Nella religione cristiana vi è il precetto che recita di amare il prossimo, tuttavia a me sembra che questo amore venga IMPOSTO dalla religione cristiana stessa, tuttavia a ben guardare si tratta di qualcosa di assurdo, come di una violenza al cuore umano. Essendo l'amore un sentimento, dire "devi amare" non ha senso, perché io posso anche non provare assolutamente questi sentimenti verso l'umanità e quindi non mi pare giusto che venga imposto a tutti, senza tener conto delle disposizioni della persona. Una persona che ad esempio ha visto nel prossimo cattiveria, egoismo, manipolazione, ovviamente non è disposta ad amare l'umanità e non è giusto forzarla in tal senso, oppure sbaglio? Trovate anche voi molto "fastidiosa" questa tendenza del Cristianesimo ad imporre sentimenti e stati d'animo, anche se sono socialmente utili?
Ciao socrate, il precetto non é un'imposizione, é un invito nell'interesse del ricevente.
E come dire : "sarebbe meglio per te se tu facessi in questo modo"
E io sono d'accordo con detto precetto, sono convinto cioè che é meglio amare che odiare, amando si vive meglio.
Chi odia, forse può fare del male a qualcun altro, ma certamente logora se stesso.
L'amore del prossimo nasce da una decisione della volontà e non deve dunque essere caratterizzato da sentimenti e simpatie.
Viene descritto dalla teologia di solito come benevolenza.
In pratica può essere considerato come un comandamento proprio perché non riguarda la dimensione della sensibilità e dei sentimenti, dimensione umana necessariamente caratterizzata da spontaneità e quindi non soggetta a leggi.
In Paolo l'amore del prossimo viene considerato come uno degli effetti necessari della fede.
E io sono d'accordo con lui (sempre che con ciò non si intenda l'amore del prossimo come dovuto alla grazia, poiché in questo caso si perde il senso degli effetti antropologici concreti suscitati dalla vicinanza a Dio, cioè degli effetti prodotti dal cammino di fede verso Dio, dal cammino spirituale).
È una specie di circolo: da una parte se voglio essere cristiano mi viene comandato di amare il prossimo, cioè di piegare la mia volontà affinché io riesca a esprimere benevolenza verso chiunque mi capiti di incontrare; dall'altra, avendo fede e procedendo nel mio cammino spirituale, tale benevolenza viene prodotta spontaneamente, appunto come effetto materiale del lavoro spirituale.
Un circolo virtuoso.
Ma si tratta di benevolenza, sia chiaro. Non di simpatia o affinità, tanto meno di sacrificio di se' per l'altro.
Diciamo che il problema del cristianesimo è la repressione dell'aggressività.
Il Dio dell'Antico Testamento non la reprimeva di certo,quello del Nuovo si.
Una cosa strana perché ricorda il patriarcato e il matriarcato,padre e madre,maschile e femminile ,amore condizionato e incondizionato.
Detto questo,io ritengo che l'essere umano sia in grado di pensare con la sua testa comportandosi di conseguenza.
Capisco che alcuni uomini particolari(ma MAI donne, perché?)abbiano insegnato etica e socialità,ma il fatto è che ogni persona sana vive a suo modo la vita terrena e non segue modelli standard o regole generali.
Le altre seguono qualcuno e qualcosa per ragioni di immaturità,opportunismo,fariseismo e peggio.
Non è così, ci sono passi nel Vangelo in cui Gesù è mostrato infuriato e vendicativo.
Per quanto riguarda poi il rapporto con l'aggressività, il cristianesimo, come ogni grande tradizione religiosa o sapienzale, ha proprio il compito di trarre fuori l'uomo dall'animalità, nel suo significato di ferocia che si può sprigionare nella rottura della continuità della coscienza umana, di violenza che si manifesta improvvisa da una frattura dell'elemento umano che rimanda invece alla comunità, al logos, al dialogo.
Il cristianesimo come ogni tradizione spirituale è un filo di Arianna: dando continuità al percorso nel labirinto (del logos), permette di salvarsi dal ritorno dell'animalità selvaggia (il Minotauro).
Quei passi mostrano proprio un Cristo molto umano che rimprovera umani di non esserlo stati veramente.
Quella che viene definita ira di Dio è la versione umana di quello che succede quando Dio si manifesta in prima persona
Siccome nessun peccato e peccatore può permanere e resistere di fronte a una evidenziazione di Dio,questa impermanenza viene descritta come ira.
In realtà Dio non ha alcun bisogno di arrabbiarsi,basta un suo evidenziarsi anche minimo per una fuga generale...
È questo che mi piace di Dio:il.suo essere irresistibile in ogni senso,il fatto che questo suo evidenziarsi sia raro significa proprio il suo essere Santo e buono: in realtà,se volesse veramente evidenziarsi,dell'universo non resterebbe un granché.
Inoltre,per un credente,il fatto che la scienza e il metodo scientifico non si occupino di Dio dovrebbe essere un vero PIACERE E GODIMENTO.
Perché?
Perché se io credo che la realtà sia dovuta a Dio,sia il Creato di Dio,IO SONO BEN CONTENTO CHE SCIENZA E SCIENZIATI LO STUDINO E NE MOSTRINO LE LEGGI,LA NATURA,LE CARATTERISTICHE,ecc..
QUello che ne risulta è un universo interessante,sorprendente,meraviglioso,
un'opera d'arte,un capolavoro.
Quindi,a me va bene così:come credente ne sono più che soddisfatto!
Anche i non credenti sembrano ammirati,interessati e stupiti dell'esistente:io non ho neppure bisogno di parlare di Dio e figuratevi se Dio ne ha bisogno...
Citazione di: Socrate78 il 17 Agosto 2022, 09:20:55 AMNella religione cristiana vi è il precetto che recita di amare il prossimo, tuttavia a me sembra che questo amore venga IMPOSTO dalla religione cristiana stessa, tuttavia a ben guardare si tratta di qualcosa di assurdo, come di una violenza al cuore umano
innanzitutto "l ama il prossimo tuo come te stesso" non è un precetto solo Cristiano, lo ritroviamo infatti nel Bhuddismo, nel confucianesimo, nel taoismo, nella religione Ebraica, mussulmana, vedanta e in tutte le altre grandi tradizioni Spirituali. Sembra essere una regola d'oro, ma se è così vediamo il motivo, anche kant sosteneva che l'uomo nasce e cresce con un dovere fondamentale, il dovere di stare bene e per sare bene è necessaria la salute integrale, cioè del corpo, della psiche e dello Spirito . Kant individua questo senso di dovere nella morale di ognuno di noi, infatti quando stiamo male diciamo di essere giù di morale o demoralizzati. So bene di giocare con due termini diversi "la morale" e "il morale" , ma a mio avviso è chiaro che fra queste due dimensioni del vivere esiste una stretta relazione come ci insegna la lingua che usa lo stesso termine per indicare l'etica e lo stato d animo. Ognuno quindi ha un dovere verso la propia salute , non rispettarlo non solo è indice di scarsa saggezza ma anche di scarsa moralità. Chiediamo sempre al prossimo come sta, invece dovremmo chiedere a noi stessi "come sto?" qualche volta di più.
Ci sono due modi di capire queste cose:uno autoritario l'altro no.
Questo caratterizza una differenziazione di mentalità e di comportamento,la relatività e l'esame di realtà!
Duermila anni fa queste cose non erano considerate,conosciute e studiate,oggi si!
Gesù è stato un precursore per quanto riguarda il suo modo di insegnare con parabole e metafore;i era molto bravo nel gestire il suo gruppo e le situazioni di massa, meno nel suo rapportarsi con i poteri del suo tempo.
Come ogni grande uomo aveva i suoi limiti oltre alle virtù e a doti non comuni di "medico dell'anima e del corpo".
Non entro nel merito religioso per evitare dispersioni
e polemiche
In realtà ci potrebbero essere tre modi per capire queste cose. Uno autoritario, che corrisponde al nostro encefalo più antico, collegato all'amigdala (devo amare altrimenti vengo punito dal maschio alfa), uno razionale e centrato sull'obiettivo, collegato al mesencefalo (amo perché ho dei vantaggi dal mio amore verso gli altri, che ameranno me), ed uno Autoriflessivo e critico collegato alla neocorteccia (cosa significa per me amare gli altri? E cosa significa per l'umanità in generale? E come è connesso questo amore con le specifiche società storiche? E così via).
io sono un tipo semplice e facile,mi innamoro a pelle e mi disamoro a pelle sessualmente e non sessualmente,così.
Il resto ignoro.
Si può interpretare il cristianesimo in un senso evoluzionistico, riprendere magari le idee di Gioacchino da Fiore e inserirle in un contesto di evoluzionismo biologico, ma il grande problema – se si vuole rispondere alla domanda posta da Socrate78 –, l'anello mancante, diciamo così, è quel passaggio decisivo che dallo sviluppo dell'intelligenza e della riflessione porta all'amore.
Descrivere in termini vaghi un processo che dall'autoritarismo dei primordi porta ad un'interiorizzazione consapevole dei precetti, fino alla capacità di vivere l'altro veramente come fratello, come se si trattasse di un meccanismo naturale, di un necessario risultato dell'evoluzione dell'uomo, significa aver dimenticato il tema filosofico del burocrate tedesco, ovvero:
se il burocrate tedesco, padre amorevole e uomo colto, non ha mostrato alcuno scrupolo a lavorare per il perfezionamento della macchina del genocidio del Terzo Reich, vuol dire che intelligenza e cultura non garantiscono non solo che da esse possa sbocciare l'amore per l'altro, ma neanche una forma elementare di giustizia.
O si abbassa l'amore per il prossimo a benevolenza, come fa la teologia sistematica, oppure si deve ammettere che non esiste alcuna soluzione naturale al problema, il che farà propendere il credente verso spiegazioni soprannaturali (lo spirito santo, la grazia), e il non credente verso immagini deprimenti della storia dell'uomo.
La ratio dell'amore teologico, comune anche a tradizioni religiose universalistiche diverse dalla cristiana, sta nella comune origine divina della specie umana, condita metafisicamente dalla presa d'atto del successo evolutivo di tale specie rispetto agli altri viventi (antropocentrismo).
Citazione di: Kobayashi il 18 Agosto 2022, 14:31:25 PMNon è così, ci sono passi nel Vangelo in cui Gesù è mostrato infuriato e vendicativo.
Per quanto riguarda poi il rapporto con l'aggressività, il cristianesimo, come ogni grande tradizione religiosa o sapienzale, ha proprio il compito di trarre fuori l'uomo dall'animalità, nel suo significato di ferocia che si può sprigionare nella rottura della continuità della coscienza umana, di violenza che si manifesta improvvisa da una frattura dell'elemento umano che rimanda invece alla comunità, al logos, al dialogo.
Il cristianesimo come ogni tradizione spirituale è un filo di Arianna: dando continuità al percorso nel labirinto (del logos), permette di salvarsi dal ritorno dell'animalità selvaggia (il Minotauro).
Una volta che il logos, il simbolo, il segno col suo carattere di permanenza , avesse fatto irruzione nel contesto animale, cosa ci saremmo dovuti aspettare?
Direi una inevitabile interferenza sull'istinto animale , se non di segno, di durata.
Una permanenza come effetto dell'uso dei segni , un prolungamento dell'azione istintiva di qualunque segno, che sortirà quindi effetti nuovi.
Ma quali?
Dopo la guerra si fa' pace. Ma non è questa la novità.
La novità è che si allungano i tempi della guerra e della pace , serbandone memoria prolungata .
La novità è che le fazioni non si formano e si sciolgono al momento, ma sono tenute nel tempo da simboli identitari che non smettono di agire finché il segno rimane.
Prima che irrompesse il logos si facevano già genocidi, ma in modo dilettantesco, senza alcuna programmazione.
E allo stesso modo si praticava fratellanza con lo stesso dilettantismo.
Oggi la fratellanza, l'amore verso gli altri si fa' programma, e certo può sembrare strano che un sentimento così spontaneo debba essere programmato.
In effetti non deve essere programmato, ma si può programmare appiccicandogli un simbolo.
Una volta poi che entri dentro il dominio di un simbolo, dovrai rinunciare agli istinti che si susseguono a breve termine, ponendoli sotto controllo.
Dovrai fare il bene quando vorresti fare il male e dovrai fare il male quando vorresti fare il bene.
Ma perché noi decidiamo di entrare sotto il controllo di un simbolo?
Se il simbolo scelto da Socrate è quello della croce lui ha l'obbligo di amare, ma non ha l'obbligo di scegliere quel simbolo.
Premesso che gli interventi di Kobayashi sono spesso molto profondi e interessanti, pensare al cristianesimo come protezione all'irrompere dei sotterranei istinti animaleschi non mi convince. Piuttosto lo definirei, insieme a molte altre tradizioni religiose, una protezione all'irrompere dei sotterranei impulsi "demoniaci" di homo sapiens che è uno dei pochi animali che uccide il proprio simile per protervia e spirito di hybris. Che io conosca, nel mondo animale, c'è solo lo scimpanzé che ha questa tendenza ( e non a caso è l'animale più simile a noi). Quindi non è l'animalità a dover essere frenata ma il lato oscuro dell'umanità che è implicito nella complessità dei circuiti neurali. Inoltre "l'ama il prossimo tuo come te stesso" si presta a interpretazioni diverse: chi è il mio prossimo? La mia famiglia, gli abitanti del mio paese, della mia comunità linguistica, della mia religione o del mondo intero? Ciò spiega anche come i burocrati dell'Olocausto potevano collaborare allo sterminio di una parte dell'umanità ed essere pieni di amore per i soldati della Wehrmacht. "L'ama il prossimo tuo" si pone in un momento storico specifico, cioè quello dell'universalismo, in un luogo attraversato per la seconda volta, nell'arco di appena 300 anni, da imperi che facevano della globalizzazione la loro bandiera (impero alessandrino e impero romano). Ciò all'interno di una religione che invece aveva come precetto fondamentale la distinzione fra popolo eletto e tutti gli altri. Se vogliamo l'olocausto è l'immagine demoniaca proprio di quella distinzione fra popolo eletto e gli altri. L'universalismo dell'amore, il riconoscimento dell'amore fra gli estranei ha probabilmente anche il compito di modificare l'assetto tribale dell'umanità che l'umanità ha coltivato per centinaia di migliaia di anni, iscrivendosi così nella stessa struttura cerebrale di noi, animali gruppali e prosociali.
Era inevitabile che si arrivasse, per via deduttiva, ad un dio dell'ammore unico e universale. Già Platone vi era andato vicino filosofando sul concetto di "bene". Io non la porrei così dura, come jacopus, la contrapposizione tra divinità etniche e divinità universali, perchè guardando la storia, e contando i morti ammazzati, forse ha la coscienza più sporca il dio unico dell'ammore.
L'eccesso di amore uccide tanto quanto il suo difetto e, mentre gli dei plurimi possono tollerare altri dei, il dio unico, no. La ferocia del primo dio unico certificato è stampata nel suo libro sacro; il cristianesimo, appena uscito dalle catacombe, si è subito adeguato al mantra della persecuzione di infedeli, eretici, scismatici, atei e chiunque non adorasse il loro dio unico dell'ammore. Gli islamici, idem. Alla fine il conflitto si è spostato dalle divinità etniche, l'una contro l'altra, armate, alla divinità unica ortodossamente intesa dal comitato d'affari che ne certificava l'autenticità.
All'origine le divinità non potevano che essere etniche e di parte. Anche l'Olimpo classico gronda di contrasti fin dai parricidi originari e l'Eneide traspone il conflitto tra umani in conflitto tra numi, utilizzanti gli umani come marionette. Ancora più naturalisticamente a ritroso, come nello scintoismo, la divinità è l'anima del defunto divinizzata e la religione è una faccenda privata, familiare o al massimo, tribale. Tale religiosità mi pare la più onesta di tutte perchè conserva una radice nella realtà immanente; e pure la più carica di poesia.
Al contrario, la metafisica ha voluto "dedurre per via geometrica e matematica" la religione del dio unico, globale, dell'ammore; con un carico di sfasatura rispetto alla realtà reale, degno della truffa più grande dell'universo, quotidianamente disattesa dalla realtà dei fatti. Il miscuglio di monismo autoreferenziale ebraico e metafisica neoplatonica, con velleità universalistiche, ha realizzato tale progetto. Il cui successo storico evidenzia la natura intrinsecamente falsificatrice dell'animo umano, potenziata ulteriormente dagli strumenti della speculazione metafisica.
Nella migliore delle ipotesi, la favola propagandistica di un'utopia celeste, calibrata nei minimi dettagli teo-logici, necessaria per reggere millenni di fumo metafisico, atto a velare la realtà della condizione umana e del suo retroterra spirituale.
Citazione di: iano il 23 Agosto 2022, 22:58:47 PMUna volta che il logos, il simbolo, il segno col suo carattere di permanenza , avesse fatto irruzione nel contesto animale, cosa ci saremmo dovuti aspettare?
Direi una inevitabile interferenza sull'istinto animale , se non di segno, di durata.
Una permanenza come effetto dell'uso dei segni , un prolungamento dell'azione istintiva di qualunque segno, che sortirà quindi effetti nuovi.
Ma quali?
Dopo la guerra si fa' pace. Ma non è questa la novità.
La novità è che si allungano i tempi della guerra e della pace , serbandone memoria prolungata .
La novità è che le fazioni non si formano e si sciolgono al momento, ma sono tenute nel tempo da simboli identitari che non smettono di agire finché il segno rimane.
Prima che irrompesse il logos si facevano già genocidi, ma in modo dilettantesco, senza alcuna programmazione.
E allo stesso modo si praticava fratellanza con lo stesso dilettantismo.
Oggi la fratellanza, l'amore verso gli altri si fa' programma, e certo può sembrare strano che un sentimento così spontaneo debba essere programmato.
In effetti non deve essere programmato, ma si può programmare appiccicandogli un simbolo.
Una volta poi che entri dentro il dominio di un simbolo, dovrai rinunciare agli istinti che si susseguono a breve termine, ponendoli sotto controllo.
Dovrai fare il bene quando vorresti fare il male e dovrai fare il male quando vorresti fare il bene.
Ma perché noi decidiamo di entrare sotto il controllo di un simbolo?
Se il simbolo scelto da Socrate è quello della croce lui ha l'obbligo di amare, ma non ha l'obbligo di scegliere quel simbolo.
Molto interessante.
In particolare l'idea che l'uso dei segni, appunto la costruzione di una tradizione, determina sì un cambiamento, non quello sperato però di un controllo salutare sulla passione violenta, ma qualcosa di simile a un differimento, che però non riesce ad essere mutamento qualitativo, per cui come dici tu, arriva l'ora dell'omicidio di massa e oggi come nel passato neolitico a questa spinta non sappiamo dire di no, solo che i mezzi utilizzati oggi sono immensamente più efficaci.
Da una parte mi sembra difficile essere del tutto conseguente abbracciando un antiumanismo alla Nietzsche, dall'altra non credo nemmeno che percorrere il labirinto (il logos) sistematicamente da un punto all'altro, redigendone una mappa, ci salvi dal Minotauro.
Temo ci occorra un filo di Arianna.
"Ma perché noi decidiamo di entrare sotto il controllo di un simbolo?", chiedi.
Forse perché speriamo che quel simbolo possa essere il nostro filo di Arianna.
Citazione di: Socrate78 il 17 Agosto 2022, 09:20:55 AMNella religione cristiana vi è il precetto che recita di amare il prossimo, tuttavia a me sembra che questo amore venga IMPOSTO dalla religione cristiana stessa, tuttavia a ben guardare si tratta di qualcosa di assurdo, come di una violenza al cuore umano. Essendo l'amore un sentimento, dire "devi amare" non ha senso, perché io posso anche non provare assolutamente questi sentimenti verso l'umanità e quindi non mi pare giusto che venga imposto a tutti, senza tener conto delle disposizioni della persona. Una persona che ad esempio ha visto nel prossimo cattiveria, egoismo, manipolazione, ovviamente non è disposta ad amare l'umanità e non è giusto forzarla in tal senso, oppure sbaglio? Trovate anche voi molto "fastidiosa" questa tendenza del Cristianesimo ad imporre sentimenti e stati d'animo, anche se sono socialmente utili?
Sono d'accordo con te.
L'errore del cristianesimo - a mio avviso - sta nel voler perseguire contemporaneamente due vie poco compatibili:
- la via della morale, rivolta al Bambino, affinché si comporti in modo adeguato e possa stare in una Civiltà pacifica
- la via della liberazione, rivolta all'Adulto, affinché possa prendersi la responsabilità della sua Vita e trasportare il peso che la libertà porta con sé, essere presente al 100%
Per il mio modo di vedere le cose, Gesù è sintonizzato sulla 2°, sul superamento della Legge e sull'assunzione della responsabilità in modo attivo, mentre la Chiesa è maggiormente sintonizzata sulla 1°, sul contenimento del Caos in favore dell'Ordine.
Il tuo post mi ha fatto venire in mente le parole di Jung:
Il "tu devi", pertanto è una specie di prigione in cui le persone si attengono a una determinata norma, ma pensano in continuazione: "Se potessi liberarmi di quella norma, Dio solo lo sa quel che farei!". Non sapranno mai che cosa farebbero, se fossero liberi.Senza libertà non c'è moralità, non può sussistere una decisione morale. C'è moralità solo quando sei in grado di scegliere, e se sei costretto, non sei in grado di scegliere.
Citazione di: ricercatore il 25 Agosto 2022, 17:48:36 PML'errore del cristianesimo - a mio avviso - sta nel voler perseguire contemporaneamente due vie poco compatibili:
- la via della morale, rivolta al Bambino, affinché si comporti in modo adeguato e possa stare in una Civiltà pacifica
- la via della liberazione, rivolta all'Adulto, affinché possa prendersi la responsabilità della sua Vita e trasportare il peso che la libertà porta con sé, essere presente al 100%
Per il mio modo di vedere le cose, Gesù è sintonizzato sulla 2°,
E perché poco compatibili? Sono vie consequenziali indirizzate a differenti livelli di coscienza, come dici tu, appunto, la coscienza del bambino è quella della persona matura.
Anche in termini storici possiamo considerare la via della morale che caratterizza l'ebraismo che viene rinnovata dalla via della liberazione di Gesù. Poi certo nella chiesa trovi sia l'una che l'altra visto che ha a che fare con soggetti di tipo differente.
Se devi andare dal punto A al punto B è necessario seguire un percorso. Quel percorso è l'amore. Però non si può amare strumentalmente. È il contrario. Cioè bisogna imparare ad amare e poi, naturalmente, si andrà dal punto A al punto B.
Citazione di: anthonyi il 25 Agosto 2022, 18:55:41 PME perché poco compatibili? Sono vie consequenziali indirizzate a differenti livelli di coscienza, come dici tu, appunto, la coscienza del bambino è quella della persona matura.
Anche in termini storici possiamo considerare la via della morale che caratterizza l'ebraismo che viene rinnovata dalla via della liberazione di Gesù. Poi certo nella chiesa trovi sia l'una che l'altra visto che ha a che fare con soggetti di tipo differente.
La tua obiezione mi sembra corretta: le due vie sono vie consequenziali.
La mia percezione di "incompatibilità" è data dal fatto che le due vie sono in carico ad una stessa entità (la Chiesa), che è più proiettata verso la via della morale, lasciando davvero poco spazio alla via di liberazione.
Se penso alla Chiesa, penso infatti al dogma, al peccato, ai comandamenti: è qualcosa di granitico, rigido, protettivo.
Se penso a Gesù, penso invece al fatto che il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo.
Io credo che non ci siano proprio UGUALI dal punto di vista di rapimento mistico da cui parla Gesu' , ma solo SIMILI, quindi l'amore per il simile e' reale e possibile, l'amore per l'uguale e' -semplicemente- impossibile.
Uno sguardo non egoico sul mondo, in generale restituisce la visione di un mondo intrinsecamente fatto, intrinsrcamente composto, di simili e non di eguali: proprio perche' ogni cosa e' assolutamente unica e irripetibile nello spazio e nel tempo, proprio perche' ogni cosa e' parte dell'assoluto, ogni cosa non puo' corrispondere a se stessa, non puo' essere identitariamente "sdoppiata", nemmeno al fine ultimo
auto-amarsi, e deve "salvarsi" nell'amore delle altre cose, o di almeno una delle altre cose.
In senso piu' orientaleggiante, potremmo dire che il simile e' cio' che (in natura e nel fondo piu' irriducibile della realta') c'e', e il "saggio" ama cio' che c'e' , viceversa l'uguale e' cio' che NON c'e', e il saggio non manda in vacca la sua vita per tentare disperatamente di amare cio' che non c'e', anzi se ne guarda bene.
Al di la' del discorso sulla salvezza, siamo davanti a un discorso che anche a livello immanente contrappone felicita' a principio di individuazione, felicita' a sofferenza e causa ultima della sofferenza.
Tutti i rapporti tra tutti gli enti del mondo compresi quelli su cui si struttura l'autopercezione sono diventati di similitudine e non di uguaglianza, insomma il mistico perso nell'amore ama il prossimo ANCHE quando ama se stesso, perche' non ha piu' un VERO se stesso da amare.
Il COME qui e' l'introduzione "forte" e "reale" della figura retorica della similitudine e il sostituto multiforme e vario di quanto si riconosce a buona ragione COME perduto per sempre e non rimpianto (l'amore per se stessi inteso come auto-amore); non rimpianto in quanto validamente SOSTITUITO dagli infiniti come del COME, dagli infiniti analoghi del perduto te stesso; insomma un "come" che indica l'analogia e la fungibilita' infinita di un mondo dove l'amore si espande e non ripete se stesso, e non e' fermo in se stesso.
Amate se stessi qui non e' denunciato come mediocre e banale, ma come e' impossibile. Come potrei amarmi se sono unico?
E' la solitudine (di Dio e dell'uomo) qui che fa problema.
Il "come" dell'ama il prossimo tuo come te stesso non ereticamente cosi' reinterpretato a mio modesto giudizio e' idiota sia come psicoemotivita' che come benevolenza/teologia: non si puo' comandare per autorita' di amare qualcosa o qualcuno in particolare (piuttosto ognuno ama cio' che vuole, in un'etica delle intenzioni, o cio' che il suo sapere lo porta ad amare, in un'etica intellettualistica) e il comandamento "tronco" di "amare"-e basta- senza oggetto nel seno di amare "tutto" riprende il comandamento naturale e gius-naturale di essere felici e perseguire il piacere è non il dolore, di per se senza aggiungervi nulla: e' solo se si contrappone felicita' a individuazione che il 'come te stesso" diviene oggetto sensato, ma lo diviene solo nella "perdita", di un reale "te stesso".
La regola d'oro dell'amore del prossimo è presente in molte culture religiose e costituisce il collante fondativo di ogni setta o, mitigata in forne più pragmatiche, sodalizio umano. Cominciando dal più biologico, la famiglia riproduttiva. Per una religione universalistica il prossimo è ogni umano, estendibile con gradualità, più o meno estatica, ad ogni oggetto del creato (cantico delle creature). Al di là delle aporie individuabili in tale dottrina, essa è consistente sia sul piano razionale che teologico. Nel cristianesimo, oltre alla matrice redentiva del popolo eletto, e dell'uscita platonica dalla caverna, vi fu quel potente motore propulsivo della liberazione dalla schiavitù, segnato profondamente dalla recente vicenda spartachista, che rese assai poco indulgenti i dominatori romani (la crocefissione) contro chiunque parlasse di liberazione, senza tanto entrare nelle sottigliezze teologiche del presunto redentore.
Ma in breve il virus passò dagli schiavi ai padroni, attraverso le elite intellettuali neoplatonizzate, usando l'amore (fratello, sorella, figli di un unico Padre celeste) come collante di questa imponente riconversione storica. Vi fu chi vide l'altra faccia oscura, totalitaria, dell'ideale monoteistico, ma ormai il dado era stato tratto.
E, sull'onda dell'entusiasmo, ci si rese conto dell'inganno, al netto dei tamponamenti della fede e dell'autorità, solo quando i "fratelli" ripresero a scannarsi tra loro; con motivazioni storicamente inedite per il mondo classico, presenti in nuce nell'apporto ebraico: l'argomento teologico.
L'errore logico di confondere similitudine e uguaglianza mi pare troppo "sottile" per poter resistere alla perforazione della fede. La quale ha sempre un carattere alienante anche quando viene riposta nelle divinità secolari, come la Scienza.