Le recenti guerre di cui ci narrano sempre più frequentemente i tg, mi hanno fatto pensare alla difficoltà che ha l'uomo, a perdonare il prossimo. Basta una scintilla per scatenare guerre mondiali. Come afferma (secondo me, correttamente) Papa Francesco, stiamo assistendo alla terza guerra mondiale a pezzi. Ogni pretesto è buono per scatenare la rabbia che abbiamo dentro. Allora tutto ciò che parla di perdono è messo in naftalina. Tuttavia, a me pare che il perdono sia la prima pietra; angolare; importante, su cui costruire l'essere umano. Chi non sa perdonare il prossimo, probabilmente non sa perdonare nemmeno sé stesso. Le guerre che interiormente ogni essere umano vive, sono le madri di quelle esteriori. In pratica le guerre interpersonali sono figlie di quelle intrapersonali.
Poi capita di trovarsi in una vita assai complicata e impegnativa, come la mia; di chiedersi il perché di tale situazione; di farlo dapprima con gli altri e poi, visto che le risposte che giungono dall'esterno non sono soddisfacenti, ci si rivolge a sé stessi, al proprio intimo, e si giunge alla conclusione che probabilmente questa vita è la logica conseguenza di vite passate, non proprio esemplari. Allora si scopre che l'odio che i parenti hanno nei tuoi confronti, probabilmente lo hai avuto in una o più vite passate, nei loro confronti. Stai solamente provando la stessa sofferenza che probabilmente hai inflitto a loro in altre vite e loro hanno perso l'opportunità di perdonare. Diversamente non si spiega.
Quando ti trovi in una situazione in cui le parti del tuo corpo non sanno, non possono o vogliono collaborare tra loro, facendoti sentire "figlio di un dio minore", allora capisci l'importanza della collaborazione. Forse queste esperienze sonio necessarie per la purificazione dell'anima. Soffrire aiuta a comprendere diverse cose.
Dunque, perché è così difficile perdonare?
Perchè l'uomo dimentica facilmente le sofferenze del passato, e come in un loop delirante continua a fare gli stessi errori, ancora e ancora e ancora.
Fin quando la sofferenza torna a ricordargli chi è e da dove viene.
Come dice il mio maestro, ciò che non sa insegnare la storia, la sofferenza insegnerà.
Ciao, cercavo uno spazio e un luogo dove condividere prospettive differenti, e ho trovato questo forum. Ben trovati!
ASPIRANTE.
Grazie. E' molto importante e vera la tematica che sollevi; dalla mia esperienza maggiore è la comprensione di ciò che deve essere perdonato, e di "Ciò" che deve attuare il perdono e più profondo è il perdono stesso.
Se si lavora su se stessi per aumentare la consapevolezza, man mano che aumenta la Coscienza, aumenta e difatti cambia la percezione di noi stessi (Ciò che perdona), di conseguenza cambia la comprensione di ciò che deve essere perdonato.
Forse è così difficile perchè dentro e fuori di noi, forze lavorano incessantemente per allontanarci da noi stessi, ovviamente le forze esterne hanno margini di azione nella misura in cui vi sono dei ganci interni ai quali si attaccano.
Uno degli aspetti fondamentali della grande battaglia interiore, sta proprio nell'eliminare questi ganci, permettendo man mano alla Coscienza di espandersi.
Probabilmente, per capire l'importanza del perdono, ci si dovrebbe fermare a pensare, a capire, per trovare la soluzione mirata ad ogni problema. Per fare ciò, occorre liberarsi dalla necessità di correre, di fare tutto velocemente perché occorre arrivare al traguardo del successo, della fama, ecc... prima dei propri simili. Chiaramente chi, come me, non può correre, in tal senso è avvantaggiato. So che può sembrare un paradosso, ma non poter correre, obbliga a pensare, a trovare soluzione per problemi sconosciuti ai più. Allora si inizia a ragionare non tanto sul colpevole di una determinata situazione (nella società moderna si cerca spesso un capro espiatorio da dare in pasto alla società, anche se poi non è il vero colpevole di un atto criminale), quanto sulla situazione stessa e come fare per superarla. Con un siffatto pensiero diventa facile anche perdonare.
Inoltre, la consapevolezza che sbagliare è umano, dovrebbe predisporre al perdono. Probabilmente manca questa consapevolezza.
Citazione di: ZenZero il 15 Gennaio 2024, 07:37:48 AMCiao, cercavo uno spazio e un luogo dove condividere prospettive differenti, e ho trovato questo forum. Ben trovati!
ASPIRANTE.
Grazie. E' molto importante e vera la tematica che sollevi; dalla mia esperienza maggiore è la comprensione di ciò che deve essere perdonato, e di "Ciò" che deve attuare il perdono e più profondo è il perdono stesso.
Se si lavora su se stessi per aumentare la consapevolezza, man mano che aumenta la Coscienza, aumenta e difatti cambia la percezione di noi stessi (Ciò che perdona), di conseguenza cambia la comprensione di ciò che deve essere perdonato.
Forse è così difficile perchè dentro e fuori di noi, forze lavorano incessantemente per allontanarci da noi stessi, ovviamente le forze esterne hanno margini di azione nella misura in cui vi sono dei ganci interni ai quali si attaccano.
Uno degli aspetti fondamentali della grande battaglia interiore, sta proprio nell'eliminare questi ganci, permettendo man mano alla Coscienza di espandersi.
Benvenuto!
Ritengo, che l'autentico perdono possa avvenire solo quando si diventa consapevoli che non vi è nessuno da perdonare.
La ricerca della verità richiede di indagare il male. Vuole comprendere le ragioni del male.
E se non si ferma davanti all'orrore, se rifiuta di accettare la esistenza del male assoluto, allora può iniziare a sospettare che in realtà nessuno sia mai colpevole.
Forse, in ultima analisi, non è colpevole neppure se stesso.
Si chiama istinto di morte ed è insito in ogni vita.
La materia energia non può creare nè distruggere ma solo trasformarsi.
Se non mettesse in ogni essere vivente questo istinto di morte che lo porta al termine essa si trasformerebbe in un caos di cambiamenti senza senso.
Quindi,ogni specie e individuo deve, prima o poi,finire.
Freud ne ha proposto una versione anti metafisica: la vita organica avrebbe nostalgia della quiete inorganica e vorrebbe tornarci.
In ogni caso, l'umanità ne ha preso la scorciatoia.
Citazione di: bobmax il 16 Gennaio 2024, 12:42:15 PMBenvenuto!
Ritengo, che l'autentico perdono possa avvenire solo quando si diventa consapevoli che non vi è nessuno da perdonare.
La ricerca della verità richiede di indagare il male. Vuole comprendere le ragioni del male.
E se non si ferma davanti all'orrore, se rifiuta di accettare la esistenza del male assoluto, allora può iniziare a sospettare che in realtà nessuno sia mai colpevole.
Forse, in ultima analisi, non è colpevole neppure se stesso.
Se il male non esiste, allora giustifichi qualsiasi azione malvagia.
Come fai a non vedere il tuo nichilismo teorico lo sai solo tu. :D
Citazione di: green demetr il 17 Gennaio 2024, 19:05:38 PMSe il male non esiste, allora giustifichi qualsiasi azione malvagia.
Come fai a non vedere il tuo nichilismo teorico lo sai solo tu. :D
Non è il male a non esistere, è il colpevole.
Non mi sembra poi così difficile distinguere le due cose...
Ed è il male assoluto, la sua possibile realtà, a sfidarci.
E anche questo mi sembra debba essere condivisibile, oppure no?
Il perdono ha come precondizione il male. Bisogna distinguere due tipi di male, che spesso si confondono consapevolmente, strumentalizzando, oppure inconsapevolmente. Il male naturale è il primo, un male rispetto al quale non è possibile fare altro che sottomettersi e che si chiama morte con le sue innumerevoli maschere. Il secondo è il male dell'uomo sull'uomo, da Caino in poi. Bisogna quindi perdonare Caino e le sue innumerevoli maschere (come lo stupratore di bambine). Il perdono più che un atto, dovrebbe essere pensato come processo. È vero ci può essere il perdono del "grande buono" come il principe Myskin, ma ciò non esclude che il perdono dovrebbe essere una pratica sociale prima di essere una virtù o un "talento" dei saggi. È la società che dovrebbe insegnare il perdono come processo. E come accenna Aspirante ciò può accadere solo quando non si ragiona più sul colpevole ma sulla situazione e sulla necessità di conciliare la responsabilità individuale (ineliminabile) e la responsabilità collettiva. Solo quando l'una non elide l'altra allora il perdono diviene un frutto che migliora la società in profondità e in modo duraturo, evitando il principio pericoloso e ambivalente del perdono come sacrificio. Il perdono non è una rinuncia ma la costruzione di un nuovo noi, e per far questo bisogna unire la vittima e il carnefice, il primo affinché non si nutra di vendetta e il secondo affinché chieda di essere perdonato e chieda il motivo del suo "essere carnefice".
CitazioneNon è il male a non esistere, è il colpevole.
Non mi sembra poi così difficile distinguere le due cose...
Ed è il male assoluto, la sua possibile realtà, a sfidarci.
E anche questo non mi sembra sia così difficile...
Senza colpevole non esiste neppure il male, a meno che non si voglia interpretare il male in modo metafisico, il che non è possibile, quando si viene assassinati.
Citazione di: Jacopus il 17 Gennaio 2024, 19:24:23 PMSenza colpevole non esiste neppure il male, a meno che non si voglia interpretare il male in modo metafisico, il che non è possibile, quando si viene assassinati.
Ah, sì?
Se vedi soffrire qualcuno, quello non è male a prescindere?
Ma no... ci deve essere un colpevole, se no che male è!
Impressionante.
E lasciamo stare la metafisica, per favore.
Accidenti bob, che spirito conciliante portato al perdono. Invidiabile. Ti chiedo di leggere il mio precedente post dove c'è la
Risposta alla tua domanda.
Citazione di: Jacopus il 17 Gennaio 2024, 19:35:47 PMAccidenti bob, che spirito conciliante portato al perdono. Invidiabile. Ti chiedo di leggere il mio precedente post dove c'è la
Risposta alla tua domanda.
Senza colpevole il male, per esistere, deve essere metafisico?
Cioè assoluto?
Questa è una posizione tale che non mi sembra il caso discuterne, non ho altro da dire. Come del resto al solito.
Vedo però che rimane il vizio di valutare la moralità dell'altro, lo si giudica nello specifico.
Buona moderazione...
Bobmax, sei in grado di vedere te stesso quando giudichi gli altri? Oppure vedi solo le pagliuzze? Rispetto al discorso sul perdono avevo distinto fra il male che è il male dell'uomo sull'uomo dal male di vivere che inizia quando si nasce e non può essere eliminato. Il primo deve avere un responsabile e deve avere una risposta dagli umani in carne ed ossa, altrimenti è, lo ribadisco, metafisica.
Citazione di: bobmax il 17 Gennaio 2024, 19:22:21 PMNon è il male a non esistere, è il colpevole.
Non mi sembra poi così difficile distinguere le due cose...
Ed è il male assoluto, la sua possibile realtà, a sfidarci.
E anche questo mi sembra debba essere condivisibile, oppure no?
Non esiste il male assoluto, esiste al massimo il bene assoluto, ma anche quello non è vero.
Ricordati che nella teologia cattolica, il male è l'assenza di bene.
E infatti nell'introduzione al paradiso, Dante diventa ebreo e dice che laddove il bene esiste, e laddove no.
Ossia le luce verde traversa l'inferno, la gehenna, che sta sopra di noi, non sotto, come erroneamente pensa dante.
infatti la luce nera che penetra nell'abisso, è la luce della gehenna, bisogna leggere giovanni e il talmud per capire.
questo vuol dire che il male è il prodotto di un luogo della mente? della fisica? noi non possiamo saperlo.
Ma è un prodotto, e qualcuno, qualcosa lo produce.
L'adam l'arcangelo di fuoco mandato dai piani superiori alla gehenna, la malkut, il regno: è l'uomo.
L'uomo è divino, ed è abitato dall'anima.
Bizzarro che abbiamo perso tutte queste nozioni dell'antichità.
l'anima è tale, soltanto quando è illuminata dal raggio divino.
Ossia la binah, l'intelligenza.
In una vita precedente pensavo che lo spirito che soffia sulle acque, il bordo superiore della gehenna, fosse lo spirito.
E invece è qualcosa di ancora d'altro.
Ciò che soffia in noi dunque non è il DIO come ho sempre pensato, ma l'intelligenza.
tocca tornare all'intelligenza agente come formulata dal medioevo.
che è vero che parte dall'esistente organico di aristotele ma solo per trovare una forma di rappresentazione.
L'organicità viene sostiuita dal dio, dallo spirito, dall'anima.
il medioevo perde molto delle originarie intuizioni dell'ebraismo antico.
infatti l'adam, il robot gigante, l'arcangelo caduto, è abitato dall'intelligenza.
noi siamo quell'intelligenza.
O meglio quando noi diciamo che noi siamo quella intelligenza, dovremmo meglio dire noi siamo quel soggetto che l'intelligenza che sono, io o anima che vogliamo dire, RIFLETTIAMO.
Il male non è l'adam, anzi...il male, ossia la luce oscura è ciò che buca la gehenna, e soffia come un pneuma sul mondo inferiore.
A mio modo di leggere è la natura stessa.
La natura è il male insomma.
Ora o diciamo che la natura coincida col dio (e qui siamo alle pazie gnostiche del dio malvagio) o cominciamo a ragionare insieme alla sapienza antica.
Ora qui è difficile sintetizzare milioni di anni di pensiero.
ci arriviamo gradualmente, tramite sistematizzazioni imbarazzanti, sempre piu imbarazzanti fino ad arrivare al NON SENSO del mondo contemporaneo.
Nel tentativo di ridurre semplificare abbiamo perso completamente cosa vuol dire MALE e quale sia il suo rapporto con esso.
Il perdono non è semplicemente dedicato al colpevole, ossia a colui che distrugge l'angelo, coloro che rifiutano di diventare umani, ossia adamitici, ossia di riattivare il robot gigante.
Il robot gigante è ciò che si oppone alla natura, è la più grande arma, o una delle armi che vengono dal monte olimpo.
Armi di difesa.
Armi proteiche.
Il mito descrive ciò che è in cuore all'intelligenza.
Il mito discerne ciò che è umano, intelligente, da ciò che non lo è.
E ciò che non lo è, è sempre ciò che ci è contro, ossia la natura.
Nel mito il male organico è dovuto alle anime corrotte che giaciono nell'inferno.
Il male organico è ciò che vuole che l'uomo sia un animale.
E quando l'uomo scoprì che anche l'animale era intelligente, e anche la vegetazione lo era.
Cominciò a fare di peggio, trasformare l'uomo in qualcosa di ancora di meno.
Quando Freud scoprì il trauma di morte, scoprì in esso il demone che lo guidava, ossia la luce oscura, il tentativo di ridurre a morte ciò che è vita.
nell'abisso che contine secondo la tradizione la gehenna, ossia l'inferno, si confonde quello come l'ultino dei gradini, ma non è così, e anzi la gehenna-inferno è ciò che è piu vicino agli DEI che stanno sopra le acque.
Di nuovo genesi.
ma anche la titanomachia.
per non parlare della gemma della luce assoluta, l'orfismo.
dietro la pietà, c'è anche la magnanimità, parola che ci resituisce la grandezza dell'uomo, forgiata dal LEOPARDI, e di cui nella discussione aperta da Doxa, ci siamo addentrati tramite l'arte.
Tante cose caro bobmax, e invece per te e per i buddisti, tutto sarebbe un mero...NIENTE?
No no io lo chiamo nichilismo.
Citazione di: Jacopus il 17 Gennaio 2024, 19:24:23 PMSenza colpevole non esiste neppure il male, a meno che non si voglia interpretare il male in modo metafisico, il che non è possibile, quando si viene assassinati.
Io credo che, pur esistendo un colpevole, chi egli sia abbia ben poca importanza, almeno non quanta ne ha l'atto commesso. Se non ricordo male, in tribunale si comminano le pene nei confronti dell'atto (o misfatto) commesso, e non nei confronti dell'autore. E' la società moderna a voler a tutti i costi il classico capro espiatorio.
Citazione di: Jacopus il 17 Gennaio 2024, 19:22:49 PMIl perdono ha come precondizione il male. Bisogna distinguere due tipi di male, che spesso si confondono consapevolmente, strumentalizzando, oppure inconsapevolmente. Il male naturale è il primo, un male rispetto al quale non è possibile fare altro che sottomettersi e che si chiama morte con le sue innumerevoli maschere. Il secondo è il male dell'uomo sull'uomo, da Caino in poi. Bisogna quindi perdonare Caino e le sue innumerevoli maschere (come lo stupratore di bambine). Il perdono più che un atto, dovrebbe essere pensato come processo. È vero ci può essere il perdono del "grande buono" come il principe Myskin, ma ciò non esclude che il perdono dovrebbe essere una pratica sociale prima di essere una virtù o un "talento" dei saggi. È la società che dovrebbe insegnare il perdono come processo. E come accenna Aspirante ciò può accadere solo quando non si ragiona più sul colpevole ma sulla situazione e sulla necessità di conciliare la responsabilità individuale (ineliminabile) e la responsabilità collettiva. Solo quando l'una non elide l'altra allora il perdono diviene un frutto che migliora la società in profondità e in modo duraturo, evitando il principio pericoloso e ambivalente del perdono come sacrificio. Il perdono non è una rinuncia ma la costruzione di un nuovo noi, e per far questo bisogna unire la vittima e il carnefice, il primo affinché non si nutra di vendetta e il secondo affinché chieda di essere perdonato e chieda il motivo del suo "essere carnefice".
Perché la morte dovrebbe essere sempre un male? Penso a chi ha una vita di dolore e sofferenza. In quel caso la morte è una liberazione.
La capacità di perdonare dipende dal fatto che la propria visione delle cose sia vicina o lontana dal determinismo.
Se l'azione malvagia non è scelta liberamente, ma ha una sua necessità, allora, e solo allora, può esserci autentico perdono.
Se invece si crede che essa sia stata scelta liberamente, allora non può esserci alcun perdono. Di fatto ciò che chiamiamo perdono è solo trasfigurazione dell'evento criminale, è rimozione, negazione, oblio, è elaborazione psichica necessaria a permetterci di andare avanti.
Il punto è che bisogna capire che non esiste soltanto una visione puramente deterministica da una parte, alla Spinoza, e dall'altra una pura concezione centrata sul libero arbitrio.
Ci sono infinite sfumature. Anche all'interno del cristianesimo. Per esempio la fede nei demoni, fede che accomuna tutti gli autori della Patristica, per quanto ai moderni possa sembrare assurdo, introduce un limite notevole al libero arbitrio e alla responsabilità individuale, facilitando il perdono.
Io penso che se è corretta la visione di ZenZero, ovvero di una coscienza che cresce in consapevolezza, e se si ritiene che questa conquista cognitiva debba riguardare non solo la vittima potenziale ma anche in generale tutti quanti, quindi anche l'artefice del male, al contrario di ciò che si penserebbe in modo ottimistico, ovvero un'espansione della capacità di perdonare, si deve concludere in una sempre maggiore incapacità di dare autentico perdono. Un'umanità che cresce in consapevolezza ha sempre meno alibi.
Così il tema del perdono, sempre soggetto alla retorica della riconciliazione, si trasforma nel più realistico problema di come sopravvivere fisicamente e mentalmente al male subito.
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 13 Gennaio 2024, 09:30:12 AMDunque, perché è così difficile perdonare?
Da quando io perdono perché sono stato perdonato - nocciolo dell'essere cattolico - non lo trovo più così difficile.
Citazione di: Duc in altum! il 18 Gennaio 2024, 14:57:04 PMDa quando io perdono perché sono stato perdonato - nocciolo dell'essere cattolico - non lo trovo più così difficile.
Quindi se nessuno mi perdona, io ho il diritto di non perdonare? Mi pare un po' brutto!
Un detto buddista, che a me piace molto, suona più o meno così: "Perdona non tanto perché l'altro meriti il tuo perdono, quanto perché tu meriti la pace". Forse perdonare il prossimo porta la pace interiore in chi perdona? Secondo me, sì. In altre parole chi non è in pace con sé stesso, non lo è col mondo intero, mentre chi perdona è in pace con tutti, sé stesso compreso.
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 18 Gennaio 2024, 15:20:02 PMQuindi se nessuno mi perdona, io ho il diritto di non perdonare?
Questa è un'altra domanda/tematica.
Tu hai chiesto perché è difficile perdonare.
Io ti spiego - da cattolico, non per gli altri - come per me non lo è ...anzi, perché è più facile.
Citazione di: bobmax il 16 Gennaio 2024, 12:42:15 PMBenvenuto!
Ritengo, che l'autentico perdono possa avvenire solo quando si diventa consapevoli che non vi è nessuno da perdonare.
La ricerca della verità richiede di indagare il male. Vuole comprendere le ragioni del male.
E se non si ferma davanti all'orrore, se rifiuta di accettare la esistenza del male assoluto, allora può iniziare a sospettare che in realtà nessuno sia mai colpevole.
Forse, in ultima analisi, non è colpevole neppure se stesso.
Grazie per il benvenuto. :-).
Sono d'accordo che più ci si allontana dal piano duale della mente dominata dall'ego e più le polarizzazioni di avvicinano, tutto tende all'Uno, quindi bene-male.
Ma se dentro di noi vi è l'esigenza di perdonare, vuol dire che c'è un colpevole, che vi è del male vissuto come tale e generante sofferenza, che tutto ciò sia frutto della mente o meno, in ogni caso c'è da affrontare un processo di Lavoro, Comprensione e Dissoluzione, tali da poter avere una nuova Coscienza delle cose.
Forse potremmo definire male, sfunzionamento della Coscienza ?
Forse noi leghiamo all'idea di colpa, essere colpevoli, al peccato, un giudizio, un costrutto della mente, quale è la differenza tra l'essere responsabili o artefici di qualcosa e l'esserne colpevoli ?
Citazione di: green demetr il 17 Gennaio 2024, 21:34:18 PMNon esiste il male assoluto, esiste al massimo il bene assoluto, ma anche quello non è vero.
Ricordati che nella teologia cattolica, il male è l'assenza di bene.
E infatti nell'introduzione al paradiso, Dante diventa ebreo e dice che laddove il bene esiste, e laddove no.
Ossia le luce verde traversa l'inferno, la gehenna, che sta sopra di noi, non sotto, come erroneamente pensa dante.
infatti la luce nera che penetra nell'abisso, è la luce della gehenna, bisogna leggere giovanni e il talmud per capire.
questo vuol dire che il male è il prodotto di un luogo della mente? della fisica? noi non possiamo saperlo.
Ma è un prodotto, e qualcuno, qualcosa lo produce.
L'adam l'arcangelo di fuoco mandato dai piani superiori alla gehenna, la malkut, il regno: è l'uomo.
L'uomo è divino, ed è abitato dall'anima.
Bizzarro che abbiamo perso tutte queste nozioni dell'antichità.
l'anima è tale, soltanto quando è illuminata dal raggio divino.
Ossia la binah, l'intelligenza.
In una vita precedente pensavo che lo spirito che soffia sulle acque, il bordo superiore della gehenna, fosse lo spirito.
E invece è qualcosa di ancora d'altro.
Ciò che soffia in noi dunque non è il DIO come ho sempre pensato, ma l'intelligenza.
tocca tornare all'intelligenza agente come formulata dal medioevo.
che è vero che parte dall'esistente organico di aristotele ma solo per trovare una forma di rappresentazione.
L'organicità viene sostiuita dal dio, dallo spirito, dall'anima.
il medioevo perde molto delle originarie intuizioni dell'ebraismo antico.
infatti l'adam, il robot gigante, l'arcangelo caduto, è abitato dall'intelligenza.
noi siamo quell'intelligenza.
O meglio quando noi diciamo che noi siamo quella intelligenza, dovremmo meglio dire noi siamo quel soggetto che l'intelligenza che sono, io o anima che vogliamo dire, RIFLETTIAMO.
Il male non è l'adam, anzi...il male, ossia la luce oscura è ciò che buca la gehenna, e soffia come un pneuma sul mondo inferiore.
A mio modo di leggere è la natura stessa.
La natura è il male insomma.
Ora o diciamo che la natura coincida col dio (e qui siamo alle pazie gnostiche del dio malvagio) o cominciamo a ragionare insieme alla sapienza antica.
Ora qui è difficile sintetizzare milioni di anni di pensiero.
ci arriviamo gradualmente, tramite sistematizzazioni imbarazzanti, sempre piu imbarazzanti fino ad arrivare al NON SENSO del mondo contemporaneo.
Nel tentativo di ridurre semplificare abbiamo perso completamente cosa vuol dire MALE e quale sia il suo rapporto con esso.
Il perdono non è semplicemente dedicato al colpevole, ossia a colui che distrugge l'angelo, coloro che rifiutano di diventare umani, ossia adamitici, ossia di riattivare il robot gigante.
Il robot gigante è ciò che si oppone alla natura, è la più grande arma, o una delle armi che vengono dal monte olimpo.
Armi di difesa.
Armi proteiche.
Il mito descrive ciò che è in cuore all'intelligenza.
Il mito discerne ciò che è umano, intelligente, da ciò che non lo è.
E ciò che non lo è, è sempre ciò che ci è contro, ossia la natura.
Nel mito il male organico è dovuto alle anime corrotte che giaciono nell'inferno.
Il male organico è ciò che vuole che l'uomo sia un animale.
E quando l'uomo scoprì che anche l'animale era intelligente, e anche la vegetazione lo era.
Cominciò a fare di peggio, trasformare l'uomo in qualcosa di ancora di meno.
Quando Freud scoprì il trauma di morte, scoprì in esso il demone che lo guidava, ossia la luce oscura, il tentativo di ridurre a morte ciò che è vita.
nell'abisso che contine secondo la tradizione la gehenna, ossia l'inferno, si confonde quello come l'ultino dei gradini, ma non è così, e anzi la gehenna-inferno è ciò che è piu vicino agli DEI che stanno sopra le acque.
Di nuovo genesi.
ma anche la titanomachia.
per non parlare della gemma della luce assoluta, l'orfismo.
dietro la pietà, c'è anche la magnanimità, parola che ci resituisce la grandezza dell'uomo, forgiata dal LEOPARDI, e di cui nella discussione aperta da Doxa, ci siamo addentrati tramite l'arte.
Tante cose caro bobmax, e invece per te e per i buddisti, tutto sarebbe un mero...NIENTE?
No no io lo chiamo nichilismo.
Ciao, a cosa ti riferisci con pazzie gnostiche del Dio malvagio ?
Citazione di: ZenZero il 18 Gennaio 2024, 17:05:09 PMGrazie per il benvenuto. :-).
Sono d'accordo che più ci si allontana dal piano duale della mente dominata dall'ego e più le polarizzazioni di avvicinano, tutto tende all'Uno, quindi bene-male.
Ma se dentro di noi vi è l'esigenza di perdonare, vuol dire che c'è un colpevole, che vi è del male vissuto come tale e generante sofferenza, che tutto ciò sia frutto della mente o meno, in ogni caso c'è da affrontare un processo di Lavoro, Comprensione e Dissoluzione, tali da poter avere una nuova Coscienza delle cose.
Forse potremmo definire male, sfunzionamento della Coscienza ?
Forse noi leghiamo all'idea di colpa, essere colpevoli, al peccato, un giudizio, un costrutto della mente, quale è la differenza tra l'essere responsabili o artefici di qualcosa e l'esserne colpevoli ?
Non so...
Non ho mai provato l'esigenza di perdonare.
Cioè non sento alcun bisogno di perdonare.
Magari sono risentito verso qualcuno, per un torto che penso di aver subito. E così non vorrei più aver a che fare con quel qualcuno.
Addirittura può nascere in me un sentimento di vendetta, di odio.
Ma quando poi pure queste reazioni se ne vanno e non le provo più, non vi è stato un mio perdono.
Più semplicemente, questi sentimenti negativi non hanno più ragion d'essere. Si sono svuotati. Come se già all'origine fossero stati vani, inadeguati alle effettive circostanze.
Questo avviene se prendo consapevolezza, come tu dici.
Però non è che a causa di questa consapevolezza allora perdono. Più semplicemente, è subentrata la compassione.
Una compassione che, quando ti cattura davvero, ti mostra come tutti, ma proprio tutti, siano innocenti.
Vedi, dice la compassione, son tutti innocenti.
E vien quasi da piangere.
E il bello è, che rimane comunque una eccezione alla innocenza, io non sono innocente!
Che verso me stesso debba proprio aver perdono?
Citazione di: Duc in altum! il 18 Gennaio 2024, 15:31:18 PMQuesta è un'altra domanda/tematica.
Tu hai chiesto perché è difficile perdonare.
Io ti spiego - da cattolico, non per gli altri - come per me non lo è ...anzi, perché è più facile.
Hai scritto tu "
da quando io perdono perché sono stato perdonato....", quindi io l'ho interpretata nel senso che:
- sono stato perdonato;
- conseguentemente al punto 1, io perdono, ma senza un perdono nei miei confronti, non posso perdonare.
Forse intendevi altro?
Scendendo dai massimi sistemi alle normali relazioni umane individuerei tre tipologie di fronte ad offese ricevute:
Quelli che meritano il perdono e un periodo di prova a fronte di di esplicita manifestazione di pentimento e proposta di pace. Spesso in questi casi l'astio e il malinteso sono abbastanza condivisi;
Quelli che non lo meritano perchè hanno dimostrato la loro ricorrente inaffidabilità, falsità, doppiezza.
Ad un livello relazionale diverso vi sono quelli per cui il perdono semplicemente non ha senso perchè stanno dall'altra parte della barricata e rientrano nella categoria: mors tua, vita mea. Tanto nel lavoro, in politica, al fronte e nella vita quotidiana vi sono situazioni in cui lo scontro è inevitabile e non c'è nulla da perdonare, ma vincere o perdere.
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 18 Gennaio 2024, 18:04:36 PMHai scritto tu "da quando io perdono perché sono stato perdonato....", quindi io l'ho interpretata nel senso che:
- sono stato perdonato;
- conseguentemente al punto 1, io perdono, ma senza un perdono nei miei confronti, non posso perdonare.
Hai interpretato ovviando il mio "da quando".
Quindi perdonavo anche prima, ma non era facile così come adesso.
Citazione di: ZenZero il 18 Gennaio 2024, 17:08:05 PMCiao, a cosa ti riferisci con pazzie gnostiche del Dio malvagio ?
Mi riferisco alle massonerie contemporanee che soffiano per i venti di guerra.
Infatti sta scritto che gli arconti, i dominatori di questo mondo, ricompenseranno questi eroi, poichè il mondo stesso e noi stessi siamo il male.
E dunque distruggere il mondo è bene, poichè il mondo è un prodotto del male.
Le massonerie contemporanee soffiano tramite il dio denaro affinchè la distruzione sia più vasta possibile. Loro si considerano i buoni, ma invece sono i malvagi.
E' difficile perdonare perchè la frittata è già fatta, hai già giudicato, perdonare vuol dire nascondere le tracce dell'aver giudicato. Meno si giudica meno si ha bisogno di perdonare, dice bene Koba a riguardo del determinismo e del libero arbitrio, perchè un giudizio parte necessariamente dalla capacità dell'altro di agire "liberamente".
Citazione di: Duc in altum! il 18 Gennaio 2024, 19:07:20 PMHai interpretato ovviando il mio "da quando".
Quindi perdonavo anche prima, ma non era facile così come adesso.
Perché prima non era facile come adesso? Che cosa è cambiato?
Citazione di: Koba II il 18 Gennaio 2024, 10:30:25 AMLa capacità di perdonare dipende dal fatto che la propria visione delle cose sia vicina o lontana dal determinismo.
Se l'azione malvagia non è scelta liberamente, ma ha una sua necessità, allora, e solo allora, può esserci autentico perdono.
Se invece si crede che essa sia stata scelta liberamente, allora non può esserci alcun perdono. Di fatto ciò che chiamiamo perdono è solo trasfigurazione dell'evento criminale, è rimozione, negazione, oblio, è elaborazione psichica necessaria a permetterci di andare avanti.
Il punto è che bisogna capire che non esiste soltanto una visione puramente deterministica da una parte, alla Spinoza, e dall'altra una pura concezione centrata sul libero arbitrio.
Ci sono infinite sfumature. Anche all'interno del cristianesimo. Per esempio la fede nei demoni, fede che accomuna tutti gli autori della Patristica, per quanto ai moderni possa sembrare assurdo, introduce un limite notevole al libero arbitrio e alla responsabilità individuale, facilitando il perdono.
Io penso che se è corretta la visione di ZenZero, ovvero di una coscienza che cresce in consapevolezza, e se si ritiene che questa conquista cognitiva debba riguardare non solo la vittima potenziale ma anche in generale tutti quanti, quindi anche l'artefice del male, al contrario di ciò che si penserebbe in modo ottimistico, ovvero un'espansione della capacità di perdonare, si deve concludere in una sempre maggiore incapacità di dare autentico perdono. Un'umanità che cresce in consapevolezza ha sempre meno alibi.
Così il tema del perdono, sempre soggetto alla retorica della riconciliazione, si trasforma nel più realistico problema di come sopravvivere fisicamente e mentalmente al male subito.
Il termine "determinismo" può generare un fraintendimento. Perché lo si contrappone a "indeterminismo". Mentre la questione riguarda la necessità, che può essere deterministica o meno, ma comunque sempre di necessità si tratta.
Un fatto può essere infatti necessario oppure casuale, non vi sono altre possibilità.
La constatazione che ogni fatto avviene necessariamente, rende falsa la colpevolizzazione.
Ma pure l'ipotesi che vi siano davvero pure eventi casuali non permette che vi sia alcun colpevole.
Colpevole chi?
E se di fronte a questa evidenza, mi ostino a considerare comunque qualcuno colpevole... sto mentendo a me stesso.
Questo è in effetti il mio stato attuale.
Tuttavia, se riesco a superare questa mia bugia, anche solo per un breve momento, per ammettere che in definitiva nessuno è colpevole, mi ritrovo non con una risposta, ma con una domanda ancor più dirimente. Che trascende la logica.
Perché se nessuno è colpevole, perché non vi è alcun libero arbitrio individuale, allora in realtà non vi è proprio nessuno.
Epperò c'è il male...
E poi ci sono io, che, chissà come mai, provo adesso compassione. Compassione per tutto il mondo dolente e innocente.
Come mai?
Citazione di: ZenZero il 18 Gennaio 2024, 17:05:09 PMForse noi leghiamo all'idea di colpa, essere colpevoli, al peccato, un giudizio, un costrutto della mente, quale è la differenza tra l'essere responsabili o artefici di qualcosa e l'esserne colpevoli ?
Ciò che
accade, dal punto di vista
fisico, è una causazione (che già è una lettura
categoriale di ciò che accade); la colpa, proprio come il merito, è solo un'
interpretazione valoriale (meta-fisica) di tale causazione.
Se siamo in guerra e
causo la morte di molte persone, alcuni mi daranno una medaglia al
merito, altri mi arresteranno in quanto
colpevole della morte dei loro compagni. Tutto dipende da quale "codice" si usa per interpretare la causazione in oggetto; fermo restando che ci sono molti codici: più o meno venerati, più o meno funzionali a determinati scopi, etc. e ognuno reputa migliore quello che si trova a (o ha scelto di) utilizzare per interpretare il mondo.
La difficoltà, secondo me, non è tanto nel perdonare, quanto nel farsi carico
consapevolmente della fatica (auto)logorante che comporta il non-perdonare; qualora se ne fosse consapevoli, probabilmente si dedicherebbero le proprie energie e il proprio tempo "altrove" (in modo inversamente proporzionale al grado di "aggressività latente").
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 19 Gennaio 2024, 06:24:20 AMPerché prima non era facile come adesso? Che cosa è cambiato?
Prima ero il dio di me stesso, poi ho incontrato la misericordia (il perdono) di Dio.
"Cancella i nostri peccati, come anche noi cancelliamo i peccati degli altri". (cfr. dal Padre Nostro)
Non c'è alternativa (per me), se non ritornare al senza Dio.
siccome il.portar rancore,covar vendetta e odiare fanno male alla salute, è meglio mollarle e lasciar perdere.
Tutto qui.
Citazione di: bobmax il 18 Gennaio 2024, 17:35:47 PMNon so...
Non ho mai provato l'esigenza di perdonare.
Cioè non sento alcun bisogno di perdonare.
Magari sono risentito verso qualcuno, per un torto che penso di aver subito. E così non vorrei più aver a che fare con quel qualcuno.
Addirittura può nascere in me un sentimento di vendetta, di odio.
Ma quando poi pure queste reazioni se ne vanno e non le provo più, non vi è stato un mio perdono.
Più semplicemente, questi sentimenti negativi non hanno più ragion d'essere. Si sono svuotati. Come se già all'origine fossero stati vani, inadeguati alle effettive circostanze.
Questo avviene se prendo consapevolezza, come tu dici.
Però non è che a causa di questa consapevolezza allora perdono. Più semplicemente, è subentrata la compassione.
Una compassione che, quando ti cattura davvero, ti mostra come tutti, ma proprio tutti, siano innocenti.
Vedi, dice la compassione, son tutti innocenti.
E vien quasi da piangere.
E il bello è, che rimane comunque una eccezione alla innocenza, io non sono innocente!
Che verso me stesso debba proprio aver perdono?
In effetti l'etimologia di perdonare, viene dal latino "per-donare", cioè donare senza condizioni, che poi è ciò che accade nella Compassione. Questo la dice lunga su come, nei secoli, l'uomo alteri il significato delle parole. Perdonare ci indica lo stato in assenza di "nodi" e risentimento, uno stato d'Amore in cui si riesce a dare incodizionatamente, nulla a che fare con la ricerca di colpe o colpevoli, piuttosto uno stato d'Essere.
Non credi che l'odio, il risentimento che provi per qualcuno, siano proprio quegli elementi che impediscono il perdono ?
Siamo sicuri che se un attimo dopo non proviamo più dei sentimenti negativi, essi siano realmente scomparsi ? O dentro di noi sia veramente scomparsa la matrice di questi sentimenti ?
Citazione di: Phil il 19 Gennaio 2024, 15:21:37 PMCiò che accade, dal punto di vista fisico, è una causazione (che già è una lettura categoriale di ciò che accade); la colpa, proprio come il merito, è solo un'interpretazione valoriale (meta-fisica) di tale causazione.
Se siamo in guerra e causo la morte di molte persone, alcuni mi daranno una medaglia al merito, altri mi arresteranno in quanto colpevole della morte dei loro compagni. Tutto dipende da quale "codice" si usa per interpretare la causazione in oggetto; fermo restando che ci sono molti codici: più o meno venerati, più o meno funzionali a determinati scopi, etc. e ognuno reputa migliore quello che si trova a (o ha scelto di) utilizzare per interpretare il mondo.
La difficoltà, secondo me, non è tanto nel perdonare, quanto nel farsi carico consapevolmente della fatica (auto)logorante che comporta il non-perdonare; qualora se ne fosse consapevoli, probabilmente si dedicherebbero le proprie energie e il proprio tempo "altrove" (in modo inversamente proporzionale al grado di "aggressività latente").
Credi dunque che ci sia un "punto" oggettivo, in cui l'interpretazione valoriale cessa di essere soggettiva, e quindi di fatti "un'interpretazione", diventando una percezione di ciò che c'è, realmente condivisibile ?
Dal tuo punto di vista, come mai anche lì dove ci si accorge di star perseguendo una strada di auto-logoramento, ( che sia nel caso del perdono o di altro), si continua a perseguirla? Cosa o chi dentro di noi si oppone ad un cambio rotta ? Rendendo appunto difficile, tale processo ?
Citazione di: green demetr il 18 Gennaio 2024, 20:44:11 PMMi riferisco alle massonerie contemporanee che soffiano per i venti di guerra.
Infatti sta scritto che gli arconti, i dominatori di questo mondo, ricompenseranno questi eroi, poichè il mondo stesso e noi stessi siamo il male.
E dunque distruggere il mondo è bene, poichè il mondo è un prodotto del male.
Le massonerie contemporanee soffiano tramite il dio denaro affinchè la distruzione sia più vasta possibile. Loro si considerano i buoni, ma invece sono i malvagi.
La Gnosi, è letteralmente Conoscenza, nel senso evolutivo del termine, ciò che descrivi non è piuttosto l'anti-gnosi? Pur sapendo che anche coloro che perseguono le via del male, "maghi neri", devono assumere delle "conoscenze", non credi che alla base vi sia la più profonda ignoranza dell'Essenza ?
Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:30:09 AMIn effetti l'etimologia di perdonare, viene dal latino "per-donare", cioè donare senza condizioni, che poi è ciò che accade nella Compassione. Questo la dice lunga su come, nei secoli, l'uomo alteri il significato delle parole. Perdonare ci indica lo stato in assenza di "nodi" e risentimento, uno stato d'Amore in cui si riesce a dare incodizionatamente, nulla a che fare con la ricerca di colpe o colpevoli, piuttosto uno stato d'Essere.
Non credi che l'odio, il risentimento che provi per qualcuno, siano proprio quegli elementi che impediscono il perdono ?
Siamo sicuri che se un attimo dopo non proviamo più dei sentimenti negativi, essi siano realmente scomparsi ? O dentro di noi sia veramente scomparsa la matrice di questi sentimenti ?
Condivido buona parte di ciò che scrivi. Però mi rimane un dubbio, per esempio, io posso perdonare chi mi ha fatto del male, ma credo che il mio perdono abbia effetto su quella persona solamente nel caso in cui la persona mi chieda scusa e si dichiari pentita. O sbaglio?
Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:30:09 AMIn effetti l'etimologia di perdonare, viene dal latino "per-donare", cioè donare senza condizioni, che poi è ciò che accade nella Compassione. Questo la dice lunga su come, nei secoli, l'uomo alteri il significato delle parole. Perdonare ci indica lo stato in assenza di "nodi" e risentimento, uno stato d'Amore in cui si riesce a dare incodizionatamente, nulla a che fare con la ricerca di colpe o colpevoli, piuttosto uno stato d'Essere.
Non credi che l'odio, il risentimento che provi per qualcuno, siano proprio quegli elementi che impediscono il perdono ?
Siamo sicuri che se un attimo dopo non proviamo più dei sentimenti negativi, essi siano realmente scomparsi ? O dentro di noi sia veramente scomparsa la matrice di questi sentimenti ?
Ritengo che ciò che sento esprima ciò che sono.
Così come ogni mia scelta rifletta il mio essere.
Perché non è la conoscenza in se stessa a determinare il mio sentire e neppure le mie scelte. Lo è invece il mio essere.
Non scelgo in funzione di ciò che so, ma di ciò che sono.
La consapevolezza può, forse, nel tempo modificare il mio essere.
Ma se davvero cambio... allora vuol dire che quello che ero non era proprio il mio "essere". Era invece un "non essere".
Il riconoscimento del male agisce su di me causando una metamorfosi. Che dal non essere tende all'essere.
Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:42:01 AMCredi dunque che ci sia un "punto" oggettivo, in cui l'interpretazione valoriale cessa di essere soggettiva, e quindi di fatti "un'interpretazione", diventando una percezione di ciò che c'è, realmente condivisibile ?
L'intepretazione valoriale, proprio in quanto «interpretazione» e in quanto «valoriale», per me non può mai cessare di essere soggettiva; anche quando diventa condivisa e sociale, rimane "soggettiva", non oggettiva (nel senso forte ed epistemologico del termine «oggettivo»). Affermare che qualcosa è «eticamente oggettivamente giusto», è un non senso, proprio perché la giustizia non ha a che fare con l'oggettività (quella che studia la scienza per intenderci), ma con l'assegnazione umana (arbitraria, prospettica) di valori. Assegnare ad un'etica l'"oggettività" è perlopiù un modo retorico (solitamente autoreferenziale) per esaltarne la valenza; magari in contrasto con altre etiche. Possiamo sostenere che qualcosa è «oggettivamente sbagliato» basandoci su un codice di leggi (votate e approvate), ma tale codice di leggi è oggettivo? No (salvo cadere nell'ossimoro di "oggettività convenzionale e deliberata"), dunque nemmeno ciò che è in base ad esso ritenuto "sbagliato" lo è. C'è necessità di un codice di leggi per vivere in società? Decisamente sì, ma ciò non comporta confondere la soggettività con l'oggettività.
Al riguardo faccio sempre l'esempio del linguaggio (e del solito oggetto): c'è un
bisogno sociale di chiamare quella determinata cosa con un nome? Sì. Concordiamo che la
nostra comunità la chiama «sedia»? Va bene. Quella cosa si chiama
oggettivamente «sedia»? No, perché il dare nomi è arbitrio (e necessità) umana, "soggettiva"; quell'aggregato di atomi non ha oggettivamente un nome proprio (e già chiamarlo «aggregato di atomi» è un'interpretazione "antropocentrica"; parlare di oggettività nella scienza ha i suoi limiti, farlo in campo valoriale è secondo me nettamente "fuori tema").
Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:42:01 AMDal tuo punto di vista, come mai anche lì dove ci si accorge di star perseguendo una strada di auto-logoramento, ( che sia nel caso del perdono o di altro), si continua a perseguirla? Cosa o chi dentro di noi si oppone ad un cambio rotta ? Rendendo appunto difficile, tale processo ?
Qui credo sia difficile rispondere parlando in generale, perché dipende molto dalla psicologia dell'individuo coinvolto. Ci sono persone per loro natura più rancorose, altre più spensierate; altre che con il tempo si sono educate (o sono state educate) al conflitto, mentre altre più alla conciliazione, etc. La consapevolezza dell'autologoramento non sempre comporta di fatto un cambio di strada, come il fumatore che vorrebbe smettere, ma non ce la fa; o chi commette i soliti errori, si pente sinceramente, ma poi ci ricasca.
Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:48:40 AMLa Gnosi, è letteralmente Conoscenza, nel senso evolutivo del termine, ciò che descrivi non è piuttosto l'anti-gnosi? Pur sapendo che anche coloro che perseguono le via del male, "maghi neri", devono assumere delle "conoscenze", non credi che alla base vi sia la più profonda ignoranza dell'Essenza ?
Ovvio che sono l'antignosi, la gnosi egizia è altra cosa.
Almeno l'antignosi ebraica non si fa chiamare cabalica ma qbalica.
Purtroppo queste genere di cose "nere" attrae molto, sopratutto la greggia.
Citazione di: Phil il 22 Gennaio 2024, 11:38:38 AML'intepretazione valoriale, proprio in quanto «interpretazione» e in quanto «valoriale», per me non può mai cessare di essere soggettiva; anche quando diventa condivisa e sociale, rimane "soggettiva", non oggettiva (nel senso forte ed epistemologico del termine «oggettivo»). Affermare che qualcosa è «eticamente oggettivamente giusto», è un non senso, proprio perché la giustizia non ha a che fare con l'oggettività (quella che studia la scienza per intenderci), ma con l'assegnazione umana (arbitraria, prospettica) di valori. Assegnare ad un'etica l'"oggettività" è perlopiù un modo retorico (solitamente autoreferenziale) per esaltarne la valenza; magari in contrasto con altre etiche. Possiamo sostenere che qualcosa è «oggettivamente sbagliato» basandoci su un codice di leggi (votate e approvate), ma tale codice di leggi è oggettivo? No (salvo cadere nell'ossimoro di "oggettività convenzionale e deliberata"), dunque nemmeno ciò che è in base ad esso ritenuto "sbagliato" lo è. C'è necessità di un codice di leggi per vivere in società? Decisamente sì, ma ciò non comporta confondere la soggettività con l'oggettività.
Al riguardo faccio sempre l'esempio del linguaggio (e del solito oggetto): c'è un bisogno sociale di chiamare quella determinata cosa con un nome? Sì. Concordiamo che la nostra comunità la chiama «sedia»? Va bene. Quella cosa si chiama oggettivamente «sedia»? No, perché il dare nomi è arbitrio (e necessità) umana, "soggettiva"; quell'aggregato di atomi non ha oggettivamente un nome proprio (e già chiamarlo «aggregato di atomi» è un'interpretazione "antropocentrica"; parlare di oggettività nella scienza ha i suoi limiti, farlo in campo valoriale è secondo me nettamente "fuori tema").
Chiaro, certamente sul piano dell'etica e morale, sono pienamente d'accordo. La mia domanda verte piuttosto sulla possibilità di "risalire il pendolo", in quel punto in cui non vi è più oscillazione. Secondo te c'è dentro l'essere umano quel "luogo" o stato di Coscienza, in cui i "valori" esterni dati da costumi, società, famiglia, personalità, ego etc..., che determinano appunto il piano etico e sociale, possano essere trascesi ? Riuscendo a sperimentare un piano differente di Valori ?
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 22 Gennaio 2024, 07:59:31 AMCondivido buona parte di ciò che scrivi. Però mi rimane un dubbio, per esempio, io posso perdonare chi mi ha fatto del male, ma credo che il mio perdono abbia effetto su quella persona solamente nel caso in cui la persona mi chieda scusa e si dichiari pentita. O sbaglio?
Se riusciamo veramente ad essere in uno stato di per-dono, ossia uno stato d'Amore incondizionato, l'emanazione (per così dire) di ciò che siamo, e le azioni o non azioni conseguenti, investono tutto ciò che ci circonda. Il fatto che la persona che stiamo perdonando se e accorga o meno, è un altro discorso, e non me ne preoccuperei più di tanto; a volte si fa del bene a qualcuno che non saprà mai di averlo ricevuto, ma ciò non toglie valore alle tue azioni.
Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2024, 11:03:15 AMRitengo che ciò che sento esprima ciò che sono.
Così come ogni mia scelta rifletta il mio essere.
Spesso mi sono trovato a discutere su questo punto, è molto interessante; ti sei mai chiesto chi o cosa è dentro di te a sentire ? Può il nostro sentire essere frutto di un condizionamento ? E quindi può esistere un modo per distinguere un sentire "puro" dell'Essere da un sentire condizionato dall'esterno ? Quando parlo di sentire condizionato, mi riferisco a quei casi in cui non riconosciamo immediatamente tale condizionamento, di cui magari le cause risiedono nell'inconscio.
.... forse è off topic come domanda... magari potrei aprire una nuova discussione a riguardo.
Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2024, 11:03:15 AMPerché non è la conoscenza in se stessa a determinare il mio sentire e neppure le mie scelte. Lo è invece il mio essere.
Non scelgo in funzione di ciò che so, ma di ciò che sono.
La consapevolezza può, forse, nel tempo modificare il mio essere.
Ma se davvero cambio... allora vuol dire che quello che ero non era proprio il mio "essere". Era invece un "non essere".
Il riconoscimento del male agisce su di me causando una metamorfosi. Che dal non essere tende all'essere.
C'è una differenza tra "informazione" e "Conoscenza", anche se nel linguaggio corrente spesso hanno la stessa accezione. Quello che scrivi mi sembra si riferisca all'essere informati di qualcosa.
Che differenza c'è tra Essere e Coscienza ? La facoltà di dire "Io Sono" viene dall'Essere o dalla Coscienza, o da entrambe ?... ammesso che siano due cose differenti ...
Citazione di: ZenZero il 23 Gennaio 2024, 10:07:13 AMSecondo te c'è dentro l'essere umano quel "luogo" o stato di Coscienza, in cui i "valori" esterni dati da costumi, società, famiglia, personalità, ego etc..., che determinano appunto il piano etico e sociale, possano essere trascesi ? Riuscendo a sperimentare un piano differente di Valori ?
Spero di non risultare troppo "invadente" sul piano personale, ma se hai scelto di presentarti come
ZenZero, ho il sospetto che tu già sappia che non si tratta di "trascendere", ma piuttosto di
scendere dalla giostra mondana dei valori e delle interpretazioni, scendere nella propria con
centrazione (che non ha intrinsecamente bisogno di valori etici,
prima di incontrare il "prossimo"). Per farlo qualcuno ha consigliato "otto scalini" e per chi è sulla giostra risultano in salita, quasi un'ascesa mistica; ma basta farne qualcuno per capire che in realtà sono in discesa: fuori verso la terra, dentro verso la nostra interiorità.
Citazione di: ZenZero il 23 Gennaio 2024, 10:35:50 AMSpesso mi sono trovato a discutere su questo punto, è molto interessante; ti sei mai chiesto chi o cosa è dentro di te a sentire ? Può il nostro sentire essere frutto di un condizionamento ? E quindi può esistere un modo per distinguere un sentire "puro" dell'Essere da un sentire condizionato dall'esterno ? Quando parlo di sentire condizionato, mi riferisco a quei casi in cui non riconosciamo immediatamente tale condizionamento, di cui magari le cause risiedono nell'inconscio.
.... forse è off topic come domanda... magari potrei aprire una nuova discussione a riguardo.
.......
C'è una differenza tra "informazione" e "Conoscenza", anche se nel linguaggio corrente spesso hanno la stessa accezione. Quello che scrivi mi sembra si riferisca all'essere informati di qualcosa.
Che differenza c'è tra Essere e Coscienza ? La facoltà di dire "Io Sono" viene dall'Essere o dalla Coscienza, o da entrambe ?... ammesso che siano due cose differenti ...
Ritengo che in ultima analisi non vi sia nessuno che sente.
Vi è il sentire.
Così come in realtà non vi è nessuno che pensa, ma vi è il pensiero.
Il pensare, il sentire, mi fanno comparire. Io ci sono, in quanto loro effetto.
Perché sia il pensare, sia il sentire, così come ogni cosa del mondo, hanno un'unica origine.
La quale mi genera come epifenomeno.
E questo è l'esserci, cioè l'esistenza.
Da non confondersi con l'Essere.
Che è l'Origine.
Che non ritengo possa essere inteso come Coscienza.
Perché la coscienza è sempre coscienza di qualcosa.
Reale, immaginato, sempre qualcosa è necessario affinché vi sia coscienza.
Anche la coscienza di me stesso, l'autocoscienza, necessita del qualcosa chiamato "io".
Mentre l'Essere non abbisogna di niente, neppure di se stesso.
Per la esistenza, l'Essere coincide con il Nulla.
Perché l'Essere non esiste, l'Essere è.
Ma è proprio il Nulla/Essere l'origine di ogni possibilità.
È il Bene.
Citazione di: Phil il 23 Gennaio 2024, 12:50:53 PMSpero di non risultare troppo "invadente" sul piano personale, ma se hai scelto di presentarti come ZenZero, ho il sospetto che tu già sappia che non si tratta di "trascendere", ma piuttosto di scendere dalla giostra mondana dei valori e delle interpretazioni, scendere nella propria concentrazione (che non ha intrinsecamente bisogno di valori etici, prima di incontrare il "prossimo"). Per farlo qualcuno ha consigliato "otto scalini" e per chi è sulla giostra risultano in salita, quasi un'ascesa mistica; ma basta farne qualcuno per capire che in realtà sono in discesa: fuori verso la terra, dentro verso la nostra interiorità.
Figurati nessuna invadenza, il mio nome tende ad esaltare le proprietà organolettiche e nutrizionali di un'adorabile radice.. ;)
Cosa è dal tuo punto di vista che impedisce la
discesa, e soprattutto per chi
decide di voler scendere dalla giostra a frenare, a ostacolare e in certi casi ad arrestare la scelta e di conseguenza la discesa ? E (giusto per rimanere nel topic), a rendere difficile alcune azioni/stati d'essere come il perdono ?
Citazione di: bobmax il 23 Gennaio 2024, 18:20:58 PMRitengo che in ultima analisi non vi sia nessuno che sente.
Vi è il sentire.
Così come in realtà non vi è nessuno che pensa, ma vi è il pensiero.
Il pensare, il sentire, mi fanno comparire. Io ci sono, in quanto loro effetto.
Perché sia il pensare, sia il sentire, così come ogni cosa del mondo, hanno un'unica origine.
La quale mi genera come epifenomeno.
E questo è l'esserci, cioè l'esistenza.
Da non confondersi con l'Essere.
Che è l'Origine.
Che non ritengo possa essere inteso come Coscienza.
Perché la coscienza è sempre coscienza di qualcosa.
Reale, immaginato, sempre qualcosa è necessario affinché vi sia coscienza.
Anche la coscienza di me stesso, l'autocoscienza, necessita del qualcosa chiamato "io".
Mentre l'Essere non abbisogna di niente, neppure di se stesso.
Per la esistenza, l'Essere coincide con il Nulla.
Perché l'Essere non esiste, l'Essere è.
Ma è proprio il Nulla/Essere l'origine di ogni possibilità.
È il Bene.
Anche questo è interessante, anche se credo proprio debba aprire una nuova discussione a riguardo.
Mi soffermerei un attimo su ciò che dici a proposito dell'essere/esistere. Tu dici c'è il sentire, il pensare, che determinano ciò che siamo ( o non siamo, a questo punto) ; da cosa sono determinati questo pensare e sentire ?
Citazione di: ZenZero il 24 Gennaio 2024, 07:36:45 AMCosa è dal tuo punto di vista che impedisce la discesa, e soprattutto per chi decide di voler scendere dalla giostra a frenare, a ostacolare e in certi casi ad arrestare la scelta e di conseguenza la discesa ? E (giusto per rimanere nel topic), a rendere difficile alcune azioni/stati d'essere come il perdono ?
La giostra gira veloce, non dà tempo (ma lo prende), è piena di suoni e colori e, soprattutto, di gente... la scala con gli otto scalini può essere percorsa solo da una persona alla volta, ossia solo da soli, individualmente.
Nulla vieta, una volta scesi, di risalire sulla giostra, ma con la differente
consapevolezza di cosa c'è "sotto".
La difficoltà del perdono, come accennavo, secondo me dipende molto da come siamo, per natura, educazione, esperienze, etc. per alcuni non è affatto difficile, per altri è quasi una violenza al loro modo di essere.
Citazione di: Phil il 24 Gennaio 2024, 12:30:12 PMLa difficoltà del perdono, come accennavo, secondo me dipende molto da come siamo, per natura, educazione, esperienze, etc. per alcuni non è affatto difficile, per altri è quasi una violenza al loro modo di essere.
Questo non giustifica, anzi ...giacché se così fosse, perdonare non sarebbe più una scelta.
Non siamo tutti uguali, né per biologia individuale, né per educazione ricevuta, né per esperienze vissute, etc. e credo questa non sia una mera opinione. Ne consegue che non abbiamo tutti la stessa "distanza" da percorrere per raggiungere la capacità di saper perdonare.
Per me non si tratta quindi di "giustificare" o meno chi non perdona, ma constatare che alcuni hanno più (o meno) tendenza a farlo per motivi (differenze elencate sopra) che non sono di loro scelta.
Il "valore" da dare a scelte che si basano su ciò che non si è scelto, meriterebbe un altro capitolo (che onestamente non trovo molto interessante, come tutti i giudizi di valore sull'operato altrui).
Citazione di: ZenZero il 24 Gennaio 2024, 07:41:15 AMAnche questo è interessante, anche se credo proprio debba aprire una nuova discussione a riguardo.
Mi soffermerei un attimo su ciò che dici a proposito dell'essere/esistere. Tu dici c'è il sentire, il pensare, che determinano ciò che siamo ( o non siamo, a questo punto) ; da cosa sono determinati questo pensare e sentire ?
Per provare a risponderti, devo andare alle motivazioni del mio dire.
Come sono giunto alla constatazione di essere il semplice effetto del pensare e sentire?
Un ruolo lo ha senz'altro avuto una evidenza che, quando si impone, sovrasta ogni altra percezione o pensiero. Mi accompagna da sempre.
Seppur di norma latente, ma pronta a riemergere alla consapevolezza in qualsiasi momento.
È l'orrore del Nulla.
Che non ha niente a che fare con lo spirito di sopravvivenza.
Non è orrore della morte, ma della effettiva nullità della esistenza.
È sufficiente non lasciarsi distrarre dal flusso continuo della vita, anche per solo un attimo... e tutto d'improvviso scolora, là dietro traspare il Nulla.
È come se dentro di me già conoscessi la Verità...
E questa Verità non fosse altro che il Nulla.
Questa è, diciamo così la cifra costante.
Sempre esorcizzata, ma mai debellata.
Mi sono spesso chiesto il perché di questo mio sentire...
Finché, anni fa, ho incominciato a ritrovarmi all'inferno.
L'inferno non è nell'aldilà, ma è qui, nel presente, vi posso accedere in ogni momento. È un luogo dell'anima.
Nessun altro mi condanna all'inferno. Se non me stesso, perché così è giusto.
Ed essendo giusto, non ho speranza di uscirne.
Anche se magari vivo ancora la maggior parte del mio tempo come se ne fossi fuori. Ma basta rammentare una mia colpa e subito mi ci ritrovo!
Tuttavia l'inferno non è il Nulla.
Anzi, fa in modo che l'Essere trionfi. Infatti, come osserva Margherita Porete, solo all'inferno (o in paradiso) Dio è certo.
Ma perché merito l'inferno?
Per il male. Il male che è in me, il male che io stesso sono.
Ma cosa è questo male?
Beh, in definitiva ho scoperto che il male altro non è che amore negato.
E così forse ho finalmente un'idea di cosa sia questo Nulla che mi perseguita.
È l'Essere senza amore.
È la possibilità che l'Amore non sia.
Cioè che Dio non sia.
Solo il mio Amore può far sì che Dio sia.
Ma devo rinunciare a tutto.
Persino ad ogni mio pensiero ad ogni altro mio sentire.
Rinunciare a me stesso.
Constatando di essere proprio io quel Nulla.
Citazione di: bobmax il 24 Gennaio 2024, 18:34:53 PMMargherita Porete,
Margherita Porete ? L' indomabile quanto impavida religiosa che rifiuto' di ritrarre la sua opera ?
Ma cosa fece mai.. di così terrificante da essere "sacrificata" per conto e in nome del divin-salvatore ??
Infatti _ alla faccia del perdono di questa compassionevole (ed Umana !?!) santa istituzione romana.. fu "arrostita VIVA" nel giugno del 1310 ?
Quanta retorica..... in bocca di questo "venerabile" clero della croce !
------------------------------------------------------
il cristianesimo ha un'idea dell'amore che è bene discutere.
I bambini hanno bisogno di essere amati incondizionatamente ,gli adulti no.
Un adulto sano non ha bisogno di padri e di madri, non si porta appresso la sua famiglia del passato( più o meno... sacra) e non recita.
Questo soprattutto nel sesso e nell'amore.
Un adulto sano ignora,rispetta e ama in base alla sua esperienza e non a dettami altrui.
Questo vale anche per il perdono.
La frase più buona che io posso dire è:
"perdono per dono"
Il perdono è un dono che io faccio a mè stesso scaricando odio,rancore,pensieri e fantasie negative.
Nel contempo è un dono che faccio all'altra persona liberandola indirettamente, che lo sappia o meno, che l'accetti o meno.
Infatti, il perdono è un atto volontario e consapevole che non obbliga l'altro ad accettarlo ma permette a noi stessi di liberarci da un peso opprimente.
Tutto qui.
Citazione di: Phil il 24 Gennaio 2024, 12:30:12 PMLa giostra gira veloce, non dà tempo (ma lo prende), è piena di suoni e colori e, soprattutto, di gente... la scala con gli otto scalini può essere percorsa solo da una persona alla volta, ossia solo da soli, individualmente.
Nulla vieta, una volta scesi, di risalire sulla giostra, ma con la differente consapevolezza di cosa c'è "sotto".
La difficoltà del perdono, come accennavo, secondo me dipende molto da come siamo, per natura, educazione, esperienze, etc. per alcuni non è affatto difficile, per altri è quasi una violenza al loro modo di essere.
Certo sono d'accordo, è evidente che la giostra del mondo ha un potere magnetico attrattivo, il paese dei balocchi...si è man mano strutturata, ed ogni giorno continua a farlo, per esserlo sempre di più.
Tale attrazione ha un potere su di noi nella misura in cui dentro di noi vi sono "degli atomi" che vibrano in risonanza con le frequenze della giostra.Quegli atomi, si aggregano in base alle nostre forme pensiero/emotive/istintive/sessuali. Finchè tali aggregazioni "vivono" dentro di noi è impossibile lo stato profondo del per-dono ( ossia lo stato di Amore incondizionato), anche lì dove più o meno superficialmente sembra il contrario.
A Nicodemo fu detto chiaramente, che per poter rinascere è necessario morire, giusto per fare un esempio mainstream, ... A mio avviso l'educazione, le esperienze, le influenze esterne sono come dei contenitori all'interno dei quali gli atomi "meccanici"si strutturano, ma questi ultimi hanno origini molto più profonde e antiche.
Molte le scuole che insegnano a "gestire" , "controllare"... almeno apparentemente... queste eggregati psichici interiori, ma la morte ? Siamo in grado di far morire definitivamente ciò che ci rende schiavi ?
Citazione di: bobmax il 24 Gennaio 2024, 18:34:53 PMPer provare a risponderti, devo andare alle motivazioni del mio dire.
Come sono giunto alla constatazione di essere il semplice effetto del pensare e sentire?
Un ruolo lo ha senz'altro avuto una evidenza che, quando si impone, sovrasta ogni altra percezione o pensiero. Mi accompagna da sempre.
Seppur di norma latente, ma pronta a riemergere alla consapevolezza in qualsiasi momento.
È l'orrore del Nulla.
Che non ha niente a che fare con lo spirito di sopravvivenza.
Non è orrore della morte, ma della effettiva nullità della esistenza.
È sufficiente non lasciarsi distrarre dal flusso continuo della vita, anche per solo un attimo... e tutto d'improvviso scolora, là dietro traspare il Nulla.
È come se dentro di me già conoscessi la Verità...
E questa Verità non fosse altro che il Nulla.
Questa è, diciamo così la cifra costante.
Sempre esorcizzata, ma mai debellata.
Mi sono spesso chiesto il perché di questo mio sentire...
Finché, anni fa, ho incominciato a ritrovarmi all'inferno.
L'inferno non è nell'aldilà, ma è qui, nel presente, vi posso accedere in ogni momento. È un luogo dell'anima.
Nessun altro mi condanna all'inferno. Se non me stesso, perché così è giusto.
Ed essendo giusto, non ho speranza di uscirne.
Anche se magari vivo ancora la maggior parte del mio tempo come se ne fossi fuori. Ma basta rammentare una mia colpa e subito mi ci ritrovo!
Tuttavia l'inferno non è il Nulla.
Anzi, fa in modo che l'Essere trionfi. Infatti, come osserva Margherita Porete, solo all'inferno (o in paradiso) Dio è certo.
Ma perché merito l'inferno?
Per il male. Il male che è in me, il male che io stesso sono.
Ma cosa è questo male?
Beh, in definitiva ho scoperto che il male altro non è che amore negato.
E così forse ho finalmente un'idea di cosa sia questo Nulla che mi perseguita.
È l'Essere senza amore.
È la possibilità che l'Amore non sia.
Cioè che Dio non sia.
Solo il mio Amore può far sì che Dio sia.
Ma devo rinunciare a tutto.
Persino ad ogni mio pensiero ad ogni altro mio sentire.
Rinunciare a me stesso.
Constatando di essere proprio io quel Nulla.
Di base comprendo il tuo discorso, sono assolutamente d'accordo che siamo "noi stessi" a generare il nostro inferno. Ma quando dici che è giusto questo inferno e che non hai speranza di uscirne, perchè ?
In un punto dici che questo nulla è l'Essere senza Amore, poi concludi che sei proprio tu quel Nulla, quindi asserisci che la nostra Essenza è Nulla senza amore ?
Sono d'accordissimo che per poter Essere Amore dobbiamo rinunciare a noi stessi, anzi a "molti" noi stessi che crediamo di essere. E' vero dobbiamo rinunciare al sentire e pensare di quel "me stesso" in cui siamo identificati, che, ripeto, crediamo di essere.... ma che in realtà non siamo !
E' questa molteplicità di "io" che genera inferni, finchè i vari "io" vivono dentro di noi, concordo che sia impossibile uscire dagli inferni che essi stessi generano, sono essi a generare l'illusione di un nulla senza amore.
Ma se troviamo il modo, la Via, non solo di rinunciarvi, ma di ucciderli definitivamente, Noi, il nostro Reale Essere non è destinato all'inferno. In assenza del "me stesso" il Nulla diventa Tutto.
E da una molteplicità si può sperimentare l'Uno, ma solo attraverso la "morte seconda".
Il punto è conoscere il come attuare questo processo, ed essere Veramente disposti ad intraprenderlo. Perchè "noi"siamo tremendamente attaccati all'illusione, così attaccati che rinunciarvi ci dà la sensazione di un salto nel vuoto.
Una volta un Maestro disse che l'essere umano è attaccato alle gioie, alle sensazioni, ai desideri, che il mondo illusorio gli propone... ma più di tutto, è attaccato alla propria sofferenza, la sofferenza è ciò da cui noi facciamo più fatica a distaccarci.
il roblema si pone quando un essere umano diventa adulto e si rende conto che':
a)i suoi genitori sono delle persone del tutto normali niente affatto ideali.
b) che anche lui lo è
c)che la problematica vissuta in famiglia come in tutte le famglie, non era speciale, ideale o peggiore delle altre
Se un adulto si rende conto di questo può perdonarsi e perdonare per non averlo capito prima e quindi di averci "litigato" per anni colpevolizzando sè stesso e gli altri.
Tutto qui per quanto riguarda la famiglia.
Nella vita si ha che fare con persone varie ma non familiari,quindi il discorso diventa ancora più facile sempre che si sia risolta l'infanzia, l'adolescenza e la famiglia originaria.
Citazione di: ZenZero il 29 Gennaio 2024, 06:43:22 AMDi base comprendo il tuo discorso, sono assolutamente d'accordo che siamo "noi stessi" a generare il nostro inferno. Ma quando dici che è giusto questo inferno e che non hai speranza di uscirne, perchè ?
In un punto dici che questo nulla è l'Essere senza Amore, poi concludi che sei proprio tu quel Nulla, quindi asserisci che la nostra Essenza è Nulla senza amore ?
Sono d'accordissimo che per poter Essere Amore dobbiamo rinunciare a noi stessi, anzi a "molti" noi stessi che crediamo di essere. E' vero dobbiamo rinunciare al sentire e pensare di quel "me stesso" in cui siamo identificati, che, ripeto, crediamo di essere.... ma che in realtà non siamo !
E' questa molteplicità di "io" che genera inferni, finchè i vari "io" vivono dentro di noi, concordo che sia impossibile uscire dagli inferni che essi stessi generano, sono essi a generare l'illusione di un nulla senza amore.
Ma se troviamo il modo, la Via, non solo di rinunciarvi, ma di ucciderli definitivamente, Noi, il nostro Reale Essere non è destinato all'inferno. In assenza del "me stesso" il Nulla diventa Tutto.
E da una molteplicità si può sperimentare l'Uno, ma solo attraverso la "morte seconda".
Il punto è conoscere il come attuare questo processo, ed essere Veramente disposti ad intraprenderlo. Perchè "noi"siamo tremendamente attaccati all'illusione, così attaccati che rinunciarvi ci dà la sensazione di un salto nel vuoto.
Una volta un Maestro disse che l'essere umano è attaccato alle gioie, alle sensazioni, ai desideri, che il mondo illusorio gli propone... ma più di tutto, è attaccato alla propria sofferenza, la sofferenza è ciò da cui noi facciamo più fatica a distaccarci.
Per cercare di evitare il più possibile fraintendimenti, vorrei a questo punto chiarire un aspetto, che ritengo sia difficile tener sempre presente, ma che è fondamentale: noi qui cerchiamo di dire ciò che in realtà è inesprimibile, ma dobbiamo comunque provarci.
È la nostra stessa fede nella Verità a pretendere da noi questo slancio nel vuoto.
Perché è indispensabile utilizzare il linguaggio. Ma le parole non possono che riferirsi alla esistenza. Cioè a un che di necessariamente oggettivo, che c'è, è "esserci", è qualcosa.
Mentre ciò di cui vorremmo invece parlare "qualcosa" non lo è. Non c'è perché è.
Perciò si può cercare di forzare il significato di queste benedette indispensabili parole, fino a fare percepire il limite dell'esistente a cui si riferiscono. Ma senza però mai riuscire ad andare davvero oltre...
L'Essere, che sta oltre l'esistenza, non è esprimibile, in quanto non esistente. È Nulla.
Ogni affermazione compiuta è necessariamente logica, se vuol avere un senso, e il senso è relativo alla esistenza (a che altro mai potrebbe riferirsi se non a "qualcosa"?).
Quindi termini come "nessuna speranza", "per sempre", "nulla" e persino "essere", si riferiscono alla esistenza.
Ma non per questo sono allora illusori, tutt'altro!
La esistenza è reale, è solida, concreta, è tutto quello che c'è.
Non è maliziosa l'esistenza, se lo fosse... allora sì che saremmo perduti definitivamente.
Perciò quei termini sono pregni di significato, sono pesanti, sono "veri". Assolutamente veri, esistenzialmente...
Come per esempio la morte della persona amata. Che sconvolge perché l'amato è perduto per "sempre".
Davvero!
La morte è vera!
L'esistenza è vera!
Ed è proprio questa verità, accettata nella sua assolutezza esistenziale, a condurmi al limite, dove traspare il Nulla... E lì devo resistere, in attesa.
Perché non posso fare altro che attendere, lì, sul bordo dell'abisso.
Fatta questa premessa, vorrei confermare che l'inferno è proprio il luogo senza speranza.
Questa evidenza è una conseguenza della ricerca della Verità. E del fatto che io sono "esistenza".
La ricerca della Verità implica l'inferno. Qui nella esistenza.
Questo è un dato di fatto.
Per la semplice ragione che il male in me, il male che io stesso sono, è vero!
Ed essendo vero male, riconoscendolo io come male indubitabilmente... Merito l'inferno.
Che è per sempre.
E già qui, si può scorgere una frattura nella esistenza...
Il naufragio definitivo mi porta al limite. La dannazione eterna è in realtà una mazzata alla stessa esistenza. Senza però che vi sia altro, oltre alla stessa esistenza.
Ma vi è di più...
Perché sì, ho letto in più autori che questa sofferenza è il destino di chi cerca Dio, cioè la Verità.
Ma qui non vale nessun mal comune mezzo gaudio. Perché gli altri... in fin dei conti, son tutti innocenti!
Siamo di nuovo sul confine.
Che diamine sto dicendo!
Perché gli altri no e io sì?
L'inferno è solo per me?
Sembrerebbe proprio una assurdità.
Come mai l'altro, anche il più malvagio, in fin dei conti non è davvero colpevole, e non merita perciò di andare all'inferno, mentre io sì?
Il motivo è che l'altro un po' lo intravedo, ne percepisco i condizionamenti, i vincoli, insomma la sua totale non libertà.
Mentre io avrei invece potuto fare diversamente, ma non l'ho fatto!
E poiché il male, una volta commesso, è per sempre.
È del tutto inutile che vada cercando una scappatoia, un mezzo per salvarmi.
Ma qui siamo giunti di nuovo al limite.
Perché se l'altro, qualunque altro, è innocente, allora tutto quello che mi circonda è innocente.
Ma se è del tutto innocente... allora non può che essere una diretta manifestazione di Dio.
L'altro è, nella sua essenza, Dio.
Perciò in questo mondo, in questa esistenza, vi sono solo io e... Dio.
E io esisto in quanto figlio unigenito gettato nel mondo. Dove ho smarrito la strada.
Sono il figliol prodigo, che ha lasciato il Padre, lo ha rinnegato. E non merita perciò alcun perdono.
Possiamo fare però un altro passo, sempre sul limite.
Perché se riconosco la realtà dell'altro, che è in essenza Dio, ma pure comunque esistenza, allora anche l'altro è figlio unigenito.
E qui siamo in pieno paradosso!
Perché tu sei figlio unigenito, gettato nel mondo. E il mondo è Dio.
Ci sei solo tu e Dio.
Così come ci sono solo io e Dio.
"Amor che move il sole e l'altre stelle"
(rispondo ad Aspirante Filosofo ma anche agli altri interventi)
Non so.. il termine "perdonare" mi sta stretto.. (termine al quale francamente fuori contesto non ho mai saputo associare alcun significato..)
Forse la centralità di quell'atto (perdono) è la comprensione..
Comprendere cosa è accaduto, comprendere chi siamo noi e chi è l'altro..
Comprendere che ogni azione è risultato di un percorso..
Se comprendo questo, mi possono anche girare le balle ma non posso far altro che accettare l'ovvietà del reale.. Che non significa condividerla ma prenderne atto.. e agire di conseguenza..
La rabbia, l'odio sono sentimenti di un'accettazione non avvenuta..
La rabbia (tanto più l'odio) è energia pura che ci sollecita alla reazione, al porci contro, al riconoscimento di ciò che - secondo il nostro percorso e il nostro modo di ragionare - è differente da noi. Senza questo riconoscimento sostanziale, quella realtà non riconosciuta diventa nociva alla nostra identità. La rabbia è il conflitto interiore risultante dal non riconoscimento. Se riconosciamo siamo pronti a combattere laddove pensiamo sia utile porre un'alternativa.
Bisognerebbe mettersi d'accordo su cosa intendiamo con "perdonare".. secondo me è un termine vago..o un modo sbrigativo per dire "sì, va bene, passiamo oltre"..
Ma tutto questo con le guerre non c'entra a mio avviso nulla!
La stragrande maggioranza delle guerre non partono dalla rabbia ma da una elementare seppure ben manipolata sete di potere.. Si uniscono in questo modo tutti i non riconoscimenti individuali in una direzione collettiva verso un male esterno ben manipolato ma diretto semplicemente da un piano razionale di acquisizione di potere.. che a mio avviso è sempre potere economico..
Direi, tornando al tema principale del "perdono" che il difficile, se così vogliamo dire, è comprendere.
La comprensione di chi siamo..
Citazione di: bobmax il 30 Gennaio 2024, 07:18:45 AMPer cercare di evitare il più possibile fraintendimenti, vorrei a questo punto chiarire un aspetto, che ritengo sia difficile tener sempre presente, ma che è fondamentale: noi qui cerchiamo di dire ciò che in realtà è inesprimibile, ma dobbiamo comunque provarci.
È la nostra stessa fede nella Verità a pretendere da noi questo slancio nel vuoto.
Perché è indispensabile utilizzare il linguaggio. Ma le parole non possono che riferirsi alla esistenza. Cioè a un che di necessariamente oggettivo, che c'è, è "esserci", è qualcosa.
Mentre ciò di cui vorremmo invece parlare "qualcosa" non lo è. Non c'è perché è.
Perciò si può cercare di forzare il significato di queste benedette indispensabili parole, fino a fare percepire il limite dell'esistente a cui si riferiscono. Ma senza però mai riuscire ad andare davvero oltre...
L'Essere, che sta oltre l'esistenza, non è esprimibile, in quanto non esistente. È Nulla.
Ogni affermazione compiuta è necessariamente logica, se vuol avere un senso, e il senso è relativo alla esistenza (a che altro mai potrebbe riferirsi se non a "qualcosa"?).
Quindi termini come "nessuna speranza", "per sempre", "nulla" e persino "essere", si riferiscono alla esistenza.
Ma non per questo sono allora illusori, tutt'altro!
La esistenza è reale, è solida, concreta, è tutto quello che c'è.
Non è maliziosa l'esistenza, se lo fosse... allora sì che saremmo perduti definitivamente.
Perciò quei termini sono pregni di significato, sono pesanti, sono "veri". Assolutamente veri, esistenzialmente...
Come per esempio la morte della persona amata. Che sconvolge perché l'amato è perduto per "sempre".
Davvero!
La morte è vera!
L'esistenza è vera!
Ed è proprio questa verità, accettata nella sua assolutezza esistenziale, a condurmi al limite, dove traspare il Nulla... E lì devo resistere, in attesa.
Perché non posso fare altro che attendere, lì, sul bordo dell'abisso.
Fatta questa premessa, vorrei confermare che l'inferno è proprio il luogo senza speranza.
Questa evidenza è una conseguenza della ricerca della Verità. E del fatto che io sono "esistenza".
La ricerca della Verità implica l'inferno. Qui nella esistenza.
Questo è un dato di fatto.
Per la semplice ragione che il male in me, il male che io stesso sono, è vero!
Ed essendo vero male, riconoscendolo io come male indubitabilmente... Merito l'inferno.
Che è per sempre.
E già qui, si può scorgere una frattura nella esistenza...
Il naufragio definitivo mi porta al limite. La dannazione eterna è in realtà una mazzata alla stessa esistenza. Senza però che vi sia altro, oltre alla stessa esistenza.
Ma vi è di più...
Perché sì, ho letto in più autori che questa sofferenza è il destino di chi cerca Dio, cioè la Verità.
Ma qui non vale nessun mal comune mezzo gaudio. Perché gli altri... in fin dei conti, son tutti innocenti!
Siamo di nuovo sul confine.
Che diamine sto dicendo!
Perché gli altri no e io sì?
L'inferno è solo per me?
Sembrerebbe proprio una assurdità.
Come mai l'altro, anche il più malvagio, in fin dei conti non è davvero colpevole, e non merita perciò di andare all'inferno, mentre io sì?
Il motivo è che l'altro un po' lo intravedo, ne percepisco i condizionamenti, i vincoli, insomma la sua totale non libertà.
Mentre io avrei invece potuto fare diversamente, ma non l'ho fatto!
E poiché il male, una volta commesso, è per sempre.
È del tutto inutile che vada cercando una scappatoia, un mezzo per salvarmi.
Ma qui siamo giunti di nuovo al limite.
Perché se l'altro, qualunque altro, è innocente, allora tutto quello che mi circonda è innocente.
Ma se è del tutto innocente... allora non può che essere una diretta manifestazione di Dio.
L'altro è, nella sua essenza, Dio.
Perciò in questo mondo, in questa esistenza, vi sono solo io e... Dio.
E io esisto in quanto figlio unigenito gettato nel mondo. Dove ho smarrito la strada.
Sono il figliol prodigo, che ha lasciato il Padre, lo ha rinnegato. E non merita perciò alcun perdono.
Possiamo fare però un altro passo, sempre sul limite.
Perché se riconosco la realtà dell'altro, che è in essenza Dio, ma pure comunque esistenza, allora anche l'altro è figlio unigenito.
E qui siamo in pieno paradosso!
Perché tu sei figlio unigenito, gettato nel mondo. E il mondo è Dio.
Ci sei solo tu e Dio.
Così come ci sono solo io e Dio.
"Amor che move il sole e l'altre stelle"
Non estrapolo nulla poichè il tuo messaggio, credo, va colto nella sua interezza.
Rispondo esclusivamente tuttavia a due concetti che mi hanno suscitato non solo pensieri ma, anche, sentimenti.
Il primo è che anche io, non saprei dirti come e perchè, ho pensato diverse volte all'opzione che, in questo mondo, addirittura in questo Universo, esistiamo solo Dio e io. Qualcosa, non so esattamente cosa, mi fa sospettare che sia così. Però questa ipotesi si scontra con il paradosso che giustamente rilevi tu: e gli altri? Se sono dunque solo io quello vero allora tu chi e cosa sei? La faccenda assume dimensioni rilevanti se, per esempio, dobbiamo decidere chi è quello fasullo tra te e me :D 8)
Come puoi immaginare mi sono fermato davanti a questo paradosso rimandando la sua soluzione a tempi più appropriati. Dopo morto? ;D Chissà......
La seconda cosa che mi ha colpito è quello che hai espresso sull'inferno. Non credo assolutamente che tu lo meriti più di chicchessia (perchè anche se sei solo in questa dimensione esisteranno altri esseri da qualche parte. Non ti pare?) e comunque non lo ritengo eterno. O meglio lo ritengo eterno ma non eterna la permanenza di qualunque anima in esso. Sarebbe contrario al buon senso. Se Dio esiste ed è buono è impossibile che la permanenza all'inferno sia eterna. Certo è necessario credere che Dio sia buono. E considerando che un pò buoni lo siamo addirittura noialtri, bè mi sembra improbabile che Dio non lo sia. Almeno un pò caspita! ;) :D
In conclusione comunque mi premeva condividere un concetto credo molto importante, forse decisivo, sull'esistenza umana. Comunque stiano le cose, qualunque sia la Verità della vita e della morte, qualsivoglia sia lo scenario; se uno si comporta con amore e vivendo con impegno e interesse tutti fatti della vita non sbaglia. Almeno così credo e penso.
Un grandissimo abbraccio!
Citazione di: Freedom il 31 Gennaio 2024, 12:16:23 PMIn conclusione comunque mi premeva condividere un concetto credo molto importante, forse decisivo, sull'esistenza umana. Comunque stiano le cose, qualunque sia la Verità della vita e della morte, qualsivoglia sia lo scenario; se uno si comporta con amore e vivendo con impegno e interesse tutti fatti della vita non sbaglia. Almeno così credo e penso.
Qui hai detto tutto Freedom.
In effetti è così semplice...
E, almeno per me, tanto difficile.
Forse proprio per questa estrema semplicità.
Ti auguro ogni bene
(una parentesi)
Ciao, bobmax..
Non voglio rompere i marroni.. e avevo intenzione di starmene fuori..
forse però.. può essere utile (non solo a te).. quindi procedo..
(pur avendo poche parole (tue) di riferimento a dedurne una visione e un percorso)..
Il punto che evidenzi è uno scoglio non indifferente.. di ogni ricercatore..
tanto più se analitico.. :
Sei proprio sicuro che la tua affermazione (il tuo excursus) non sia dettata invece ancora da una visione condizionata dal modello filosofico di non contraddizione?
Un ulteriore punto che penso sia bene specificare è che prima si realizza l'esperienza e solo dopo
siamo in grado di farne speculazioni di ordine morale..
(E poiché le parole sono importanti affinché non diventino trappole - rif. ZenZero)
Ultimo punto, non per importanza, non è necessaria alcuna "rinuncia" ma semplice riconoscimento..
Citazione di: Gyta il 01 Febbraio 2024, 08:34:33 AM(una parentesi)
Ciao, bobmax..
Non voglio rompere i marroni.. e avevo intenzione di starmene fuori..
forse però.. può essere utile (non solo a te).. quindi procedo..
(pur avendo poche parole (tue) di riferimento a dedurne una visione e un percorso)..
Il punto che evidenzi è uno scoglio non indifferente.. di ogni ricercatore..
tanto più se analitico.. :
Sei proprio sicuro che la tua affermazione (il tuo excursus) non sia dettata invece ancora da una visione condizionata dal modello filosofico di non contraddizione?
Un ulteriore punto che penso sia bene specificare è che prima si realizza l'esperienza e solo dopo
siamo in grado di farne speculazioni di ordine morale..
(E poiché le parole sono importanti affinché non diventino trappole - rif. ZenZero)
Ultimo punto, non per importanza, non è necessaria alcuna "rinuncia" ma semplice riconoscimento..
Grazie Gyta per i tuoi spunti.
Partirei dalla non contraddizione.
La necessità di non contraddirsi viene prima di qualsiasi considerazione filosofica. Perché la contraddizione svuota di contenuto il pensiero stesso. Che diventa un gorgo che inghiotte se stesso.
Il sonno della ragione, come il fascismo per esempio, consiste proprio nella accettazione di convivere tranquillamente con la contraddizione.
Dove il vero e il falso pari sono!
Per cui la logica deve essere rispettata, sempre.
Ma pure sfidata...
Perché con la logica, e quindi per esempio con la filosofia analitica, bisogna fare i conti.
Ma non perché sia la Verità!
Anzi, tutt'altro, perché è il muro che occorre scavalcare, sebbene si debba sempre, sempre rispettarlo.
E così veniamo al bene e il male, che il pensiero razionale vorrebbe declassare a "giudizio" a posteriori.
Cioè prima vi è l'esperienza, nuda esperienza, e poi eventualmente si può trarne una morale...
Non è così!
L'esperienza, è esperienza etica.
Una esperienza così violenta che l'intelletto non riesce a reggere, e allora subito la costringe a rientrare nel suo processo logico.
Perdendone... il pathos.
Sì la rinuncia può essere un riconoscimento.
Ma cosa si riconosce?
Non certo l'Essere, che per la esistenza è Nulla.
Si riconosce perciò il proprio non essere. Cioè si riconosce di non essere ciò che si pensava di essere. Si rinnega ciò che, come esistenza, siamo.
Buon pomeriggio. Una frase attribuita a Budda, può spiegare perché sia importante perdonare: "Perdona gli altri, non perché essi meritano il perdono, ma perché tu meriti la pace." (Buddha)" Ecco, forse dovremmo partire da ciò per comprendere l'importanza del perdono. Per contro, non saper, voler o poter perdonare significa essere costretti a sopportare un peso inutile, che condiziona chi non perdona e chi non è perdonato. Secondo me, per perdonare è indispensabile partire dal principio che nessun essere umano è perfetto e che la propria posizione, il proprio pensiero, il proprio punto di vista, ecc... non deve essere necessariamente quello migliore (o addirittura l'unico). Solamente nel momento in cui ci si rende conto di ciò, e ci si predispone all'ascolto e all'accettazione delle opinioni altrui: non migliori o peggiori delle nostre, e nemmeno uguali, bensì diverse perché conseguenti ad esperienze di vita diverse dalle nostre (né migliori, né peggiori, ma semplicemente diverse), si riesce veramente a perdonare.
Come la pena non cancella il delitto, così il perdono non cancella l'atto che è stato perdonato. Si dice che sbagliare sia umano: non dimentichiamocene. Chiunque può sbagliare ma poi, solamente col dialogo, tra il potenziale perdonante e il potenziale perdonato, può avvenire l'atto del perdono. Secondo alcune culture il perdono può essere ottenuto anche pagando una determinata somma in denaro ai danneggiati. Ecco, questo se secondo me non è perdono.
Citazione"Perdona gli altri, non perché essi meritano il perdono, ma perché tu meriti la pace." (Buddha)" (Aspirante Filosofo)
Sì!! (sintetico, efficace!)
(OT ma non troppo) :
Citazione[..] Per cui la logica deve essere rispettata, sempre.
Ma pure sfidata...
Perché con la logica, e quindi per esempio con la filosofia analitica, bisogna fare i conti.
Ma non perché sia la Verità!
Anzi, tutt'altro, perché è il muro che occorre scavalcare, sebbene si debba sempre, sempre rispettarlo.
E così veniamo al bene e il male, che il pensiero razionale vorrebbe declassare a "giudizio" a posteriori.
Cioè prima vi è l'esperienza, nuda esperienza, e poi eventualmente si può trarne una morale...
Non è così!
(bobmax)
Parto dalla considerazione importante che ogni percorso è personale, unico e non ripetibile..
Ci possono essere dei punti in comune e condivisibili sui quali ci si confronta, ma resta comunque
un percorso strettamente personale, perché ognuno ha il proprio carattere particolare,
la propria storia, il proprio io..
CitazioneUna esperienza così violenta che l'intelletto non riesce a reggere, e allora subito la costringe a rientrare nel suo processo logico.
Perdendone... il pathos.
Sono fondamentalmente d'accordo..
CitazioneSi riconosce perciò il proprio non essere. Cioè si riconosce di non essere ciò che si pensava di essere. Si rinnega ciò che, come esistenza, siamo.
Se c'è riconoscimento (della natura che ci fa percepire, al di sotto, dentro il percepire) non c'è un rinnegare.
Non rinnego l'io, non rinnego il mio percepire e percepirmi, ma faccio esperienza diretta della natura che rende possibile tutto questo.. per questo è necessario non porsi il problema se ciò che sperimentiamo sia o meno contradditorio nell'elaborazione postuma concettuale..
mi è difficile usare metafore.. ma non è che un corpo non è più tale se lo analizziamo al microscopio.. e non è che un corpo diventa altro se lo analizziamo attraverso lo spettro dei suoni o dei colori.. non sono contraddizioni ma qualità di quel corpo.. e qualità della mente che indaga quel corpo..
nel riconoscimento mi accorgo che c'è qualcosa al di sotto che regge/sostiene, dà modo di fare esperienza.. se fai esperienza di qualcosa e non ti identifichi in quel qualcosa, ti rendi conto che di base resta una qualità immutabile che sostiene e rende possibile l'esperienza.. non è il percepito (ciò che percepiamo).. e nemmeno la nostra identità (il nostro io)..
ci riprovo con un altro esempio..
lo spazio è tale se ha dei confini e degli oggetti, differentemente non riusciamo ad averne esperienza..
ci servono dei riferimenti ed allora lo intendiamo come spazio..
perché il nostro corpo, il nostro io riconosce le cose per contrasto..
se vogliamo tentare di comprendere oltre il contrasto dobbiamo essere coscienti di come funzionano i nostri sensi, la nostra mente..
è la mente individuale (fatta di esperienza di vita), il nostro io con la sua storia personale che dà un significato all'esperienza interiore.. e come tale comunque obbligatoriamente condizionata.. non se ne esce.. è come cercare di dare un senso, un significato universale ad una esecuzione musicale analizzando lo spartito.. lo spartito serve per giungere all'esecuzione musicale, dopo c'è solo l'esecuzione musicale, è una porta, può essere uno spiraglio. un'intuizione.. il vecchio spartito e il suo linguaggio appartengono alla porta appena varcata, quella alle nostre spalle.. non più oltre..
quando accennavo a escludere dall'analisi il principio di non contraddizione intendevo che cercare di leggere l'esperienza attraverso la lente dei contrari porta al punto di partenza..
Poi.. non conosco "lo spartito" che ti ha accompagnato nella ricerca.. e deduco anzi dalle tue parole probabilmente un percorso e delle ispirazioni di cammino differenti dalle mie.. condividere è formidabile.. ma se non sia ha la giusta reciproca conoscenza può essere fonte di fraintendimenti..
Ciao Gyta
Sì, è pressoché inevitabile che nascano dei fraintendimenti.
Riguardo all'essere e al non essere, avrei infatti dovuto chiarire meglio...
Il mio discorso non vuole essere logico, qui il principio di non contraddizione non c'entra.
La contrapposizione c'è, ma di ben altra natura.
Perché non riguarda il pensiero. Il pensiero infatti o è determinato o non è. E per essere determinato, non deve cadere in contraddizione.
Invece qui abbiamo il bene e il male.
Che non sono proprio qualcosa di logico...
Cioè vengono "prima" di qualsiasi considerazione logica.
Anche se poi, una volta concettualizzati, li trattiamo come "bianco" e "nero", come "si" o "no" logici, in realtà il bene e il male vanno ben più in profondità.
Riguardano la mia essenza.
E l'essenza è l'Uno.
Che esclude ogni possibilità di contraddizione.
Essendo negazione della negazione.
Per cui non vi è il bene da una parte e il male dall'altra, quasi fossero entità in se stesse sussistenti.
Il manicheismo cade proprio qui. Nel volerli logicizzare...
È il Semplice.
Che però lo si deve, diciamo così, meritare.
Sebbene logicamente non si possa star fuori dall'Uno, come esistenza invece si sta fuori.
E questo fatto per la logica è contraddizione.
Ma non per l'etica!
Per questa ragione la filosofia per essere davvero tale deve essere metafisica. E la autentica metafisica prescinde dalla logica, è pura etica.
Quindi non essere non significa negazione dell'Essere, che è impossibile logicamente. Ma lo star fuori.
Non so se sono riuscito almeno un po' a spiegarmi...
Ciao, bobmax.. mi dispiace.. non mi è troppo chiaro..
Citazionequi abbiamo il bene e il male.
Che non sono proprio qualcosa di logico...
Cioè vengono "prima" di qualsiasi considerazione logica.
Anche se poi, una volta concettualizzati, li trattiamo come "bianco" e "nero", come "si" o "no" logici, in realtà il bene e il male vanno ben più in profondità.
Riguardano la mia essenza.
E l'essenza è l'Uno.
Il bene, il male ma pure il bianco e il nero sono tutti (ovvio) concetti frutto della nostra mente che elabora le percezioni.. nomi che diamo alle nostre esperienze tramite distinguo, associazione, elaborazione..
ma personalmente non li considero "la mia essenza" ma la mia capacità mentale di distinguere..e di mappare.. (brutta parola, quest'ultima)
CitazioneÈ il Semplice.
Che però lo si deve, diciamo così, meritare.
Quest'affermazione mi è oscura.. potrei dirti 'sì, sento anch'io allo stesso modo' ma potrei anche fraintendere dando un significato differente alle tue parole..
CitazioneSebbene logicamente non si possa star fuori dall'Uno, come esistenza invece si sta fuori.
Anche questo passo mi è oscuro..
Forse dovrei leggere altre discussioni tue per ampliare e comprendere la tua visione..
Oppure c'è un qualche riferimento ad una visione spirituale o filosofica a cui io possa fare riferimento per comprendere meglio il tuo pensiero..?
CitazionePer questa ragione la filosofia per essere davvero tale deve essere metafisica. E la autentica metafisica prescinde dalla logica, è pura etica.
CitazioneSebbene logicamente non si possa star fuori dall'Uno, come esistenza invece si sta fuori.
E questo fatto per la logica è contraddizione.
Ma non per l'etica!
Cosa intendi per "etica" ?
Ciao Gyta
Sì, occorre chiarire cosa intendere con "etica".
Perché questo termine è stato spesso abusato, stravolto, fino a suscitare a volte rigetto, quando usato per soddisfare la volontà di potenza.
Così come "Dio": Dio lo vuole! Ed è proprio questa la sola autentica bestemmia.
Questo stravolgimento avviene, a mio parere, proprio perché queste sono parole che nel momento in cui cerchi di definirle... le hai già perdute!
Il loro autentico senso è... metafisico.
Metafisico davvero, oltre l'esistente, sebbene non siano fantasie.
Perché anche la fantasticheria è comunque sempre esistenza.
Direi che il modo migliore, forse unico, per una indicazione su cosa intendere, sia tramite metafore.
L'opera di Spinoza, che non per niente è intitolata Etica, non ne è forse una metafora? Ruota attorno, sfruttando il più possibile la logica, e non è proprio questo stesso sforzo l'etica?
Ma pure la mistica, questo Dio = Nulla, è slancio etico.
La stessa fede nella Verità, non è forse fede nel Nulla? Ancora l'etica.
E il tesoro nel campo, per il quale dai tutto quello che hai. Ecco l'etica.
Direi che l'etica è ciò che mi sovrasta. Che fa sì che io mi condanni all'inferno. Perché così è giusto!
Ma perché è giusto?
Etica.
E qui abbiamo lo "star fuori"
Che non è logico, ma etico.
La logica fa un passo indietro.
Si impone l'etica.
Perché sì, logicamente io sono l'Uno.
Ma sto comunque fuori dall'Uno.
Il bene e il male riguardano la mia essenza, sono intimi a ciò che io sono.
Al punto che non posso separarli da me.
Ma non posso, non perché siano la mia essenza! Non posso perché svelano il mio star fuori dall'Uno.
Verrà il momento in cui smetterò di essere altro dall'Uno?
La logica troverà infine la sua pace?
Solo quando il bene e il male avranno esaurito il loro compito.
CitazioneIl bene e il male riguardano la mia essenza, sono intimi a ciò che io sono.
Al punto che non posso separarli da me.
Ma non posso, non perché siano la mia essenza! Non posso perché svelano il mio star fuori dall'Uno. (bobmax)
Oh!!!!! L'hai detto. E' questo il punto, credo.
(Spinoza.. acc..mi riporti indietro di decenni.. chi se la rammenta più..
c'era un amico che trovava il mio modo di intendere vicino a quello di spinoza..
francamente l'ho sempre trovato più che analitico un carro armato.. e dire che io sono spaccacapello..mah..
quasi quasi lo rispolvero..dovrei averci l'etica da qualche parte.. ma il suo procedere non lo reggevo né lo reggerò..temo..)
Citazione di: Gyta il 02 Febbraio 2024, 15:04:44 PMOh!!!!! L'hai detto. E' questo il punto, credo.
(Spinoza.. acc..mi riporti indietro di decenni.. chi se la rammenta più..
c'era un amico che trovava il mio modo di intendere vicino a quello di spinoza..
francamente l'ho sempre trovato più che analitico un carro armato.. e dire che io sono spaccacapello..mah..
quasi quasi lo rispolvero..dovrei averci l'etica da qualche parte.. ma il suo procedere non lo reggevo né lo reggerò..temo..)
Scusami se mi permetto...
Ma se lo riprenderai in mano, Spinoza, prova a guardarlo solo con amore.
Questo povero grande uomo, con la sua immensa fede e tanto bistrattato, dice di più laddove cade in contraddizione che non quando avanza come un carro armato.
Un po' come Kant, la cui grandezza è soprattutto nella onesta sconfitta, nella caduta nel circolo logico, nella tautologia.
In Spinoza, lo si può vedere, per esempio, nel suo scervellarsi sulle sue idee inadeguate. Che a tratti gli fa accennare, sebbene mai del tutto esplicitamente, che no, nessuna idea può essere davvero inadeguata.
Ma ammetterlo davvero, vorrebbe dire girarsi allo specchio, guardare, e non veder nessuno...
Sull'importanza del perdono, a questo link: https://www.crescitaspirituale.it/2019/07/il-perdono-libera-e-rende-piu-forti/Ho trovato il testo seguente: Perché è importante saper perdonare? Ecco una spiegazione che ho trovato in internet: La pratica del perdono ci libera da sentimenti negativi e risveglia le frequenze benefiche dell'amore.
Buddha diceva "Perdona, non perché gli altri meritino perdono, ma perché tu meriti la pace!".
Perdonare non è dunque un segno di debolezza, ma un atto di coraggio e di amore nei confronti di sé stessi.
Coloro che non perdoniamo alla lunga possono tenerci prigionieri, invadere i nostri pensieri e a distorcere la realtà in cui viviamo.
Con il perdono li lasciamo andare, e guariamo dalla dipendenza dal rancore che è una bestia pericolosa nonché potenzialmente tossica.
Da uno studio dell'American Psychological Association si evince inoltre che, tra le altre cose, perdonare:
- facilita la guarigione psicologica attraverso i cambiamenti positivi;
- migliora la salute fisica e mentale;
- ricostruisce il senso di potere personale di una vittima;
- aiuta a portare riconciliazione tra le parti;
- diminuisce lo stress psicologico.
COME AVVICINARSI AL PERDONO
Per iniziare questo viaggio verso il perdono è necessario che prima si comprendano le conseguenze del non-perdono. Quando si subisce un ingiustizia la cosa più semplice è lasciarsi prendere dalla rabbia e dal risentimento.
Queste sono emozioni che inibiscono la nostra capacità di ragionare e di considerare le conseguenze delle nostre azioni.
Sono emozioni che possono rendere aggressiva anche la persona più mite, che possono farci fare e dire cose che in uno stato mentale normale non faremmo e diremmo mai.
Le persone forti sono quelle che nonostante gli impulsi vendicativi riescono a concentrarsi sul perdono, quelle che si rendono conto che mentre la rabbia rende schiavi, il perdono libera.
UN ESEMPIO DI PERDONO IMPOSSIBILE
Per darti un esempio di cosa può fare la forza del perdono – e un termine di paragone per tutte le volte in cui credi di aver subito un grave affronto – pensa alla storia di Linda Biehl.
Sua figlia Amy aveva solo 26 anni quando è stata uccisa in Sud Africa durante una manifestazione contro l'apartheid.
Dopo alcuni anni dalla sua morte, Linda torna a Cape Town per fondare un'associazione che aiuta i poveri e i malati in Sud Africa e – con un gesto che verrà considerato da tutti un grandissimo esempio di forza e coraggio – arriva persino ad assumere due degli assassini di sua figlia.
A suo dire, non è stato per niente facile perdonare.
Per farlo Linda ha dovuto prima comprendere che non è stata la cattiveria ma le condizioni di estrema povertà che hanno fatto emergere la frustrazione che ha portato alla follia omicida.
Per questo ha deciso di dare il suo contributo per debellare la miseria in Sud Africa, per fare in modo che quello che è successo a sua figlia non capiti mai più a nessun altro.
La mia esperienza personale con il perdono
Ben lontano dall'avere la forza di Linda, c'è stato un tempo in cui i comportamenti (che giudicavo come) scorretti nei miei confronti non mi facevano dormire la notte, in cui una frase come "adesso gliela farò pagare" mi dava l'illusione di avere forza e controllo.
Ma sai dove mi ha portato questo atteggiamento?
Da nessuna parte.
Non ricordo un singolo esempio in cui rimuginare mi abbia fatto stare meglio ma ricordo perfettamente innumerevoli pomeriggi infelici passati ad arrovellarmi per uno sgarbo subito.
Imparare a perdonare e a lasciare andare è stato per me un atto liberatorio, perché ho capito che se uno ti da un pugno e tu gliene dai un altro i due gesti non si annullano, ma si amplificano a vicenda rendendo la vita di tutti più stressante e meno felice.
Praticando il perdono con un cuore aperto si arginano le conseguenze distruttive della ritorsione ad libitum diventando finalmente liberi dall'opprimente peso del risentimento.
E sarà anche un utopia immaginarlo ma se tutti lo facessero, se tutti imparassero a lasciar andare e a comprendere le motivazioni che hanno portato l'altro a sbagliare, il mondo diventerebbe un posto più gentile in cui vivere, un posto più ospitale.
Ma se le motivazioni sono bestiali, tipo stupro violento, sadico, sgozzamento di bimbi inermi, uccisione con torture terribili? Abbastanza facile perdonare gesti di rabbia di una folla che hanno prodotto vittime.Sono più comprensibili. Ti dai una giustificazione sociale. Ma la cattiveria pura? La pura malignità? Il godimento perverso nel fare il male, senza alcuna giustificazione o necessità? È un altro paio di maniche. Lo stesso Cristo che predicava il perdono ha avuto parole durissime verso chi "da scandalo" verso i bimbi innocenti: " sarebbe meglio per lui non essere mai nato" :-[