ma non ho avuto la forza d' animo di resistere alla tentazione, cosa che vorrei non aver fatto), cercare di rimediarvi se e per quanto possibile e infliggersi meritate e "proporzionate" punizioni consente di "riabilitarsi moralmente" innanzitutto di fronte a se stessi, e poi di fronte agli altri.

PS: il carcere è il posto peggiore per rieducare un reo e reinserirlo nella società. Un vecchio e conosciutissimo proverbio recita: chi va con lo zoppo impara a zoppicare, quindi se si mette una persona in mezzo a tanti delinquenti come ci si può aspettare che rinsavisca? O si trova la maniera di inserirlo fra persone "buone" che con il loro esempio lo condurranno su di una "buona" strada o altrimenti meglio ripristinare il vecchio "esilio" oppure per i casi irrimediabili la pena di morte rimane la soluzione migliore: la società, il suo ordine e i suoi equilibri dovrebbero essere molto più importanti di un singolo componente della medesima perchè una società che salvaguarda i delinquenti incalliti (anche a spese e contro la  volontà di chi si comporta correttamente) non è una società civile ma una società corrotta.
CitazionePerò la giustizia può sbagliare; e comminando la pena di morte si metterebbe nelle condizioni, per me inaccettabili, di potere sbagliare gravissimamente (di compiere un' efferato delitto) senza possibilità di rimedio.

***********************************************

@ DucinAltum!

Concordo sul disaccordo: le tue sono convinzioni cristiane, le mie sono convinzioni non religiose (evito la parola "laico" perché può essere fraintesa).

Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:36:46 PM
Citazione di: Phil il 11 Luglio 2016, 16:37:03 PM
Richiamerei in causa  la "necessità tematica" di distinguere fra la dimensione intima, personale, del pentimento:
Citazione di: paul11 il 11 Luglio 2016, 01:56:18 AMIl vero e sincero pentimento è interiore
Citazione di: Mariano il 11 Luglio 2016, 10:43:17 AMil vero pentimento (e che sia vero lo può sapere solo la persona che lo prova)
per cui
Citazione di: Phil il 10 Luglio 2016, 23:42:12 PMil pentimento è inverificabile...
e la dimensione pubblica, in cui il pentimento va comunicato ed esternato poiché
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 09:32:08 AMSolo espiando si dimostra tangibilmente il nostro sincero ravvedimento che altrimenti rimane un impulso interiore,
[corsivo mio]
La "tangibilità" dell'espiazione, secondo me, resta comunque un gesto accessorio ed interpretabile: è il presunto pentimento che si espande fuori dal colpevole e viene palesato alla comunità, ma il pentimento può essere già completo e compiuto prima di diventare espiazione, prima di essere dimostrato (così come ogni sentimento o stato d'animo, può essere provato completamente e pienamente anche senza essere dichiarato e palesato...).
Per dirla in altri termini
Citazione di: donquixote il 11 Luglio 2016, 13:27:29 PMUn conto è il pentimento, che è personale, altro è l'espiazione della pena, che è un fatto sociale.
Mi trovo quindi in disaccordo con chi lega indissolubilmente e necessariamente il pentimento all'espiazione (Sariputra, sgiombo e Mariano se non ho frainteso), perché per me è come confondere la sfera pubblica con quella privata (e sappiamo quale delle due è la più autentica...).
Poi, (ri)chiedo: a voi non è mai capitato di essere sinceramente pentiti senza aver espiato? O di aver "espiato astutamente" (fermo restando che non tutte le espiazioni sono fatte di sacrifici umani!)? Suvvia, possiamo pure dircelo, siamo fra ignoti forumisti  ;)
CitazioneCONSIDERAZIONI DI SGIOMBO:

Concordo sulla differenza fra "dimensione pubblica" e "interiore " del pentimento.

Ma, come hai giustamente rilevato, dissento dal fatto che l' espiazione sia una conditio sine qua non unicamente della (accertabilità o "tangibilità" della) prima: per me chi é sinceramente pentito, anche a prescindere totalmente dalla sua "visibilità pubblica" non può non:

a) cercare se e per quanto possibile di rimediare;

b) impegnarsi seriamente a cercare con tutte le sue forze di comportarsi diversamente in futuro;

c) infliggersi "adeguate" pene (anche a prescindere da quelle "pubbliche" che gli commina la giustizia penale) come "meritate punizioni" per il male operato.

Altrimenti "per definizione" non é sinceramente pentito.

Dunque, con tutta franchezza, da frequentatore anonimo del forum a frequentatore anonimo del forum, ritengo una contraddizione in termini l' ipotesi di "essere sinceramente pentiti senza aver espiato", o peggio avendo "espiato astutamente".
Peraltro, come ho già rilevato rispondendo a Paul11, al limite semplicemente il solo vivere fra tormentosi rimorsi (piuttosto che porre fine alla propria esistenza e "non pensarci più") potrebbe forse anche essere una forma di espiazione, o almeno contribuirvi (è difficile dire, in queste questioni...).
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:44:37 PM
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PM
@ Phil
Cristo, vero Dio e Vero Uomo, assume su di sè tutte le colpe del mondo. L'innocente viene lordato dai peccati dei molti, di tutti. E la Croce è il momento del sacrificio dell'uomo Gesù di Nazareth, non del Dio consustanziale al Cristo. I infatti dirà: "Perchè mi hai abbandonato?..." Paolo lo definirà il nuovo Adamo. "Come a causa di un uomo il peccato è penetrato nel mondo, così per il sacrificio di un uomo..."
L'espiazione non è solo un atto pubblico; prima di ogni cosa è un atto personale. Per me stesso espio la mia colpa. Il sentimento del pentimento non è affatto sufficiente, come non è affatto sufficiente provare un sentimento d'amore per dire di amare veramente. Solo con l'atto d'amore dimostri d'amare e solo con un atto di sacrificio personale dimostri la tua intenzione di risollevarti dalla caduta.
Non è per forza la galera o la gogna pubblica. Una donna che magari si prende cura amorevole di un bimbo abbandonato, dopo magari aver abbandonato il suo per paura dell'avvenire, compie un nobile atto d'espiazione ( senza necessariamente sbandierarlo ad alcuno...).
Sto cercando di inquadrarlo all'interno dell'etica giudaico-cristiana. Ma anche se spostiamo la prospettiva, per esempio, a quella orientale vediamo che l'azione negativa (karma negativo) si può sanare solo mettendo in moto l'azione positiva opposta ( karma positivo). C'è una comune universalità dei valori etici basilari.
CitazioneM O L T O   B E N   D E T T O  !  ! !

(Commento che non vuole essere né sembrare presuntuoso o saccente -mi dispiacerebbe moltissimo se fosse ritenuto tale- ma di sincera e un po' ammirata approvazione).


Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 19:48:46 PM
**  scritto da Phil:
CitazioneEn passant, senza il ruolo di Giuda (o chi per lui) non si sarebbe compiuto il destino di Cristo... fra tutti gli apostoli è dunque quello più necessario per la nascita del cristianesimo: il suo "sacrificio" nel peccato del tradimento è la causa efficiente del sacrificio di Cristo per la redenzione...
Sarebbe potuto uscire di scena diversamente? Certo, ma non voglio proporre "finali alternativi" perché rischierei di risultare involontariamente inopportuno e non voglio assolutamente mancare di rispetto ai credenti presenti nel forum (augurandomi di non averlo già fatto!).
No, il cristianesimo nasce dalla risurrezione di Gesù, senza di essa non ci sarebbe la "buona novella: "...Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede..." - (1Cor 15, 14) - vano il nostro cattolicesimo aggiungerei; quindi se proprio vuoi individuare un inviato necessario affinché il cristianesimo decolli questi è Maria detta Maddalena, ossia, l'apostola degli apostoli, personaggio che in tutti e 4 i testi del Vangelo (caso unico ed eccezionale) arriva al santo sepolcro prima degli apostoli, ascolta gli angeli e parla col Risorto prima ancora che si fosse presentato al Padre, wow!!

Inoltre le supposizione su ciò che avrebbe potuto fare Giuda dopo essersi ravveduto del tradimento è pura personificazione (gli apocrifi per esempio, quindi, per me, puoi dire la tua senza sentirti a disagio per la mancanza di rispetto), Giuda ha preferito suicidarsi invece di chiedere perdono a Dio (cosa che gli israeliti conoscevano bene grazie al salmo "miserere" di Davide), non credendo nel perdono di Dio, né nella possibilità di espiare la sua colpa, punto!  ...e  ciò è quanto scritto.
Se il cristianesimo dovesse rendere grazie ad un atto di tradimento, a un gesto iniquo per mancanza di fede, ossia di assenza di amore, saremmo belli e rovinati; forse, alla luce del riscatto di altre colpe, si potrebbe ipotizzare che se Giuda si fosse pentito sinceramente, e avesse consegnato il suo crimine nelle mani del Signore, allora, forse, sarebbe potuto diventare un inviato da tenere molto in considerazione come modello di santità per gli altri, ma così non è stato, non ha voluto che fosse differente la sua fine, e non ha accettato la penitenza da espiare per la sua purificazione.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Phil il 11 Luglio 2016, 20:12:03 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:36:46 PMper me chi é sinceramente pentito, anche a prescindere totalmente dalla sua "visibilità pubblica" non può non: 
 a) cercare se e per quanto possibile di rimediare; 
 b) impegnarsi seriamente a cercare con tutte le sue forze di comportarsi diversamente in futuro; 
 c) infliggersi "adeguate" pene (anche a prescindere da quelle "pubbliche" che gli commina la giustizia penale) come "meritate punizioni" per il male operato.
Concordo pienamente su A e B, ma la C la vedo innecessariamente masochistica (soprattutto quando non c'è una espiazione prevista o disponibile, e bisogna allora inventarla e auto-infliggersela...)

Citazione di: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 19:48:46 PMNo, il cristianesimo nasce dalla risurrezione di Gesù 
Che presuppone la morte-espiazione, che presuppone il tradimento... se Cristo fosse morto serenamente di vecchiaia circondato dai discepoli, non so se avrebbe redento comunque l'umanità dalle sue colpe... ma ovviamente è inutile speculare su trame alternative...

Citazione di: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 19:48:46 PM  Se il cristianesimo dovesse rendere grazie ad un atto di tradimento, a un gesto iniquo per mancanza di fede, ossia di assenza di amore, saremmo belli e rovinati 
Credo capiti anche in altre tradizioni, ma sicuramente la Genesi fa nascere l'umanità da un gesto iniquo per mancanza di fede e grazie all'intervento di un personaggio ben più esecrabile di Giuda... e personalmente non la trovo affatto una tappa insensata, anzi, è simbolicamente piuttosto possente...

Citazione di: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 19:48:46 PM forse, alla luce del riscatto di altre colpe, si potrebbe ipotizzare che se Giuda si fosse pentito sinceramente, e avesse consegnato il suo crimine nelle mani del Signore, allora, forse, sarebbe potuto diventare un inviato da tenere molto in considerazione come modello di santità per gli altri
Concordo, sarebbe stato il finale perfetto...
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 11 Luglio 2016, 21:16:05 PM
Citazione di: Phil il 11 Luglio 2016, 20:12:03 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:36:46 PMper me chi é sinceramente pentito, anche a prescindere totalmente dalla sua "visibilità pubblica" non può non:
a) cercare se e per quanto possibile di rimediare;
b) impegnarsi seriamente a cercare con tutte le sue forze di comportarsi diversamente in futuro;
c) infliggersi "adeguate" pene (anche a prescindere da quelle "pubbliche" che gli commina la giustizia penale) come "meritate punizioni" per il male operato.
Concordo pienamente su A e B, ma la C la vedo innecessariamente masochistica (soprattutto quando non c'è una espiazione prevista o disponibile, e bisogna allora inventarla e auto-infliggersela...)
CitazioneMasochismo é ricavare soddisfazione dal dolore fisico fine a se stesso (desiderare primariamente il dolore fisico e ovviamente essere soddisfatti se e nella misura in cui lo si prova): per me una "perversione" decisamente patologica.

Invece espiare una colpa significa infliggersi sofferenze come mezzo per lo scopo di soddisfare il (proprio innanzitutto; e secondariamente anche altrui) più che fisiologico desiderio di giustizia: il desiderio primario di giustizia, cioé -fra l' altro- il desiderio che chi fa del male meritatamente soffra e chi fa del bene meritatamente sia felice (che ovviamente, come tutti i desideri, fisiologici e non, non sempre necessariamente é soddisfatto: talora lo é più o meno, talaltra più o meno non lo é).
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Phil il 11 Luglio 2016, 22:11:38 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 21:16:05 PMespiare una colpa significa infliggersi sofferenze come mezzo per lo scopo di soddisfare il (proprio innanzitutto; e secondariamente anche altrui) più che fisiologico desiderio di giustizia: il desiderio primario di giustizia, cioé -fra l' altro- il desiderio che chi fa del male meritatamente soffra
Questo rapporto fra sofferenza e giustizia, secondo me, porta la giustizia indietro di molti secoli, all'ordalia, alla legge del taglione, alle punizioni corporali, ai lavori forzati... non che sia deprecabile avere un'idea di giustizia che contempli queste pratiche (ognuno può idealizzare liberamente), ma mi sembra che buona parte del mondo occidentale stia andando nella direzione opposta: disinnescare i pericoli sociali, ma senza torcergli un capello (la stessa pena di morte credo non goda di buona reputazione...).

Premesso ciò, non confonderei il "fisiologico desiderio di giustizia" con il "desiderio di giustizia fisiologica" (dove c'è sadismo o masochismo): far soffrire chi (ci) ha fatto del male è un desiderio istintivamente "grezzo" di vendetta, non di giustizia... quel "desiderio che chi fa del male meritatamente soffra"(cit.) cela nel "meritatamente" una auto-assoluzione per il proprio istinto di vendetta (azione che, se non erro, viene condannata sia dal diritto che da gran parte delle religioni...).

Se questa vendetta viene poi rivolta contro se stessi, nella convinzione che sia un modo per espiare le proprie colpe, direi che siamo ben oltre il pentimento che, come accennavo a Sariputra, secondo me è uno di quei sentimenti "introversi" (scusa se vado sul personale, ovviamente puoi non rispondere, ma tu davvero non ti ritieni pentito finché non hai espiato con qualche sofferenza una tua colpa?).
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Sariputra il 11 Luglio 2016, 22:20:22 PM
Citazione di: Phil il 11 Luglio 2016, 18:36:10 PM
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PMla Croce è il momento del sacrificio dell'uomo Gesù di Nazareth, non del Dio consustanziale al Cristo. I infatti dirà: "Perchè mi hai abbandonato?..."
Ovviamente (per chi crede) la "sostanza divina" non poteva morire (ecco perché c'è "l'abbandono"); tuttavia qui non è il colpevole che espia le sue colpe: il colpevole è l'umanità, eppure è solo Gesù a perire; per questo è l'espiazione-senza-pentimento per antonomasia: ad espiare è il senza-colpa, mentre il vero colpevole nemmeno si pente...
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PMPer me stesso espio la mia colpa. Il sentimento del pentimento non è affatto sufficiente, come non è affatto sufficiente provare un sentimento d'amore per dire di amare veramente
Chiaramente l'amore è un sentimento "estroverso": si alimenta anche di vissuti sociali, o almeno di coppia... a differenza di sentimenti "introversi" come appunto il pentimento, l'invidia, la tristezza, l'ammirazione, la nostalgia... che, secondo me, non necessitano di essere estroflessi per essere "completi"...
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PMUna donna che magari si prende cura amorevole di un bimbo abbandonato, dopo magari aver abbandonato il suo per paura dell'avvenire, compie un nobile atto d'espiazione ( senza necessariamente sbandierarlo ad alcuno...).
Questo esempio lo leggerei così (nella mia prospettiva): la donna era già pentita pienamente della sua scelta, così che quando si è presentata un'occasione di "riprendere" ciò che si era pentita di aver perso, ha saputo giovarsene... ma se anche non avesse accolto il nuovo bambino, non potrei dedurre che il suo pentimento non fosse già compiuto e autentico...  
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 17:37:50 PMvediamo che l'azione negativa (karma negativo) si può sanare solo mettendo in moto l'azione positiva opposta ( karma positivo)
Non saprei se il karma positivo di una scelta-azione sia necessariamente l'espiazione o la contro-azione di quello negativo di una scelta-azione collegata: se ogni azione è causa della rispettiva conseguenza (positiva o negativa), il rimediare-espiare è da intendere nell'intera catena dell'agire umano, e non solo relativamente al caso singolo particolare: colpa del fatto x -> karma negativo / pentimento-espiazione del fatto x -> karma positivo... alla fine, per la reincarnazione o la sua cessazione, conta il "karma totale" (che brutta espressione, neanche parlassimo di contabilità!); sbaglio?


Se il male è essenzialmente Assenza (d'amore) , il pentimento non può risolversi in una semplice sensazione interiore, ma deve operare per colmare quell' assenza. L'amore (anche verso se stessi malfattori) è la prima pietra da posare sulla strada della ri-nascita. Quindi, per me, l'espiazione è essenzialmente un cammino d'amore , una via che non deve soddisfare la sete di giustizia esterna a sè , ma il profondo bisogno interiore di colmare l'abisso creato da quel vuoto d'amore da dove è sorta la colpa. La rinascita non è qualcosa che avviene dopo la morte fisica e il disfacimento dell'organismo ma il camminare continuo della coscienza e il famoso karma è proprio questo movimento incessante. Un'azione veramente malvagia ha un influsso terribile sulla coscienza, indipendentemente dal fatto di esserne consapevoli. Questa ruota priva di perno ( amore) non smette di girare e operare nefasta influenza in noi semplicemente perchè , con un impulso interiore, effimero, riteniamo di esserci pentiti.
L'unico modo di rallentare prima e poi arrestare il suo movimento ,che si nutre  della nostra desolata autocommiserazione e autogiustificazione, è quello di mettere in moto una forza che si oppone a queste ombre, a queste piaghe interiori. Non è possibile alcuna matematica del karma, nè alcuna accumulazione di meriti. Solo quando,  nel sonno, i demoni che abbiamo generato, piano piano, non verranno più a farci visita, capiremo che la ruota ha esaurito l'energia che la muoveva.
« Il mio atto è il mio bene, il mio atto è la mia eredità, il mio atto è la matrice che mi ha generato, il mio atto è la razza cui appartengo, il mio atto è il mio rifugio. »
(Anguttara Nikàya, trad. David-Neel, Le Bouddhisme, p. 152.)
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: donquixote il 11 Luglio 2016, 22:40:18 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMConcordo che si da il caso dell' obiezione di coscienza e dunque che la rettitudine morale può imporre di contravvenire una legge ingiusta, pagandone le conseguenze (ma eventualmente anche "facendola franca se possibile": non credo sia eticamente doveroso accettare pene ingiuste da leggi ingiuste). E anche Socrate forse ha accettato l' ingiusta condanna a morte non tanto per un feticistico e acritico attaccamento alla legge ad ogni costo ma piuttosto perché di fatto riteneva che sottrandovisi avrebbe inficiato gli insegnamenti impartiti ai concittadini (ma potrei sbagliarmi: non sono certo un buon esegeta di Platone e degli insegnamenti socratici). Non trovo invece differenze fra "pentimento" e "ravvedimento" (per come ne parli tu). Secondo me tutti si può sbagliare e anche compiere azioni malvagie (nessuno é perfetto!), e dirsi "ho fatto questa cosa e ora non la rifarei perchè ho capito che è sbagliata" (lo sapevo anche prima ma non ho avuto la forza d' animo di resistere alla tentazione, cosa che vorrei non aver fatto), cercare di rimediarvi se e per quanto possibile e infliggersi meritate e "proporzionate" punizioni consente di "riabilitarsi moralmente" innanzitutto di fronte a se stessi, e poi di fronte agli altri.

L'uomo è, diceva Aristotele, un "animale politico" (o, se vuoi, un "animale sociale"), e quindi non si può distinguere il suo ruolo disgiungendolo dalla società di cui fa parte (se escludiamo il caso degli asceti o degli eremiti che in quanto solitari non hanno leggi alle quali dover rispondere con tutto quel che ne consegue). Dunque è ovvio che una violazione (sul modello di quella di Socrate) delle leggi della società in cui uno vive (sempre ammesso che sia fatta in buona fede e secondo giustizia) deve comportare l'assunzione totale di responsabilità e quindi anche della pena che la società intende infliggergli secondo le proprie leggi. Questa assunzione di responsabilità può anche trasformarsi in un insegnamento per i propri concittadini, ma non è una conseguenza necessaria perchè l'onore e la dignità di un uomo non si misurano in base alla considerazione che di lui hanno gli altri, ma in base a quella che lui ha di se stesso: solo un vigliacco cerca di sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, una persona  degna ne rivendica il merito, qualunque esse siano (vedi come esempio Renato Vallanzasca).
Per come la vedo io non si può "sbagliare" in buonafede: lo sbaglio è  in malafede oppure lo è solo dal punto di vista "utilitaristico",  delle conseguenze che si pensava di trarre dalle proprie azioni; se uno compie un furto pensando di trarne dei vantaggi e poi questi non si verificano allora ha "sbagliato", ma se invece gli riesce e la fa pure franca allora dove sta l'errore? Non puoi dire di aver sbagliato quando ti hanno beccato perchè altrimenti non sei "pentito" ma solo un ipocrita. Se uno fa "la cosa giusta" quando mai dovrebbe sbagliare? Che poi la cosa giusta sia illegale o meno è un'altra questione. Poi uno con l'esperienza si può rendere consapevole che la "cosa giusta" era magari un'altra, ma nel momento in cui l'ha fatta la sua convinzione era tutto quello che contava: e dunque di cosa dovrebbe mai pentirsi? di aver fatto una cosa che nelle medesime condizioni rifarebbe mille volte? E se uno è convinto di aver fatto la cosa giusta quale punizione dovrebbe mai autoinfliggersi? Considero anche il fatto che per "cosa giusta" si possa intendere anche l'asservimento di un proprio istinto, di una propria tentazione: se però si sapeva anche prima che tale cedimento avrebbe comportato un'azione malvagia o ingiusta allora si ritorna al caso della malafede: e se uno agisce in malafede come potrà mai pentirsi o addirittura autoinfliggersi delle punizioni se non per "compiacere" la vittima o la società in termini di "captatio benevolentiae"? Sarebbe solo un comportamento doppiamente ipocrita e non certo da elogiare.

Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMPerò la giustizia può sbagliare; e comminando la pena di morte si metterebbe nelle condizioni, per me inaccettabili, di potere sbagliare gravissimamente (di compiere un' efferato delitto) senza possibilità di rimedio.

La giustizia può sbagliare anche nel senso inverso, ovvero mandando assolto un colpevole che magari reitera i propri delitti. Bisogna mettere in conto che questi errori esistono, ma bisogna innanzitutto considerare se è più importante la salvaguardia della società nel suo complesso (e quindi di tutti i suoi componenti) a scapito eventualmente di un singolo oppure se è più importante ogni singolo individuo e si può quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 23:08:20 PM
**  scritto da Phil:
CitazioneCredo capiti anche in altre tradizioni, ma sicuramente la Genesi fa nascere l'umanità da un gesto iniquo per mancanza di fede e grazie all'intervento di un personaggio ben più esecrabile di Giuda... e personalmente non la trovo affatto una tappa insensata, anzi, è simbolicamente piuttosto possente...
Scusa Phil ma la Genesi fa nascere l'umanità (Adamo ed Eva) per amore del Creatore verso le sue creature, forse intendevi che da un gesto iniquo per mancanza di fede è nato l'Inferno ...ma questa è tutt'altra cosa.



-----------
**  scritto da Sariputra:
CitazioneL'unico modo di rallentare prima e poi arrestare il suo movimento ,che si nutre  della nostra desolata autocommiserazione e autogiustificazione, è quello di mettere in moto una forza che si oppone a queste ombre, a queste piaghe interiori. Non è possibile alcuna matematica del karma, nè alcuna accumulazione di meriti. Solo quando,  nel sonno, i demoni che abbiamo generato, piano piano, non verranno più a farci visita, capiremo che la ruota ha esaurito l'energia che la muoveva.
Il problema resta sempre lo stesso: questa forza che si oppone è tutta virtù dell'uomo o c'è tanto, ma davvero tanto, intervento divino, senza il quale nulla potrebbe il solo individuo? Anche perché, a detta degli esorcisti, i demoni cesseranno di tentarci molte ore dopo essere già belli e deceduti.


----------
** scritto da sgiombo:
Citazioneil desiderio primario di giustizia, cioé -fra l' altro- il desiderio che chi fa del male meritatamente soffra e chi fa del bene meritatamente sia felice
Concordo con Phil nel sostenere che questo non è un sentimento di giustizia, ma di vendetta. Desiderio vitale e fondante del dogma della retribuzione ebraica (se io faccio del bene sono ricompensato per il bene che faccio; se faccio del male avrò la mia punizione), teoria prima sconcertata e rovesciata da Giobbe e Qoelet (il dolore e la sofferenza dei giusti mentre gli empi godono di felice beatitudine), e poi rinnovata in Cristo con l'ingresso nel Paradiso del ladrone Disma, senza essere passato, manco in veste turistica, nemmeno per il Purgatorio.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Phil il 11 Luglio 2016, 23:28:19 PM
Citazione di: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 23:08:20 PM** scritto da Phil:
CitazioneCredo capiti anche in altre tradizioni, ma sicuramente la Genesi fa nascere l'umanità da un gesto iniquo per mancanza di fede e grazie all'intervento di un personaggio ben più esecrabile di Giuda... e personalmente non la trovo affatto una tappa insensata, anzi, è simbolicamente piuttosto possente...
Scusa Phil ma la Genesi fa nascere l'umanità (Adamo ed Eva) per amore del Creatore verso le sue creature, forse intendevi che da un gesto iniquo per mancanza di fede è nato l'Inferno ...ma questa è tutt'altra cosa.
Scusami, non sono stato chiaro nella citazione, intendevo l'umanità come progenie, quindi mi riferivo al peccato originale, al tradimento della fiducia di Dio ed allo strisciante cattivo di turno che ha innescato indirettamente la proliferazione del genere umano... 
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Jacopus il 12 Luglio 2016, 05:20:23 AM
CitazioneL'uomo è, diceva Aristotele, un "animale politico" (o, se vuoi, un "animale sociale"), e quindi non si può distinguere il suo ruolo disgiungendolo dalla società di cui fa parte (se escludiamo il caso degli asceti o degli eremiti che in quanto solitari non hanno leggi alle quali dover rispondere con tutto quel che ne consegue). Dunque è ovvio che una violazione (sul modello di quella di Socrate) delle leggi della società in cui uno vive (sempre ammesso che sia fatta in buona fede e secondo giustizia) deve comportare l'assunzione totale di responsabilità e quindi anche della pena che la società intende infliggergli secondo le proprie leggi. Questa assunzione di responsabilità può anche trasformarsi in un insegnamento per i propri concittadini, ma non è una conseguenza necessaria perchè l'onore e la dignità di un uomo non si misurano in base alla considerazione che di lui hanno gli altri, ma in base a quella che lui ha di se stesso: solo un vigliacco cerca di sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, una persona  degna ne rivendica il merito, qualunque esse siano (vedi come esempio Renato Vallanzasca).
Per come la vedo io non si può "sbagliare" in buonafede: lo sbaglio è  in malafede oppure lo è solo dal punto di vista "utilitaristico",  delle conseguenze che si pensava di trarre dalle proprie azioni; se uno compie un furto pensando di trarne dei vantaggi e poi questi non si verificano allora ha "sbagliato", ma se invece gli riesce e la fa pure franca allora dove sta l'errore? Non puoi dire di aver sbagliato quando ti hanno beccato perchè altrimenti non sei "pentito" ma solo un ipocrita. Se uno fa "la cosa giusta" quando mai dovrebbe sbagliare? Che poi la cosa giusta sia illegale o meno è un'altra questione. Poi uno con l'esperienza si può rendere consapevole che la "cosa giusta" era magari un'altra, ma nel momento in cui l'ha fatta la sua convinzione era tutto quello che contava: e dunque di cosa dovrebbe mai pentirsi? di aver fatto una cosa che nelle medesime condizioni rifarebbe mille volte? E se uno è convinto di aver fatto la cosa giusta quale punizione dovrebbe mai autoinfliggersi? Considero anche il fatto che per "cosa giusta" si possa intendere anche l'asservimento di un proprio istinto, di una propria tentazione: se però si sapeva anche prima che tale cedimento avrebbe comportato un'azione malvagia o ingiusta allora si ritorna al caso della malafede: e se uno agisce in malafede come potrà mai pentirsi o addirittura autoinfliggersi delle punizioni se non per "compiacere" la vittima o la società in termini di "captatio benevolentiae"? Sarebbe solo un comportamento doppiamente ipocrita e non certo da elogiare.
Mi soffermo su questo frammento della discussione, perchè tocca un punto essenziale. Il pentimento e l'espiazione sono nello stesso rapporto esistente fra teoria e prassi. Ci si può teoricamente pentire, rimuginare sul fatto che abbiamo fatto qualcosa di "malevolo", evitare di ripetere l'errore in futuro oppure agire affinchè quel senso di colpa che ci perseguita si attenui o scompaia (espi-azione).
Questo processo è però dinamico e se quello che ho fatto ieri oggi non mi sembra più giusto allora è inevitabile che mi penta. Proprio perchè siamo animali sociali, siamo in grado di capire che le nostre azioni hanno conseguenze che non si fermano all'atto compiuto ma si riversano nel futuro fino a conseguenze che non siamo in grado di seguire. Voglio dire: le persone cambiano, ma in quel cambiamento inevitabilmente si portano il fardello di quello che erano precedentemente e il pentimento non è altro che l'anello di congiunzione fra il passato e il presente di quell'uomo cambiato. Senza questa premessa inevitabilmente le persone sarebbero irrigidite nelle loro convinzioni e incapaci di giudicare criticamente i propri atti. Altro discorso è invece quello di saper distinguere fra pentimento ipocrita e pentimento non ipocrita, tenendo ovviamente conto del fatto che, proprio per non essere ipocriti, bisogna riconoscere che gran parte delle relazioni sociali ha una evidente patina di ipocrisia che ci preserva dalla santità ma anche dalla follia.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 12 Luglio 2016, 08:39:55 AM
Citazione di: Phil il 11 Luglio 2016, 22:11:38 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 21:16:05 PMespiare una colpa significa infliggersi sofferenze come mezzo per lo scopo di soddisfare il (proprio innanzitutto; e secondariamente anche altrui) più che fisiologico desiderio di giustizia: il desiderio primario di giustizia, cioé -fra l' altro- il desiderio che chi fa del male meritatamente soffra
Questo rapporto fra sofferenza e giustizia, secondo me, porta la giustizia indietro di molti secoli, all'ordalia, alla legge del taglione, alle punizioni corporali, ai lavori forzati... non che sia deprecabile avere un'idea di giustizia che contempli queste pratiche (ognuno può idealizzare liberamente), ma mi sembra che buona parte del mondo occidentale stia andando nella direzione opposta: disinnescare i pericoli sociali, ma senza torcergli un capello (la stessa pena di morte credo non goda di buona reputazione...).

Premesso ciò, non confonderei il "fisiologico desiderio di giustizia" con il "desiderio di giustizia fisiologica" (dove c'è sadismo o masochismo): far soffrire chi (ci) ha fatto del male è un desiderio istintivamente "grezzo" di vendetta, non di giustizia... quel "desiderio che chi fa del male meritatamente soffra"(cit.) cela nel "meritatamente" una auto-assoluzione per il proprio istinto di vendetta (azione che, se non erro, viene condannata sia dal diritto che da gran parte delle religioni...).

Se questa vendetta viene poi rivolta contro se stessi, nella convinzione che sia un modo per espiare le proprie colpe, direi che siamo ben oltre il pentimento che, come accennavo a Sariputra, secondo me è uno di quei sentimenti "introversi" (scusa se vado sul personale, ovviamente puoi non rispondere, ma tu davvero non ti ritieni pentito finché non hai espiato con qualche sofferenza una tua colpa?).
CitazioneDavvero (e nessun problema circa l' andare sul personale).


Ci sono anche tante altre cose della realtà odierna che ritengo gravemente regressive e per le quali reputo che sarebbe preferibile "fare passi indietro" (per sempio l' esistenza dello "stato sociale" da noi, la buona coesistenza di popoli e religioni diverse in Yugoslavia e in quella che fu l' URSS anziché le guerre civili sanguinosissime, le "pilizie etniche", i rarazzismi che vi sono succeduti e ancora imperversano e tante altre cose).
La storia non é una trionfale marcia in avanti ininterrotta della civiltà e del progresso: esistono anche fasi di reazione e decadenza (come l' attuale).
Dunque non tutto del passato é necessariamente da gettar via, anzi!


Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 12 Luglio 2016, 09:05:25 AM
Citazione di: donquixote il 11 Luglio 2016, 22:40:18 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMConcordo che si da il caso dell' obiezione di coscienza e dunque che la rettitudine morale può imporre di contravvenire una legge ingiusta, pagandone le conseguenze (ma eventualmente anche "facendola franca se possibile": non credo sia eticamente doveroso accettare pene ingiuste da leggi ingiuste). E anche Socrate forse ha accettato l' ingiusta condanna a morte non tanto per un feticistico e acritico attaccamento alla legge ad ogni costo ma piuttosto perché di fatto riteneva che sottrandovisi avrebbe inficiato gli insegnamenti impartiti ai concittadini (ma potrei sbagliarmi: non sono certo un buon esegeta di Platone e degli insegnamenti socratici). Non trovo invece differenze fra "pentimento" e "ravvedimento" (per come ne parli tu). Secondo me tutti si può sbagliare e anche compiere azioni malvagie (nessuno é perfetto!), e dirsi "ho fatto questa cosa e ora non la rifarei perchè ho capito che è sbagliata" (lo sapevo anche prima ma non ho avuto la forza d' animo di resistere alla tentazione, cosa che vorrei non aver fatto), cercare di rimediarvi se e per quanto possibile e infliggersi meritate e "proporzionate" punizioni consente di "riabilitarsi moralmente" innanzitutto di fronte a se stessi, e poi di fronte agli altri.

L'uomo è, diceva Aristotele, un "animale politico" (o, se vuoi, un "animale sociale"), e quindi non si può distinguere il suo ruolo disgiungendolo dalla società di cui fa parte (se escludiamo il caso degli asceti o degli eremiti che in quanto solitari non hanno leggi alle quali dover rispondere con tutto quel che ne consegue). Dunque è ovvio che una violazione (sul modello di quella di Socrate) delle leggi della società in cui uno vive (sempre ammesso che sia fatta in buona fede e secondo giustizia) deve comportare l'assunzione totale di responsabilità e quindi anche della pena che la società intende infliggergli secondo le proprie leggi. Questa assunzione di responsabilità può anche trasformarsi in un insegnamento per i propri concittadini, ma non è una conseguenza necessaria perchè l'onore e la dignità di un uomo non si misurano in base alla considerazione che di lui hanno gli altri, ma in base a quella che lui ha di se stesso: solo un vigliacco cerca di sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, una persona  degna ne rivendica il merito, qualunque esse siano (vedi come esempio Renato Vallanzasca).
Per come la vedo io non si può "sbagliare" in buonafede: lo sbaglio è  in malafede oppure lo è solo dal punto di vista "utilitaristico",  delle conseguenze che si pensava di trarre dalle proprie azioni; se uno compie un furto pensando di trarne dei vantaggi e poi questi non si verificano allora ha "sbagliato", ma se invece gli riesce e la fa pure franca allora dove sta l'errore? Non puoi dire di aver sbagliato quando ti hanno beccato perchè altrimenti non sei "pentito" ma solo un ipocrita. Se uno fa "la cosa giusta" quando mai dovrebbe sbagliare? Che poi la cosa giusta sia illegale o meno è un'altra questione. Poi uno con l'esperienza si può rendere consapevole che la "cosa giusta" era magari un'altra, ma nel momento in cui l'ha fatta la sua convinzione era tutto quello che contava: e dunque di cosa dovrebbe mai pentirsi? di aver fatto una cosa che nelle medesime condizioni rifarebbe mille volte? E se uno è convinto di aver fatto la cosa giusta quale punizione dovrebbe mai autoinfliggersi? Considero anche il fatto che per "cosa giusta" si possa intendere anche l'asservimento di un proprio istinto, di una propria tentazione: se però si sapeva anche prima che tale cedimento avrebbe comportato un'azione malvagia o ingiusta allora si ritorna al caso della malafede: e se uno agisce in malafede come potrà mai pentirsi o addirittura autoinfliggersi delle punizioni se non per "compiacere" la vittima o la società in termini di "captatio benevolentiae"? Sarebbe solo un comportamento doppiamente ipocrita e non certo da elogiare.
Citazione
Intanto Renato Vallanzasca mi sembra un (pessimo) esempio di criminale efferato che l' ha fatta in gran parte franca, riuscendo a sottrarsi al carcere a vita (e duro!) che avrebbe ampiamente meritato (invece in uno stato che seguisse i tuoi principi non l' avrebbe certamente fatta franca perché sarebbe stato condannato a morte).
Oltre che malvagio e moralmente spregevole si é inoltre rivelato grettissimo, meschinissimo e maldestrissimo (un preteso "superuomo" che, armato di tutto punto, uccide spietatamente persone inermi -capirai la difficoltà dell' "impresa"!-,ma "ad armi pari" non é nemmeno capace di rapinare un supermercato di periferia!
Un miserabile, malvagio omuncolo, fra l' alto (oltre al peggio!) molto più meschino di un ladro di polli!

Inoltre non vedo alcuna malafede nel pentirsi di avere ceduto alla tentazione di fare il male e nel cercare di rimediarvi per quanto possibile ed autopunirsi.
Malafede sarebbe casomai fingere di pentirsi per alleggerire le condanne penali.

Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMPerò la giustizia può sbagliare; e comminando la pena di morte si metterebbe nelle condizioni, per me inaccettabili, di potere sbagliare gravissimamente (di compiere un' efferato delitto) senza possibilità di rimedio.

La giustizia può sbagliare anche nel senso inverso, ovvero mandando assolto un colpevole che magari reitera i propri delitti. Bisogna mettere in conto che questi errori esistono, ma bisogna innanzitutto considerare se è più importante la salvaguardia della società nel suo complesso (e quindi di tutti i suoi componenti) a scapito eventualmente di un singolo oppure se è più importante ogni singolo individuo e si può quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri.
CitazioneLa giustizia può sbagliare in molti modi, ma ritengo che fra il rischiare di uccidere un innocente e assolvere un colpevole di regola sia preferibile scegliere la seconda possibilità di sbagliare.

Concordo che sia più importante la salvaguardia degli interessi collettivi della società nel suo complesso a scapito eventualmente di un singolo (se inevitabile) e che non sia più importante ogni singolo individuo e non si possa quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri.
Ma secondo me rischiare di sbagliare uccidendo un innocente nell' interesse sociale complessivo si può ammettere solo in condizioni eccezionali e drammaticissime (vedi i rari casi di condannati innocenti per tradimento nella Resistenza antinazifascista).
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 12 Luglio 2016, 09:10:27 AM
Citazione di: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 23:08:20 PM
** scritto da sgiombo:
Citazioneil desiderio primario di giustizia, cioé -fra l' altro- il desiderio che chi fa del male meritatamente soffra e chi fa del bene meritatamente sia felice
Concordo con Phil nel sostenere che questo non è un sentimento di giustizia, ma di vendetta. Desiderio vitale e fondante del dogma della retribuzione ebraica (se io faccio del bene sono ricompensato per il bene che faccio; se faccio del male avrò la mia punizione), teoria prima sconcertata e rovesciata da Giobbe e Qoelet (il dolore e la sofferenza dei giusti mentre gli empi godono di felice beatitudine), e poi rinnovata in Cristo con l'ingresso nel Paradiso del ladrone Disma, senza essere passato, manco in veste turistica, nemmeno per il Purgatorio.
CitazioneInfatti non sono cristiano anche perché ritengo profondamente errato il "rovesciamento" della concezione della giustizia come premio e/o punizione per l' operato di ciascuno (se e quado la giustizia viene realizzata).
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: cvc il 12 Luglio 2016, 09:25:08 AM
Citazione di: sgiombo il 12 Luglio 2016, 08:39:55 AM
2]


Ci sono anche tante altre cose della realtà odierna che ritengo gravemente regressive e per le quali reputo che sarebbe preferibile "fare passi indietro" (per sempio l' esistenza dello "stato sociale" da noi, la buona coesistenza di popoli e religioni diverse in Yugoslavia e in quella che fu l' URSS anziché le guerre civili sanguinosissime, le "pilizie etniche", i rarazzismi che vi sono succeduti e ancora imperversano e tante altre cose).
La storia non é una trionfale marcia in avanti ininterrotta della civiltà e del progresso: esistono anche fasi di reazione e decadenza (come l' attuale).
Dunque non tutto del passato é necessariamente da gettar via, anzi!


[/quote]
[/quote]
Non posso che condividere dato che questo pensiero rispecchia molto il mio modo di vedere. Tanto più in quanto viene da uno che si interessa anche di teoria evolutiva. Il cammino dell'evoluzione non è una linea retta, se ci si accorge di aver buttato il bambino assieme all'acqua sporca, si dovrà pure fare un passo indietro per riprenderlo, sarà sempre meglio che sacrificarlo per zelante ortodossia. Personalmente vedo una tendenza involutiva anche nei costumi, tatuaggi e piercing sembrano un voler tornare ad una sorta di tribalismo, voler impressionare l'interlocutore col proprio aspetto ancor prima che con la ragione. Sul piano politico, credo che storicamente questa sarà ricordata dai posteri come l'era della tecnocrazia, dove si pensa che per governare i popoli non siano necessarie doti umane (come il carisma, l'autorevolezza, il polso, la preveggenza), basta una buona squadra di tecnici. Però, contraddittoriamente, questo mondo tecnoburocratico, è orientato, ad occidente, all'individualismo. Così nella questione della giustizia, per rientrare nella discussione, ci si dimentica che ci sono due punti di vista: quello del singolo ma anche quello della comunità. Invece sembra che ci si preoccupi sempre più del primo.  Se c'è in giro un serial killer, cosa deve importarci di più? Che sia messa al sicuro la comunità o che il killer si penta e salvi la propria anima? E dato che siamo in mano ai tecnici, quante sono le probabilità che il cattivo diventi buono? Si d'accordo, bisogna dargli una possibilità, ma, sempre in termini di possibilità, egli ha ucciso persone (magari buone) che potevano mettere al mondo altri buoni, ed altre si rischia di ucciderne per dare la possibilità ad un solo uomo.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Duc in altum! il 12 Luglio 2016, 09:52:27 AM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneInfatti non sono cristiano anche perché ritengo profondamente errato il "rovesciamento" della concezione della giustizia come premio e/o punizione per l' operato di ciascuno (se e quado la giustizia viene realizzata).
Il rovesciamento non è un cambio delle regole (se Dio esiste solo lui può concedere l'espiazione della colpa - anche vivendo da ergastolano o morendo sulla sedia elettrica - dopo un sincero pentimento, né magistrato, né legge, né carcere, né giustizia umana), ma un richiamo all'ordine iniziale dove nessuno è degno di premio, giacché tutti siamo colpevoli (tranne l'uomo Cristo), quindi meritevoli solo di punizione.

Lo stesso concetto è applicabile alla riflessione di @cvc:
CitazioneSe c'è in giro un serial killer, cosa deve importarci di più? Che sia messa al sicuro la comunità o che il killer si penta e salvi la propria anima? E dato che siamo in mano ai tecnici, quante sono le probabilità che il cattivo diventi buono? Si d'accordo, bisogna dargli una possibilità, ma, sempre in termini di possibilità, egli ha ucciso persone (magari buone) che potevano mettere al mondo altri buoni, ed altre si rischia di ucciderne per dare la possibilità ad un solo uomo.
...dove, se Dio esiste, è sempre il sabato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!
Quindi va sempre fatto il tentativo di riabilitare il killer, anche se qualcuno storce il naso perché è domenica e si va al mare.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: cvc il 12 Luglio 2016, 10:20:54 AM
Citazione di: Duc in altum! il 12 Luglio 2016, 09:52:27 AM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneInfatti non sono cristiano anche perché ritengo profondamente errato il "rovesciamento" della concezione della giustizia come premio e/o punizione per l' operato di ciascuno (se e quado la giustizia viene realizzata).
Il rovesciamento non è un cambio delle regole (se Dio esiste solo lui può concedere l'espiazione della colpa - anche vivendo da ergastolano o morendo sulla sedia elettrica - dopo un sincero pentimento, né magistrato, né legge, né carcere, né giustizia umana), ma un richiamo all'ordine iniziale dove nessuno è degno di premio, giacché tutti siamo colpevoli (tranne l'uomo Cristo), quindi meritevoli solo di punizione.

Lo stesso concetto è applicabile alla riflessione di @cvc:
CitazioneSe c'è in giro un serial killer, cosa deve importarci di più? Che sia messa al sicuro la comunità o che il killer si penta e salvi la propria anima? E dato che siamo in mano ai tecnici, quante sono le probabilità che il cattivo diventi buono? Si d'accordo, bisogna dargli una possibilità, ma, sempre in termini di possibilità, egli ha ucciso persone (magari buone) che potevano mettere al mondo altri buoni, ed altre si rischia di ucciderne per dare la possibilità ad un solo uomo.
...dove, se Dio esiste, è sempre il sabato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!
Quindi va sempre fatto il tentativo di riabilitare il killer, anche se qualcuno storce il naso perché è domenica e si va al mare.
A parte che spesso e malvolentieri lavoro anche il sabato e la domenica, credo che la questione sia analoga a quella del matrimonio. Ovvero, ci si giura solennemente eterna fedeltà, ma poi però si può sempre divorziare... Così, nell'ottica della conquista del paradiso, si può anche uccidere, purché ci si penta. Allora possiamo benissimo mandare sulla forca l'assassino e poi, magari, pentircene.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Duc in altum! il 12 Luglio 2016, 10:48:32 AM
**  scritto da cvc:
CitazioneA parte che spesso e malvolentieri lavoro anche il sabato e la domenica, credo che la questione sia analoga a quella del matrimonio. Ovvero, ci si giura solennemente eterna fedeltà, ma poi però si può sempre divorziare... Così, nell'ottica della conquista del paradiso, si può anche uccidere, purché ci si penta. Allora possiamo benissimo mandare sulla forca l'assassino e poi, magari, pentircene.
Beh, se il pentimento sarà sincero ed espiatorio lo può verificare solo Dio, auspico che così sia per i boia e per i loro mandanti. Per quel che riguarda il matrimonio, se uno pensa: "...tanto che importa, posso sempre divorziare...", il sacramento è viziato dall'origine, così come per la confessione sacramentale incompleta o senza sincero pentimento, quindi c'è un'assenza di fede, una mancanza di amore, e le conseguenze sono nell'intimo del reo, né più  né meno del killer, e se la vedrà con la sua coscienza.
Forse, in risposta a questa tua considerazione, le parole di Sant'Agostino possono assistere la nostra riflessione:
"Il demonio inganna gli uomini in due modi: con la disperazione e con la speranza. Dopo il peccato, tenta il peccatore alla disperazione con il terrore della divina giustizia; ma prima di peccare spinge l'anima al peccato con la speranza nella divina misericordia. Perciò il Santo ammonisce: «Dopo il peccato, spera nella misericordia, prima del peccato, abbi timore della giustizia». Infatti non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. Dio usa misericordia con chi lo teme, non con chi si serve di essa per non temerlo".
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: cvc il 12 Luglio 2016, 11:09:02 AM
Citazione di: Duc in altum! il 12 Luglio 2016, 10:48:32 AM
**  scritto da cvc:
CitazioneA parte che spesso e malvolentieri lavoro anche il sabato e la domenica, credo che la questione sia analoga a quella del matrimonio. Ovvero, ci si giura solennemente eterna fedeltà, ma poi però si può sempre divorziare... Così, nell'ottica della conquista del paradiso, si può anche uccidere, purché ci si penta. Allora possiamo benissimo mandare sulla forca l'assassino e poi, magari, pentircene.
Beh, se il pentimento sarà sincero ed espiatorio lo può verificare solo Dio, auspico che così sia per i boia e per i loro mandanti. Per quel che riguarda il matrimonio, se uno pensa: "...tanto che importa, posso sempre divorziare...", il sacramento è viziato dall'origine, così come per la confessione sacramentale incompleta o senza sincero pentimento, quindi c'è un'assenza di fede, una mancanza di amore, e le conseguenze sono nell'intimo del reo, né più  né meno del killer, e se la vedrà con la sua coscienza.
Forse, in risposta a questa tua considerazione, le parole di Sant'Agostino possono assistere la nostra riflessione:
"Il demonio inganna gli uomini in due modi: con la disperazione e con la speranza. Dopo il peccato, tenta il peccatore alla disperazione con il terrore della divina giustizia; ma prima di peccare spinge l'anima al peccato con la speranza nella divina misericordia. Perciò il Santo ammonisce: «Dopo il peccato, spera nella misericordia, prima del peccato, abbi timore della giustizia». Infatti non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. Dio usa misericordia con chi lo teme, non con chi si serve di essa per non temerlo".
Se bastasse il timore di Dio ad impedire i delitti, allora sarebbe perfetto. Ma stiamo assistendo a crimini commessi anche in nome di Dio, e non è certo la prima volta nella storia che avviene. Ciò che dice Agostino può andar bene per la lotta interiore all'individuo fra bene e male. Ma l'individuo per sopravvivere ha bisogno di chi lo difenda da chi uccide gli altri individui. Il pentimento oramai è diventato una tappa della carriera criminale. Infatti ci si pente più spesso per vantaggi personali che per reale ravvedimento. Il pentimento riguarda l'individuo e l'assoluzione Dio. Chi dice che il condannato a morte non trovi pentimento e redenzione dei peccati proprio davanti al capestro? Ciò potrebbe forse impedirgli di raggiungere il regno dei cieli? La possibilità di espiazione e redenzione riguardano solo Dio, è ridicolo che l'uomo si attribuisca il ruolo di esserne lui il dispensatore.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: donquixote il 12 Luglio 2016, 11:34:40 AM
Citazione di: sgiombo il 12 Luglio 2016, 09:05:25 AMIntanto Renato Vallanzasca mi sembra un (pessimo) esempio di criminale efferato che l' ha fatta in gran parte franca, riuscendo a sottrarsi al carcere a vita (e duro!) che avrebbe ampiamente meritato (invece in uno stato che seguisse i tuoi principi non l' avrebbe certamente fatta franca perché sarebbe stato condannato a morte). Oltre che malvagio e moralmente spregevole si é inoltre rivelato grettissimo, meschinissimo e maldestrissimo (un preteso "superuomo" che, armato di tutto punto, uccide spietatamente persone inermi -capirai la difficoltà dell' "impresa"!-,ma "ad armi pari" non é nemmeno capace di rapinare un supermercato di periferia! Un miserabile, malvagio omuncolo, fra l' alto (oltre al peggio!) molto più meschino di un ladro di polli! Inoltre non vedo alcuna malafede nel pentirsi di avere ceduto alla tentazione di fare il male e nel cercare di rimediarvi per quanto possibile ed autopunirsi. Malafede sarebbe casomai fingere di pentirsi per alleggerire le condanne penali.


Intanto non capisco questo tuo astio nei confronti di Vallanzasca che nel caso di specie è totalmente ingiustificato e fuori tema considerando che si sta parlando di questioni di principio e non di casi personali. Visto che più volte ti sei autodefinito un "filosofo" dovresti poter concettualizzare e razionalizzare gli esempi proposti e non giudicarli secondo un metro che pare più "sentimentale" che razionale. Comunque il punto non è se Vallanzasca sia o non un criminale, certo che lo è (e sarebbe stato opportuno che a suo tempo fosse stato eliminato dal consesso sociale e non mantenuto a nostre spese per oltre 40 anni) ma che questo criminale si è assunto la responsabilità delle proprie azioni, non si è mai dichiarato in qualche modo "vittima", non ha negoziato veri o falsi pentimenti per riceverne qualche beneficio e ha accettato la pena (o le pene) che lo stato ha ritenuto di infliggergli, al contrario di molti altri che per motivi di convenienza fanno finta di "pentirsi" per lucrare benefici di un qualche genere.
All'inizio del topic hai citato le "sedicenti" Brigate Rosse: proprio costoro, che non erano meno criminali di Vallanzasca, hanno voluto scendere a patti addirittura con uno stato che non riconoscevano, a cui avevano dichiarato guerra. Se dichiari guerra a qualcuno e poi la perdi devi concedere al vincitore di poter fare di te quello che vuole, è sempre stato così. Se invece quando ti beccano ti dichiari "prigioniero politico" negando di fatto il diritto del vincitore a disporre del vinto e poi fai finta di pentirti negoziando con uno stato di cui dichiari di non riconoscere l'autorità una sorta di "collaborazione" in cambio di qualche sconto di pena o permesso premio allora non sei un uomo, ma come diceva Totò sei solo un quaquaraquà. Qui non sono in questione valutazioni morali (visto che la morale da queste parti manco più esiste) ma solo attributi che fanno di un uomo (anche un criminale, perchè essere criminale o meno dipende dalle leggi del paese in cui ti trovi, vedi Socrate) una persona in qualche modo rispettabile oppure solo un vigliacco. La rispettabilità di Socrate (come quella di Vallanzasca) non dipende da quello che uno ha fatto, ma da quello che uno è, e dalla capacità di ognuno di assumersi interamente la responsabilità delle azioni che compie.


Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMLa giustizia può sbagliare in molti modi, ma ritengo che fra il rischiare di uccidere un innocente e assolvere un colpevole di regola sia preferibile scegliere la seconda possibilità di sbagliare. Concordo che sia più importante la salvaguardia degli interessi collettivi della società nel suo complesso a scapito eventualmente di un singolo (se inevitabile) e che non sia più importante ogni singolo individuo e non si possa quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri. Ma secondo me rischiare di sbagliare uccidendo un innocente nell' interesse sociale complessivo si può ammettere solo in condizioni eccezionali e drammaticissime (vedi i rari casi di condannati innocenti per tradimento nella Resistenza antinazifascista).


Per quanto riguarda la prima frase non è che si può scegliere se sbagliare in un verso o nell'altro, perchè appare ovvio che si cerca per quanto possibile di non sbagliare mai. Quindi anche qui è una questione di principio e nel merito colgo una contraddizione, infatti qui sopra leggo: la società è più importante del singolo solo in casi eccezionali e particolarmente drammatici; dunque in condizioni normali è più importante il singolo della società, che è esattamente l'opposto di quel che scrivi all'inizio del capoverso.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 12 Luglio 2016, 13:14:08 PM
Citazione di: donquixote il 12 Luglio 2016, 11:34:40 AM
Citazione di: sgiombo il 12 Luglio 2016, 09:05:25 AMIntanto Renato Vallanzasca mi sembra un (pessimo) esempio di criminale efferato che l' ha fatta in gran parte franca, riuscendo a sottrarsi al carcere a vita (e duro!) che avrebbe ampiamente meritato (invece in uno stato che seguisse i tuoi principi non l' avrebbe certamente fatta franca perché sarebbe stato condannato a morte). Oltre che malvagio e moralmente spregevole si é inoltre rivelato grettissimo, meschinissimo e maldestrissimo (un preteso "superuomo" che, armato di tutto punto, uccide spietatamente persone inermi -capirai la difficoltà dell' "impresa"!-,ma "ad armi pari" non é nemmeno capace di rapinare un supermercato di periferia! Un miserabile, malvagio omuncolo, fra l' alto (oltre al peggio!) molto più meschino di un ladro di polli! Inoltre non vedo alcuna malafede nel pentirsi di avere ceduto alla tentazione di fare il male e nel cercare di rimediarvi per quanto possibile ed autopunirsi. Malafede sarebbe casomai fingere di pentirsi per alleggerire le condanne penali.


Intanto non capisco questo tuo astio nei confronti di Vallanzasca che nel caso di specie è totalmente ingiustificato e fuori tema considerando che si sta parlando di questioni di principio e non di casi personali. Visto che più volte ti sei autodefinito un "filosofo" dovresti poter concettualizzare e razionalizzare gli esempi proposti e non giudicarli secondo un metro che pare più "sentimentale" che razionale. Comunque il punto non è se Vallanzasca sia o non un criminale, certo che lo è (e sarebbe stato opportuno che a suo tempo fosse stato eliminato dal consesso sociale e non mantenuto a nostre spese per oltre 40 anni) ma che questo criminale si è assunto la responsabilità delle proprie azioni, non si è mai dichiarato in qualche modo "vittima", non ha negoziato veri o falsi pentimenti per riceverne qualche beneficio e ha accettato la pena (o le pene) che lo stato ha ritenuto di infliggergli, al contrario di molti altri che per motivi di convenienza fanno finta di "pentirsi" per lucrare benefici di un qualche genere.
All'inizio del topic hai citato le "sedicenti" Brigate Rosse: proprio costoro, che non erano meno criminali di Vallanzasca, hanno voluto scendere a patti addirittura con uno stato che non riconoscevano, a cui avevano dichiarato guerra. Se dichiari guerra a qualcuno e poi la perdi devi concedere al vincitore di poter fare di te quello che vuole, è sempre stato così. Se invece quando ti beccano ti dichiari "prigioniero politico" negando di fatto il diritto del vincitore a disporre del vinto e poi fai finta di pentirti negoziando con uno stato di cui dichiari di non riconoscere l'autorità una sorta di "collaborazione" in cambio di qualche sconto di pena o permesso premio allora non sei un uomo, ma come diceva Totò sei solo un quaquaraquà. Qui non sono in questione valutazioni morali (visto che la morale da queste parti manco più esiste) ma solo attributi che fanno di un uomo (anche un criminale, perchè essere criminale o meno dipende dalle leggi del paese in cui ti trovi, vedi Socrate) una persona in qualche modo rispettabile oppure solo un vigliacco. La rispettabilità di Socrate (come quella di Vallanzasca) non dipende da quello che uno ha fatto, ma da quello che uno è, e dalla capacità di ognuno di assumersi interamente la responsabilità delle azioni che compie.


Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMLa giustizia può sbagliare in molti modi, ma ritengo che fra il rischiare di uccidere un innocente e assolvere un colpevole di regola sia preferibile scegliere la seconda possibilità di sbagliare. Concordo che sia più importante la salvaguardia degli interessi collettivi della società nel suo complesso a scapito eventualmente di un singolo (se inevitabile) e che non sia più importante ogni singolo individuo e non si possa quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri. Ma secondo me rischiare di sbagliare uccidendo un innocente nell' interesse sociale complessivo si può ammettere solo in condizioni eccezionali e drammaticissime (vedi i rari casi di condannati innocenti per tradimento nella Resistenza antinazifascista).


Per quanto riguarda la prima frase non è che si può scegliere se sbagliare in un verso o nell'altro, perchè appare ovvio che si cerca per quanto possibile di non sbagliare mai. Quindi anche qui è una questione di principio e nel merito colgo una contraddizione, infatti qui sopra leggo: la società è più importante del singolo solo in casi eccezionali e particolarmente drammatici; dunque in condizioni normali è più importante il singolo della società, che è esattamente l'opposto di quel che scrivi all'inizio del capoverso.
Citazione

Non ho nessun bisogno (né men che meno dovere) di giustificare presso nessuno il mio fortissimo disprezzo per quella "schifezz' e omme", come direbbero a Napoli, di Vallanzasca (checcé ne dica il per altri versi apprezzabile Massimo Fini), né quello per le sedicenti Brigate Rosse.
Entrambi credo di averli adeguatamente argomentati (per mio gusto, non certo per dovere).

Razionalità e sentimenti non sono affatto reciprocamente escludentisi bensì complementari.
Ed essere flosofo non significia di certo "autocastrasi sentimentalmente", anzi!


E' ovvio che si cerca di sbagliare il meno possibile.
Ma si può benissimo scegliere come rischiare di più o di meno di sbagliare, ed é giusto cercare di correre il rischio di sbagliare di meno e meno gravemente piuttosto che di più e più gravemente.

Mi hai frainteso circa l' importanza del singolo e quella della collettività.
Per me la seconda é sempre maggiore della prima; ma innanzitutto non si ha necessariamente opposizione e inconciliabilità fra le due cose, e inoltre solo in casi eccezionali e drammaticissimi (per fortuna!) é necessario (e dunque giustificato) rischiare di comminare una condanna ingiusta a un singolo innocente per salvaguardare i supremi interessi collettivi.


Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: arcai il 12 Luglio 2016, 15:34:20 PM
Pentimento ed espiazione.

Felice di incontrare un luogo dove riconosco pensieri che capisco.

Non offro una risposta sul tema: mi interessa. Pentimento: non per forza qualcosa di cui, in senso assoluto, dover condannare, nè in senso civile, nè etico, nemmeno secondo le Leggi degli uomini o morali.
Il pentimento è una condizione, una delle condizioni più nobili della coscienza e del pensiero. E' la responsabilità nostra, in qualità d'individui, di avere una coscienza e di doverla consultare senza pretendere di dimenticare.  
Il pentimento è dunque una condizione, nobile tra le più nobili, ed elevare la propria coscienza a ciò è già forma di espiazione. 
Quella di rinunciare a dimenticare. Non solo errori imperdonabili, ma anche la nostra finitudine umana che inevitabilmente, passo dopo passo, ci porta all'errore.
(arcai12.07.16)
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Phil il 12 Luglio 2016, 16:27:25 PM
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 22:20:22 PMil camminare continuo della coscienza e il famoso karma è proprio questo movimento incessante. Un'azione veramente malvagia ha un influsso terribile sulla coscienza, indipendentemente dal fatto di esserne consapevoli. Questa ruota priva di perno ( amore) non smette di girare e operare nefasta influenza in noi semplicemente perchè , con un impulso interiore, effimero, riteniamo di esserci pentiti.
[...] Non è possibile alcuna matematica del karma, nè alcuna accumulazione di meriti. Solo quando,  nel sonno, i demoni che abbiamo generato, piano piano, non verranno più a farci visita, capiremo che la ruota ha esaurito l'energia che la muoveva.
Direi che i due temi del topic, il pentimento e l'espiazione, si conciliano più con il cristianesimo che con il buddhismo: in un ottica karmica, quindi deterministicamente causale, il pentimento gioca un ruolo molto marginale rispetto all'effettività delle azioni compiute (sarebbe improponibile una pratica della "confessione" nel buddhismo) e talvolta viene persino considerato uno dei "cinque ostacoli" innati (nivarana) per l'illuminazione (è quello chiamato kukkucca); mentre l'espiazione non è decidibile o praticabile a scelta, ma è semplicemente la "naturale" conseguenza, l'effetto ineluttabile dell'azione che l'ha causata (rimando al quinto capitolo dell'Abhidhamma per la questione della reincarnazione come espiazione...) 
Per cui il legame pentimento/espiazione, per come è inteso occidentalmente/cristianamente non credo possa attecchire adeguatamente nella catena causale del karma, anche se resta sempre possibile coniugare le due prospettive con una bella immagine sincretica, come quella da te proposta, in cui l'amore cristiano diventa perno della ruota del karma induista...
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: davintro il 12 Luglio 2016, 17:12:56 PM
Per stabilire la necessità del rapporto tra pentimento ed espiazione andrebbe chiarito il senso del secondo concetto. In cosa dovrebbe consistere l' "espiazione"? Io penso che se l'espiazione consite nell'agire in modo da ridurre il più possibile gli effetti del male prodotto allora non può esserci pentimento senza volontà di espiazione. Ma non è solo impossibile dal punto di vista del "dover essere", ma anche dall'essere di fatto. Non posso essere pentito di aver fatto una cosa senza provare il desiderio di rimediare all'errore annullando gli effetti di ciò che ho commesso. Pentirsi vuol dire desiderare di poter tornare indietro. Ovviamente questo è impossibile, ma ci si può avvicinare all'idea nel fare in modo di ridimensionare entro i limiti del possibile i danni causati. Se sono pentito di aver detto una cosa che ha offeso una persona la volontà di espiare consisterà necessariamente nel chiedere scusa e consolare quella persona sperando di togliere dal suo stato d'animo il malumore dovuto a quell'offesa. Ma se per "espiazione" s'intende invece una sorta di punizione in cui si danneggia l'individuo senza modificare in senso positivo gli effetti negativi del male commesso allora non c'è un nesso con il pentimento. Io posso pentirmi del male che ho fatto nel senso che avrei non voluto più farlo senza per forza voler soffire o sacrificare cose della mia vita che posso mantenere a prescindere dalle azioni compiute. Se mi pento di aver sferrato un pugno, vorrei non averlo fatto, non desiderare tagliarmi la mano (perchè la mano non mi serve solo per sferrare pugni...), se lo desiderassi, sono d'accordo con Phil, ciò non avrebbe nulla a che fare con la giustizia, è solo masochismo e vendetta, vendetta di fronte a un fantomatico "ordine cosmico" di fronte a cui ciascuno dovrebbe stare alla pari in una bilancia tra male commesso e male subito. Per ma giustizia vuol dire fare il bene, non aggiungere male a male, il male può essere giustificato solo come indipensabile strumento per il bene. Perdere soldi con le tasse è un male ma giusto perchè lo stato acquisisce denaro per i servizi, uccidere un assassino non fa resuscitare le vittime, quindi è un  male fine a se stesso, che non produce bene dunque ingiusto


Essendo il pentimento un fatto interiore ha a che fare con il piano spirituale e religioso (non vorrei soffermarmi su questo anche perchè prossimamente mi piacerebbe aprire una discussione a parte riguardo questo ambito), mentre dal punto di vista politico ciò che conta è l'espiazione ma non necessariamente il pentimento. Uno stato liberaldemocratico e non etico, come per fortuna è il nostro, non manda in carcere i criminali per punizione o vendetta, ma pragmaticamente, per evitare che, lasciati in libertà, possano continuare a nuocere: una volta riconosciuta la pericolosità sociale di un individuo lo si isola temporaneamente dal consesso civile. L'obiettivo non è fargli del male (vendetta) ma anteporre al bene della sua libertà un bene maggiore che è quella della comunità. Lo si isola fino a che non si considera la possibilità di un ravvedimento, ecco perchè la detenzione dovrebbe essere coordinata con momenti di socializzazione che permetta di osservare ed esaminare eventuali comportamenti che potrebbero lasciar intendere tale ravvedimento. Dal punto di vista politico il pentimento è utile perchè porta il reo a non commettere più i reati ma non indispensabile: se un criminale non dovesse pentirsi, ma considerando la durezza del carcere riconoscesse utilitaristicamente che non valga più il rischio di commettere reati, per lo stato andrebbe bene comunque, fermo restando che se ci fosse anche il pentimento sarebbe ancora meglio perchè il rientro alla vita civile sarebbe più profondamente motivato e dunque tale scelta sarebbe più irreversibile. Lo stato non si occupa delle anime ma delle relazioni esterne fra le persone. Ragion per cui se un assassino appena dopo aver commesso l'omicidio subisse un incidente che lo lasciasse totalmente paralizzato (quindi innocuo), a mio avviso uno stato di diritto non dovrebbe infliggergli alcuna pena. Qualunque male contro di lui sarebbe inutile, gratuito e dunque ingiusto
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 12 Luglio 2016, 18:50:02 PM
Citazione di: davintro il 12 Luglio 2016, 17:12:56 PMMa se per "espiazione" s'intende invece una sorta di punizione in cui si danneggia l'individuo senza modificare in senso positivo gli effetti negativi del male commesso allora non c'è un nesso con il pentimento. Io posso pentirmi del male che ho fatto nel senso che avrei non voluto più farlo senza per forza voler soffire o sacrificare cose della mia vita che posso mantenere a prescindere dalle azioni compiute. Se mi pento di aver sferrato un pugno, vorrei non averlo fatto, non desiderare tagliarmi la mano (perchè la mano non mi serve solo per sferrare pugni...), se lo desiderassi, sono d'accordo con Phil, ciò non avrebbe nulla a che fare con la giustizia, è solo masochismo e vendetta, vendetta di fronte a un fantomatico "ordine cosmico" di fronte a cui ciascuno dovrebbe stare alla pari in una bilancia tra male commesso e male subito. Per ma giustizia vuol dire fare il bene, non aggiungere male a male, il male può essere giustificato solo come indipensabile strumento per il bene.

Essendo il pentimento un fatto interiore ha a che fare con il piano spirituale e religioso (non vorrei soffermarmi su questo anche perchè prossimamente mi piacerebbe aprire una discussione a parte riguardo questo ambito), mentre dal punto di vista politico ciò che conta è l'espiazione ma non necessariamente il pentimento. Uno stato liberaldemocratico e non etico, come per fortuna è il nostro, non manda in carcere i criminali per punizione o vendetta, ma pragmaticamente, per evitare che, lasciati in libertà, possano continuare a nuocere: una volta riconosciuta la pericolosità sociale di un individuo lo si isola temporaneamente dal consesso civile. L'obiettivo non è fargli del male (vendetta) ma anteporre al bene della sua libertà un bene maggiore che è quella della comunità. Lo si isola fino a che non si considera la possibilità di un ravvedimento, ecco perchè la detenzione dovrebbe essere coordinata con momenti di socializzazione che permetta di osservare ed esaminare eventuali comportamenti che potrebbero lasciar intendere tale ravvedimento. Dal punto di vista politico il pentimento è utile perchè porta il reo a non commettere più i reati ma non indispensabile: se un criminale non dovesse pentirsi, ma considerando la durezza del carcere riconoscesse utilitaristicamente che non valga più il rischio di commettere reati, per lo stato andrebbe bene comunque, fermo restando che se ci fosse anche il pentimento sarebbe ancora meglio perchè il rientro alla vita civile sarebbe più profondamente motivato e dunque tale scelta sarebbe più irreversibile. Lo stato non si occupa delle anime ma delle relazioni esterne fra le persone. Ragion per cui se un assassino appena dopo aver commesso l'omicidio subisse un incidente che lo lasciasse totalmente paralizzato (quindi innocuo), a mio avviso uno stato di diritto non dovrebbe infliggergli alcuna pena. Qualunque male contro di lui sarebbe inutile, gratuito e dunque ingiusto
CitazioneEvidentemente seguiamo due concezioni della giustizia molto reciprocamente diverse.
Per me giustizia (che non sempre si realizza; mai perfettamente) é (quando e nella misura in cui si realizza) anche e soprattutto premio per il bene e castigo per il male fatto.
Se un criminale omicida rimane paralizzato e dunque incapace di nuocere ulteriormente ad altri, non per questo secondo me deve avere sconti di pena (deve solo essere posto in condizione di essere curato, quindi magari di scontare la prigionia in ospedale o anche agli arresti domiciliari, se proprio indispensabile).
E, sempre secondo la mia opinione, contrariamente alla tua e a quella di altri, non si é autenticamente pentiti (ripeto: per come intendo io il concetto di "pentimento") se non si é sufficientemente severi con se stessi e con le punizioni che si ritiene di meritare e di dover scontare, fino a chiedere supplementi di castigo, non certo cercando sconti di pena).
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: paul11 il 12 Luglio 2016, 21:12:08 PM
Citazione di: davintro il 12 Luglio 2016, 17:12:56 PMPer stabilire la necessità del rapporto tra pentimento ed espiazione andrebbe chiarito il senso del secondo concetto. In cosa dovrebbe consistere l' "espiazione"? Io penso che se l'espiazione consite nell'agire in modo da ridurre il più possibile gli effetti del male prodotto allora non può esserci pentimento senza volontà di espiazione. Ma non è solo impossibile dal punto di vista del "dover essere", ma anche dall'essere di fatto. Non posso essere pentito di aver fatto una cosa senza provare il desiderio di rimediare all'errore annullando gli effetti di ciò che ho commesso. Pentirsi vuol dire desiderare di poter tornare indietro. Ovviamente questo è impossibile, ma ci si può avvicinare all'idea nel fare in modo di ridimensionare entro i limiti del possibile i danni causati.  

...perspicace, perchè adesso posso far capire meglio a Sgiombo, il ricordo, che in questo caso è il rimorso.

Il sacro nel tempo del mito, prima di Parmenide è il rituale dentro il tempo ciclico. dico subito che la pena, l'espiazione nel concetto ormai del tempo lineare è tremenda, vuol dire buttare via il futuro, uccidere il pro-gettarsi ma questa concezione nel tempo ciclico diventa il sacrificio del capro espiatorio nella comunità in cui i loro peccati vengono purificati con l'atto del rito ciclico. Quì siamo nell'iletico, il sacrifico è materiale, è l'agnello, la vergine, il fanciullo il corpo di Cristo, il lavacro del pentimento. Il linguaggio degli antichi compreso l'ebreo antico prima dell'aramaico era col i tempi al passato (il sacro) e il presente (profano).Il tempo ciclico fa sempre tornare il passato a rinforzare il presente a purificarlo.Il tempo originario quindi ritorna, il sacro purifica il profano con il sacrificio per i peccati e quindi è implicito il pentimento collettivo della comunità.
Il noetico viene originariamente dall'essere di Parmenide, che astrae,, allora il sacrifico diventa puro simbolo,non più materiale, la purificazione che è spesso è all'interno di un'astinenza, vine persa dentro il tempo storico che è lineare.Quindi la condanna espiatoria alla carcerazione è il dramma di buttare via il futuro, la progressione delle successioni temporali che brucia il passato che non ritorna a purificare.
Oggi rimangono le  vestigia di quei tempi nei calendari moderni, le festività religiose o laiche o pagane che perdono la loro originalità in quanto svilite del significato originario.
Quel tempo consolava, non viveva per il futuro, perchè il sacro continuava a tornare.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Sariputra il 13 Luglio 2016, 00:18:36 AM
Citazione di: Phil il 12 Luglio 2016, 16:27:25 PM
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 22:20:22 PMil camminare continuo della coscienza e il famoso karma è proprio questo movimento incessante. Un'azione veramente malvagia ha un influsso terribile sulla coscienza, indipendentemente dal fatto di esserne consapevoli. Questa ruota priva di perno ( amore) non smette di girare e operare nefasta influenza in noi semplicemente perchè , con un impulso interiore, effimero, riteniamo di esserci pentiti. [...] Non è possibile alcuna matematica del karma, nè alcuna accumulazione di meriti. Solo quando, nel sonno, i demoni che abbiamo generato, piano piano, non verranno più a farci visita, capiremo che la ruota ha esaurito l'energia che la muoveva.
Direi che i due temi del topic, il pentimento e l'espiazione, si conciliano più con il cristianesimo che con il buddhismo: in un ottica karmica, quindi deterministicamente causale, il pentimento gioca un ruolo molto marginale rispetto all'effettività delle azioni compiute (sarebbe improponibile una pratica della "confessione" nel buddhismo) e talvolta viene persino considerato uno dei "cinque ostacoli" innati (nivarana) per l'illuminazione (è quello chiamato kukkucca); mentre l'espiazione non è decidibile o praticabile a scelta, ma è semplicemente la "naturale" conseguenza, l'effetto ineluttabile dell'azione che l'ha causata (rimando al quinto capitolo dell'Abhidhamma per la questione della reincarnazione come espiazione...) Per cui il legame pentimento/espiazione, per come è inteso occidentalmente/cristianamente non credo possa attecchire adeguatamente nella catena causale del karma, anche se resta sempre possibile coniugare le due prospettive con una bella immagine sincretica, come quella da te proposta, in cui l'amore cristiano diventa perno della ruota del karma induista...

Infatti se , per esempio, sostituiamo le parole Pentimento ed Espiazione con "Danno" e "Riparazione" mi sembra di poter meglio interpretare questo passaggio e dargli una spiegazione "Kammica". E' sempre l'atto che ha valenza riparatrice. Spesso questo atto rimane una possibilità riservata solamente al soggetto del misfatto e non dà possibilita di riparare il danno causato alla vittima. La riparazione necessita di un atto che vada a contrapporsi agli effetti karmici provocati dal danno. Questa sorta di pragmatismo interiore ("Ho fatto un danno e adesso IO devo ripararlo) mette in moto uno sviluppo positivo, in primis per se stessi e poi, di conseguenza, per quelli che ci circondano.La volontà di riparare è fondamentale, più che la stessa messa in opera . Possono mancare le forze, i mezzi, le possibilità di riparare il torto fatto, ma la presenza della volontà di farlo è gia un'azione kammica virtuosa e foriera di sviluppi positivi per sè e per gli altri.
"Ho ucciso un essere vivente. Adesso come posso riparare?" mi sembra la domanda giusta da porsi. 
"Ho ucciso un essere vivente.Oh! Come mi sento triste, abbattuto, se potessi tornare indientro di sicuro non lo rifarei..." questo permette di sperare di non commettere, nel futuro, nuovamente questo atto che mi procura sofferenza, ma non sana, non ripara per l'appunto, lo sviluppo kammico dell'atto già compiuto.
Non voglio assolutamente affermare che il pentimento non serva, sia inutile.  Magari fossimo capaci tutti di vero pentimento! Quanto dolore e sofferenza si potrebbe evitare per il futuro...
Ma , dopo la nascita nel cuore di questo nobile sentimento, non si può semplicemente restarsene a rimirarlo e magari compiacersene...pensando che "tutto sia finito così".
Gli effetti dell'atto negativo ritornano, non ti lasciano, ti incupiscono, se li rimuovi ti svuotano lentamente della tua sensibilità umana. Devi ricostruire le fondamenta su cui poggia la tua anima. Espiare diventa proprio quest'opera lavorativa. Un'opera umile, meglio se nascosta, magari derisa dalla società (venire derisi dalla società indica che si è sulla strada giusta...) . Può essere un cammino interiore, oppure esteriore , o sia interno che esterno a sé. Può essere compiuto nella solitudine di una cella se è il caso. Mi sembra che anche la più piccola cosa , se fatta con amore, non mancherà di manifestarsi nel nostro animo con tutta la sua forza. Se la ruota del karma negativo gira veloce , ben più forte si sviluppa quella positiva. Ogni piccolo atto di bene può avere sviluppi inconcepibili...
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: davintro il 13 Luglio 2016, 00:29:00 AM
Rispondo a Sgiombo:

Eppure la possibilità stessa del pentimento presuppone implicitamente una verità fondamentale: la persona non coincide con le sua azioni. Se coincidesse con esse il pentimento non sarebbe possibile. Io mi pento delle mie azioni a partire da uno scarto, da un'ulteriorità del mio essere profondo rispetto al  comportamento esteriore, la cui osservazione è insufficiente a decifrare compiutamente la profondità dell'animo. E in nome di questo scarto posso pentirmi, posso cioè distaccarmi dalle azioni di cui mi pento, ne prendo le distanze e posso farlo perchè la persona che ora è pentita non è più lo stesso tipo di persona che ha commesso quelle azioni in passato. Il pentimento è già di per sè superamento. E non è assurdo e insensato che io desideri subire un male, che va al di là del minimo necessario sufficiente a rimediare i danni prodotti dalle azioni passate, da rivolgere alla persona che sono ora, pentita, che non è più la persona che ha commesso quelle azioni? Il tipo di persona che ha commesso il male dopo il pentimento non esiste più, è passata, trascesa. Questo è il principio che ritengo molto valido e condivisibile riassumibile nella formula classica "punire il peccato non il peccatore"

Con questo non voglio certo negare la possibilità di comportamenti autopunitivi connessi con il pentimento (io stesso sono un tipo che si arrabbia molto con se stesso per gli errori che commette...), solo li ammetto come possibili effetti collaterali di quest'ultimi, non necessari oltre che inutili, irrazionali (in nome della mia personale accezione di giustizia che certo non tutti condividono) e credo, anche psicologicamente poco salubri in riferiemento alla serenità ed equilibrio interiore della persona
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 13 Luglio 2016, 08:39:42 AM
Citazione di: davintro il 13 Luglio 2016, 00:29:00 AM
Rispondo a Sgiombo:

Eppure la possibilità stessa del pentimento presuppone implicitamente una verità fondamentale: la persona non coincide con le sua azioni. Se coincidesse con esse il pentimento non sarebbe possibile. Io mi pento delle mie azioni a partire da uno scarto, da un'ulteriorità del mio essere profondo rispetto al  comportamento esteriore, la cui osservazione è insufficiente a decifrare compiutamente la profondità dell'animo. E in nome di questo scarto posso pentirmi, posso cioè distaccarmi dalle azioni di cui mi pento, ne prendo le distanze e posso farlo perchè la persona che ora è pentita non è più lo stesso tipo di persona che ha commesso quelle azioni in passato. Il pentimento è già di per sè superamento. E non è assurdo e insensato che io desideri subire un male, che va al di là del minimo necessario sufficiente a rimediare i danni prodotti dalle azioni passate, da rivolgere alla persona che sono ora, pentita, che non è più la persona che ha commesso quelle azioni? Il tipo di persona che ha commesso il male dopo il pentimento non esiste più, è passata, trascesa. Questo è il principio che ritengo molto valido e condivisibile riassumibile nella formula classica "punire il peccato non il peccatore"

Con questo non voglio certo negare la possibilità di comportamenti autopunitivi connessi con il pentimento (io stesso sono un tipo che si arrabbia molto con se stesso per gli errori che commette...), solo li ammetto come possibili effetti collaterali di quest'ultimi, non necessari oltre che inutili, irrazionali (in nome della mia personale accezione di giustizia che certo non tutti condividono) e credo, anche psicologicamente poco salubri in riferiemento alla serenità ed equilibrio interiore della persona.


CitazioneCredo che esista una "dialettica continuità-mutamento" nelle esperienze delle persone: per certi versi sono comunque sempre quello che ha allora commesso la colpa, per altri sono diverso se ora me ne pento.
Proprio per questo ineliminabile elemento di continuità a mio parere l' espiazione deve accompagnare il pentimento: non basta dire "non sono più quella persona e dunque chissenefrega, tanto adesso sono irreprensibile"; invece sono sempre quelle persona, anche se cambiata, e dunque ciò che ho fatto persiste in me (oltre che a danno delle vittime) e va attivamente corretto; ho un debito con l' etica (con la mia coscienza, prima ancora che con la giustizia), e dunque devo pagarlo (e se sono scrupoloso lo pagherò con l' aggiunta di un certo interesse).

Per restare nella terminolotgia religiosa, per me va punito il peccatore (e il primo a volerlo é il peccatore stesso, se sinceramente pentito).

Mi rendo ovviamete conto che si tratta di tendenze comportamentali, etiche, di "sensibilità morali" diverse "in linea di principio" (non di diverse aplicazioni a casi particolari - concreti dei medesimi principi) e dunque non confrontabili razionalmete: non é dimostrabile che l' una sia meglio dell' altra, ma semplicemente la si avverte come tale.

Dissento anche sulla salubrità metale, che ritengo in linea di massima maggiore in caso di espiazione che di pentimento "a buon mercato" (per così dire senza intenti polemici).
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: Sariputra il 13 Luglio 2016, 09:24:53 AM
Citazione di: davintro il 13 Luglio 2016, 00:29:00 AMRispondo a Sgiombo: Eppure la possibilità stessa del pentimento presuppone implicitamente una verità fondamentale: la persona non coincide con le sua azioni. Se coincidesse con esse il pentimento non sarebbe possibile. Io mi pento delle mie azioni a partire da uno scarto, da un'ulteriorità del mio essere profondo rispetto al comportamento esteriore, la cui osservazione è insufficiente a decifrare compiutamente la profondità dell'animo. E in nome di questo scarto posso pentirmi, posso cioè distaccarmi dalle azioni di cui mi pento, ne prendo le distanze e posso farlo perchè la persona che ora è pentita non è più lo stesso tipo di persona che ha commesso quelle azioni in passato. Il pentimento è già di per sè superamento. E non è assurdo e insensato che io desideri subire un male, che va al di là del minimo necessario sufficiente a rimediare i danni prodotti dalle azioni passate, da rivolgere alla persona che sono ora, pentita, che non è più la persona che ha commesso quelle azioni? Il tipo di persona che ha commesso il male dopo il pentimento non esiste più, è passata, trascesa. Questo è il principio che ritengo molto valido e condivisibile riassumibile nella formula classica "punire il peccato non il peccatore" Con questo non voglio certo negare la possibilità di comportamenti autopunitivi connessi con il pentimento (io stesso sono un tipo che si arrabbia molto con se stesso per gli errori che commette...), solo li ammetto come possibili effetti collaterali di quest'ultimi, non necessari oltre che inutili, irrazionali (in nome della mia personale accezione di giustizia che certo non tutti condividono) e credo, anche psicologicamente poco salubri in riferiemento alla serenità ed equilibrio interiore della persona

Mi sembra si sovrastimino le capacità di cambiamento interiore che la "sensazione-riflessione" pentimento possono operare concretamente in noi. Non sono nemmeno molto convinto che bisogna fare distinzione tra peccato e peccatore. Noi non siamo "Altro" dai nostri atti. I nostri atti (interiori ed esteriori) ci costituiscono, sono "noi stessi". Non c'è uno spettatore occulto, puro e immacolato, che osserva l'azione ( la famosa anima). C'è consapevolezza ,che è l'elemento-senso della mente, la  quale lavora-dipende dagli altri cinque sensi. Proprio perchè siamo un tutt'uno con le nostre azione, ne siamo costituiti, assume un'enorme importanza l'atto riparatore che agisce attivamente in noi, trasformandoci in senso positivo. Essere un'unica realtà con le nostre azioni permette l'opera di ricostruzione in noi. Guai a pensare ad una sorta di sdoppiamento (coscienza immacolata opposta ad azione spregevole). Questo tipo di riflessione, a mio parere, ci può tentare a ripetere l'atto negativo se si presenta l'occasione, mossa dal nostro egoismo. "Ho fatto del male e me ne sono amaramente pentito, ma questo è troppo, non posso sopportarlo, devo agire..." e si ricade nel danno..."Chiederò perdono a Dio, ma devo farlo...". Per arrivare a "So che quello che sto facendo è male, ma non resisto, devo placare la mia rabbia , il mio odio, altrimenti mi sembra di impazzire...chiederò perdono, Dio mi comprende, capisce i miei limiti, sicuramente mi perdonerà, anche Lui si arrabbiava...". Il pentimento, che è consapevolezza del male fatto, non mi mette al riparo, se non opero per cambiare le motivazioni che mi hanno spinto ad agire in maniera malvagia. Quel ragazzo del veronese che una decina di anni orsono ha trucidato i suoi genitori, liberato per buona condotta e perchè sinceramente pentito (e in effetti, leggendo le sue lettere dimostrava un vero, autentico pentimento) appena ritrovatosi nella società ha cominciato a minacciare le sorelle sopravvissute alla strage, per avere denaro, per far fronte alle necessità della vita libera, fino al nuovo internamento in una comunità. Sicuramente si pentirà nuovamente di aver minacciato le sorelle, chiederà perdono...ma poi? Non comprendere le motivazioni del proprio agire lo faranno purtroppo ricadere nella possibilità di rinnovare il danno. E per poter comprendere non c'è che l'azione riparatrice ( che comporta un enorme sacrificio).
Nemmeno si può dire:"Vabbeh...ma quello non era pentimento, fingeva...".  Questo sì sarebbe un giudizio davvero arbitrario, da parte nostra...
Quale potrebbe essere un'azione riparatrice in un caso simile? "Ho ucciso i miei vecchi..." potrebbe riflettere "...ora mi prenderò cura di vecchi abbandonati. Andrò in un ospizio ogni giorno ad imboccare le persone sole e abbandonate da tutti. Sarà terribile, mi sputeranno forse addosso, ma io resisterò al desiderio di fuggire da tutto questo..."
Siamo poi sicuri che dietro al pentimento , ancorchè sincero, non si nasconda un sottile inganno della mente per auto-assolversi?
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: davintro il 13 Luglio 2016, 16:00:10 PM
L'idea di una continuità della persona che va al di là del susseguirsi delle diverse azioni che si compiono rende ragione dell'idea dell'irriducibilità del soggetto alle azioni esterne: le azioni, i comportamenti mutano, ma il nucleo essenziale della persona resta. E già nel momento in cui commetto un'azione di cui poi mi pento c'era già qualcosa di me, nascosto in me, che si contrapponeva ad essa. Altrimenti da dove nascerebbe il pentimento? Io il pentimento lo vedo come un'esplicitazione di una latenza interiore già da sempre presente in me che, entro certe condizioni si manifesta, una latenza intesa come un contrapporsi a ciò che si sta facendo e che nel pentimento emerge e prende il sopravvento. L'Innominato manzioniano aveva già sviluppato un ritrosia verso i suoi soprusi, la conoscenza di Lucia ha offerto le condizioni per cui tale ritrosia è divenuta il sentimento prevalente, ma non l'ha creato. Vero che è  sempre la stessa persona che ha commesso il male e poi si è pentita, ma ciò che l'ha portato a commettere il male sono degli aspetti, delle caratteristiche della persona, che nel pentimento non ci sono più (certo potrebbero tornare in futuro...), perchè la persona pentita ora utilizza criteri di giudizio diversi da quelli che utilizzava prima. Ciò che permane della persona, l'essenza, non è il responsabile delle azioni cattive, se nelle azioni passate e ora nel pentimento c'è qualcosa per cui io resto "me stesso", questo "me stesso" permanente è qualcosa di indipendente dalle azioni che ho compiuto, se fosse il responsbile delle azioni passate, ora che quelle azioni non le commetterei più, questo principio di permanenza dovrebbe scomparire e dunque non si potrebbe più dire che per certi versi resto "me stesso".

Comunque non penso di convincere nessuno perchè mi pare che si fronteggino visioni morali molto diverse, anche se tutte legittime. La mia personale visione morale è di tipo eudaimonisitico, il principio della morale è la ricerca della felicità, il bene è tutto ciò che produce, in me e negli altri, benessere e felicità. La giustizia per me non è una sorta di equilibrio livellabile verso il basso per cui se acceco una persona debbo espiare accecandomi a sua volta, un'azione che non restituisce la vista a chi l'ha persa e la toglie a me. Quale felicità si produce con quell'atto? Le virtù non sono qualcosa di fine a se stesso, ma condizioni per raggiungere il bene, cioè la felicità, o quantomeno la serenità, il coraggio è una virtù nella misura in cui produce una spinta interiore a superare difficoltà esistenziali che mi impediscono di raggiungere i miei obiettivi, obiettivi che una volta raggiunti dovrebbero portarmi in uno stato di appagamento e felicità, la sincerità è una virtù perchè, non dicendo la verità alle persone, le privo di una conoscenza della realtà delle situazioni in cui vivono e questa mancata conoscenza delle situazioni diviene spesso impedimento per il raggiungimento dei loro obiettivi, come nel caso in cui uno, mentendo, dica alla fidanzata di esserle fedele facendo in modo che lei continui a sentirsi legata a una persona che in realtà non la rispetta e la tradisce, mentre un altro uomo la renderebbe molto più felice Prive del riferimento al fine ultimo della felicità non so quale possa essere il fondamento delle virtù. La felicità è il fine comune di ogni vita e non è vincolata a dei "meriti", quantomeno oggettivi: ciascuno ha il diritto di cercare la felicità seguendo la sua natura ed inclinazioni, sempre diverse in base agli individui, nel rispetto del cammino di ricerca altrui,  A me un mondo di "virtuosi" infelici  che meriterebbero la felicità ma non ne godono in concreto perchè continuamente dediti all'automortificazione e ai sensi di colpa farebbe orrore
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 13 Luglio 2016, 18:00:35 PM
Citazione di: davintro il 13 Luglio 2016, 16:00:10 PM
Comunque non penso di convincere nessuno perchè mi pare che si fronteggino visioni morali molto diverse, anche se tutte legittime. La mia personale visione morale è di tipo eudaimonisitico, il principio della morale è la ricerca della felicità, il bene è tutto ciò che produce, in me e negli altri, benessere e felicità. La giustizia per me non è una sorta di equilibrio livellabile verso il basso per cui se acceco una persona debbo espiare accecandomi a sua volta, un'azione che non restituisce la vista a chi l'ha persa e la toglie a me. Quale felicità si produce con quell'atto? Le virtù non sono qualcosa di fine a se stesso, ma condizioni per raggiungere il bene, cioè la felicità, o quantomeno la serenità, il coraggio è una virtù nella misura in cui produce una spinta interiore a superare difficoltà esistenziali che mi impediscono di raggiungere i miei obiettivi, obiettivi che una volta raggiunti dovrebbero portarmi in uno stato di appagamento e felicità, la sincerità è una virtù perchè, non dicendo la verità alle persone, le privo di una conoscenza della realtà delle situazioni in cui vivono e questa mancata conoscenza delle situazioni diviene spesso impedimento per il raggiungimento dei loro obiettivi, come nel caso in cui uno, mentendo, dica alla fidanzata di esserle fedele facendo in modo che lei continui a sentirsi legata a una persona che in realtà non la rispetta e la tradisce, mentre un altro uomo la renderebbe molto più felice Prive del riferimento al fine ultimo della felicità non so quale possa essere il fondamento delle virtù. La felicità è il fine comune di ogni vita e non è vincolata a dei "meriti", quantomeno oggettivi: ciascuno ha il diritto di cercare la felicità seguendo la sua natura ed inclinazioni, sempre diverse in base agli individui, nel rispetto del cammino di ricerca altrui,  A me un mondo di "virtuosi" infelici  che meriterebbero la felicità ma non ne godono in concreto perchè continuamente dediti all'automortificazione e ai sensi di colpa farebbe orrore.
CitazioneQui ci sarebbe quasi da aprire un' altra discussione.
Almeno per ora mi limito a definire "stoica" la mia personale concezione della morale (alternativa alla tua -altrettanto legittima e rispettabile, ne convengo- che definisci eudemonistica): per me la virtù é premio a se stessa.

Secondo me la felicità, il piacere, la gioia, la soddisfazione sono in generale o in astratto "appagamento di desideri o aspirazioni".
Dunque dire che il fine di ogni vita é la felicità é come dire che la felicità é la felicità o che la soddisfazione dei desideri é la soddisfazione dei desideri o l' appagamento delle aspirazioni é appagamento delle aspirazioni.
Sono i particolari desideri, le aspirazioni concrete (avvertiti) a definire (se e nella misura in cui sono soddisfatti) l' effettivo "contenuto concreto" della felicità per ciascuno.
E nel mio caso, conformemente soprattutto agli antichi stoici, il desiderio di giustizia (nel senso che nel corso della discussione ho cercato di illustrare) é uno dei principali, accanto al desiderio di conoscenza fine a se stessa, oltre che come mezzo per conseguire altri fini; e comunque anche accanto a tanti altri desideri più "materiali", coltivati con moderazione e non smodatamente e innaturalmente "ipertrofizzati", e in questo mi sento invece seguace (anche) di Epicuro.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: paul11 il 13 Luglio 2016, 22:33:23 PM
Citazione di: davintro il 13 Luglio 2016, 16:00:10 PML'idea di una continuità della persona che va al di là del susseguirsi delle diverse azioni che si compiono rende ragione dell'idea dell'irriducibilità del soggetto alle azioni esterne: le azioni, i comportamenti mutano, ma il nucleo essenziale della persona resta. E già nel momento in cui commetto un'azione di cui poi mi pento c'era già qualcosa di me, nascosto in me, che si contrapponeva ad essa. Altrimenti da dove nascerebbe il pentimento? Io il pentimento lo vedo come un'esplicitazione di una latenza interiore già da sempre presente in me che, entro certe condizioni si manifesta, una latenza intesa come un contrapporsi a ciò che si sta facendo e che nel pentimento emerge e prende il sopravvento. L'Innominato manzioniano aveva già sviluppato un ritrosia verso i suoi soprusi, la conoscenza di Lucia ha offerto le condizioni per cui tale ritrosia è divenuta il sentimento prevalente, ma non l'ha creato. Vero che è sempre la stessa persona che ha commesso il male e poi si è pentita, ma ciò che l'ha portato a commettere il male sono degli aspetti, delle caratteristiche della persona, che nel pentimento non ci sono più (certo potrebbero tornare in futuro...), perchè la persona pentita ora utilizza criteri di giudizio diversi da quelli che utilizzava prima. Ciò che permane della persona, l'essenza, non è il responsabile delle azioni cattive, se nelle azioni passate e ora nel pentimento c'è qualcosa per cui io resto "me stesso", questo "me stesso" permanente è qualcosa di indipendente dalle azioni che ho compiuto, se fosse il responsbile delle azioni passate, ora che quelle azioni non le commetterei più, questo principio di permanenza dovrebbe scomparire e dunque non si potrebbe più dire che per certi versi resto "me stesso". Comunque non penso di convincere nessuno perchè mi pare che si fronteggino visioni morali molto diverse, anche se tutte legittime. La mia personale visione morale è di tipo eudaimonisitico, il principio della morale è la ricerca della felicità, il bene è tutto ciò che produce, in me e negli altri, benessere e felicità. La giustizia per me non è una sorta di equilibrio livellabile verso il basso per cui se acceco una persona debbo espiare accecandomi a sua volta, un'azione che non restituisce la vista a chi l'ha persa e la toglie a me. Quale felicità si produce con quell'atto? Le virtù non sono qualcosa di fine a se stesso, ma condizioni per raggiungere il bene, cioè la felicità, o quantomeno la serenità, il coraggio è una virtù nella misura in cui produce una spinta interiore a superare difficoltà esistenziali che mi impediscono di raggiungere i miei obiettivi, obiettivi che una volta raggiunti dovrebbero portarmi in uno stato di appagamento e felicità, la sincerità è una virtù perchè, non dicendo la verità alle persone, le privo di una conoscenza della realtà delle situazioni in cui vivono e questa mancata conoscenza delle situazioni diviene spesso impedimento per il raggiungimento dei loro obiettivi, come nel caso in cui uno, mentendo, dica alla fidanzata di esserle fedele facendo in modo che lei continui a sentirsi legata a una persona che in realtà non la rispetta e la tradisce, mentre un altro uomo la renderebbe molto più felice Prive del riferimento al fine ultimo della felicità non so quale possa essere il fondamento delle virtù. La felicità è il fine comune di ogni vita e non è vincolata a dei "meriti", quantomeno oggettivi: ciascuno ha il diritto di cercare la felicità seguendo la sua natura ed inclinazioni, sempre diverse in base agli individui, nel rispetto del cammino di ricerca altrui, A me un mondo di "virtuosi" infelici che meriterebbero la felicità ma non ne godono in concreto perchè continuamente dediti all'automortificazione e ai sensi di colpa farebbe orrore

Di nuovo ispirato, e sono d'accordo.
Da credente quella latenza è lo spirito, l'anima, chi pensa invece che sia psiche, chi ancora semplicemente condizionamento educativo.
Ma una cosa è certa nessuno è giudice più di noi stessi, perchè solo noi potremmo sapere il perchè abbiamo compiuto un atto criminoso o lo stato di alterazione, spirituale, psichica che ci ha indotto a compierlo.Ma prima o poi torna la riflessione interiore.

Sono di nuovo d'accordo, il tempo dell'occhio per occhio e dente per dente non produce nulla, se non altra devastazione,
Per questo il pentimento e il perdono sono positivi nel dare di nuovo la possibilità della redenzione, il ritorno all'innocenza seppur  dopo aver conosciuto il peccato:.Anche in termini sociali laici è più positivo.Uomini che coltivano l'odio invece del perdono, sono a loro volta avvelenati nell'esistenza.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: sgiombo il 14 Luglio 2016, 08:22:59 AM
Citazione di: paul11 il 13 Luglio 2016, 22:33:23 PM
Sono di nuovo d'accordo, il tempo dell'occhio per occhio e dente per dente non produce nulla, se non altra devastazione,
Per questo il pentimento e il perdono sono positivi nel dare di nuovo la possibilità della redenzione, il ritorno all'innocenza seppur  dopo aver conosciuto il peccato:.Anche in termini sociali laici è più positivo.Uomini che coltivano l'odio invece del perdono, sono a loro volta avvelenati nell'esistenza.
Se vengo offeso e l' offensore si pente sinceramente (e lo dimostra infliggendosi una punizione adeguata; o accettandola e non cercano di schivarla o attenuarla se gli é comminata dalla giustizia), allora sono ben felice (davvero, non per modo di dire) di perdonarlo: pretendendo di essere punito riacquista ai miei occhi rispettabilità umana ed etica, e questa é una delle più belle esperienze a cui si possa assistere nella vita.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: paul11 il 14 Luglio 2016, 10:19:31 AM
Sgiombo,
capisco e per carità, ha i le tue ragioni.
A me viene in mente nel medioevo come si autofustigavano , di come processioni di incappucciati passavano per le strade; francamente ci trovo un qualcosa di perverso, lì ci trovo più la paura e il terrore che un sano rapporto empatico, di amore e comprensione.

In generale penso che la prima volta bisogna perdonare se si vuole mantenere la fiducia che diversamente diventa difiidenza. Insomma, errare è umano, perseverare è diabolico.Per me sono i comportamenti di chi ha sbagliato, i suoi atteggiamenti che devono cambiare e le persone non sono così fesse a non capire prima di tutto empaticamente

Poi è chiaro dipende dalla natura di una colpa, di un reato, di un delitto, di un peccato mortale o veniale.
Ci sono reati che nemmeno tutto l'oro del mondo possono riparare, stupri, omicidi.
Quindi se mi metto nella persona che subisce o ha familiari che hanno subito reati gravissimi....non è facile, a volta non basta la ragione e lo capisco e tutto non è mai come prima,non possiamo far tornare la ruota del tempo .
Forse tanto è più grave il reato e tanto il colpevole deve necessariamente dimostrare un pentimento anche pubblico, perchè ne va
dell'incolumità della comunità, della stessa coscienza pubblica e del senso di giustizia.
Io ritengo il pentimento e soprattutto il perdono al di sopra della stessa giustizia.
Tant'è che solo il presidente della Repubblica in Italia può compiere alcuni atti liberatori in favore di carcerati a vita, oppure il governatore dello Stato in USA può fermare la pena di morte. E' concessa una liberalità che è al di sopra della sentenza.
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: giona2068 il 15 Luglio 2016, 23:10:36 PM
Bisogna fare attenzione a non confondere il perdono  con la grazia. Il perdono ha come base il pentimento, mentre la grazia del capo dello stato e del presidente degli USA è un atto di liberalità che può esserci anche se il pentimento non è quello che dovrebbe essere.
Il perdono opera fra uomini e uomini e fra uomini e il Signore Dio. Quello fra uomini è il fondamento per poter sperare nel perdono del Signore Dio. Difronte a Lui siamo tutti colpevoli, ma a noi piace pensare che  dobbiamo solo  perdonare altri. Quando ci convinciamo che dobbiamo solo perdonare, nello stesso tempo ci convinciamo che chi sbaglia non siamo noi  ma altri.
Ora se tutti vogliamo perdonare e nessuno crede di dover chiedere il perdono, di quale perdono stiamo parlando?
Quando questo accade vuol dire che satana sta guidando la nostra mente, ci fa parlare di perdono con tante belle parole ma le nostre balbettazioni non daranno nessun frutto! 
Titolo: Re:pentimento ed espiazione
Inserito da: paul11 il 15 Luglio 2016, 23:31:17 PM
...e infatti si  chiama grazia.
Il pentimento e il perdono sono un atto di volontà, non c'è niente di meccanicistico.