il titolo di questo argomento non e' forse dei migliori,mi sembra tuttavia,che parecchie persone abbiano l'angoscia di dover morire un giorno.
sicuramente saro' strano io ma francamente non riesco a capirlo.
ma che cose' che spaventa così tanto,forse l'idea che dopo non vi sarà altro che il nulla?!
ma se vi fosse il nulla assoluto come potrebbe esserci qualcosa?...non può certo venire dal nulla,o tornarci!
quindi e' evidente che il nulla non può esistere (il che già dire che esiste il nulla,la dice lunga sull'enorme contraddizione)
possibile che non si riesce ad andare,non dico tanto,ma almeno un briciolo,oltre i nostri sensi fisici e mentali?
Perchè i sensi negano, ma la ragione no.
La morte ci appare assurda come contraddizione per antonomasia.
Ma come, sono quì, nato in uno spazio tempo, relaziono con genitori, insegnanti, amici, parenti, figli,gioisco e mi addoloro e alla fine la morte mi appare nelle spoglie mortali di qualcuno che conosco, con cui ho condiviso pensieri
e sentimenti che credeva,s'innamorava e ora tutto finisce dissolto .Pensieri, sentimenti, vissuti diventano pagine per ogni individuo che pian piano ingialliscono fino a sparire dal'orizzonte del mondo,
Dimenticati nell'oblio, quando l'attimo per attimo invece era intriso di fiducie, speranze, ansie, felicità
Oltre alla paura fisica che l'istinto di sopravvivenza chiama a resistere con la nostra vitalità è l'assurdo del
contraddittorio fra ragione attraverso i sensi nel dominio del sensibile e ragione del pensiero concettuale.
Anche se sulla morte, una mia considerazione è che alla fine lasciamo la presa mentalmente, stanchi di vivere,per mille motivi. Perchè ci sentiamo di peso, perchè la mente si stacca dal corpo non è più unita al medesimo intento istinto di sopravvivenza e ragione di vivere.ma queste forse sono altre considerazioni.ma spesso siamo noi umani
che molliamo la presa. E' l'ultimo atto contraddittorio fra corpo fisico e anima spirituale e finalmente l'essenza del corpo che è la sua esperienza del vissuto si riconduce a tutto il senso della propria esistenza che sono le relazioni,Sono gli affetti soprattutto, i nostri pensieri reconditi che tornano allo spirito che iniziò la propria esistenza incarnandosi in un corpo fisico, vale a dire l'inizio della contraddizione fra spirito eterno e corpo in divenire, fra il finito e determinato e l'eterno spirtuale. Ma dobbiamo compierlo perchè questo è l'orizzonte definito destino.
Quindi è giusta quella paura è giusta la contraddizione, affinchè il viatico della propria esistenza raccolga essenze dal mondo sensibile e i sensi dal mondo spirituale e li riunisca.
Noi siamo l'incarnazione di una contraddizione in termini e la morte è l'assurdo che ci appare.
La paura di morire è legata all'istinto naturale, allo spirito della bestia ;D che ci compone, si potrebbe dire che è sovrapersonale, che ci accomuna a tutte le specie viventi. Non appena però la sofferenza fisica ( o morale) diventa insopportabile questo legaccio si allenta e allora l'oblio non appare più come un pozzo nero che ci inghiotterà,ma piuttosto una "porta d'uscita" dal dolore, divenuto ora intollerabile; la porta d'uscita verso una dimensione ( qualunque essa sia , anche il non esserci più) che ci sottrae finalmente a questo. Il desiderio di vivere è legato molto allo stato di salute e, se il dolore fisico è insopportabile, questo anelito si affievolisce, per infine sparire. Ricordo la mia povera nonna che, al mattino, dopo una terribile notte passata tra i tormenti, mi disse:- Sari ( :) ) non mi importa dove andrò ma...voglio morire prima di sera, non posso sopportare un'altra notte simile. non ce la faccio,,,- ( è poi deceduta nel primo pomeriggio).
Se parliamo di oblio poi, dobbiamo considerarlo come un'esperienza costante del nostro vivere. Tutti i giorni e tutte le notti facciamo esperienza di stati d'oblio. Oblio temporaneo certo , ma pur sempre oblio. Nel sonno profondo senza sogni, nei ricordi che dimentichiamo, in tutti quei momenti in cui non ci siamo, non possiamo ricordarci di noi, non abbiamo coscienza di esser-ci.
Sappiamo che non è uno stato doloroso. Sappiamo che tutto prosegue anche se non ci siamo con la coscienza. Sappiamo che il nostro corpo continua a trasformarsi anche nell'oblio di sè. Sappiamo che anche dopo la fine delle funzioni vitali, questo stesso corpo continuerà a trasformarsi ( in humus, gas, ecc.), che la morte è una parola che riguarda solamente il pensiero.
E' l'Io che vuole durare in eterno, La faccenda non riguarda il corpo che prosegue tranquillo la sua corsa di trasformazione. Tra l'altro al corpo sembra che non importi nulla di quanta sofferenza può arrecare all'ospite che lo abita , il signor Io. Il problema è che il signor Io è una personalità alquanto confusa: non sa quello che vuole, non sa da dove viene, non sa dove finirà e allora se lo immagina in mille modi fantasiosi,non sa se è dentro il corpo o se è fuori ( si accorge che è dentro perchè finisce per desiderare sempre di soddisfare il suo vettore, gli sembra di essere fuori quando usa la ragione per darsi una spiegazione di quello che vede intorno). Mi sembra che, come un fabbro monco non può battere il martello sull'incudine, così il Signor Io non può sperare di continuare ad esserci quando quello che lo compone, il ricordo, se ne andrà con la trasformazione chiamata vecchiaia e infine con la traformazione in concime del proprio cervello. Se qualcosa di eterno è in noi e sopravviverà alla trasformazione, non sarà il povero signor Io e con lui, nel non-doloroso e non-piacevole oblio, se ne andranno i suoi ricordi, le sue gioie , i suoi tormenti.
Se, per fede e solo per fede, qualcuno ritiene che proprio il signor Io, questo irresponsabile vanesio e pasticcione, sia in grado di vivere " in eterno" con tutti i suoi ricordi, dovrebbe porsi la domanda: -Ma lo voglio davvero?-
Se invece si pensa a cose come anima, atman, Super-Io, anima del mondo, energie cosmiche eterne e chi più ne ha più ne metta...beh mi sembra che stiamo parlando di un'altra cosa che poco ha a che fare con il signor Io, che esiste finchè esistono i suoi ricordi e poi...sprofonda per sempre nell'oblio! Perchè i ricordi sono come le nuvole in cielo: oggi ci sono e domani son sparite ( e non è per nulla scontato che questo sia un male, perchè molti, molti ricordi son troppo dolorosi e volentieri li lasciamo dileguarsi all'orizzonte...).
Citazionepaul scrive:
sono quì, nato in uno spazio tempo.
ed e' proprio perché siamo gettati in tale dimensione temporale che si prefigura la morte...nascita e morte,ma non ce nell'una e nell'altra,sono credo solo tras-formazioni e noi nel limite implicito di questa dimensione possiamo esperire (con i sensi) quelle.Citazionepaul scrive:
Perchè i sensi negano,ma la ragione no.
Citazionepaul scrive:
Noi siamo l'incarnazione di una contraddizione in termini
sono d'accordo!..il punto e' (secondo me) che i sensi sono illusione,ma la ragione no,perché questa e' "collegata" all'essenza eterna ed immutabile ed e' per questo che la morte non dovrebbe far paura.CitazioneSariputra scrive:
Se invece si pensa a cose come anima, atman, Super-Io, anima del mondo, energie cosmiche eterne e chi più ne ha più ne metta...beh mi sembra che stiamo parlando di un'altra cosa che poco ha a che fare con il signor Io, che esiste finchè esistono i suoi ricordi e poi...sprofonda per sempre nell'oblio!
e ti pare poco?!...finalmente (io dico) che l'IO sparisca per sempre nell'oblio!...MA e ad ogni modo,come già detto da prima,il nulla non può esistere...----------------io avrei anche un altra curiosità...mi sembra che per i cristiani la vita sia un dono...ma cosa ne pensano davvero i cristiani?..(se ancora ci sono)
:D
A me questo titolo fa pensare all'esperienza della vita a tempo, quando la sentenza di un medico ti dice: "Lei ha x mesi di vita." Allora hai tempo per riflettere sul tuo passato, perché pensi di non avere più un futuro. Negli altri casi, invece, la morte arriva senza preavviso, per cui non puoi aver paura di morire, e se ce l'hai vuol dire che c'è qualcosa di anomalo che ruota nella testa.
Tutti abbiamo la certezza che un giorno moriremo, ma l'incertezza istantanea ci permette di relegare il pensiero nello sgabuzzino della mente, soprattutto se siamo felici. Se invece siamo infelici, sofferenti, allora il pensiero della morte sopravviene, magari come una potenziale liberazione, in particolare per le sofferenze psichiche, quelle che ti prendono nel profondo.
** scritto da acquario69:
Citazioneio avrei anche un altra curiosità...mi sembra che per i cristiani la vita sia un dono...ma cosa ne pensano davvero i cristiani?..
Non solo la vita è una grazia, ma il senso della vita è donarla (a nostra volta!).
Per quel che riguarda la paura di morire, da cattolico, preferisco rispondere così:
"Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore". (1Gv 4, 18)
Ritengo impossibile dare una risposta a questa domanda ed anche difficile dire se sia un tema religioso, filosofico o psicologico.
Ciascun essere può avere le proprie motivazioni o addirittura non aver paura di morire.
Citazione di: acquario69 il 16 Agosto 2016, 13:38:56 PMe ti pare poco?!...finalmente (io dico) che l'IO sparisca per sempre nell'oblio!...MA e ad ogni modo,come già detto da prima,il nulla non può esistere... ---------------- io avrei anche un altra curiosità...mi sembra che per i cristiani la vita sia un dono...ma cosa ne pensano davvero i cristiani?..(se ancora ci sono)
Infatti è un errore equiparare l'oblio con il nulla. L'oblio, come cita il dizionario, è
Dimenticanza (non come fatto momentaneo, per distrazione o per difetto di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione dal ricordo). L'oblio dei ricordi determina lo svanire del signor Io , che è sostanziato di ricordi, ma non il nulla, infatti la vita prosegue indifferente nel suo processo continuo di trasformazione. Però attento acquario che , quando affermi "finalmente (io dico) che l'Io sparisca per sempre nell'oblio", è lo stesso Io ad auspicarselo, per sostituirlo con un altro Io, più raffinato e difficile da localizzare... ;D Vedi cosa siamo costretti a dire? IO spero che IO finisca finalmente!... Viviamo la contraddizione dell'osservatore che si sforza di osservarsi. Eppure è proprio questo, mi sembra, il punto nodale, l'inghippo. L'osservazione è il cuore della ricerca spirituale e si impara tanto dall'osservarsi...se tentiamo di farlo senza pre-concetti e pre-giudizi.Quello che noi chiamiamo convenzionalmente persona, e che pensiamo sia qualcosa di ben definito e sostanziale, non è altro che il mutevole e illusorio signor Io, in sella ai suoi ricordi, fatto da questi, che si identifica con questi. Quando questo cavallo...pardon ricordo, si sfianca nella corsa e cede, nell'avvenuta trasformazione chiamata vecchiaia o malattia, e se ne va, svanisce, allora anche il signor Io, senza nemmeno accorgersene, lo segue nell'oblio.E questo è un fatto comune, osservabile, sperimentabile da chiunque. La mia mamma che tanto teneramente mi amava ( volutamente al passato) adesso trema e sussulta al mio apparire, come fossi il peggior e più ostile estraneo. Il reset provocato dalla demenza ha nuovamente trasformato il suo signor Io in qualcos'altro, certo non è più l'Io di quella che chiamavo ( e ancora chiamo convenzionalmente) mamma. Quando parliamo di auto-coscienza la pensiamo "indipendentemente" dai ricordi? La pensiamo indipendente dal pensiero? E quando i ricordi e il pensiero se ne vanno...dove va l'autocoscienza?Senti cosa ne dice il Tasso: Ma 'l sonno, che de' miseri mortali È co 'l suo dolce oblio posa e quiete, Sopì co' sensi i suoi dolori.
Considerazioni in ordine sparso:
- Non si può conoscere (tantomeno esperire) la morte al punto da averne paura: la paura della morte è dunque la paura dell'Ignoto per eccellenza... una paura infondata (non si conosce davvero ciò che si teme), istintiva e, in fondo, ingenua (non è detto che la morte non sia un buon affare, soprattutto per i credenti... ;)).
- Che rapporto ha la morte con il nulla? Secondo me, solo il fatto di non poterne sapere nulla ;D
Quando parliamo di "finire nell'oblio" è perché non accettiamo davvero la morte di ciò che muore e dobbiamo/vogliamo mandarlo da qualche parte... ed ecco che, non potendo lasciarlo nel mondo, non volendo sbilanciarci in paradisi, inferni o universi paralleli, allora lo mandiamo nell'oblio (che è poco più di un'immagine poetica...).
E se invece non andasse da nessuna parte, proprio perché è morto e, quindi, non c'è nulla/nessuno che debba spostarsi o viaggiare?
- Il nulla è contraddittorio? Direi che anche l'eternità lo è, ma è molto più rassicurante, quindi ci sta simpatica e facciamo finta che sia perfettamente logica (se è un paradosso che il nulla "generi" qualcosa, non è anche altrettanto paradossale che qualcosa esista senza essere generato? Il vantaggio è che a questo qualcosa possiamo assegnare un'identità, mentre al nulla non possiamo darla, e sappiamo come logicamente l'uomo non possa prescindere dal concetto e dal principio di identità...).
- La morte come contraddizione? Se fosse davvero contraddittoria potrebbe realizzarsi costantemente, regolarmente e infallibilmente sin dall'alba dei tempi? Non sarebbe come ritenere contraddittorio che il sole sorga ad est e tramonti ad ovest... Talvolta rischiamo di scambiare per "contraddittorio" o "assurdo" solo ciò che non vogliamo/possiamo accettare, ma che, in sé, è estremamente verificabile ed affidabile: la morte degli altri esseri viventi dovrebbe essere differente dalla nostra solo perché siamo eretti e con il cervello grande? Intanto possiamo star certi che ci spegneremo come loro, nonostante le nostre conquiste, la nostra autocoscienza e la nostra fede... poi se c'è un "resto" dopo aver pagato il "conto" alla natura (anche qui nessuna contraddizione), lo vedremo quando toccherà a noi... per ora restiamo in fila alla "cassa" e cerchiamo di non litigare, che prima o poi tocca a tutti...
P.s. In breve: cosa c'è di contraddittorio o pauroso in un cambiamento di stato-condizione che non può essere esperito perché, plausibilmente, è lo "spegnersi" dell'esperire stesso?
Nei post di questo topic non appare il sostantivo "escatologia". Mi sembra che sia il contenitore adatto per le riflession i in merito.
CitazioneSariputra:
L'oblio dei ricordi determina lo svanire del signor Io , che è sostanziato di ricordi, ma non il nulla, infatti la vita prosegue indifferente nel suo processo continuo di trasformazione. Però attento acquario che , quando affermi "finalmente (io dico) che l'Io sparisca per sempre nell'oblio", è lo stesso Io ad auspicarselo, per sostituirlo con un altro Io, più raffinato e difficile da localizzare... ;D Vedi cosa siamo costretti a dire? IO spero che IO finisca finalmente!... Viviamo la contraddizione dell'osservatore che si sforza di osservarsi. Eppure è proprio questo, mi sembra, il punto nodale, l'inghippo. L'osservazione è il cuore della ricerca spirituale e si impara tanto dall'osservarsi...se tentiamo di farlo senza pre-concetti e pre-giudizi.
Quello che noi chiamiamo convenzionalmente persona, e che pensiamo sia qualcosa di ben definito e sostanziale, non è altro che il mutevole e illusorio signor Io, in sella ai suoi ricordi, fatto da questi, che si identifica con questi. Quando questo cavallo...pardon ricordo, si sfianca nella corsa e cede, nell'avvenuta trasformazione chiamata vecchiaia o malattia, e se ne va, svanisce, allora anche il signor Io, senza nemmeno accorgersene, lo segue nell'oblio.
E questo è un fatto comune, osservabile, sperimentabile da chiunque. La mia mamma che tanto teneramente mi amava ( volutamente al passato) adesso trema e sussulta al mio apparire, come fossi il peggior e più ostile estraneo. Il reset provocato dalla demenza ha nuovamente trasformato il suo signor Io in qualcos'altro, certo non è più l'Io di quella che chiamavo ( e ancora chiamo convenzionalmente) mamma. Quando parliamo di auto-coscienza la pensiamo "indipendentemente" dai ricordi? La pensiamo indipendente dal pensiero? E quando i ricordi e il pensiero se ne vanno...dove va l'autocoscienza?
e se anche non avessi rimarcato quell' (io dico) non sarebbe stato pur sempre e inevitabilmente sottointeso? non penso che l'identità si possa negare e credo che sia una condizione imprescindibile io credo che abbiamo un autocoscienza individuale ma al tempo stesso una coscienza universale o in termini più semplici l'io non e' qualcosa di isolato e separato,perché se fosse così non ci sarebbe nemmeno un iola prima e' passeggera,una modalità dell'essere che si manifesta,la seconda va oltre qualsiasi identificazione (prima,dopo,dentro,fuori,nascita e morte...) ma che comunque e' eternamente presente già in noi.CitazionePhil:
se è un paradosso che il nulla "generi" qualcosa, non è anche altrettanto paradossale che qualcosa esista senza essere generato?
secondo me invece e' logicamente coerente considerare che dal nulla non possa generarsi qualcosa di conseguenza e' altrettanto logico che Tutto esiste già di per se stesso,in termini diciamo simultanei...probabilmente e' la nostra mente che considera le cose in successione temporale (inizio,fine,nascita e morte) ed e' per questo che finiamo per avvertirlo in maniera paradossaleCitazioneDuc:
Non solo la vita è una grazia, ma il senso della vita è donarla (a nostra volta!).
Grazie per la tua risposta
Citazione di: acquario69 il 17 Agosto 2016, 03:55:28 AMCitazioneSariputra: L'oblio dei ricordi determina lo svanire del signor Io , che è sostanziato di ricordi, ma non il nulla, infatti la vita prosegue indifferente nel suo processo continuo di trasformazione. Però attento acquario che , quando affermi "finalmente (io dico) che l'Io sparisca per sempre nell'oblio", è lo stesso Io ad auspicarselo, per sostituirlo con un altro Io, più raffinato e difficile da localizzare... ;D Vedi cosa siamo costretti a dire? IO spero che IO finisca finalmente!... Viviamo la contraddizione dell'osservatore che si sforza di osservarsi. Eppure è proprio questo, mi sembra, il punto nodale, l'inghippo. L'osservazione è il cuore della ricerca spirituale e si impara tanto dall'osservarsi...se tentiamo di farlo senza pre-concetti e pre-giudizi. Quello che noi chiamiamo convenzionalmente persona, e che pensiamo sia qualcosa di ben definito e sostanziale, non è altro che il mutevole e illusorio signor Io, in sella ai suoi ricordi, fatto da questi, che si identifica con questi. Quando questo cavallo...pardon ricordo, si sfianca nella corsa e cede, nell'avvenuta trasformazione chiamata vecchiaia o malattia, e se ne va, svanisce, allora anche il signor Io, senza nemmeno accorgersene, lo segue nell'oblio. E questo è un fatto comune, osservabile, sperimentabile da chiunque. La mia mamma che tanto teneramente mi amava ( volutamente al passato) adesso trema e sussulta al mio apparire, come fossi il peggior e più ostile estraneo. Il reset provocato dalla demenza ha nuovamente trasformato il suo signor Io in qualcos'altro, certo non è più l'Io di quella che chiamavo ( e ancora chiamo convenzionalmente) mamma. Quando parliamo di auto-coscienza la pensiamo "indipendentemente" dai ricordi? La pensiamo indipendente dal pensiero? E quando i ricordi e il pensiero se ne vanno...dove va l'autocoscienza?
e se anche non avessi rimarcato quell' (io dico) non sarebbe stato pur sempre e inevitabilmente sottointeso? non penso che l'identità si possa negare e credo che sia una condizione imprescindibile io credo che abbiamo un autocoscienza individuale ma al tempo stesso una coscienza universale o in termini più semplici l'io non e' qualcosa di isolato e separato,perché se fosse così non ci sarebbe nemmeno un io la prima e' passeggera,una modalità dell'essere che si manifesta,la seconda va oltre qualsiasi identificazione (prima,dopo,dentro,fuori,nascita e morte...) ma che comunque e' eternamente presente già in noi. CitazionePhil: se è un paradosso che il nulla "generi" qualcosa, non è anche altrettanto paradossale che qualcosa esista senza essere generato?
secondo me invece e' logicamente coerente considerare che dal nulla non possa generarsi qualcosa di conseguenza e' altrettanto logico che Tutto esiste già di per se stesso,in termini diciamo simultanei...probabilmente e' la nostra mente che considera le cose in successione temporale (inizio,fine,nascita e morte) ed e' per questo che finiamo per avvertirlo in maniera paradossale CitazioneDuc: Non solo la vita è una grazia, ma il senso della vita è donarla (a nostra volta!).
Grazie per la tua risposta
Nell'affermare che il signor Io è illusorio non si intende che non esiste identità. L'identità esiste , ma non è eterna. E' semplicemente una cosa che nasce, muta, cambia e muore. Ossia è insostanziale e impermanente. Esiste in senso convenzionale ma non in senso ultimo. Può esistere ( o non esistere) un Io universale, eterno, anima del mondo, ecc. ma questo non cambia la storia, e la fine, del piccolo signor Io personale. Comunque acquario qui si scontrano due posizioni speculative che si fronteggiano da almeno 2500 anni. Usando la terminologia hindu possiamo definirle come la visione
atta e all'opposto quella
anatta dell'esistenza. La posizione atta (maggioritaria, religioni abramitiche, induismo, animismo, ecc.) vede l'Io come sostanziale, duraturo, autonomo. L'anatta (minoritaria, buddhismo e poco altro) lo vede transitorio, impermanente, insostanziale e interdipendente. Il mio Io convenzionale propende decisamente ( ma penso si sia capito...) per la minoritaria. Non per atto di fede ma bensì perchè mi sembra più vicina all'esperienza concreta della mia vita passata e presente. Ossia l'insostanzialità ultima delle cose e dell'Io, prima l'ho osservata e verificata in me stesso e poi sono andato ad approfondirla leggendo, riflettendo sui testi, ecc. Altrimenti perchè avrei scelto come nickname quello di Sariputra? :D :D
Citazione di: Sariputra il 17 Agosto 2016, 09:25:21 AMNell'affermare che il signor Io è illusorio non si intende che non esiste identità. L'identità esiste , ma non è eterna. E' semplicemente una cosa che nasce, muta, cambia e muore. Ossia è insostanziale e impermanente. Esiste in senso convenzionale ma non in senso ultimo. Può esistere ( o non esistere) un Io universale, eterno, anima del mondo, ecc. ma questo non cambia la storia, e la fine, del piccolo signor Io personale. Comunque acquario qui si scontrano due posizioni speculative che si fronteggiano da almeno 2500 anni. Usando la terminologia hindu possiamo definirle come la visione atta e all'opposto quella anatta dell'esistenza. La posizione atta (maggioritaria, religioni abramitiche, induismo, animismo, ecc.) vede l'Io come sostanziale, duraturo, autonomo. L'anatta (minoritaria, buddhismo e poco altro) lo vede transitorio, impermanente, insostanziale e interdipendente. Il mio Io convenzionale propende decisamente ( ma penso si sia capito...) per la minoritaria. Non per atto di fede ma bensì perchè mi sembra più vicina all'esperienza concreta della mia vita passata e presente. Ossia l'insostanzialità ultima delle cose e dell'Io, prima l'ho osservata e verificata in me stesso e poi sono andato ad approfondirla leggendo, riflettendo sui testi, ecc. Altrimenti perchè avrei scelto come nickname quello di Sariputra? :D :D
L'induismo fa la differenza fra
atman (l'io eterno, ovvero l' "anima spirituale" individuale di altre religioni) e
jivatman che è l'io cosciente ma anche inconscio (la "psiche" come si intende più o meno oggi) e questa differenza è assolutamente sensata e sussistente. l'Io cosciente è la somma delle nostre esperienze, dei nostri desideri, delle nostre passioni e insomma di tutto ciò che viene elencato come origine della sofferenza nella "seconda nobile verità", mentre atman è ciò che individualmente ci ricollega al "Sé" universale (
Brahman). Se appare evidente alla coscienza che noi ci riconosciamo attraverso la consapevolezza dell'ego e di tutto ciò che in esso è contenuto e possiamo inoltre indagare la nostra psiche per trovare in essa quanto vi è di inconsapevole, non si può prescindere dal fatto, a quanto pare meno comprensibile, che se possiamo fare tutto ciò è perchè "qualcosa" si occupa di consentircelo. Questo qualcosa è la connessione costante (attraverso l'atman) con ciò che consente la vita dell'universo di cui noi siamo un frammento indivisibile che se si rendesse indipendente da questo non potrebbe semplicemente esistere, e che gli induisti chiamano appunto Brahman. Se dunque Jivatman è sussistente finchè la creatura vive nella dimensione spazio-temporale (ed è quello che ci si occupa di limitare attraverso la consapevolezza conseguita nel percorso del nobile ottuplice sentiero che altro non è che un metodo psicologico come ad esempio lo Yoga), atman sussiste invece eternamente (ovvero al di fuori della dimensione spazio-tempo). Il concetto di anima nel cristianesimo è attualmente assai confuso poichè si è persa da secoli la distinzione fra "anima" e "spirito" che sarebbero gli equivalenti rispettivamente di jivatman e atman, tanto che qualche mistico occidentale parla di "fondo dell'anima" o di "punta dell'anima" per intendere l'atman senza negare la singolarità della stessa.
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2016, 11:20:00 AML'induismo fa la differenza fra atman (l'io eterno, ovvero l' "anima spirituale" individuale di altre religioni) e jivatman che è l'io cosciente ma anche inconscio (la "psiche" come si intende più o meno oggi) e questa differenza è assolutamente sensata e sussistente. l'Io cosciente è la somma delle nostre esperienze, dei nostri desideri, delle nostre passioni e insomma di tutto ciò che viene elencato come origine della sofferenza nella "seconda nobile verità", mentre atman è ciò che individualmente ci ricollega al "Sé" universale (Brahman). Se appare evidente alla coscienza che noi ci riconosciamo attraverso la consapevolezza dell'ego e di tutto ciò che in esso è contenuto e possiamo inoltre indagare la nostra psiche per trovare in essa quanto vi è di inconsapevole, non si può prescindere dal fatto, a quanto pare meno comprensibile, che se possiamo fare tutto ciò è perchè "qualcosa" si occupa di consentircelo. Questo qualcosa è la connessione costante (attraverso l'atman) con ciò che consente la vita dell'universo di cui noi siamo un frammento indivisibile che se si rendesse indipendente da questo non potrebbe semplicemente esistere, e che gli induisti chiamano appunto Brahman. Se dunque Jivatman è sussistente finchè la creatura vive nella dimensione spazio-temporale (ed è quello che ci si occupa di limitare attraverso la consapevolezza conseguita nel percorso del nobile ottuplice sentiero che altro non è che un metodo psicologico come ad esempio lo Yoga), atman sussiste invece eternamente (ovvero al di fuori della dimensione spazio-tempo). Il concetto di anima nel cristianesimo è attualmente assai confuso poichè si è persa da secoli la distinzione fra "anima" e "spirito" che sarebbero gli equivalenti rispettivamente di jivatman e atman, tanto che qualche mistico occidentale parla di "fondo dell'anima" o di "punta dell'anima" per intendere l'atman senza negare la singolarità della stessa.
Al di là della posizione e differenza fondamentale tra visione atta e anatta dell'esistenza, restando nel tema della discussione, cioè la paura della morte, non ci si può illudere che si sfugga a questa con la credenza in un Sè immortale che, dissolto il suo aspetto empirico di Jiva-atman, si fonde con il brahaman universale. Perchè è proprio la natura di jiva-atman a temere, per se stessa, la fine, o più poeticamente l'oblio, e se indaghiamo in profondità questa paura notiamo come costituisca in parte la natura stessa del jiva-atman, o Sè personale, illusorio,ecc.
La teoria dell'atman viene rifiutata dal Buddha perchè rientra nella concezione erronea della realtà che viene definita eternalismo. Questo consiste nel credere in una sostanza o entità permanente, concepita come identità individuali o molteplici anime, create o meno, oppure come una monistica anima del mondo, o come una divinità di qualsiasi tipo, o una salsa di queste nozioni.
Questo mondo, Kaccana, solitamente dipende da un dualismo: dal credere nell'esistenza o non-esistenza...Evitando questi due estremi, il Perfetto espone la dottrina di mezzo: le formazioni kammiche dipendono dall'ignoranza...Al cessare dell'ignoranza, le formazioni kammiche cessano...(Samyutta Nikaya, 12:15)
La dualità è tra eternalismo e nichilismo. Tra idea di durata eterna e quella di totale distruzione. Questi due punti di vista, che spesso convivono contradditoriamente in noi, si trovano d'accordo nel presumere qualcosa di fisso, di statico, che può essere permanente ( eternalismo) o impermanente (nichilismo). Questi due estremi peccano nel non vedere la vita come un flusso costante di processi materiali e mentali che si manifestano a causa di condizioni appropriate, un processo che può cessare solo al venir meno di queste condizioni.La meditazione diventa proprio la consapevolezza di questo flusso costante in noi e fuori di noi. Questo pensare in termini di contrapposizione concettuale tre esistenza e inesistenza ha un forte ascendente sull'uomo. Ha molte forti e robuste radici dentro di noi che affondano profondamente nella mente umana. La radice più forte è proprio quella di credere praticamente e teoricamente nell'esistenza del signor Io.. Alla base di tutte le numerose credenze eternalistiche c'è il potentissimo desiderio di preservare e perpetuare la personalità, in versione più o meno raffinata ( grossolana jiva-atman, raffinata atman). Perfino per le persone che hanno abbandonato il credo eternalistico ,il credere istintivamente all'unicità e all'importanza della propria personalità individuale è ancora così forte che esse ritengono che la morte, ovvero la fine della personalità, significhi un completo annullamento, ossia l'inesistenza. C'è poi la radice del linguaggio che alimenta queste due nozioni di esistenza e inesistenza, che è stettamente legata alla radice principale della credenza nel signor Io. La struttura del linguaggio umano ( soggetto e predicato, nome e aggettivo) tende a semplificare le frasi affermative e negative per rendere più facile la comunicazione e l'orientamento. Queste semplificazioni hanno esercitato una grande influenza ( molto sottile pure...) sul nostro modo di pensare, rendendoci predisposti a credere che "
l'esistenza di una parola determina l'esistenza della cosa da essa definita" (N.Thera).
E finisco il pistolotto citando ancora ( sperando di non annoiare troppo...)il principe Siddharta:
Una volta che un certo Monaco avvicinò il Beato, gli chiese: "Venerabile Signore, cosa si dovrebbe conoscere e sperimentare, per abbandonare una visione errata, per eliminare ogni falsa idea di un Sé permanente, per superare tutti i processi creati dall'Io? - Bhikkhu, quando si conosce e si sperimenta che ogni contatto visivo dell'occhio con le forme è impermanente, che le sensazioni che sorgono dal contatto visivo sono impermanenti, si capisce l'idea che "Questo è mio", "Questo sono io" deve essere superata, eliminata e abbandonata completamente.All'obiezione immediata che vien da fare: -Chi è che abbandona l'idea "questo è mio", "Questo sono io"? Che si sottintende osservi tutto il processo ( e qui siam tutti pronti a urlare:"E' l'anima, l'atman eterno...) si dovrebbe, secondo me , rispondere: " Al cessare dell'ignoranza, le formazioni karmiche cessano e appare prajna ( la saggezza o l'intelligenza, la conoscenza).Ma stiamo attenti, chè il signor Io, sempre molto presuntuoso, proverà a dirci ancora: "...Psss...psss. ascolta, sono Io la prajna e...sono eterno, o forse no, ma intanto ci sono... ::) ::) ::)
La morte fa paura perché noi vogliamo vivere, vivere e ancora vivere. E' questione di DNA e non solo di DNA. E cosa è vivere? Vivere è aver coscienza delle cose. E, allo stato attuale, la morte promette l'annientamento dell'io cioè dell'aver coscienza delle cose.
A noi non ci turberebbe più di tanto un passaggio di stato. Non so, risvegliarsi in chissà quale consapevolezza e cominciare a pensare: "caspita non sento più il freddo e il caldo." "Non vedo più, non sento ma....non so come mai ma percepisco!" E via così alla scoperta del nuovo stato........
Se viceversa si ipotizza la disintegrazione di ogni nostro stato e si ha il coraggio di spingere la fantasia, il pensiero in profondità, allora si avvertirà una sorta di pazzia. Nel senso della furiosa ribellione a questa ipotesi e della non accettazione di questa possibilità. Per il semplice fatto che siamo destinati alla vita, alla gioia.
E per non lasciarvi con la morte nel cuore :P :o 8) ;) vi suggerisco questo argomento di riflessione: se ho sete c'è l'acqua; se ho fame c'è il cibo, se ho bisogno di dormire c'è il sonno, se ho bisogno di eternità.......
Peculiarità dell'uomo è che la paura della morte e, correlativamente, l'attaccamento alla vita, non è mai per lui un'esigenza assoluta ma condizionata. A nessuno di noi basta vivere, cerchiamo anche delle ragioni per vivere. Esiste anche per noi l'istinto di sopravvivenza ma non ci riduciamo a questo. Se così non fosse come spiegare il suicidio? Ecco, potremmo dire che l'uomo è l'unico animale che si suicida. E quindi l'intensità con cui la morte è prospettiva angosciosa e la vita reputata degna di essere vissuta è determinata da condizioni stabilite individualmente. Ciascuno di noi riconosce un complesso di significati differente tra individuo e individuo in base a cui attribuire un valore alla vita, significati identificabili con gli affetti familiari, le amicizie, il successo professionale, lo studio, la militanza politica, religiosa... senza questi significati il nulla diviene quasi una prospettiva se non piacevole quantomeno confortante nei confronti di una fatica dI un vivere insensato (sto ipotizzando, fortunatamente per ora non mi sono mai trovato in una condizione esistenziale così estrema...). Comunque, all'uomo non è sufficiente vivere per il vivere, ha bisogno di valorizzare la sua vita con dei significati, e questa cosa la chiamo "spiritualità". Riguardo alla differenza tra "anima" e "spirito" chi in questa discussione è stata accennata, direi che mentre in ogni forma di vita c'è anima, anche nelle piante e negli animali, nell'uomo quest'anima si configura come anima propriamente spirituale. In questo senso, lo spirito trascende l'istinto di autoconservazione, pone condizioni ad esso.
Ora, se da un lato questa richiesta di senso che lo spirito pone alla vita presuppone che tale spirito conduca l'Io al di là del proprio particolarismo individuale conducendolo a riconoscere una sfera di valori universali che utilizziamo per giudicare il nostro benessere esistenziale , definire una gerarchia tra i valori che ho citato prima (la famiglia, l'amicizia, la conoscenza, il lavoro, la bellezza, la giustizia sociale ecc) e il livello di coerenza della nostra vita rispetto a tale gerarchia dall'altro è anche vero che tale porre condizioni alla vita esalta la personalità individuale e l'unicità del singolo: mentre l'istinto di sopravvivenza è qualcosa che accomuna ogni esistenza, le condizioni valoriali per le quali la vita ha un valore le stabilisce liberamente l'Io individuale: ciò che rende per me la vita degna d'essere vissuta non è lo stesso per altri. Quindi non riesco a vedere la spiritualità come qualcosa di impersonale, una totalità informale dove il così tanto ingiustamente vituperato Io dovrebbe annullarsi, ma trovo che proprio quanto più l'Io appartiene a sè stesso quanto più si spiritualizza, nella mistica, nell'introspezione, nelle situazioni in cui l'Io abbandona il dispersersi nell'esteriorità e, agostinianamente, "rientra in sè stesso" e arriva a una conoscenza più profonda della propria identità soggettiva e da questo fondo della propria anima sa riemergere con più consapevolezza dei valori che per lui sono più importanti per dare un significato all propria vita ed effettuare scelte coerenti. Lo spirito ci porta verso l'universalità, ma questa è universalità è formale, una forma che si riempie di un contenuto dato dalla differenti personalità dei singoli individui. Dico, un pò provocatoriamente: ha poco senso chiedersi perchè l'uomo, inteso nella sua generalità ha paura di morire, più che altro ha senso chiedere perchè QUEST'uomo, diverso dagli altri, ha paura di morire, cos'è che lo porta a ritenere la sua vita degna di essere vissuta?
Citazione di: Freedom il 17 Agosto 2016, 22:34:32 PMLa morte fa paura perché noi vogliamo vivere, vivere e ancora vivere. E' questione di DNA e non solo di DNA. E cosa è vivere? Vivere è aver coscienza delle cose. E, allo stato attuale, la morte promette l'annientamento dell'io cioè dell'aver coscienza delle cose. A noi non ci turberebbe più di tanto un passaggio di stato. Non so, risvegliarsi in chissà quale consapevolezza e cominciare a pensare: "caspita non sento più il freddo e il caldo." "Non vedo più, non sento ma....non so come mai ma percepisco!" E via così alla scoperta del nuovo stato........ Se viceversa si ipotizza la disintegrazione di ogni nostro stato e si ha il coraggio di spingere la fantasia, il pensiero in profondità, allora si avvertirà una sorta di pazzia. Nel senso della furiosa ribellione a questa ipotesi e della non accettazione di questa possibilità. Per il semplice fatto che siamo destinati alla vita, alla gioia. E per non lasciarvi con la morte nel cuore :P :o 8) ;) vi suggerisco questo argomento di riflessione: se ho sete c'è l'acqua; se ho fame c'è il cibo, se ho bisogno di dormire c'è il sonno, se ho bisogno di eternità.......
Eh...caro Freedom, che "siamo destinati alla vita e alla gioia" se lo dice sempre il signor Io, mica lo dice la vita stessa che anzi, mi sembra ci dica tutto il contrario. Il fatto che l'Io non apprezzi per niente l'idea di dover scomparire non è una prova che sicuramente non scomparirà. Il ragazzo, per così dire, " se le suona e se le canta",e lo deve fare di necessità, perchè è proprio convincendosi di questo che si alimenta e alimenta l'illusoria idea di esistere come una cosa sostanziale e autonoma. La furiosa ribellione che proviamo dimostra solo che il signor Io teme come la peste solo l'idea stessa di scomparire ( e la cosa è perfettamente naturale direi...e assai poco mistica visto che l'energia che alimenta questa ribellione non è altro che la Paura). E per lasciarvi proprio con la morte nel cuore ( anzi nell'Io...) capovolgo la tua riflessione e la metto così: se ho sete non sempre trovo l'acqua; se ho fame spesso il cibo scarseggia e devo combattere con altri per guadagnarmelo; se ho bisogno di dormire l'insonnia mi agita o i dolori non mi lasciano riposare, se ho bisogno di eternità...c'è il signor Io che mi convince a posticiparla il più possibile ;D ;D ;D perchè anche il ragazzo è tormentato dai dubbi...
Citazione di: davintro il 17 Agosto 2016, 23:00:07 PM
Quindi non riesco a vedere la spiritualità come qualcosa di impersonale, una totalità informale...
Lo spirito ci porta verso l'universalità, ma questa è universalità è formale, una forma che si riempie di un contenuto dato dalla differenti personalità dei singoli individui.
credo innanzitutto che non sia corretto dire che lo spirito "ci porta" (come ad intendere un movimento direzionale) perché lo spirito trascende (il concetto stesso) di spazio-tempo inoltre, lo spirito al pari dell'universo,come puo avere una forma?l'universo (uni-verso) essendo uno,non puo avere parti,essendo queste cio che costituisce la forma,e del resto va da se che non si può nemmeno de-finire,essendo infinito (cioè senza forme) usando i tuoi stessi termini..se..come dici tu,il contenuto (che mi pare indichi come spirito) riempie la forma (cioè l'individuo) allora e' l'individuo ad essere formale ma non lo spirito,percio tutte le differenti forme avranno la stessa,unica ed identica essenza (cioè lo spirito) che come detto all'inizio e' UNO/Tutto (e in un certo senso -analogico- si puo percio dire che non e' lo spirito ad essere contenuto in un corpo,ma il contrario)...anche se,ed indipendentemente dal fatto che,molti o se lo negano,o non se ne accorgono nemmeno
** scritto da Freedom:
CitazioneLa morte fa paura perché noi vogliamo vivere, vivere e ancora vivere. E' questione di DNA e non solo di DNA. E cosa è vivere? Vivere è aver coscienza delle cose. E, allo stato attuale, la morte promette l'annientamento dell'io cioè dell'aver coscienza delle cose.
Certo, forse la paura di morire è quell'intima consapevolezza di non avere più coscienza, ma, in tanti, proprio in virtù di non aver osato il distacco dalla religiosità alla spiritualità, credo che abbiano paura di morire per un eventuale giudizio posteriore, il quale, se seguisse i canoni, li incontrerebbe più che condannabili; e quest'ultimo è il principio che genera questa riflessione:
"Chi non segue Gesù per timore di soffrire come lui, allo stesso modo non vivrà (sopravvivrà aggiungo io)
per paura di morire". (Quindi senza accorgersene si è già morti, già si esiste con tanta paura)
Citazione di: acquario69 il 18 Agosto 2016, 07:15:52 AM
Citazione di: davintro il 17 Agosto 2016, 23:00:07 PMQuindi non riesco a vedere la spiritualità come qualcosa di impersonale, una totalità informale... Lo spirito ci porta verso l'universalità, ma questa è universalità è formale, una forma che si riempie di un contenuto dato dalla differenti personalità dei singoli individui.
credo innanzitutto che non sia corretto dire che lo spirito "ci porta" (come ad intendere un movimento direzionale) perché lo spirito trascende (il concetto stesso) di spazio-tempo inoltre, lo spirito al pari dell'universo,come puo avere una forma? l'universo (uni-verso) essendo uno,non puo avere parti,essendo queste cio che costituisce la forma,e del resto va da se che non si può nemmeno de-finire,essendo infinito (cioè senza forme) usando i tuoi stessi termini..se..come dici tu,il contenuto (che mi pare indichi come spirito) riempie la forma (cioè l'individuo) allora e' l'individuo ad essere formale ma non lo spirito,percio tutte le differenti forme avranno la stessa,unica ed identica essenza (cioè lo spirito) che come detto all'inizio e' UNO/Tutto (e in un certo senso -analogico- si puo percio dire che non e' lo spirito ad essere contenuto in un corpo,ma il contrario) ...anche se,ed indipendentemente dal fatto che,molti o se lo negano,o non se ne accorgono nemmeno
Ci sono alcuni equivoci che provo a chiarire, colpa mia, non sono stato abbastanza chiaro...
L'idea che lo spirito ci "porti" da qualche parte va inteso in senso metaforico, non letterale. Come dici giustamente lo spirito trascende lo spazio e il tempo, perchè non è una realtà fisica che come un treno o un autobus ci trasporta verso qualche luogo fisico.. Il portare va visto come una "spinta" motivazionale attraverso cui la persona orienta il suo pensiero e la sua azione concreta verso degli oggetti. Poi è anche vero che lo spirito umano si riferisce ad una realtà che ha anche un corpo e dunque è interno a una spaziotemporalità. Quindi lo spirito nel determinare le mie azioni favorisce necessariamente anche un movimento nello spazio. Non mi riferivo all'universo nel senso comune del termine, parlavo di universalità, non di universo... Questa universalità la vedo come una forma, una modalità d'essere. In quanto soggetto spirituale elaboriamo dei riferimenti valoriali in base a cui attribuiamo un senso alla vita e compiamo delle scelte coerenti. L'universalità è forma perchè non mi dice di per sè nulla in cosa consistono questi riferimenti. Ogni singolo individuo stabilisce il loro quid, i valori personali che per esso sono più importanti, la famiglia, il lavoro, l'amicizia ecc. ma una volta stabiliti questi valori divengono universali perchè sono criteri che ciascuno assume come validi per tutte le situazioni, criteri regolativi delle nostre valutazioni morali. Se per uno il valore in assoluto più importante sarà la famiglia questo valore diverrà il criterio universale, cioè assoluto in base a cui agire e riconoscere un senso alla propria esistenza ma è lui in quanto singolo ad aver stabilito così. Forma e contenuto non vanno intesi in senso letteralmente spaziale, non è che gli individui "riempiono" una totalità fisica come l'universo (o meglio non è a questo che mi riferivo) ma come una distinzione concettuale. L'universalità è la forma, il modo con cui intendo i valori per me più importanti della vita, ma in cosa concretamente consisitono (il contenuto) questi valori lo stabilisce l'individuo, l'individuo riconosce come valido universalmente qualcosa che lui a partire dalla sua particolarità personale stabilisce come punti di riferimento esistenziale. Lo spirito non è solo forma e non è solo contenuto, è la dinamica che porta la persona a rapportarsi in questo modo all'esistenza
Citazione di: davintro il 18 Agosto 2016, 15:45:13 PM
Ci sono alcuni equivoci che provo a chiarire, colpa mia, non sono stato abbastanza chiaro...
L'idea che lo spirito ci "porti" da qualche parte va inteso in senso metaforico, non letterale. Come dici giustamente lo spirito trascende lo spazio e il tempo, perchè non è una realtà fisica che come un treno o un autobus ci trasporta verso qualche luogo fisico.. Il portare va visto come una "spinta" motivazionale attraverso cui la persona orienta il suo pensiero e la sua azione concreta verso degli oggetti. Poi è anche vero che lo spirito umano si riferisce ad una realtà che ha anche un corpo e dunque è interno a una spaziotemporalità. Quindi lo spirito nel determinare le mie azioni favorisce necessariamente anche un movimento nello spazio. Non mi riferivo all'universo nel senso comune del termine, parlavo di universalità, non di universo... Questa universalità la vedo come una forma, una modalità d'essere. In quanto soggetto spirituale elaboriamo dei riferimenti valoriali in base a cui attribuiamo un senso alla vita e compiamo delle scelte coerenti. L'universalità è forma perchè non mi dice di per sè nulla in cosa consistono questi riferimenti. Ogni singolo individuo stabilisce il loro quid, i valori personali che per esso sono più importanti, la famiglia, il lavoro, l'amicizia ecc. ma una volta stabiliti questi valori divengono universali perchè sono criteri che ciascuno assume come validi per tutte le situazioni, criteri regolativi delle nostre valutazioni morali. Se per uno il valore in assoluto più importante sarà la famiglia questo valore diverrà il criterio universale, cioè assoluto in base a cui agire e riconoscere un senso alla propria esistenza ma è lui in quanto singolo ad aver stabilito così. Forma e contenuto non vanno intesi in senso letteralmente spaziale, non è che gli individui "riempiono" una totalità fisica come l'universo (o meglio non è a questo che mi riferivo) ma come una distinzione concettuale. L'universalità è la forma, il modo con cui intendo i valori per me più importanti della vita, ma in cosa concretamente consisitono (il contenuto) questi valori lo stabilisce l'individuo, l'individuo riconosce come valido universalmente qualcosa che lui a partire dalla sua particolarità personale stabilisce come punti di riferimento esistenziale. Lo spirito non è solo forma e non è solo contenuto, è la dinamica che porta la persona a rapportarsi in questo modo all'esistenza
grazie per averlo chiarito,e' evidente che l'equivoco e' stato anche il mio.sui valori ritengo che si debba partire sempre da un principio fondante (essenziale Ed unico) che poi regolerebbe e si rifletterebbe su quelli individuali,se pure nelle sue diverse forme,allora credo che anche la morte stessa ritroverebbe il suo "posto" e il senso senza suscitare particolare paura.e secondo me da qui il discorso potrebbe proseguire ma e' chiaro che tutto cio e' pressoché agli antipodi per come viene considerato attualmente
Buon giorno a tutti, abbiamo cosi' paura della morte perche' non la conosciamo, ci sono stati dati molti insegnamenti ma non abbiamo nessun tipo di esperienza al riguardo, se non nelle vite passate.
Come saremo in grado di affrontare la morte, secondo me, dipende dal 'lavoro' su noi stessi che abbiamo fatto in vita,una ricerca spirituale che riguarda vita-morte come processi indissolubili.
Anch'io penso che solo iniziando a morire a noi stessi, al nostro EGO -personalita' ,attraverso l'introspezione, frantumiamo a poco a poco ogni identificazione con i vari personaggi che interpretiamo nella vita,
quando si entra in questo tipo di ricerca e' necessario creare un 'Testimone' , come se osservassimo noi stessi da 'fuori', questo testimone e' necessario perche' crea un supporto a cui fare riferimento quando non c'e' piu' un riferimento egoico , e' il rifugio nella verita', nell'amore per il tutto che ci permette di non venire assorbiti da ogni energia che passa..... Cosi' sei come il fiore di loto, non piu' condizionato dalla realta' fenomenica. Gli insegnamenti dicono che solo cosi' puoi vincere la morte, perche' se la morte e' trasformazione, a questo punto non hai piu' niente in cui trasformarti,ed essendo in pace non hai piu' paura. Hai vinto te stesso e hai vinto la morte, sei gia' morto a te stesso prima di morire!!!
Questo insegna il Buddhismo e infondo anche il Cristianesimo nella sua essenza. Cristo dice: 'Io e il Padre siamo UNO' .
Per quanto riguarda la mia esperienza personale di contatto con persone morenti, per lavoro fin da giovane ho avuto possibilita di fare esperienza al riguardo, ho notato che il processo del morire cambia a seconda del cammino spirituale di ognuno, indipendentemente da tipo di morte che ad ognuno e' designato dal destino.Quando il corpo fisico muore l'ambiente e' permeato di energie estremamente 'sottili' ma che si percepiscono in modo tangibile e per molto tempo, e' una continuita' tra il morente e chi resta che non ha a che fare con il 'ricordo' ma con energie 'presenti'. La pace del morente che non ha paura, che e' sereno e' tangibile come un 'dono', una potente energia che supera la paura.
Che dire poi, sempre nella tradizione Buddhista del LIBRO TIBETANO DEI MORTI dove e' spiegato dettagliatamente il processo del morire e gli 'stati' che si devono attraversare nell'aldila' e dove sono determinanti le preghiere di chi assiste il morente nell'accompagnarlo verso il BARDO (bardo=divenire, processo di trasformazione) , o delle visioni di Dante nella DIVINA COMMEDIA!
Esistono nella tradizione Drochen boddhista , esempi di monaci, con alte capacita' di realizzazioni, che hanno esperienze e segni particolari che avvengono al momento della loro morte:
-Come lo spazio: il corpo grossolano si dissolve completamente in particelle e si unisce allo spazio assoluto.
-Lo yogi dissolve il corpo grossolano i un corpo di 'luce' che rimane visibile agli esseri per aiutarli. In questo trovo molta analogia con la Resurrezione del Cristo ,e al fenomeno di 'impregnazione di energia sul lino della SACRA SINDONE.
-e' pure capitato che i monaci alla loro morte dissolvono parzialmente il corpo, il quale rimpicciolisce.
Sono solo fenomeni che si svolgono nel campo fenomenico della manifestazione ma che rappresentano come le 'realizzazioni' spirituali ' di molti Santi possano indurci a non avere piu' paura, certo e' anche una questione di fede... lascio questo frammento di scritto che puo' essere utile, la morte come fine indubbiamente non esiste...cerchiamo di indagare, ogni giorno della ns. vita e cosi' forse riusciremo a vincere quella paura cosi' comune a tutti noi.
'Si dice che il corpo di qualche iniziato defunto non sia stato trovato nella tomba. -E' vero?
-verissimo
.
-Quale legge ha potuto applicare l'adepto per fare sparire il corpo?
La legge di EINSTEIN, la quale esiste da quando il mondo e' nato. In altri termini ha risolto la massa in energia.
-Che cosa determina quella trasformazione lungo il ritiro dal fisico solido al pranico e al monaisico?
Sappiamo dalla scienza che tutti i prodotti metallici e chimici si compongono e si scompongono, le molecole si aggregano e si disgregano per cui la materia e' in continua trasmutazione.
...il fuoco dei filosofi, a quel fuoco che e' invisibile, che e' pur attivo, avvolgente, penetrante e risolvente.
DI LA' DEL DUBBIO - ACCOSTAMENTI ALLA NO-DUALITA' SEPARAZIONE pagg. 154-155 RAPHAEL ED. ASRAVI-VIDYA.
La verità rende l'uomo libero come figlio del Signore Dio, è stato detto.
Chi teme la morte non conosce la verità soggettiva e per questo ha paura della morte stessa.
Il Signore Dio creò l'uomo a Sua immagine e somiglianza.
Con il peccato di Adamo ed Eva, che siamo noi, abbiamo perso il corpo incorruttibile che ci era stato dato.
Era un corpo che non aveva limiti né di spazio né di tempo, esattamente come quello del Signore Gesù che dopo la Sua resurrezione che passa attraverso i muri per entrare nella stanza dove erano riuniti gli apostoli a porte chiuse ed una volta dentro chiede da mangiare e gli danno pane e pesci.
Questo corpo, il nostro originario, si chiama corpo glorificato.
E un corpo materiale spiritualizzato e/o un corpo spirituale materializzato.
La morte serve a restituire, a chi risorge, questo corpo privandolo di quello nel quale siamo attualmente incastrati.
La prova che il corpo carnale non è quello con il quale siamo stati creati è che solo gli uomini hanno bisogno di vestiti in quanto il corpo che portiamo non è adeguato alle condizioni climatiche, mentre gli animali sono predisposti per superare ogni tipo di intemperia.
Quello che diciamo è supportato dal fatto che il mondo tutto fu creato per la comparsa dell'uomo e sarebbe quindi inconcepibile se fosse l'unico ad essere stato creato inadatto a vivere sulla terra.
La morte è per questo una grazia perché ci fa ritornare come eravamo all'origine e può essere intesa anche come cambio del proprio corpo.
Noi non siamo corpo, viviamo in un corpo ma siamo anima, quindi l'uomo non muore mai ma muore il suo copro in attesa di ritornare al corpo glorificato - Adamo prima della caduta - il Signore Gesù dopo la resurrezione.
Il tempo che ci vien dato di vivere nel corpo - la vita sul piano vegetale - è il tempo necessario per noi affinché saremo pronti per il passaggio.
Per questo il Signore Dio dice di uccidere, ma Lui stesso manda le persone in cimitero. La ragione è che solo Lui sa quando siamo pronti.
Sembra tutto bello è lo è, ma non per tutti perché occorre meritarsi la resurrezione.
Chi non risorge non solo non ritrova il corpo glorificato ma viene inviato in un posto di incredibile sofferenza per l'eterno, la seconda morte.
Purtroppo non vivendo nella verità abbiamo paura della morte carnale e non della seconda morte.
Beati coloro che temono la seconda morte perché vivranno per l'eterno.
Il Signore Gesù è venuto proprio per rivelarci questa verità e San Paolo ci ha ammonito dicendoci che se non crediamo nella resurrezione la nostra fede è vana.
Ringraziamo il Signore che ci ha dato questa speranza e chiediamo perdono per la nostra poca fede.
** scritto da Aniel:
CitazioneBuon giorno a tutti, abbiamo cosi' paura della morte perche' non la conosciamo, ci sono stati dati molti insegnamenti ma non abbiamo nessun tipo di esperienza al riguardo, se non nelle vite passate.
Beh, più che esperienza empirica, quella delle "esistenze" passate è possibile considerarla soltanto come ragione di fede, dunque la paura della morte, anche in questo caso, svanisce o diminuisce per fiducia in una dimensione trascendentale enigmatica, forse anche eterna.
CitazioneGli insegnamenti dicono che solo cosi' puoi vincere la morte, perche' se la morte e' trasformazione, a questo punto non hai piu' niente in cui trasformarti,ed essendo in pace non hai piu' paura. Hai vinto te stesso e hai vinto la morte, sei gia' morto a te stesso prima di morire!!!
Questo insegna il Buddhismo e infondo anche il Cristianesimo nella sua essenza. Cristo dice: 'Io e il Padre siamo UNO' .
Secondo il cristianesimo la morte non è qualcosa che si può vincere, giacché è Cristo/Dio che l'ha sconfitta e non l'uomo. Ciò che però può renderci partecipi, "coeredi", di questo evento glorioso, è solo la rinascita in vita (unica poiché sottoposta a giudizio divino), smettendo di opporci allo Spirito Santo che agisce in tutti ed in tutto.
Ulteriore differenza tra buddhismo e cristianesimo è nella trasformazione ultima, il cristianesimo non concede metodi per chiudere l'utero (è ciò che ricordo da quel che ho letto nel Libro dei Morti Tibetano, non ce l'ho fatta a finirlo, troppi passaggi, troppi marchingegni da provocare od evitare, troppo difficile, adesso, per me ) ed evitare di reincarnarsi. Con la morte, paura o meno, la trasformazione è per sempre ed in virtù del nostro libero arbitrio.
Io credo che l'unica possibilità di vincere la paura della morte sia quella di non considerare più la vita come valore... è evidente che potrei disfarmi senza rimpianti e serenamente solo di qualcosa che per me non ha importanza, qualcosa la cui presenza mi lascerebbe indifferente. Ma chi ama la vita, o almeno la sua vita, come potrebbe restare sereno e distaccato di fronte all'ipotesi di perderla? In questo senso direi che la paura della morte è una "sana paura", il segno che per noi la vita che viviamo è piacevole, sensata, rappresentativa del nostro essere. Io mi preoccuperei se un'altra persona o anche me stesso cominciasse a smettere di aver paura di morire, vuol dire che la vita non ha più valore!
E per chi ama la vita non è sufficiente l'idea secondo cui la morte è il destino universale e inevitabile di ciascuno. A prescindere ora dalle forme con cui le religioni e le filosofie ipotizzano un Aldilà, l'idea che prima o dopo tutti si muore non può mai produrre serena rassegnazione perchè anche se sappiamo che prima o poi accadrà speriamo sempre di allontanare, rimandare il momento, cerchiamo e speriamo di vivere il più a lungo possibile, e non solo per un semplice animalesco principio di autoconservazione o sopravvivenza, ma per un'insoddisfazione costitutiva del nostro essere che ci porta a non poter essere mai appagati da ciò che di fatto nella nostra vita si è già realizzato. Siamo sempre spinti a desiderare di fare di più e meglio, ad adeguare sempre più ciò che siamo, ciò che facciamo realmente a un ideale regolativo di ciò che dovremmo essere, di ciò che dovremmo fare. La morte, intesa come andare nel Nulla, è l'interruzione di ogni possibilità di adeguamento dell'essere reale al "dover essere" ideale. In nome di tale condizione umana ontologica, ogni morte è prematura, o meglio ogni morte non può che essere percepita come prematura
** scritto da davintro:
CitazioneLa morte, intesa come andare nel Nulla, è l'interruzione di ogni possibilità di adeguamento dell'essere reale al "dover essere" ideale. In nome di tale condizione umana ontologica, ogni morte è prematura, o meglio ogni morte non può che essere percepita come prematura.
Ecco perché in tanti non intendiamo la morte come andare nel Nulla, ma quale esperienza ontologica per far parte, definitivamente e per sempre, del Tutto.
Solo allora la morte diventa il valore attraverso il quale si distingue il dover essere, reale ed ideale, se stessi. Dimensione (l'essere se stessi) che annulla la facoltà di avere paura di morire, giacché la morte (ossia l'interruzione di ogni possibilità di adeguarsi al Tutto) non fa parte del Tutto.
Anni fa mi struggevo nel cercare il perché un mio amico fosse morte prematuramente ed invece io avevo avuto un'altra possibilità, poi un giorno, confessando questa mia inquietudine, qualcuno mi disse:
"...e come puoi essere certo che il tuo amico non abbia avuto già un'altra possibilità?!?!...".Da allora avverto, intuitivamente, per fede, che non è morto invano e neanche prematuramente.
Citazione di: Duc in altum! il 20 Agosto 2016, 17:29:40 PM** scritto da davintro:
CitazioneLa morte, intesa come andare nel Nulla, è l'interruzione di ogni possibilità di adeguamento dell'essere reale al "dover essere" ideale. In nome di tale condizione umana ontologica, ogni morte è prematura, o meglio ogni morte non può che essere percepita come prematura.
Ecco perché in tanti non intendiamo la morte come andare nel Nulla, ma quale esperienza ontologica per far parte, definitivamente e per sempre, del Tutto. Solo allora la morte diventa il valore attraverso il quale si distingue il dover essere, reale ed ideale, se stessi. Dimensione (l'essere se stessi) che annulla la facoltà di avere paura di morire, giacché la morte (ossia l'interruzione di ogni possibilità di adeguarsi al Tutto) non fa parte del Tutto. Anni fa mi struggevo nel cercare il perché un mio amico fosse morte prematuramente ed invece io avevo avuto un'altra possibilità, poi un giorno, confessando questa mia inquietudine, qualcuno mi disse: "...e come puoi essere certo che il tuo amico non abbia avuto già un'altra possibilità?!?!...". Da allora avverto, intuitivamente, per fede, che non è morto invano e neanche prematuramente.
A questo punto andrebbe fatta una distinzione fondamentale. Si parla della paura della nostra morte e della morte degli altri?
Nel primo caso, dal punto di vista dell'Io non avrebbe senso parlare di una paura della "morte in sè", ma di ciò che ci sarebbe eventualmente dopo cioè il Nulla (credo che anche l'inferno al di là delle varie letterarie rappresentazioni figurative, le fiamme, il diavolo con le corna e il forcone, sia identificabile teologicamente con questo Nulla, la dimensione di annicchilimento nel quale la persona perde il contatto con l'Essere perchè si è definitivamente allontanato dalla sorgente dell'Essere e fondamento del suo esistere, Dio). Quindi riferendosi a se stesso l'Io sarebbe certamente sollevato da ogni timore nella misura in cui crede che giungerà ad un'eterna e paradisiaca beatitudine.
Diverso è il caso della paura della morte degli altri, dei nostri cari. Qui il timore riguarda non solo e non tanto il "dopo", ma la morte come evento considerato in se stesso. Infatti la consolazione che porterebbe il pensiero che i nostri cari godranno di una beatitudine eterna di fatto è piuttosto relativa e parziale rispetto all'angoscia del pensiero di non poterli avere più vicino, vederli in carne ossa, comunicarci ecc. In fondo ci farebbe molto più piacere che essi continuino a godere di una felicità imperfetta e finita in questo mondo imperfetto e finito, ma restando fisicamente vicino a noi piuttosto che saperli eternamente felici ma in una dimensione a noi sconosciuta e incomunicabile. Si può dire che questo è un pensiero piuttosto "egoistico", anche se si tratterebbe di un egoismo assolutamente comprensibile e umano, un egoismo da scrivere tra virgolette. Immagino che il superamento di questa visione "egoista" presupporrebbe da parte di ciascuno una forza, un'energia spirituale di un'intensità quasi sovrumana (la santità forse?) che pochissimi potrebbero avere.
In sintesi, il conforto dell'idea di Aldilà che le religioni e le metafisiche ci propogono è psicologicamente molto più efficace e forte nel caso della nostra morte rispetta che per ciò che riguarda la morte altrui
Davintro,
è perchè ce ne andiamo dal mondo senza sapere la verità, per cui l'ora e adesso viene spostato al domani.
Ma è sostanzialmente diverso il modo di vedere la morte fra un credente e la culturale attuale.
Quest'ultima non solo è relativista e pensa che la conoscenza si esaurisca nell'apparire, perchè il pragmatismo americano ha dato al tempo un valore ancora più importante ed è la sostanziale differenza per cui il tempo in Occidente è stress e in oriente è " un lasciar passare, scorrere...".
Noi pianifichiamo, programmiamo, persino l'economia del debito, le scadenze mensili, tutto quanto è ritmato dal tempo sul futuro.Tutto questo brucia l'oggi e dimentica il ieri.
La morte è quindi sempre inopportuna e sempre fuori dalle mura di casa.
Un tempo, alcuni decenni fa, il morto era in casa, psicologicamente fin da bambini il volto della morte ritornava alla riflessione, l'elaborazione del lutto, come lo chiamano gli psicologi, permetteva già ai bambini una forma direi di convivenza, di possibliità .Oggi vedo anziani bambini, nessuno sa più vivere il proprio tempo per cui la morte è continuamente rimossa, inaccettabile come invecchiare. Eppure un tempo il vecchio era il saggio, ora è un peso.
Oggi la morte è anonima come l'ospedale,e quest'ultima è simile allo stile di una caserma ,di una scuola come diceva Foucoult
Questi esempi, indicano il capovolgimento di stili di vita, di pensiero, di cultura che hanno perso in poco tempo tradizione con essa identità, spasmodicamente il tempo del futuro spezza la possiblità che la riflessione decanti indentità, vale a dire il tempo di evolversi, di maturare di pensarsi in questo mondo impazzito che ci fa pensare pazzi a nostra volta.
Se la morte cede sul piano psichico allora sì,Sariputra ,che emrege solo l'Io come Ego e non l'autocoscienza.
Questo mondo è egoistico proprio perchè è fermo all'ego dell'IO che ovviamente oblia il tempo che corre velocemente in cui l'immagine diventa più importante della parola, siamo immersi nella cultura dell'immagine .
Ma l'oblio che intendo è il credere che le apparenze siano verità,vale adire l'oblio dell'oblio e la morte non èpiù paura solo istintiva, ma anche cultura. Se la morte diventa apparenza e immagine, diventa paradossalmente facile anche uccidere. Per quanto l'IO egoistico possa perdersi nel tempo del parossismo, del dover essere sempre aitanti e pronti a qualcosa, del programmare e pianificare, non è che perdiamo completamente l'autocoscienza.
E' quest'ultima che da qualche parte ,in qualche tempo ,ci fa comprendere con il disagio esistenziale che c'è qualcosa che non funziona dentro di noi e fuori di noi.Non siamo robot.
Non è questione di un aldilà, Davintro, è questione di razionalità vera, ovvero di capire che è impossibile che le apparenze siano coerenti con un origine eterna.
Se la cultura ha spostato alla rovescia il trascendente dentro l'empirico divenire, l'altrettanto errore di metodo è quando pensiamo ad una razionalità metafisica che comprenda vita e morte, eterno e divenire spostando la metodica scientifica dentro il razionalismo, noi allora sbagliamo fra l'intellegibile e il concetto razionale.
Il razionalista che vive questo tempo postmoderno ,intriso da secoli nella modernità, spera falsamente di trovare una spiegazione tangibile, una prova scientifica :ecco l'errore di metodo alla rovescia, ovvero sposare la tesi scientifica da applicare alla metafisica e alla religione. Era già chiaro ai greci dove stavano i paradossi e le contraddizioni logiche.Se diamo forza alla percezione empirica, non possiamo esercitare il recupero delle essenze nella vita, nei significati dell'esistenza e raccoglierli nell'anima e nello spirito se l'autocoscienza come luogo della contraddizione e della volontà sceglie dove focalizzare o il desiderio o lo spirtio.
Allora la vita apparire vana se la morte è l'oblio, la dimenticanza nella sparizione verso il nulla di tutto ciò che noi abbiamo raccolto come significati e correlati in un senso.
L'empirista si salva pensando ai figli come propria continuazione, e di nuovo si contraddice, perchè di figlio in figlio, di generazione in genereazione l'autocoscienza si sposta nella vanità.
a mio modo di vedere,l'idea della morte non e' rassegnazione (ed anzi il contrario) o magari di una vita che non ha più valore o anche il prefigurarsi già da "qui" un immaginario paradiso al di la di questa e non credo neanche che sia solo un paravento psicologico alla possibile sofferenza come nel caso di una perdita di una persona cara.
certo e' comprensibilissimo il dispiacere (umano) della perdita ma e' pur sempre umano e appunto mentale e più specificatamente psicologico.
il punto secondo me e' che la vita non e' qualcosa che rimane "isolata" nei suoi confini tra nascita e morte,questa semmai e' la nostra rappresentazione,e' il "punto di vista" a noi accessibile attraverso i sensi,superati i quali pero subentrerebbe un altro punto di vista,che chiarirebbe una volta per tutte le cose e ce le fa apparire per quello che sono effettivamente.
il mentale "chiude" e separa,ed e' da questo che scaturisce l'idea della morte come un confine insuperabile,ma sarebbe appunto solo una nostra immaginaria rappresentazione poiché il Reale e' al di la di tutto questo e non può avere limiti.
in un certo senso e' percio vero che si tratta di qualcosa di sovrumano ma non andrebbe inteso come qualcosa di inaccessibile ed alieno a noi stessi,(da cui scaturisce il pregiudizio) poiché e' già insita nella nostra stessa,diciamo intima natura
** scritto da davintro:
CitazioneA questo punto andrebbe fatta una distinzione fondamentale. Si parla della paura della nostra morte e della morte degli altri?
Della paura personale, il riferimento al decesso del mio amico era solo uno spunto di riflessione che non esiste morte prematura, tranne che nel suicidio.
CitazioneNel primo caso, dal punto di vista dell'Io non avrebbe senso parlare di una paura della "morte in sè", ma di ciò che ci sarebbe eventualmente dopo cioè il Nulla (credo che anche l'inferno al di là delle varie letterarie rappresentazioni figurative, le fiamme, il diavolo con le corna e il forcone, sia identificabile teologicamente con questo Nulla, la dimensione di annicchilimento nel quale la persona perde il contatto con l'Essere perchè si è definitivamente allontanato dalla sorgente dell'Essere e fondamento del suo esistere, Dio). Quindi riferendosi a se stesso l'Io sarebbe certamente sollevato da ogni timore nella misura in cui crede che giungerà ad un'eterna e paradisiaca beatitudine.
Esatto, la paura della morte in sé è più facile da sconfiggere, dacché essa è un fattore inevitabile dell'uomo, come il mangiare, il dormire, ecc. ecc., ci si abitua un po' all'idea. La cosa si complica quando si riflette sul cosa c'è dopo la morte, e se c'è qualcosa dopo essere morti.
Certamente, dal punto di vista cristiano il nulla non è l'inferno, il nulla non concede alla coscienza di continuare ad esistere, l'inferno invece sì. Il nulla non concerne un merito particolare alle gesta personali in vita, l'inferno sì. Forse è questa eventualità che infonde paura.
Il punto è semplice, un cordone ombelicale fisico è stato rescisso affinchè una vita emergesse e interagisse nel mondo e il respiro, l'anima, fra il pianto di un neonato e il rantolo di uomo che muore.
Siamo alla vita e non sappiamo perchè, prima ci appiono le manifestazioni dei fenomeni, gli affetti psichici, solo poi la ragione entra nella prima maturità e fino alla fine a cercare ragione.
Se la ragione si focalizza alle apparenze ciò che oggi è e sparisce dall'orizzonte della vita e quella vita prima è nella nostra memoria e poi cadrà prima o poi nell'oblio è un controsenso.
Se noi ci "attacchiamo" ai desideri delle apparenze e non sappiamo viverli nell'equilibrio fra il dovuto distacco che sta fra ragione e sentimento, noi cadremo nella sofferenza del vivere.
Se la ragione non trova al di sopra dei movimenti che ciò che viene svelato e rivelato e pensiamo al mondo della certezza in questo continuo apparire e sparire siamo destinati a soffrire più del dovuto.
Due sono gli errori: il primo è esaltare il metafisico mortificando la vita, il secondo che è più facile inciamparvi è il credere alle contraddizioni, è più facile perchè il corpo fisico è dentro la realtà contraddittoria.
Se la razionalità dell'autocoscienza non riesce a riunire i cordoni ombelicali fra corpo e spirito ,noi esaltiamo una parte perdendo l'altra.Allora qualunque morte è l'eccesso del soffrire oltre misura e in cui il ricordo non può mai da solo consolare.
Solo l'equilibrio della razionalità può trovare nella ragione la possibilità di consolare il sentimento.
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 10:17:37 AMSe la ragione si focalizza alle apparenze ciò che oggi è e sparisce dall'orizzonte della vita e quella vita prima è nella nostra memoria e poi cadrà prima o poi nell'oblio è un controsenso.
Un controsenso se si risiede nell'orizzonte metafisico-teologico che ci parla si "essenze", "spirito", "trascendenze", di "
intelligo ut credam" ("capisco per poter credere" e quel "per" non è finalistico, ma una
petitio principii, proprio come nel gemellare "
credo ut intelligam", "credo per poter capire"...).
Residenza leggitima, quella in questo "decantato" (in entrambi i sensi!) orizzonte metafisico, ma che potrebbe nondimeno prendere atto di altre possiiblità.
Quali? Direi che almeno quella di un certo orizzonte orientale (generalizzando molto) va considerata (per tradizione e statuto filosofico non ha nulla da "invidiare" alla cara metafisica greca), perchè risolve l'apparente dilemma spirito/materia in favore di una dimensione estetizzata (ma non anestetizzata), vitalistica (ma non frivola o semplicemente edonistica), che consente di vivere la vita con la serena consapevolezza della sua impermanenza, senza soffrire, fungendo da rimedio (come il sottovalutato tetrafarmaco epicureo) a sofferenze (auto)indotte dovute a:
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 10:17:37 AMSe la ragione non trova al di sopra dei movimenti che ciò che viene svelato e rivelato e pensiamo al mondo della certezza in questo continuo apparire e sparire siamo destinati a soffrire più del dovuto.
Altra osservazione:
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 10:17:37 AMSolo l'equilibrio della razionalità può trovare nella ragione la possibilità di consolare il sentimento.
Come sopra: quel "solo" indica l'unica soluzione possibile all'interno di un paradigma metafisico-teologico... ma in altri paradigmi quella razionalità non può "funzionare", sebbene tali paradigmi "funzionino" bene senza di lei...
Il vaccino è da molto tempo sullo scaffale delle biblioteche-farmacie, ma alcuni potenziali pazienti credono sia scaduto, altri temono di esserne allergici, altri semplicemente non si fidano, per questo molti permangono nel rischio della malattia (se la paura della morte possa essere definita tale...).P.s. Con questa terza prospettiva (oltre il dualismo quasi "pascaliano" scienza-razionalità/fede-sentimento, riassumendo) propongo solo di tenere "allargato" il discorso, non di confutare o convertire la tua posizione...
Phil,
allora dimmi quale paradigma rispetta l'identità logica senza entrare in contraddizione.
Tutto inizia da quel "se è, allora non può anche non essere" .Costruisci una razionalità che rispetti questo principio logico diversa da quella che ho prospettato e ti ringrazierei.
Stai rispondendo in maniera da "simpatia" culturale con quella orientale: va bene, Adesso argomenta l'alternativa in modo logico-razionale.
Non hai capito: la razionalità è la fede e non la scienza moderna, se non hai capito questo stai interpretando tutto il mio discorso alla rovescia confondendo scienza moderna e scienza religiosa-metafisica. laddove la razionalità è l'espressione dei momenti logico-razionali, diversamente non ragioniamo andiamo a simpatie "di pelle e di stomaco".
Detto in altra maniera: se la vita è, non può di colpo sparire; se la morte è, allora prima dov'era?
Allora se la morte è già nell'orizzonte della vita ,la vita è solo il momento contraddittorio dell'essere che è lo spirito e la vita torna al momento originario, allo spirito,al momento identitario.
Il dasein heideggeriano è l'anima, il cordone ombelicale fra spirito e corpo,quell'autocoscienza che deve fare esperienza nella vita e raccoglierne i sgnificati. Ma Haidegger togliendo la trascendentalità risolve nell'orizzonte della morte la vita, l'essere nel tempo, rimanendo dentro la contraddizione.
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMPhil, allora dimmi quale paradigma rispetta l'identità logica senza entrare in contraddizione. Tutto inizia da quel "se è, allora non può anche non essere" .Costruisci una razionalità che rispetti questo principio logico diversa da quella che ho prospettato e ti ringrazierei. Stai rispondendo in maniera da "simpatia" culturale con quella orientale: va bene, Adesso argomenta l'alternativa in modo logico-razionale. Non hai capito: la razionalità è la fede e non la scienza moderna, se non hai capito questo stai interpretando tutto il mio discorso alla rovescia confondendo scienza moderna e scienza religiosa-metafisica. laddove la razionalità è l'espressione dei momenti logico-razionali, diversamente non ragioniamo andiamo a simpatie "di pelle e di stomaco". Detto in altra maniera: se la vita è, non può di colpo sparire; se la morte è, allora prima dov'era? Allora se la morte è già nell'orizzonte della vita ,la vita è solo il momento contraddittorio dell'essere che è lo spirito e la vita torna al momento originario, allo spirito,al momento identitario. Il dasein heideggeriano è l'anima, il cordone ombelicale fra spirito e corpo,quell'autocoscienza che deve fare esperienza nella vita e raccoglierne i sgnificati. Ma Haidegger togliendo la trascendentalità risolve nell'orizzonte della morte la vita, l'essere nel tempo, rimanendo dentro la contraddizione.
Ma perchè non si può accettare la contraddizione di una vita che si manifesta morendo attimo per attimo? Non lo si accetta perchè si assume come sostanziale quella che chiami autocoscienza e che per me è la sensazione di pensare. E' il pensiero che ci differenzia e questo nasce e muore nel cervello. Dove sta il battito del cuore quando il cuore muore? E' contraddittorio pensare che l'autocoscienza sopravviva alla corruzione della mente. Lo si può sostenere assumendo, per fede, che questa autocoscienza sia sostanziale, eterna, immutabile per l'appunto. Non ci sono prove al mondo che la coscienza individuale, la sensazione interiore di "sto pensando " sopravviva alla fine della mente. La morte poi non è il nulla, è trasformazione. Se vediamo la vita, non come compartimenti stagni (spirito-materia, essere-nonessere) ma come un tutt'uno in perenne mutamento in cui vita e morte sono entrambi aspetti di questo cambiare, dove sta la contraddizione? E' proprio nel superamento dell'idea di sostanzialità che si risolvono le contraddizioni. Se la vita è un tutt'uno, la mia morte individuale non ha alcun significato per l'insieme. Tra l'altro non ci accorgiamo di quante cose muoiono in noi proprio mentre viviamo; quante cose, attimo per attimo, vengono, si svolgono e passano, spesso senza che ne siamo consapevoli ( perchè non coltiviamo i fondamenti della presenza mentale). Quanti sentimenti muoiono in noi? Quanti ricordi svaniscono per sempre? Dov'è il bimbo che eravamo ? Dove sono i sogni che avevamo? Dovrai sempre aver bisogno di una fede metafisica per sostenere che tutto quello che se ne è andato, che è Passato, sia sempre vivente in te e che sopravviverà alla corruzione, alla trasformazione nella morte fisica. E' vero che ci forma, che non potremmo essere così se non fossimo stati colà, ma il rapporto è come quello tra seme e albero ormai caduto, che marcisce nel sottobosco. Dov'è il seme? Solo quando vedremo che seme , albero vivo e vegeto e albero coperto di funghi sono la stessa cosa e sono fluido Cambiamento risolveremo la contraddizione che tu evidenzi.
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMPhil, allora dimmi quale paradigma rispetta l'identità logica senza entrare in contraddizione. Tutto inizia da quel "se è, allora non può anche non essere" .Costruisci una razionalità che rispetti questo principio logico diversa da quella che ho prospettato e ti ringrazierei
L'identità logica non è solo quella della logica
atemporale del A=A, in cui un ente ha la sua identità. Possiamo declinarla in un modo temporale in cui nell'istante di tempo T1, A1(vivo)=A1(vivo), mentre nel tempo T2, A2(morto)=A2(morto), ovviamente presupponendo la definizione degli stati "vivo" e "morto" (che credo siano
rilevabili piuttosto oggettivamente). Pensa anche a come si alternano lo stato acceso/spento nei circuiti o nel codice binario... non vedo la reale contraddizione.Se a questa semplicità del passaggio dallo stato A1(vivo) allo stato A2(morto), aggiungiamo l'anima, lo spirito, la trascendenza, etc. immettiamo elementi che sono razionalmente
da dimostrare (e avrai già capito che non sono certo la persona più adatta ;) ).
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMAdesso argomenta l'alternativa in modo logico-razionale
La prospettiva della morte come semplice spegnimento, non è razionale? Come già ho osservato: è razionale per le piante e per gli animali, ma non lo è per l'uomo? Solo perchè noi siamo "religiosi",
"scienziati", "filosofi", "amanti della vita", etc. non accettiamo di buon grado lo spegnerci, ma il nostro non accettarlo non ha nulla a che fare con il suo irrimediabile accadere (attenzione a non scambiare "il triste" con "l'irrazionale"!).C'è anche un'anima che continua a vivere e torna al divino e pone problemi speculativi? La prima supposizione da indagare è quella dell'anima; io partirei da lì per un'indagine, prima di rivolgerla subito ai problemi di "secondo livello" che ne derivano...
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMla razionalità è la fede [...] la razionalità è l'espressione dei momenti logico-razionali
Qui vedo un cortocircuito, se non concettuale, almeno lessicale... salvo restare trincerati nella visione teologico-metafisica medievale che lega ad un circolo vizioso il "credere" e l'"intelligere" (e non lo dico in modo dispregiativo: come ogni sistema dogmatico, ha una sua logica interna in cui si può stare anche comodi...).
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMse la vita è, non può di colpo sparire; se la morte è, allora prima dov'era?
Questo assunto è legato ad una visione statica della vita: "la vita è" e siamo disposti ad ammettere che si espanda (come il numero di abitanti della terra), ma non che in questo
processo diminuisca anche in parte (con la morte)? Questione di opinioni, ma non certo di razionalità...
Per me, esser vivi è una
condizione, la vita non è,
accade (Heidegger forse direbbe che si rischia di confondere l'essere-dell'-ente con l'Essere...)
"Se la morte è, allora prima dov'era?"(cit.) Idem: la morte non è, accade. Se, rimasto senza carburante, ti chiedessi: "se il vuoto del serbatoio dell'auto è, dov'era prima (mentre l'auto camminava)?" probabilmente mi metteresti una camicia un po' stretta, bianca, e mi porteresti in un istituto ;D
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMIl dasein heideggeriano è l'anima
Non sono sicuro, ma credo che lui non sottoscriverebbe questa tua affermazione (interpretazione?).
P.s.
Nello specifico, sul rapporto fra Heidegger, la metafisica occidentale e la prospettiva orientale, mi permetto questa lunga citazione:
"In quanto Zwiefalt, reciproco implicarsi di essere ed ente ("traduzione" heideggeriana della parmenidea identità di pensiero ed essere), il movimento ontologico può essere "detto" dal logos, dal linguaggio. Anzi, sussiste sempre e solo in quanto logos. È il pensiero, infatti, che accoglie la differenza fra essere ed ente (non si dà essere, se non in quanto presenza al pensiero) e il modo in cui l'accoglie è quello del linguaggio. È questo il senso dell'espressione heideggeriana: linguaggio come dimora dell'essere: non c'è verità (a-letheia), se non nel logos. Il vuoto orientale, invece, è inversione di presenza in assenza, "co-incidenza" che nessun linguaggio può accogliere. [...] Lo sprofondare del linguaggio nell'insensato com-porta l'apparire della verità. Perciò il pensiero orientale si congeda da ogni linguaggio, nei cui confronti opera un movimento inverso rispetto a quello heideggeriano: non più in-cammino-verso, ma in-cammino-via-da. Se verità e realtà co-incidono, infatti, non c'è più bisogno di un "luogo" in cui accogliere la differenza e il vuoto, diversamente dall'essere, può apparire solo fuori da ogni logos. Pensiero ed essere non si co-appartengono, ma co-incidono, uomo e mondo cessano di essere due, sia pure nella reciproca transpropriazione in cui Heidegger li intende, per diventare lo stesso, senza tuttavia alcuna fusione di tipo mistico. Il pensiero che perde la parola, infatti, non si consegna all'oscuramento della confusione, ma a una diversa illuminazione, quella che gli garantisce il corpo, trasformato in corporeità pensante. Al rapporto "ermeneutico" con l'essere si sostituisce il rapporto "somatico" con il nulla, che viene sentito, visto, percepito. Mentre Heidegger, nel silenzio degli enti, ascolta la voce dell'essere, l'Oriente, nel tacere di ogni linguaggio, vede la co-incidenza di sé e mondo nel vuoto che entrambi sono."
[Tratto da un saggio, diviso in due parti:https://giulianoantonello.wordpress.com/2016/06/01/heidegger-e-il-giapponese-1/
https://giulianoantonello.wordpress.com/2016/06/02/heidegger-e-il-giapponese-2/]
Citazione di: Phil il 21 Agosto 2016, 16:18:25 PMCitazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMPhil, allora dimmi quale paradigma rispetta l'identità logica senza entrare in contraddizione. Tutto inizia da quel "se è, allora non può anche non essere" .Costruisci una razionalità che rispetti questo principio logico diversa da quella che ho prospettato e ti ringrazierei
L'identità logica non è solo quella della logica atemporale del A=A, in cui un ente ha la sua identità. Possiamo declinarla in un modo temporale in cui nell'istante di tempo T1, A1(vivo)=A1(vivo), mentre nel tempo T2, A2(morto)=A2(morto), ovviamente presupponendo la definizione degli stati "vivo" e "morto" (che credo siano rilevabili piuttosto oggettivamente). Pensa anche a come si alternano lo stato acceso/spento nei circuiti o nel codice binario... non vedo la reale contraddizione. Se a questa semplicità del passaggio dallo stato A1(vivo) allo stato A2(morto), aggiungiamo l'anima, lo spirito, la trascendenza, etc. immettiamo elementi che sono razionalmente da dimostrare (e avrai già capito che non sono certo la persona più adatta ;) ). Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMAdesso argomenta l'alternativa in modo logico-razionale
La prospettiva della morte come semplice spegnimento, non è razionale? Come già ho osservato: è razionale per le piante e per gli animali, ma non lo è per l'uomo? Solo perchè noi siamo "religiosi", "scienziati", "filosofi", "amanti della vita", etc. non accettiamo di buon grado lo spegnerci, ma il nostro non accettarlo non ha nulla a che fare con il suo irrimediabile accadere (attenzione a non scambiare "il triste" con "l'irrazionale"!). C'è anche un'anima che continua a vivere e torna al divino e pone problemi speculativi? La prima supposizione da indagare è quella dell'anima; io partirei da lì per un'indagine, prima di rivolgerla subito ai problemi di "secondo livello" che ne derivano... Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMla razionalità è la fede [...] la razionalità è l'espressione dei momenti logico-razionali
Qui vedo un cortocircuito, se non concettuale, almeno lessicale... salvo restare trincerati nella visione teologico-metafisica medievale che lega ad un circolo vizioso il "credere" e l'"intelligere" (e non lo dico in modo dispregiativo: come ogni sistema dogmatico, ha una sua logica interna in cui si può stare anche comodi...). Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMse la vita è, non può di colpo sparire; se la morte è, allora prima dov'era?
Questo assunto è legato ad una visione statica della vita: "la vita è" e siamo disposti ad ammettere che si espanda (come il numero di abitanti della terra), ma non che in questo processo diminuisca anche in parte (con la morte)? Questione di opinioni, ma non certo di razionalità... Per me, esser vivi è una condizione, la vita non è, accade (Heidegger forse direbbe che si rischia di confondere l'essere-dell'-ente con l'Essere...) "Se la morte è, allora prima dov'era?"(cit.) Idem: la morte non è, accade. Se, rimasto senza carburante, ti chiedessi: "se il vuoto del serbatoio dell'auto è, dov'era prima (mentre l'auto camminava)?" probabilmente mi metteresti una camicia un po' stretta, bianca, e mi porteresti in un istituto ;D Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 14:48:29 PMIl dasein heideggeriano è l'anima
Non sono sicuro, ma credo che lui non sottoscriverebbe questa tua affermazione (interpretazione?). P.s. Nello specifico, sul rapporto fra Heidegger, la metafisica occidentale e la prospettiva orientale, mi permetto questa lunga citazione: "In quanto Zwiefalt, reciproco implicarsi di essere ed ente ("traduzione" heideggeriana della parmenidea identità di pensiero ed essere), il movimento ontologico può essere "detto" dal logos, dal linguaggio. Anzi, sussiste sempre e solo in quanto logos. È il pensiero, infatti, che accoglie la differenza fra essere ed ente (non si dà essere, se non in quanto presenza al pensiero) e il modo in cui l'accoglie è quello del linguaggio. È questo il senso dell'espressione heideggeriana: linguaggio come dimora dell'essere: non c'è verità (a-letheia), se non nel logos. Il vuoto orientale, invece, è inversione di presenza in assenza, "co-incidenza" che nessun linguaggio può accogliere. [...] Lo sprofondare del linguaggio nell'insensato com-porta l'apparire della verità. Perciò il pensiero orientale si congeda da ogni linguaggio, nei cui confronti opera un movimento inverso rispetto a quello heideggeriano: non più in-cammino-verso, ma in-cammino-via-da. Se verità e realtà co-incidono, infatti, non c'è più bisogno di un "luogo" in cui accogliere la differenza e il vuoto, diversamente dall'essere, può apparire solo fuori da ogni logos. Pensiero ed essere non si co-appartengono, ma co-incidono, uomo e mondo cessano di essere due, sia pure nella reciproca transpropriazione in cui Heidegger li intende, per diventare lo stesso, senza tuttavia alcuna fusione di tipo mistico. Il pensiero che perde la parola, infatti, non si consegna all'oscuramento della confusione, ma a una diversa illuminazione, quella che gli garantisce il corpo, trasformato in corporeità pensante. Al rapporto "ermeneutico" con l'essere si sostituisce il rapporto "somatico" con il nulla, che viene sentito, visto, percepito. Mentre Heidegger, nel silenzio degli enti, ascolta la voce dell'essere, l'Oriente, nel tacere di ogni linguaggio, vede la co-incidenza di sé e mondo nel vuoto che entrambi sono." [Tratto da un saggio, diviso in due parti: https://giulianoantonello.wordpress.com/2016/06/01/heidegger-e-il-giapponese-1/ https://giulianoantonello.wordpress.com/2016/06/02/heidegger-e-il-giapponese-2/]
Phil...alla fine, la "Verità" è solo un problema di linguaggio?... :)
Io direi che la paura della morte è la conseguenza di una tensione dinamica dell'uomo che vive "a cavallo" tra due dimensioni, il mondo della finitezza e l'intuzione di un'idea di infinito e di eternità senza la quale non sarebbe possibile avere la speranza di una vita eterna, e conseguentemente la stessa paura del Nulla che non potrebbe sussistere se non accompagnata dalla speranza del suo opposto, altrimenti si muterebbe in quieta rassegnazione. Compito della razionalità è quella di elaborare una visione che armonizzi i due piani, che renda ragione da un lato dell'esistenza della realtà finita e dall'altro dell'idea presente alla nostra mente dell'infinito e della vita eterna. Questa sintesi armonica razionale è possibile svolgerla perchè non c'è alcuna contraddizione nella compresenza di due piani differenti dell'essere. Contradditorio sarebbe ammettere due contrari in una stessa realtà considerata nello stesso tempo, ma dal punto di visto di una complessità per la quale sono chiamato a considerare l'ipotesi di un'ontologia che vede due realtà, una trascendente, eterna, ed una immanente, contingente e diveniente, la contraddizione cessa nel momento in cui la compresenza di queste due realtà avviene in una distinzione, che non è opposizione. La razionalità verificherà la possibilità di una relazione fra finito e infinito che non sarà nè di identificazione (altrimenti si cadrebbe nella contraddizione logica di ammettere un'unica realtà al contempo finita e infinita) nè di assoluta opposizione e separazione (che renderebbe impossibile uno scorgere nella nostra esperienza del finito i segni del rimando alla realtà infinita che pure la dinamica paura-speranza ci indicherebbe). Questa relazione la vedo come relazione analogica: il mondo in cui viviamo è finito, imperfetto, diveniente, ma proprio nell'angoscia (in quanto correlata alla speranza) che esso ci provoca avvertiamo la presenza di qualcosa che rende questo mondo seppur distinto e non ad esso identico, comunque simile ad una realtà ad esso ulteriore e trascendente.
C'è un errore in cui in sede argomentativa e razionale non dovremmo cadere: accettare aprioristicamente come esistente e reale una certa visione del mondo, teologica o metafisica che sia, per poi relegare ad "apparenze illusorie" tutti i fenomeni in base a cui altri potrebbero smentire tale visione. Razionalità è proprio questo rendere ragione dei fenomeni, astenendoci preliminarmente dal ritenere esistente o meno il contenuto dei fenomeni. Se concetti come "vita eterna" o "anima" o "personalità individuale" sono idee presenti alla nostra mente, e questa presenza non può essere smentita anche di chi nega la realtà oggettiva di quei concetti, allora lo sforzo filosofico-argomentativo sarà quello di rendere ragione, cioè spiegare le cause che spiegano l'essere presente a noi tale concetti, e nel riscontro di tali cause ricostuire un'ontologia critica. L'idea secondo il nostro Io individuale sarebbe solo illusione in quanto semplice parte di una totalità indifferenziata ad esempio, dovrà mostrare di poter reggere in modo convincente non limitandosi a tacciare come "illusione" il pensiero di una molteplicità di sostanze individuali distinte tra loro ma spiegando, in modo coerente con la sua tesi, l'orgine di tale pensiero, a prescindere che sia illusorio o meno. E qui sorgono grandi difficoltà: quale sarebbe l'oggetto che produce in me l'idea della mia personalità individuale distinta (seppur in una certa relazione) dal pc su cui sto scrivendo, dagli alberi, dalla pietre , dagli altri esseri umani? Se esiste solo un flusso indistinto di vita come spiegare la realtà fenomenica a partire da cui distinguiamo diverse forme, colori, percezioni sensibili, diversi concetti, valori ecc? Quanto è credibile l'ipotesi di una Totalità vitale originaria indistinta da cui poi a un certo punto salterebbero fuori delle parti che si ribellerebbero all'idea di questa fusionalità rivendicando una loro autonomia qualitativa e sostanziale dal resto? Perchè la Totalità dovrebbe "autoingannarsi" riguardo se stessa? Non è più credibile invece riconoscere che le idee delle distinte qualità fenomeniche alla nostra coscienza corrispondano a reali cause e fattori ontologichi da sempre presenti nel seno dell'Essere? In fondo il problema di tutte le varie forme di monismo immanentista, sia di tipo materialistico che idealistico, è sempre stato questo: come rendere ragione delle diversità qualitative della nostra esperienza? Ammettendo pure che chi non riconosce un Flusso unitario vitale si inganni e chi invece lo riconosce è un "illuminato" che ha superato l'egocentrismo dell' "Io individuale", come spiegare le due opposte tesi se non ricadendo in un dualismo tra "svegli" e "dormienti" che pregiudicherebbe l'unità stessa del reale? E se la distinzione tra chi ha superato l'idea della sostanza, di un'anima individuale e chi la conserva, magari auspicandone un'eterna prosecuzione dopo la morte è determinata dalla differente personalità degli uomini allora dovremmo tornare ad ammettere l'idea della distinzione tra singoli individui: ognuno di noi arriva a pensieri diversi perchè ha interiorità diverse e dunque autonome l'una dall'altra, cosicchè il concetto di "sostanza personale", con tutto quello che comporta rientra in gioco. Se il monismo fosse coerente con se stesso non potrebbe spiegare il perchè della differenza e del pluralismo di visioni del mondo e, giusto per rientrare in tema, di atteggiamenti di fronte alla paura della morte...
Rispondo a Duc in altum dicendo che la distinzione tra la mia morte e quella degli altri voleva essere un'approfondimento del tema della paura dell morte che mi era sembrato rischiasse di cadere in una certa superficialità fintanto che lo si continuasse a considerare in maniera indifferenziata, non era direttamente collegata al tuo esempio (anche se magari mi ha offerto lo spunto) di cui comunque mi sembra di aver capito il senso
Citazione di: Sariputra il 21 Agosto 2016, 17:00:13 PMPhil...alla fine, la "Verità" è solo un problema di linguaggio?... :)
In fondo, detto fra noi... anche se è un'idea impopolare e forse un po' deludente... direi proprio di si.La verità, in quanto concetto, presuppone un linguaggio che la dica e la assegni (a una proposizione, a un vissuto, o a una divinità, non fa differenza...). Anche quando filosofeggiamo di una "verità indicibile", giocando a porla un passo oltre il linguaggio, lo facciamo problematizzandola linguisticamente... non se ne può fare a meno: il ragionamento richiede astrazione che richiede linguaggio (in senso ampio, non necessariamente una lingua).Anche quando è esperienza diretta, v(er)ità-vita (come scrissi in altro topic), comunque non può essere definita tale finché non c'è un linguaggio (con annessa impalcatura concettuale) che possa parlarne (ovviamente al di là del fatto contingente che questa verità sia pronunciata ad alta voce, pensata, scritta, ammiccata o gesticolata...). Mi dirai che questa egemonia del linguaggio vale anche per altri concetti fondamentali... infatti penso che la dimensione linguistica sia quella che più condiziona l'uomo (più di quella economica o politica o religiosa...), soprattutto perché il linguaggio può porre anche falsi problemi, essere usato male e, come ogni invenzione umana, ha i suoi limiti e i suoi intoppi...
P.s. Mi scuso per l'
off topic, ma Sariputra mi ha fatto una domanda a cui non potevo non rispondere :)
Sariputra,
a te risulta che le piante, gli animali e i minerali cerchino il nirvana?
Perchè l'uomo sì,
Prova a risponderti, perchè tutto altrimenti non avrebbe senso
Phil,
la tua identità nel momento in cui cellule muoiono e altre nascono,
mentre invecchi cambia?
Sei sicuro che il cervello corrisponda alla mente e di conseguenza ad una coscienza?
Per forza Heidegger sarebbe contrario, quell'essere diventa il dasein dell'esser-ci ed entra nell'orizzonte temporale, vive per la morte.
Davintro,
francamente non ti pensavo così.
ma come, ad ogni dimensione, ad ogni sistema costruisco leggi logiche diverse? ma questo non lo compie quasi(perchè a volte lo fa)nemmeno la scienza moderna che vive di accomodamenti
Allora la verità cos'è? Un' indagine opinionista per alzata di mano? Siamo al relativismo
Se da fastidio la fede, allora risolvete il problema logico dell'identità al netto di ogni fede.
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 19:58:38 PMPhil, la tua identità nel momento in cui cellule muoiono e altre nascono, mentre invecchi cambia?
La "composizione biologica" cambia, ma la mia identità non è solo biologica, per cui resta un cambiamento minore che non devo comunicare all'anagrafe ;D. Ogni anno "aggiorno" la mia età e questo, per la nostra società, basta (per fortuna!).
L'identità non può proprio essere "fluida" e dinamica, coniugata con il fattore tempo?
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 19:58:38 PMSei sicuro che il cervello corrisponda alla mente e di conseguenza ad una coscienza?
Non mi sembra di averlo detto...
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 19:58:38 PMSe da fastidio la fede, allora risolvete il problema logico dell'identità al netto di ogni fede.
Non va davvero bene quello che ti ho proposto prima (l'accadere, l'impermanenza, il serbatoio...)?
P.s. La fede semmai "da fastidio" a chi ce l'ha e deve farci i conti, no? ;)
Citazione di: paul11 il 21 Agosto 2016, 19:58:38 PMSariputra, a te risulta che le piante, gli animali e i minerali cerchino il nirvana? Perchè l'uomo sì, Prova a risponderti, perchè tutto altrimenti non avrebbe senso Phil, la tua identità nel momento in cui cellule muoiono e altre nascono, mentre invecchi cambia? Sei sicuro che il cervello corrisponda alla mente e di conseguenza ad una coscienza? Per forza Heidegger sarebbe contrario, quell'essere diventa il dasein dell'esser-ci ed entra nell'orizzonte temporale, vive per la morte. Davintro, francamente non ti pensavo così. ma come, ad ogni dimensione, ad ogni sistema costruisco leggi logiche diverse? ma questo non lo compie quasi(perchè a volte lo fa)nemmeno la scienza moderna che vive di accomodamenti Allora la verità cos'è? Un' indagine opinionista per alzata di mano? Siamo al relativismo Se da fastidio la fede, allora risolvete il problema logico dell'identità al netto di ogni fede.
Assolutamente no! Non mi da fastidio nessuna fede, a patto che non venga imposta agli altri, né mai mi ha dato fastidio, anzi. Sono un appassionato di qualunque forma religiosa autentica. La ricerca nobilita l'uomo, è la vera forma di "divinità" che c'è in noi. Sulla questione che mi chiedi : "perchè solo l'uomo cerca il Nirvana e non animali, vegetali,ecc." direi che è un necessario sviluppo della sua formidabile intelligenza ( formidabile in senso relativo...) posta di fronte all'evidenza del suo divenire e della propria transitorietà. D'altronde non è la consapevolezza della morte che sta alla base del sorgere della filosofia e delle religioni? In più, nell'accezione che ne da la filosofia buddhista, è soprattutto l'evidenza alla ragione dell'onnipervadenza della condizione dolorosa ( proprio perchè impermanente) in cui versa la vita, solo che il Dharma di Buddha non assolutizza la ragione e nemmeno la coscienza , viste come aggregati che sono destinati, come tutti gli aggregati materiali e mentali, all'impermanenza e quindi alla dissoluzione e ricomposizione. Essendo tutto composto e in perenne mutamento non si pone il problema se l'identità è fissa ed eterna o transitoria e impermanente, la risposta è insita nella legge stessa della produzione condizionata (
paticcasammupada). E' chiaro che questo è contrario alle fondamente stesse della visione che hanno della persona le religioni monoteistiche che , ripeto, rispetto e cerco di approfondire, nei miei limiti, anch'io.
Paul 11 scrive:
"Davintro,
francamente non ti pensavo così.
ma come, ad ogni dimensione, ad ogni sistema costruisco leggi logiche diverse? ma questo non lo compie quasi(perchè a volte lo fa)nemmeno la scienza moderna che vive di accomodamenti
Allora la verità cos'è? Un' indagine opinionista per alzata di mano? Siamo al relativismo
Se da fastidio la fede, allora risolvete il problema logico dell'identità al netto di ogni fede."
Non capisco. Dove avrei scritto che occorrerrebbe utilizzare logiche diverse per ogni dimensione del reale? Tutt'altro, anzi nel mio ultimo post ho provato proprio a sottolineare un rapporto di somiglianza e analogia tra il piano immanente e il piano trascendente che permetterebbe alla razionalità di poter argomentare quantomeno la possibilità del secondo partendo dall'analisi dei fenomeni del primo. Cosicchè dalla spinta che porta la mente umana a ipotizzare una vita eterna, a sperare in essa e consequienzialmente a temere la morte come caduta nel Nulla riconoscevo una seppur relativa capacità di trascendimento della dimensione sensibile e contingente rimandante analogicamente alla piena trascendenza rispetto a tale dimensione che caratterizzerebbe una realtà teologica e metafisica. Tutto questo discorso non starebbe in piedi se ipotizzassi logiche diverse e pensassi che l'apparato concettuale con cui si interpreta questo mondo non avesse nulla a che fare con quello necessario a pensare il trascendente (come invece sostiene la teologia del negativo). Se tutto ciò con cui posso pensare Dio avesse una valenza e me sconosciuta e totalmente altra rispetto ai concetti con cui penso i fenomeni della mia coscienza mondana come potrei razionalmente riconoscere nell'esperienza di questi un collegamento che permetta di ricondurre la loro possibilità d'essere ad un trascendente?
Sariputra,
è la ragione il valore aggiunto umano e il fatto che abbia una coscienza.
Se poi come dice G.Gaber che forse non è un gran filosof ma dice una cosa giusta "... la coscienza è come l'organo
sessuale, o da la vita o fa pisciare", ovvero come l'uomo utilizza la sua coscienza e conoscenza è sua volontà e responsabilità .
Ho molto rispetto per la cultura orientale, ma Buddah e il nirvana a mio parere sono fortemente contraddittori.
Aiutano come esercizio spirituale, ma sono contraddittori.non risolvono per restare in argomento la problematica della morte nella razionalità
Phil,
un filosfo o quel che è, che scrive che hai citato "....È il pensiero, infatti, che accoglie la differenza fra essere ed ente (non si dà essere, se non in quanto presenza al pensiero) e il modo in cui l'accoglie è quello del linguaggio." ,Fra poco Heidegger lo faranno passare per un epistemolgo come Popper.I filosfi attuali non sanno nemmeno più cosa scrivere per fingere
una originalità che non hanno.
Penso che tu abbia letto Wittgenstein, dimmi cosa ha a che fare ad esempio la filosofia del linguaggio di Wittgenstein con l'ontologia di Heidegger, dimmi cosa c'entra la filosofia analitica con la metafisica ontologica? Bel minestrone...
Ma poi leggilo in senso logico, è nato prima l'uovo o la gallina? Se c'è un pensiero è perché sussite un essere antecedente, Oppure pensa che prima parliamo e poi nasciamo?
Ma tu capisci quello che ha scritto e non capisci ancora quello che scrivo io? Devo mettermi a scrivere in maniera elucubrativa?
Bastava scrivere semplicemente che il nirvana è il nulla ed è per questo che non ha senso,c'è qualcuno che riesce a far corrispondere essere e nulla?
Heidegger fallisce e il suo maestro si incazzò, Husserl.
Perché ha fatto un pastrocchio fra fenomenologia e ontologia senza trascendenza e dentro l'orizzonte mondano della morte,detto in maniera forse fin troppo semplicistica ma estremamente coincisa.
Hai bisogno di un atto anagrafico o di qualcuno che ti ricordi chi sei per avere un'identità, per sentirti da sempre quel che sei ? L'identità à logica, non apparenza corporea.
Cosa sono gli universali nelle scienze fisiche? Una risoluzionedentro formule matematiche e logiche. E queste a quale dominio appartengono? E= m*c2, cos'è? Quando le apparenze fenomenologiche vengono ricondotte alla ragione scientifica diventano metafisica: ti piaccia o no.Ovvero tracendono il mondo del sensibile per diventare ragione riconduciible ai principi universaliesplicabili in formulazione logico-matematiche.
Phil il problema è che non dici molte cose.Come gli altri stai girando in tondo,ma non devi dirlo a me, devi solo riflettere.Io non cerco di aver ragione, ma di porre con le mie tesi una riflessione, Io non voglio convincere nessuno, ma solo far riflettere.
Davintro,
devo prima scusarmi, la risposta precedente è frettolosa e merita una articolazione argomentativa.
L'infinito a mio parere non corrisponde all'eternità.L'infinito è un contrario al finito e appartiene più alla matematica.Cantor ha già dimostrato nel segmento dei numeri naturali, razionali, ecc. che vi sono più infiniti.
L'eternità è proprio dell'essere non dell'infinito che è indeterminabile.
Bisognerebbe leggere più attentamente quello che scrivo o chiedere chiarimenti.
Prima di tutto il metafisico non è opposto al fisico.
Sei tu che fai un errore, quello di utilizzare la logica formale e non quella dialettica.Se pensi di trovare la razionalità nella metafisca e ragioni da analista cercherei prove scientifiche nel mondo dell'immanifesto come del manifesto. Vale a dire,come ho già scritto, che cercherai di applicare le stesse regole del mondo finito dentro l'eterno, così costruirai la contraddizione della contraddizione avvitandoti su te stesso.
Questo passaggio è impossibile senza la logica dialettica.
Sgombra la mente dai pregiudizi, Non è che prima c'è Dio e devo dimostrarlo,
Ci sono , l'essere, l'esistenza, la conoscenza e la coscienza. L'esercizio è trovare la verità razionale dentro quindi una logica che lo sostenga.
Attenzione a non confondere apparenza come manifestazione fenomenica, o se vuoi apparenze degli essenti , dall'illusione.Non confondo nemmeno Essere con ente.
La vita nella realtà contraddittoria del mondo delle apparenze è necessaria e in quanto tale significante, diversamente sarebbe razionale il suicidio.
Scrivi come se ti rivolgessi impersonalmente. Siamo semplicemente qui a discutere, confrontandoci pensieri, a riflettere.
L'Essere equivale a quell'identità logica,questo è il paradigma della verità e non può che essere e non non-esssere.E' come se ciò che oggi l'umanità scopre, prima poiché era sconosciuta non fosse,Questa è una contraddizione logica. E adatto che noi pretendiamo di conoscere dall'apparire costruiamo certezze dalla apparenze, da ciò che esiste nell'orizzonte della conoscenza. Fermarsi qui vuol dire due contraddizioni: la prima accettare le apparenze come verità; la seconda far sparire ciò che la coscienza chiede, un senso nell'esistenza che solo la ragione può raccogliere dagli essenti.
La vita è, o la smentiamo? Se siamo gettati nel mondo ha un significato oppure no?
Attenzione chiedo coerenza logica, perché se la vita non ha signifcazione ha ragione il fanatico dell'Isis, ha ragione la bestia, perché nessun concetto della ragione ha senso e davvero tutto è illusione e la ragione è solo accomodamento tecnologico di sopravvivenza.
Cadrebbe il concetto di cultura in quanto solo condizionante in quanto solo la forza animale e l aviolenza sarebbero vere, tutto il resto è futile, illusione davvero.
Quindi rimando a te e al forum la risposta,La vita ha s' o no un significato e quale?
Non sparate principi morali, perché senza significazione la felicità potrebbe essere uccidere per piacere, violentare per desiderio,
Chiedo quindi coerenza e onestà intellettuale alle risposte.
Tu credi davvero che le apparenze scientifiche siano ontologiche? Io dico che sono essenti contradditori, manifestazione dell'essere che non è la sua essenza.
Se la conoscenza bastasse senza coscienza, saremmo una mera rubricazione enciclopedica priva di qualunque significato.
Noi dobbiamo capire dopo aver conosciuto, questo è il compito della vita, esperire, fare esperienza e raccoglier i significati e darle un senso. Noi abbiamo la ragione in dotazione per questo, non per fare esercizi enigmistici, ma per togliere il velo alla verità.
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMSariputra, è la ragione il valore aggiunto umano e il fatto che abbia una coscienza. Se poi come dice G.Gaber che forse non è un gran filosof ma dice una cosa giusta "... la coscienza è come l'organo sessuale, o da la vita o fa pisciare", ovvero come l'uomo utilizza la sua coscienza e conoscenza è sua volontà e responsabilità . Ho molto rispetto per la cultura orientale, ma Buddah e il nirvana a mio parere sono fortemente contraddittori. Aiutano come esercizio spirituale, ma sono contraddittori.non risolvono per restare in argomento la problematica della morte nella razionalità
C'è un bell'articolo su Focus.it che riguarda gli ultimi esperimenti sul grado di coscienza di sè che diverse specie animali manifestano. Alcuni ricercatori, nel 2012, si sono riuniti per stendere la "Dichiarazione di Cambridge" sulla coscienza negli animali , portando tutte le prove in possesso. E'chiaro che non si tratta di un livello di consapevolezza simile all'uomo, ma anche il loro livello di ragione è inferiore. La differenza , avanzando negli studi, sembra più di quantità che di qualità. Interessante questo punto, a mio parere:
[font=Georgia, 'Times New Roman', Times, serif]Ma alcuni benefici sono stati ipotizzati. Per esempio, molti animali che dimostrano di avere coscienza di sé e degli altri appartengono a specie dalla vita sociale molto complessa: le scimmie antropomorfe, i corvidi come gazze e cornacchie, i delfini e gli elefanti. Gli scienziati sottolineano come le specie che hanno superato il test dello specchio mostrano empatia e aiutano i membri del gruppo. Avere coscienza di sé permetterebbe di formare comunità più unite, dominando chi non è in grado di gestire i rapporti sociali e collaborando per ottenere cibo e potere.[/font][font=Georgia, 'Times New Roman', Times, serif]Questo per riflettere sul fatto che l'idea che abbiamo dell'essere umano, come unico che possa ragionare, essere consapevole e provare emozioni e dell'animale come puro istinto, via via sta perdendo consistenza, appartiene forse più al passato della speculazione metafisica sull'uomo.[/font][font=Georgia, 'Times New Roman', Times, serif]Cercando di vedere la vita come un tutt'uno, comprendendo quindi anche ragione e consapevolezza in questo tutt'uno, porta inevitabilmente, ovviamente a mio giudizio, a non porre una cosi' netta demarcazione, come mi sembra fai tu, tra essere e divenire, con l'essere "totalmente altro" all'impermanenza di tutti i fenomeni. Se tutto è un'unica cosa, perchè ragione e coscienza, che vanno insieme, sono estranei a questo?[/font][font=Georgia, 'Times New Roman', Times, serif]Questa posizione mi sembra più contraddittoria di quella che tu imputi all'insegnamento buddhista sul Nirvana, che si sforza di vedere l'unità dei fenomeni mentali e fisici, riconducibili ad un unico processo impermanente. E' chiaro che si tratta anche di un problema di "sentimento" che ci fa preferire una teoria piuttosto che un'altra. Chi percepisce la vita come qualcosa di sostanzialmente piacevole, tenderà a mio parere ad una visione sostanziale dell'esistenza e del suo sentire personale. Chi viceversa la sente come uno stato doloroso, credo che si sentirà più attratto dall'idea dell'impermanenza di tutti i fenomeni, quindi anche del suo sentire personale, trovando proprio nel divenire una via d'uscita, d'estinzione ( Nirvana) dalla sua sofferenza. Il Nirvana NON E' il nulla, anche se questa è l'idea più comune che ne abbiamo in Occidente, significa proprio "Estinzione del dolore". Non si può nemmeno pensarlo come interno all'essere o esterno all'essere ma , come dirà Nagarjuna, la forma che appare al nostro intelletto è questo Vuoto ( vuoto-di-esistenza-permanente). La ragione formula idee, che tu chiami assoluti, e che riguardano la forma del divenire.[/font][font=Georgia, 'Times New Roman', Times, serif]Scusa l'inserimento di vari font. Effetto perverso del copia e incolla del brano trovato su Focus...a cui non so rimediare se non riscrivendo il tutto. Ma l'è longo.... :P :P [/font]
ragione e coscienza non sono estranei al mondo sensibile della realtà.
E come se io vivendo questa realtà non dovessi tener conto di un muro e vado a sbattere con il viso e mi faccio male.
Capisco che è difficile la differenza fra realtà sensibile che esiste e verità razionale logica.
Il mio punto di vista è che Dio,l'Uno, l'Essere, metteteci quello che volete, è il risultato di un'operazione logica in cui
il vero problema è l'Essere che esiste, quell'Esser-ci di Heidegger che entra nel'orizzonte del mondo.
E' lecito che ognuno di noi si chieda perchè esisto, perchè in questo spazio/tempo.
la prima risposta è il mondo percettivo de isensi e quindi degli eventi e fenomeni naturali con i quali noi interagiamo
per necessità di esistenza.Questo è l'aspetto "animale" dell'uomo ( il termine animale quì non è dispregiativo, è la semplice constatazione dell'esistenza umana in rapporto ad un ambiente in cui deve sopravvivere prima di tutto).
Noi ci fidiamo dei nostri sensi e la ragione ha trovato nei fenomeni dei principi, che non sono più i sensi a deciderli ,ma la ragione.
Ribadisco, i concetti logico-matematici, gli algoritmi,ecc. sono un'invenzione umana, non sono più oggetti della natura, quindi l'uomo crea e costruisce una cultura che è interpretativa di quel mondo fisco: questa è anche soprattutto la scienza moderna.
Se la ragione ,grazie a lla coscienza, non ponesse le domande esistenziali, probabilmente la filosfia sarebbe già morta da tempo, perchè manca il motivo per cui allora l'uomo con la ragione e senza i sensi ha costruito logiche, matematiche, geometrie e ancora più oltre....Dio, ovvero un principio originario.
Ognuno trova le sue risposte, c'è chi si accontenta che la ragione si fermi al punto in cui il rapporto fra sensibile e gli oggetti 2metafisci" culturali della logica spiegano SOLO il mondo naturale, di ciò che si manifesta, di ciò che appare.
Ma la coscienza non vede il senso attraverso la ragione, se si ferma alla spiegazione solo fenomenica, perchè la morte prima di tutto è l'immagine senza senso in cui la ragione non trova una ragione per spiegarla, se non come continua immagine che gli ariva agli occhi, ma di cui l'essenza la coscienza non sa darne senso.
Se i principi logici hanno un senso, perchè nulla "è campato in aria" sono operatori ,per così dire, relazionali, quindi c iservono per concatenare, categorizzare e così via., non ha senso che una vita venga dal nulla e scompaia nel nulla.
I principi termodinamici mi spiegano l'energia fisica, ma daccapo, la spiegano con relazioni logico-matematiche.
Non è possible che quei principi logici funzionino nella fisica e non nella metafisica.
Per cui di nuovo se l'Essere è, non può anche non-essere. Questo discrimina per forza logica, l'eterno e il divenire, nega il divenire, ma non lo nega come esistenza, perchè negherebbe la vita che si apre nell'orizzonte del divenire, ma di nuovo l'Essere entra in contraddizione con l'esistenza.
Se l'esistenza è tautologica,quanto il mondo sensibile, ma sono contraddizioni logiche nelle relazioni fra Essere ed Esistenza, un dominio è contraddittori overso l'altro.
Per cui l'essere è vero e l'esistenza non è falsa come opterebbe la logica formale, ma è semplicemente contraddittoria perchè vive nelle contraddizione dell'apparire, perchè l avita fisica appare e scompare, quando invece è.
Se la morte è apparenza,non significa che non sia "vera" nella realtà, ma significa che non è vera nella relazione con l'essere che è sempre nell'eterno.
La morte cessa la vita contraddittoria per ritornare all'essere
allora l avita deve per forza prendere un significato per avere un senso logico con l'essere originario.
E' l'Essere che decide di esistere e ci deve per forza essere un motivo, per cui la vita è significazione.
Vado oltre: molti pensano la vita talmente come contraddizione, da significarla come inferno, come espiazione.
Qual'è la signifcazione della cultura dravidica indiana, soprattutto il jiainismo, nel momento in cui porta il dharma, il karma, la reincarnazione?
Qual è il suo spirito originario in cui dirama e declina le relazioni dell'esistenza terrena?
La metafisica e la teologia, ma comprenderei le spiritualità strutturate in una organizzazione di pensiero logico,
pongono l'accento sulla verità logica, per cui maya è il mondo sensibile.
Sono solo esempi per cercare di farmi capire.
Insomma non è che Buddha o Gesù non mangiano, non dormono, ecc. il mondo sensibile non ci da le verità, ma manifestazioni d signifcazione perchè la nostra ragione ha necessità di correlazioni per trovare il vero e discriminare il falso(ma come contraddizione). Ma entrambi esistono.
Rispondo a Paul11
Per quanto riguarda l'infinito, va distinto l'infinito attuale da quello potenziale. L'infinito matematico ha a che fare solo quello potenziale, quello che caratterizza una serie numerica che posso contare e immaginare, appunto all'infinito, perchè infiniti sono i numeri. In sede metafisica e ontologica ben più significativo è l'infinito attuale, cioè una realtà che si pone come assoluto, non finito, nel senso di non realmente limitato da altro da sè, una vita che persiste illimitatamente, non come possibilità, ma come realtà, e in questo senso infinito coincide con l'eternità
la razionalità metafisica prova a riconoscere un collegamento che verifichi la presenza dei segni di tale eternità nei fenomeni del mondo. La logica formale è presupposto necessario del pensiero, ma non sufficiente per tale esercizio, giustamente, come affermi, è necessaria la logica dialettica, questo non l'ho mai negato. Se per dialettica si intende un processo della ragione non immediato ma mediato perchè deve considerare non una realtà isolata dal resto ma la relazione inferenziale fra il nostro mondo immanente, in cui constatiamo il divenire e la possibilità di nullificazione degli enti, e una dimensione metafisica (che non è opposta alla fisica, però la trascende quantomeno a livello concettuale) nella quale le nostre identità personali saranno eternamente preservate, tutto ciò è dialettica. Mostrare come la speranza, il desiderio di tale eternità possa già di per sè essere un argomento valido, magari non esaustivo, del riconoscere di essere fondati da un essere eterno per me è assolutamente ragione dialettica, non formale e astratta, perchè è una ragione che ha anche fare con il molteplice, con una dualità, la distinzione (non opposizione) tra l'immanenza mondana in cui vive l'uomo e una trascendenza metafisica che dovrebbe essere chiamata in causa nella misura in cui riesce a giustificare il modo d'essere dell'immanenza. E la relazione che collega tale dualità presuppone la mediazione, il pensiero discorsivo, cioè dialettico. Come scritto prima, la giustificazione dell'immanenza a partire dal riconoscimento di una trascendenza (che in fondo è il modus operandi di tutte le prove dell'esistenza di Dio che la razionalità metafisica ha provato ad attuare) presuppone una relazione di analogia e somiglianza per la quale i concetti validi per pensare valgono, entro certi limiti, anche per interpetare il trascendente. Altrimenti dovremmo constatare solo un fossato invalicabile tra le due dimensioni che renderebbe arbitrario ogni passaggio logico cerchi di collegarle, lasciando qualunque discorso sul trascendente al fideismo, al sentimentalismo, che al di là di quanto possa essere rilevante psicologicamente nell'equilibrio delle persone, non credo possa pretendere di essere base di un discorso che voglia essere davvero filosofico, speculativo
le apparenze, i fenomeni non sono di per sè nè verità, nè illusioni, sono la di là di questa dicotomia. Verità e illusione sono categorie che hanno senso per quanto riguarda i giudizi, non i fenomeni, che sono solo dati, manifestazioni con cui le cose si "aprono" all'accoglimento nella nostra coscienza. Per questo, prima, quando provavo a muovere un critica al monismo che relega ad "illusione" la distinzione sostanziale delle individualità personali, affermavo che l'analisi dei fenomeni deve preliminarmente mettere tra parentesi il giudizio di verità o illusorietà dei fenomeni stessi, non considerando se il fenomeno che ora mi si manifesta corrisponda ad un reale oggetto o no, ma descrivendolo nei modi in cui si dà come vissuto alla mia coscienza. E quanto più la coscienza sarà in gradi di operare al suo interno una sorta di purificazione per la quale si cerca di silenziare i pregiudizi che vincolerebbero la ricezione dei fenomeni alla limitatezza di schemi interpretativi dettati da un particolare contrsto storico, quanto più la relatività del contesto storico viene trascesa, tanto più i fenomeni disvelano un'essenza, o meglio la descrizione dei fenomeni si costituisce come visione eidetica, visione nella quale mi accorgo di aspetti che caretterizzano i fenomeni nel loro valore universale. E tutto ciò diviene la base per ricostruire un discorso ontologico razionale, razionale perchè chiamato in causa nel giustificare il modo d'essere dei fenomeni di cui la mia coscienza ha colto il senso. Per questo un'ontologia critica è possibile nella misura in cui ha una base fenomenologica. Come affermi, la conoscenza nasce dalla coscienza, ma solo a patto che questa coscienza consideri i fenomeni non come verità o illusione (riservando l'utilizzo di tali categorie ai giudizi sui fenomeni e non alla pura apprensione dei fenomeni stessi) ma come semplici dati originari dell'esperienza del mondo che racchiudono un senso universale che va in qualche modo fatto emergere intuitivamente
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AML'identità è logica, non apparenza corporea.
Appunto:
Citazione di: Phil il 21 Agosto 2016, 16:18:25 PML'identità logica non è solo quella della logica atemporale del A=A, in cui un ente ha la sua identità. Possiamo declinarla in un modo temporale in cui nell'istante di tempo T1, A1(vivo)=A1(vivo), mentre nel tempo T2, A2(morto)=A2(morto), ovviamente presupponendo la definizione degli stati "vivo" e "morto" (che credo siano rilevabili piuttosto oggettivamente). Pensa anche a come si alternano lo stato acceso/spento nei circuiti o nel codice binario... non vedo la reale contraddizione.
Citazione di: Phil il 21 Agosto 2016, 20:22:12 PML'identità non può proprio essere "fluida" e dinamica, coniugata con il fattore tempo?
Parliamo di "gusti linguistici":
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMCosa sono gli universali nelle scienze fisiche? Una risoluzionedentro formule matematiche e logiche. E queste a quale dominio appartengono? E= m*c2, cos'è? Quando le apparenze fenomenologiche vengono ricondotte alla ragione scientifica diventano metafisica: ti piaccia o no.
Intendi la metafisica semplicemente come "astrazione formalizzata"? Squisitamente postmoderno...!
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMPhil il problema è che non dici molte cose.Come gli altri stai girando in tondo,ma non devi dirlo a me, devi solo riflettere.
Forse giro in tondo in attesa che qualcuno risponda alle mie pedanti domande, bisogna pur ammazzare il tempo (che probabilmente non ha paura di morire perché sa già che, in quanto essere, non può diventare nulla... scherzo ;D).
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMdiversamente sarebbe razionale il suicidio.
Perdona l'ingenuità, ma perché non sarebbe razionale? Intendi per te o su un piano logico?
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AM ciò che la coscienza chiede, un senso nell'esistenza che solo la ragione può raccogliere dagli essenti.
Tutte le intime richieste sono da assecondare, legittime e
necessarie?
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMLa vita è, o la smentiamo? Se siamo gettati nel mondo ha un significato oppure no?
Ridomando:
la vita non può proprio essere pensata come accadere (soprattutto, come tu chiedevi "al netto di ogni fede")?E, a proposito del significato:
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMAttenzione chiedo coerenza logica, perché se la vita non ha signifcazione ha ragione il fanatico dell'Isis, ha ragione la bestia, perché nessun concetto della ragione ha senso e davvero tutto è illusione e la ragione è solo accomodamento tecnologico di sopravvivenza. Cadrebbe il concetto di cultura in quanto solo condizionante in quanto solo la forza animale e la violenza sarebbero vere, tutto il resto è futile, illusione davvero
Se la vita è accadere viene meno,
coerentemente, sia il senso sia il chiedersi chi/cosa ha ragione, ma rispunta una certa "legge di causalità" tanto cara all'oriente... (attenzione a non mischiare l'aver-ragione con l'usare-la-ragione!).
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMNoi dobbiamo capire dopo aver conosciuto, questo è il compito della vita, esperire, fare esperienza e raccoglier i significati e darle un senso. Noi abbiamo la ragione in dotazione per questo, non per fare esercizi enigmistici, ma per togliere il velo alla verità
Mi consentirai che questo compito può essere una tua scelta personale (in conseguenza di un tuo paradigma che parla di essenze, essere, verità, etc.), ma non ha cogenza universale.
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 13:54:14 PMRibadisco, i concetti logico-matematici, gli algoritmi,ecc. sono un'invenzione umana [...] quindi l'uomo crea e costruisce una cultura che è interpretativa di quel mondo fisco [...] Se i principi logici hanno un senso, perchè nulla "è campato in aria" sono operatori ,per così dire, relazionali, quindi c iservono per concatenare, categorizzare e così via., non ha senso che una vita venga dal nulla e scompaia nel nulla
Ci fidiamo di una nostra "invenzione"(cit.), o meglio "spiegazione", al punto di non accorgerci quando la realtà stessa la falsifica? Praticamente è una dimostrazione per assurdo (che proprio la stessa logica ci insegna!): provo a spiegare la verità di x, la verità di x risulta contraddittoria, allora x è falso (è vero che la vita non scompare / ma
di fatto constato che la vita scompare / allora è falso che la vita non scompare... se proprio si vuole evitare di pensare questo esiziale "scomparire" come un semplice mutamento, che sarebbe così tipico della natura...).
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 13:54:14 PMNon è possible che quei principi logici funzionino nella fisica e non nella metafisica
I principi logici sono principi metafisici? Ricordo che la metafisica comprende anche la divinità, che non è esattamente la più logica delle inferenze (semmai una tautologia: l'indimostrabile è indimostrabile...).
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 13:54:14 PMLa morte cessa la vita contraddittoria per ritornare all'essere allora l avita deve per forza prendere un significato per avere un senso logico con l'essere originario [/size]
Queste sono conclusioni o intuizioni o speranze o rivelazioni?Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 13:54:14 PM E' l'Essere che decide di esistere e ci deve per forza essere un motivo, per cui la vita è significazione.
[corsivo mio]L'Essere viene personificato al punto da avere una sua volontà... e si rischia di confondere il motivo-senso con la causa-origine...P.s. Questi commenti non hanno l'ambizione di "far riflettere"(cit.), ma, per quello che valgono, sono domande e "riflessioni" personali...
Citazione di: davintro il 22 Agosto 2016, 17:16:40 PMRispondo a Paul11 Per quanto riguarda l'infinito, va distinto l'infinito attuale da quello potenziale. L'infinito matematico ha a che fare solo quello potenziale, quello che caratterizza una serie numerica che posso contare e immaginare, appunto all'infinito, perchè infiniti sono i numeri. In sede metafisica e ontologica ben più significativo è l'infinito attuale, cioè una realtà che si pone come assoluto, non finito, nel senso di non realmente limitato da altro da sè, una vita che persiste illimitatamente, non come possibilità, ma come realtà, e in questo senso infinito coincide con l'eternità la razionalità metafisica prova a riconoscere un collegamento che verifichi la presenza dei segni di tale eternità nei fenomeni del mondo. La logica formale è presupposto necessario del pensiero, ma non sufficiente per tale esercizio, giustamente, come affermi, è necessaria la logica dialettica, questo non l'ho mai negato. Se per dialettica si intende un processo della ragione non immediato ma mediato perchè deve considerare non una realtà isolata dal resto ma la relazione inferenziale fra il nostro mondo immanente, in cui constatiamo il divenire e la possibilità di nullificazione degli enti, e una dimensione metafisica (che non è opposta alla fisica, però la trascende quantomeno a livello concettuale) nella quale le nostre identità personali saranno eternamente preservate, tutto ciò è dialettica. Mostrare come la speranza, il desiderio di tale eternità possa già di per sè essere un argomento valido, magari non esaustivo, del riconoscere di essere fondati da un essere eterno per me è assolutamente ragione dialettica, non formale e astratta, perchè è una ragione che ha anche fare con il molteplice, con una dualità, la distinzione (non opposizione) tra l'immanenza mondana in cui vive l'uomo e una trascendenza metafisica che dovrebbe essere chiamata in causa nella misura in cui riesce a giustificare il modo d'essere dell'immanenza. E la relazione che collega tale dualità presuppone la mediazione, il pensiero discorsivo, cioè dialettico. Come scritto prima, la giustificazione dell'immanenza a partire dal riconoscimento di una trascendenza (che in fondo è il modus operandi di tutte le prove dell'esistenza di Dio che la razionalità metafisica ha provato ad attuare) presuppone una relazione di analogia e somiglianza per la quale i concetti validi per pensare valgono, entro certi limiti, anche per interpetare il trascendente. Altrimenti dovremmo constatare solo un fossato invalicabile tra le due dimensioni che renderebbe arbitrario ogni passaggio logico cerchi di collegarle, lasciando qualunque discorso sul trascendente al fideismo, al sentimentalismo, che al di là di quanto possa essere rilevante psicologicamente nell'equilibrio delle persone, non credo possa pretendere di essere base di un discorso che voglia essere davvero filosofico, speculativo le apparenze, i fenomeni non sono di per sè nè verità, nè illusioni, sono la di là di questa dicotomia. Verità e illusione sono categorie che hanno senso per quanto riguarda i giudizi, non i fenomeni, che sono solo dati, manifestazioni con cui le cose si "aprono" all'accoglimento nella nostra coscienza. Per questo, prima, quando provavo a muovere un critica al monismo che relega ad "illusione" la distinzione sostanziale delle individualità personali, affermavo che l'analisi dei fenomeni deve preliminarmente mettere tra parentesi il giudizio di verità o illusorietà dei fenomeni stessi, non considerando se il fenomeno che ora mi si manifesta corrisponda ad un reale oggetto o no, ma descrivendolo nei modi in cui si dà come vissuto alla mia coscienza. E quanto più la coscienza sarà in gradi di operare al suo interno una sorta di purificazione per la quale si cerca di silenziare i pregiudizi che vincolerebbero la ricezione dei fenomeni alla limitatezza di schemi interpretativi dettati da un particolare contrsto storico, quanto più la relatività del contesto storico viene trascesa, tanto più i fenomeni disvelano un'essenza, o meglio la descrizione dei fenomeni si costituisce come visione eidetica, visione nella quale mi accorgo di aspetti che caretterizzano i fenomeni nel loro valore universale. E tutto ciò diviene la base per ricostruire un discorso ontologico razionale, razionale perchè chiamato in causa nel giustificare il modo d'essere dei fenomeni di cui la mia coscienza ha colto il senso. Per questo un'ontologia critica è possibile nella misura in cui ha una base fenomenologica. Come affermi, la conoscenza nasce dalla coscienza, ma solo a patto che questa coscienza consideri i fenomeni non come verità o illusione (riservando l'utilizzo di tali categorie ai giudizi sui fenomeni e non alla pura apprensione dei fenomeni stessi) ma come semplici dati originari dell'esperienza del mondo che racchiudono un senso universale che va in qualche modo fatto emergere intuitivamente
OOOOOOOhhhhh
finalmente qualcuno che ha capito!
La tua descrizione è al limite della perfezione, è proprio così e spero allora che hai capito cosa volessi dire.
Mi piacerebbe adesso una tua critica a questo pensiero, siamo quì a confrontarci e riflettere, non mi interessa ribadisco, avere ragione, prevaricare e mi scuso di nuovo con il mio frettoloso giudizio su di te,
Si vede che hai delle buone basi ed è un piacere il confrontarsi, ribadisco non al fine di primeggiare che non mi importa, ma per capire noi stessi e il mondo.
adesso, per non sfuggire alla morte (sic!) penso che tu comprenda perchè ritengo che in qualche modo possa essere razionalizzata e consolare i sentimenti, gli affetti per una perdita che si potrebbe pensare per sempre.
Ma se nulla sparisce, è proprio l'autocoscienza che deve trovare nelle apparenze le essenze contraddittorie, in quanto è l'agente che correla i domini, quindi media e li collega affinchè le contraddizioni possano essere risolte nei signifcati e infine in un senso che dal Tutto vada ai particolari e viceversa, quindi dalla metafisica alla fisica.
Citazione di: Phil il 22 Agosto 2016, 18:13:26 PMCitazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AML'identità è logica, non apparenza corporea.
Appunto: Citazione di: Phil il 21 Agosto 2016, 16:18:25 PML'identità logica non è solo quella della logica atemporale del A=A, in cui un ente ha la sua identità. Possiamo declinarla in un modo temporale in cui nell'istante di tempo T1, A1(vivo)=A1(vivo), mentre nel tempo T2, A2(morto)=A2(morto), ovviamente presupponendo la definizione degli stati "vivo" e "morto" (che credo siano rilevabili piuttosto oggettivamente). Pensa anche a come si alternano lo stato acceso/spento nei circuiti o nel codice binario... non vedo la reale contraddizione.
Citazione di: Phil il 21 Agosto 2016, 20:22:12 PML'identità non può proprio essere "fluida" e dinamica, coniugata con il fattore tempo?
Parliamo di "gusti linguistici": Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMCosa sono gli universali nelle scienze fisiche? Una risoluzionedentro formule matematiche e logiche. E queste a quale dominio appartengono? E= m*c2, cos'è? Quando le apparenze fenomenologiche vengono ricondotte alla ragione scientifica diventano metafisica: ti piaccia o no.
Intendi la metafisica semplicemente come "astrazione formalizzata"? Squisitamente postmoderno...! Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMPhil il problema è che non dici molte cose.Come gli altri stai girando in tondo,ma non devi dirlo a me, devi solo riflettere.
Forse giro in tondo in attesa che qualcuno risponda alle mie pedanti domande, bisogna pur ammazzare il tempo (che probabilmente non ha paura di morire perché sa già che, in quanto essere, non può diventare nulla... scherzo ;D). Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMdiversamente sarebbe razionale il suicidio.
Perdona l'ingenuità, ma perché non sarebbe razionale? Intendi per te o su un piano logico? Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMciò che la coscienza chiede, un senso nell'esistenza che solo la ragione può raccogliere dagli essenti.
Tutte le intime richieste sono da assecondare, legittime e necessarie? Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMLa vita è, o la smentiamo? Se siamo gettati nel mondo ha un significato oppure no?
Ridomando: la vita non può proprio essere pensata come accadere (soprattutto, come tu chiedevi "al netto di ogni fede")? E, a proposito del significato: Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMAttenzione chiedo coerenza logica, perché se la vita non ha signifcazione ha ragione il fanatico dell'Isis, ha ragione la bestia, perché nessun concetto della ragione ha senso e davvero tutto è illusione e la ragione è solo accomodamento tecnologico di sopravvivenza. Cadrebbe il concetto di cultura in quanto solo condizionante in quanto solo la forza animale e la violenza sarebbero vere, tutto il resto è futile, illusione davvero
Se la vita è accadere viene meno, coerentemente, sia il senso sia il chiedersi chi/cosa ha ragione, ma rispunta una certa "legge di causalità" tanto cara all'oriente... (attenzione a non mischiare l'aver-ragione con l'usare-la-ragione!). Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 01:32:23 AMNoi dobbiamo capire dopo aver conosciuto, questo è il compito della vita, esperire, fare esperienza e raccoglier i significati e darle un senso. Noi abbiamo la ragione in dotazione per questo, non per fare esercizi enigmistici, ma per togliere il velo alla verità
Mi consentirai che questo compito può essere una tua scelta personale (in conseguenza di un tuo paradigma che parla di essenze, essere, verità, etc.), ma non ha cogenza universale. Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 13:54:14 PMRibadisco, i concetti logico-matematici, gli algoritmi,ecc. sono un'invenzione umana [...] quindi l'uomo crea e costruisce una cultura che è interpretativa di quel mondo fisco [...] Se i principi logici hanno un senso, perchè nulla "è campato in aria" sono operatori ,per così dire, relazionali, quindi c iservono per concatenare, categorizzare e così via., non ha senso che una vita venga dal nulla e scompaia nel nulla
Ci fidiamo di una nostra "invenzione"(cit.), o meglio "spiegazione", al punto di non accorgerci quando la realtà stessa la falsifica? Praticamente è una dimostrazione per assurdo (che proprio la stessa logica ci insegna!): provo a spiegare la verità di x, la verità di x risulta contraddittoria, allora x è falso (è vero che la vita non scompare / ma di fatto constato che la vita scompare / allora è falso che la vita non scompare... se proprio si vuole evitare di pensare questo esiziale "scomparire" come un semplice mutamento, che sarebbe così tipico della natura...). Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 13:54:14 PMNon è possible che quei principi logici funzionino nella fisica e non nella metafisica
I principi logici sono principi metafisici? Ricordo che la metafisica comprende anche la divinità, che non è esattamente la più logica delle inferenze (semmai una tautologia: l'indimostrabile è indimostrabile...). Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 13:54:14 PMLa morte cessa la vita contraddittoria per ritornare all'essere allora l avita deve per forza prendere un significato per avere un senso logico con l'essere originario [/size]
Queste sono conclusioni o intuizioni o speranze o rivelazioni? Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 13:54:14 PME' l'Essere che decide di esistere e ci deve per forza essere un motivo, per cui la vita è significazione.
[corsivo mio] L'Essere viene personificato al punto da avere una sua volontà... e si rischia di confondere il motivo-senso con la causa-origine... P.s. Questi commenti non hanno l'ambizione di "far riflettere"(cit.), ma, per quello che valgono, sono domande e "riflessioni" personali...
Phil,prova a leggere davintro che ha saputo argomentare meglio di me che scrivo in modo più "spezzato".Il suicidio è un nonsenso, perchè ridursi a togliersi di mezzo dalle apparenze?Penso che la vita sia esperienza per avere significazioni, quasi quasi sono d'accordo con le reincarnazione, ovvero noi dobbiamo migliorare la nostra coscienza nel mondo ogni volta se ne dovesse presentare l'occasione di vivereCapisco tutte le ragioni, diciamo così, psichiche, di sofferenza, di affetti, delusioni, sofferenze fino al tormento dell'angoscia di esistere: ma perchè non lasciare che sia la natura a svolgere il ruolo che gli si addice? Sono in vena di dirla tutta,,,,, siamo noi a decidere di andarcene dal mondo.Nell'antichità, a chi crede nelle religioni anche come trasmissione di conoscenze, al tempo post diluvio di No+, sta scritto nella Bibbia, che l'uomo già allora decaduto sarebbe vissuto al massimo 120 anni.Aldilà se sia giusto o errato, ma è significativo, noi vogliamo e possiamo vivere anche quantitativamente di più se alziamo il nostro livello qualitativo e questo amio parere può farlo solo l'autocoscienza.L'ho scritto spesso negli ultimi tempi e ho apporofondito tematiche come la persona giuridica nel diritto come storicamente nasce. .Ma vale anche per tutti i principi fisici trasposti in leggi matematiche.Questo passaggio chiamatela astrazione, chimatela trascendenza, ma di fatto si sposta anch'essa da un dominio all'altro.Trovo assurda fino al paradosso sostenere che la scienza non sia astrazione, anch'essa riduce il fenomeno o categorie di fenomeni simili in leggi.E alla fine conta solo l'energia fisica
, Vale a dire diventa il primitivo modulabile nelle diverse forme. Significa allora che la ragione sempre , visto che mi sembra ti piaccia il linguaggio, riassume i significati, le descrizioni, in segni,simboli.
Quali intime richieste sono da assecondare, quelle del pervertito o del saggio?
Ad un certo punto la coscienza o crea o distrugge, o lega razionalmente le contraddizioni o le asseconda e ci vive, si arrende alla propria volontà e si perde nella voluttuà;
ma questo è un altro discorso che esula dalla discussione in corso.Ma persino la cosmologia che in fondo è una filosofia scientifica così simile al procedere delle cosmogenesi antiche , cerca una sua genesi .Le scienze non possono sorreggersi solo nella separazione del fenomeno dal Tutto, vivere di particolarità, allora cerca ,ma sempre nel dominio solo naturale delle apparenze di trovare un proprio senso, che sia la teoria dell'evoluzione o le teorie cosmologiche dell'universo.Penso che in queste ultime la scienza cerchi di spodestare la filosofia, ma perde, Perchè non spiega l'origine di quella energia e l'origine della vita,si perde nelle prove, si perde nelle deterrminazioni sensibili del dimostrabile, così come inciampa nella dimostaazione di una mente, di una coscienza a partire da un cervello fisico.L'autocoscienza ha anche una soggettività, non è un sasso o una qualunque cosa inanimata.Significa che c'è una volontà, dei gradi di libertà, che oltre al pensiero c'è l'agire.Noi non siamo insomma agenti conoscitivi passivi, di quella conoscenza cosa be facciamo oltre alle comodità tecnologiche.Quando parliamo di problematiche socio economiche a tutti appaiono chiare le contraddizioni, fra gli intenti ad esempio e le reali azioni.Non penso che abbiamo una ragione per caso, l'abbiamo per capire e capirci.Lo scritto negli ultimi post, la vità fisica è dentro il divenire, Se l'essere sceglie di esistere e si offre al mondo delle contraddizioni, per me deve per forza avere un senso e la morte è solo lo spartiacque di un ritorno all'essere.Le religioni hanno speculato su questo.Il Bene e il Male sono i simboli segnici di una dualità dentro un contraddittorio e appaiono in qualunque forma spirituale. Nella filosofia si focalizza nella logica.L'autocoscienza se mantieni il senso del bene e del male opera allo stesso modo, ovvero prende parte al dilemma e deve trovarne le essenze, la logica ha lo stesso movimento, la risoluzione di un'equazione ha un suo movimento nel moneto in cui "trasla" cose, oggetti, trasportandole nel segno matematico e operazionale.A me tutto questo appare abbastanza chiaro.La ragione opera allo stesso modo in qualunque dominio e quindi è riconducibile alle operazioni segniche di una formula, di una logica, Ma l'altro valore aggiunto umano, la coscienza, chiede alla ragione che opera in tutti i domini un senso ai quei significati segnici, ha necessità di ricondurle ad una Unità originaria per dirimere le contraddizioni che di volta in volta gli appaiono.Che cosa costruiscono i modelli e le rappresentazioni? Ogni nuova conoscenza esperita dall'intera umanità o dal singolo uomo nella sua esistenza è una continua correlazione fra la nuova conoscenza e quella sedimentata nella cultura e nella singola autocoscienza. Noi confrontiamo continuamente, ma abbiamo già in "testa" il paradigma critico che discrimina, la logica aiuta a razionalizzare.E' una mia convinzione che la vita è importante e che alla fine torniamo all'Essere.Se così non fosse allora tutti hanno ragione, il saggio e il pazzo,ma allora cessa qualunque paradigma di verità si annichilisce la metafisica e vince la volontà di potenza, ovvero la legge di natura del più forte. la cultura diventa solo un suppellettile privo di consistenza, mancandogli il paradigma fondamentale.Secondo te Aristotele quando enuncia i principi logici e la logica predicativa, li ha trovati in tasca o da una intuizione che la sua ragione aveva messo sulla giusta rotta?Ribadisco la logica e prima ancora la matematica e la geometria da dove nascono, se non da una correlazione fra mondo e ragione.Hai scelto consapevolmente o meno, il dominio naturale come veritativo. Ma dimmi solo una verità di questo dominio delle apparenze che sia eternamene vero e che non svanisca in nulla.Nemmeno la scienza moderna ci crede se ha costruito un punto in cui l'energia si esplica e si espande costituendo l'universo.Guarda che nella fisica delle particelle, tipo il bosone di Higgs , il movimento conoscitivo sperimentale è verso l'origine. Cercano ,con la teoria delle stringhe, quell'atomos di Democrito, il principio primo energetico e/o materiale che differenziandosi nella complessità costruisce e costituisce tutte le forme di energie e di materia.Questo movimento del conoscere è tipico delle filosofie.Secondo te, se l'uomo, l'umanità intera svanisse nel nulla fra un giorno, il giorno dopo che ce ne faremmo di essere,enti, logiche e ragioni e coscienze?L'errore è oggettivare spasmodicamente dimenticando sempre il soggetto esistente che è anche il costruttore di quegli oggetti ,senza l'agente conoscitivo che ne è del mondo?
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 19:39:08 PML'errore è oggettivare spasmodicamente dimenticando sempre il soggetto esistente che è anche il costruttore di quegli oggetti ,senza l'agente conoscitivo che ne è del mondo?
"Se un albero cade nella foresta, e non c'è nessuno che lo sente, fa rumore?" (non ho trovato l'autore).P.s. Grazie per la risposta.
Citazione di: Phil il 22 Agosto 2016, 20:53:53 PM
Citazione di: paul11 il 22 Agosto 2016, 19:39:08 PML'errore è oggettivare spasmodicamente dimenticando sempre il soggetto esistente che è anche il costruttore di quegli oggetti ,senza l'agente conoscitivo che ne è del mondo?
"Se un albero cade nella foresta, e non c'è nessuno che lo sente, fa rumore?" (non ho trovato l'autore). P.s. Grazie per la risposta.
Probabilmente sì,ma forse no.Dipende come e dove cade..Tu l'hai ascoltato l'albero che cadeva nella taiga?
E la stella che si stava formando ?
P.S. l'ho chiesto alle cagnette di mio figlio che hanno un udito migliore del mio,mi hanno guardato come
dire" che cosa dice"? Non mi hanno risposto,si sono acquattate. Chissà perchè?
No, e penso che se non ci fossi io, e nemmeno tutti gli uomini, un albero che cade produrrebbe sempre un suono... e, suppongo, l'universo andrebbe serenamente avanti anche senza di noi che lo studiamo e ci filosofeggiamo sopra...
Citazione di: Phil il 22 Agosto 2016, 22:02:12 PMNo, e penso che se non ci fossi io, e nemmeno tutti gli uomini, un albero che cade produrrebbe sempre un suono... e, suppongo, l'universo andrebbe serenamente avanti anche senza di noi che lo studiamo e ci filosofeggiamo sopra...
Da quel che si sa lo ha fatto per qualche milione d'anni, prima della comparsa dell'uomo sulla Terra. Tutto filava liscio..è stato proprio l'uomo, da quando si è messo a studiarci e filosofeggiarci sopra, a cominciare a mandarlo in malora... ::)
L'arcano mi sembra però di facile soluzione: Se l'albero cade in una foresta, luogo brulicante di vita, una moltitudine di esseri senzienti sentiranno il suono e....ne saranno spaventati.
CitazioneSe un albero cade nella foresta, e non c'è nessuno che lo sente, fa rumore?
il suono di per se non esisteil mondo come noi lo conosciamo esiste solo in funzione della nostra interpretazione,attraverso i sensi.ci sono animali,ne esempio il cane,che avverte l'ultrasuono e noi no,oppure il loro olfatto li guida anche a distanze di migliaia di km!..e noi no.ma anche loro sono partiti da qualcosa,magari prendendo un elaborazione ed forma diversa,ma quel qualcosa da cui sono partiti esiste a prescindere ed e' identico al nostro,inoltre "c'era" già da prima..cioe da sempre in precedenza ho accennato qualcosa sullo spazio-tempo e credo che puo avere analoga trasposizione di senso perché anche il tempo e' "altro" da una nostra convenzione mentale ed umana,nel Reale non ce tempo..non esiste ne' passato e ne' futuro,ma un "immobile" eterno presente...che non va inteso anche quest'ultimo come un tempo,così come siamo abituati a pensarlo.quindi il Reale non e' elaborazione mentale ma cio che gli sta dietro,cio che non si vede o che si avverte coi sensi/mente,e tutto cio dimostra che e' comunque intellettualmente intuibilel'albero che cade nella foresta,insieme al suo "rumore" (o simultaneamente al suo "silenzio") e' percio l'ennesimo riflesso,l'ennesimo illusorio "gioco di specchi"...anche se,per far si che qualcosa riflette e' indispensabile la luce e contemporaneamente questa non e' illusoria.
Phil,
ma perchè noi abbiamo una ragione che va oltre il presente. Noi proiettiamo la nostra conoscenza dell'oggi, sul ieri e sul domani. il nostro modello rappresentativo viene proiettato temporalmente.
Alle cagnette non gli importa, gli interessa l'oggi, solo l'oggi.
E che importanza ha che l'universo fisico sia stato prima e sarà dopo di noi?
Noi vediamo uomini nascere e morire, come se venissero dal nulla e sparissero nel nulla, come se un'asincronia temporale di più tempi e durate si intersecassero.
Il tempo della vita dell'uomo ,ovviamente non ha la stessa durata di quella dell'universo.
A noi arrivano le immagini di nascite e morti mentre l'universo continua imperterrito il suo corso.
Noi diamo importanza alla durata , perdendo di vista il significato.
E' come fissiamo le prospettive segniche ch eci fa pensare che anche noi non siamo significativi come qualunque cosa, perchè tutto ci appare come venire e sparire dal nulla e nel nulla.Non basta risponder e che tutto si trasforma, perchè la fisica ha risposto ad UN tipo di energia che esclude ragione, mente,coscienza, ovvero tutto il valore aggiunto che la natura non ha.
Il corpo fisico accumula dalla nascita energia e materia e cresce, poi tutto si decomporrà. Ma al netto energetico, dove è sparita la mente,la ragione, la coscienza ( non voglio aggiungerci l'anima per non creare altre problematiche, anche se è sottointesa)?Nel Nulla?Sei sicuro? Cos'è quell'energia mentale e psichica? Solo elettricità dei nervi? Eppure proprio le culture orientali sono indirizzate alla gestione dell'energia psicofisica gestita mentalmente.
Paul11 scrive:
Non basta risponder e che tutto si trasforma, perchè la fisica ha risposto ad UN tipo di energia che esclude ragione, mente,coscienza, ovvero tutto il valore aggiunto che la natura non ha.
Qui , se mi permetti di intrufolarmi nel dibattito, si pone , a mio parere, il punto nodale. Mi sembra che affermi con decisione la dicotomia tra ragione, mente e coscienza e la natura.
Me se ci fosse questa autonomia della mente e della ragione dalla natura, perchè al deteriorarsi materiale del cervello causa malattia, demenza, vecchiaia,ecc. decade anche la ragione, la mente e inevitabilmente la coscienza di sè ( di sè almeno come "colui che ricorda cosa è stato nel tempo")? E' questo che non riesco a spiegarmi. Se la mente con le sue funzioni fosse autonoma, altra cosa dalla natura, subirebbe senz'altro l'inevitabile degrado dato dal tempo, ma resterebbe sempre in lei il ricordo di "cosa sono stato nel tempo" perchè senza il ricordo di sè nel tempo come differenziamo quest'"anima" da qualsiasi altra "anima"? La dicotomia tra anima e natura ( prakrti e purusha dicono in India) assoluta pone molte difficoltà, a mio modesto parere, e non può nascondere un istintivo, inconscio senso di disgusto verso la materia/natura e quindi il sentirsi "altro da tutto questo"? Non è un caso forse che le tre religioni monoteistiche abramitiche, ma non solo, pongano sempre l'accento sul non appartenere alla Natura, l'essere altro da essa, vista come "sporca", "bassa","animalesca" in senso dispregiativo e il seguire le sue leggi come "peccato", come un separarsi dalla Purezza del Totalmente Altro dalla povera Natura? Che è sì creata, dono , ma per essere usata e sottomessa? Un giudizio sostanzialmente negativo sulla Natura? Un sentirsi qualcosa di diverso che può nascondere anche la presunzione di superiorità dell'uomo? Come dirsi: se io sono diverso dalla natura, se non partecipo del suo destino, sfuggirò certamente alla morte, che riguarda solo la natura, non certo io che la osservo. Ritorna dalla finestra la Grande Paura dell'essere, che è fondamento del suo agire e che pensava di aver cacciato dalla porta?
Sariputra
chiunque può "intrufolarsi " nel dibattito, non è una chat personale.
Autonomia della ragione, mente, coscienza, sì, ma non dicotomia nella realtà, perchè entrano nella realtà.
Mediano e interpretano la natura e la razionalità.
Può essere, non posso scartarlo, un atto di presunzione, ma come ho scritto in precedenti post a questo punto cosa ce ne facciamo della coscienza? Se fosse VERO E CERTO il mondo reale e quindi siamo solo dentro la legge di natura, non mi è chiaro il paradigma stesso su cui poggia la natura che mi ha dato una coscienza e la cognizione. la teoria dell'evoluzione è manche vole in questo, funziona per tutti gli organismi viventi, ma non per l'uomo
E' da queste considerazioni che ritengo non-razionale il mondo della natura, in cui il compito dell'autocoscienza è da ponte interpretativo fra fisica e metafisica.
A mio parere la cultura indo-cinese per certi versi è addirittura superiore a quella Occidentale.
Vi sono parecchie varianti, dalla cultura induistica, di derivazione vedica, a quella dravidica con la reincarnazione.
Il mio personale pensiero è che lo spirito è eterno e corrisponde all'Essere filosofico.
L'anima è il ponte fra spirito e corpo, è il "respiro" metaforicamente e alberga nel singolo corpo fisico fino alla morte, fino a tre giorni dopo la morte, Poi l'anima ritorna allo spirito con il suo bagaglio di essenze e sensi che ha esperito nella vita dell'esistenza dentro il corpo fisico nella natura.
Ribadisco , è la mia personale posizione, perchè va oltre molti pensieri filosofici e spirituali, perchè lo trovo il più congruo ,personalmente.
Mi permetto d iscriverlo, perchè siamo nel forum spiritualità..
Tenete presente che la mia posizione attuale è di chi fino a due decenni fa non era credente e su posizioni fortemente agnostiche.
Quindi è il dominio della natura che ha delle incongruenze logiche, per cui la ragione e la coscienza non troverà mai un barlume di verità sul significato della vita, del perchè esistiamo e quindi moriamo dentro un tempo in divenire.Ma allo stesso tempo le incongruenze logiche e contraddittorie, pongono alla ragione razionale la possibilità di capire grazie alle correlazioni fra i domini, ciò che è apparenza e ciò che è essenza di quell'apparenza e di coniugarle con i significati in senso logico razionale.
Se così non fosse, negheremmo la filosofia, negheremo le religioni e le spiritualità , ma soprattutto negheremmo la stessa scienza moderna in quanto comunque astrae, trasla dal fenomeno fisico all'idea logica matematica di un'equazione o di una figura geometrica,
ovvero CREDE che la razionalità sia nel fenomeno in sè e per sè, ma lo astrae
.Dà più fiducia al fenomeno che all'agente conoscitivo, all'uomo e quind isi contraddice epistemologicamente cortocircuitando il movImento conoscitivo, sorreggendolo con una opportuna OGGETTIVITA' del dimostrato sperimentalmente, salvo autofalsificarsi dicendo,sempre epistemologicamente, che nulla è vero e tutto è relativo.
Io lo trovo il teatro dell'assurdo, perchè alla fine quello che conta in questa cultura è la tautologia . l'evidenza ma funzionale nell' esisitenza, ma chi decide la funzionalità di una tautologia, la comodità del potere culturale?
Sì , lo so che posso "intrufolarmi" liberamente, ma ...mi piace fare il gattone timido :)! ( a volte...).
Una cosa che hai scritto e che condivido è
"la ragione e la coscienza non troverà mai un barlume di verità sul significato della vita, del perchè esistiamo e quindi moriamo dentro un tempo in divenire."
E questa può essere una profonda disperazione della persona umana intesa nella sua pienezza, di anima e corpo, nel senso più nobile del termine. Perchè un conto è ragionare astrattamente di essere o divenire, anima e materia, ecc. un conto è la nostra solitudine esistenziale di fronte a questo abisso che ci è davanti. La mente ha le sue ragioni, ma anche il cuore ha le sue e, parafrasando una canzone, "Quando si fa sera muore d'amore...". Penso spesso che sia opportuno, a volte, staccarsi dal continuo e incessante indagare della mente e lasciare spazio alla possibilità che la Vita ci parli, ponendosi con umiltà di fronte ad essa, non pensando di essere intelligenti, saggi, filosofi, ecc. ( cosa che mi è difficile, lo ammetto, la mia presunzione è enorme... enorme come la mia ignoranza) ma con quel famoso "sguardo di bambino" aperto alla Meraviglia. Come il guardare tutte le cose per la prima volta, proprio riscoprendo, se possibile, quel candore che abbiamo perduto. Allora le piccole, ordinarie cose e insieme ad esse il Silenzio così pieno della Natura, a volte mi svelano, per qualche attimo, l'arcano. In quell'attimo non sento il bisogno di "senso", di significato, mi sembra, forse illudendomi, che io stesso sono quel senso , quel significato.
Allora non penso alla morte, alla mia fine, sento che tutto è giusto così, che non c'è altro da chiedere e che anzi, sono grato alla vita, degli innumerevoli attimi di bellezza che ho potuto gustare, in cui ho vissuto e ho avuto parte. Sono stato anch'io, per attimi, questa Bellezza prima che il pensiero, la ragione mi portasse nuovamente lontano, mi estraniasse , mi rendesse "altro", isolato dal Tutto.
E' come quando hai vicino una persona e continui a interrogarti: Mi ama? Non mi ama? Perchè fa così e non colà? Perchè è così e non in quell'altro modo? Se smetti un attimo di pensarci e lasci vivere la sua presenza, allora forse potrai vedere i tanti piccoli gesti d'amore che quella persona ti riserva, con i suoi limiti di creatura, con i sacrifici che fa per te, ecc. Allora smetti di interrogarti , lasci andare la ragione e puoi finalmente vedere l'amore. Quindi un trovare lasciando andare, avere le mani vuote, per così dire, per poterle riempire di lucciole...
Citazione di: paul11 il 23 Agosto 2016, 09:29:58 AMMa al netto energetico, dove è sparita la mente,la ragione, la coscienza ( non voglio aggiungerci l'anima per non creare altre problematiche, anche se è sottointesa)?Nel Nulla?Sei sicuro? Cos'è quell'energia mentale e psichica? Solo elettricità dei nervi?
[corsivo mio]
Per usare una metafora ormai abusata (e forse malvista): quando spengo il computer dove va il software del sistema operativo (Windows o affini)?Proprio questo "dove" e questo "andare", di radicata tradizione greco-cristiana, sono secondo me l'ingannevole presupposto che (pre)orienta la domanda verso un vicolo cieco o in un pozzo senza fondo (a scelta :) ), perché rendono il famigerato Nulla uno pseudo-posto (con tutte le possibili contraddizioni del caso), ma si tratta per me di una domanda mal posta (a trabocchetto, del tipo: dove va la rabbia quando mi calmo? Dove vanno i sogni quando mi sveglio? Per queste domande il "dove" e l'"andare" sono solo una metafora, prenderli sul serio comporta cercare risposte impossibili...). Come già accennato, la mia personale "scommessa" è che non ci sia un "andare da qualche parte", ma un cambiare stato/condizione (sempre ragionando al netto di una visione mistica o spirituale o animistica...).
Almeno questo è quello che ho "sentito nel Silenzio"(!) di cui parla Sariputra...
P.s.Citazione di: acquario69 il 23 Agosto 2016, 04:52:19 AMil suono di per se non esiste
Qui mi avventuro ben oltre le mie legittime certezze, ma, se non erro, il suono è una vibrazione "materiale" prodotta da un evento, e in quanto tale esisterebbe a prescindere dal giudizio o dalla misurazione umana (la "musica" o la "stonatura" sono invece costruzioni/interpretazioni della mente umana).
Citazione di: Phil il 23 Agosto 2016, 15:40:55 PM
Citazione di: acquario69 il 23 Agosto 2016, 04:52:19 AMil suono di per se non esiste
Qui mi avventuro ben oltre le mie legittime certezze, ma, se non erro, il suono è una vibrazione "materiale" prodotta da un evento, e in quanto tale esisterebbe a prescindere dal giudizio o dalla misurazione umana (la "musica" o la "stonatura" sono invece costruzioni/interpretazioni della mente umana).
Si certo,mi sono espresso male,intendevo il suono cio Che ci arriva a noi ma sono vibrazioni/onde e mi riferivo a queste come "costanti" e a prescindere
Citazione di: acquario69 il 16 Agosto 2016, 06:45:00 AM
sicuramente saro' strano io ma francamente non riesco a capirlo.
ma che cose' che spaventa così tanto,forse l'idea che dopo non vi sarà altro che il nulla?!
E se fosse la paura di perdere qualcosa?
Citazione di: Gibran il 24 Agosto 2016, 13:06:27 PM
Citazione di: acquario69 il 16 Agosto 2016, 06:45:00 AM
sicuramente saro' strano io ma francamente non riesco a capirlo.
ma che cose' che spaventa così tanto,forse l'idea che dopo non vi sarà altro che il nulla?!
E se fosse la paura di perdere qualcosa?
penso di si...quando si pensa alla morte,equivale a pensare di perdere se stessipotrebbe essere percio l'altra faccia della stessa medaglia di chi ha paura del "nulla"la paura pero viene fuori da qualcosa che non si conosce,(infatti che cose' il "nulla" se non qualcosa di cui non si ha conoscenza?) percio credo sia solo una questione di conoscenza (chiaramente non formale,ma interiore)..quindi il punto fondamentale e'; chi sono io? una volta conosciuto questo,non ce più paura,perché non ce più la morte...
[Cit.] "quindi il punto fondamentale e'; chi sono io? una volta conosciuto questo,non ce più paura,perché non ce più la morte..."
Credo anch'io che sia così. La conoscenza di ciò che si è, profonda, interiore, fa scomparire la paura della morte...
Hai messo questa frase in corsivo quindi mi viene da pensare che sia una citazione. Se è così, posso sapere di chi?
Al momento sono in partenza, ma al mio ritorno frà qualche giorno magari riprendo il discorso.
Citazione di: Gibran il 24 Agosto 2016, 15:08:21 PM
[Cit.] "quindi il punto fondamentale e'; chi sono io? una volta conosciuto questo,non ce più paura,perché non ce più la morte..."
Credo anch'io che sia così. La conoscenza di ciò che si è, profonda, interiore, fa scomparire la paura della morte...
Hai messo questa frase in corsivo quindi mi viene da pensare che sia una citazione. Se è così, posso sapere di chi?
Al momento sono in partenza, ma al mio ritorno frà qualche giorno magari riprendo il discorso.
Non e' una citazione...l'ho scritta mentre ci riflettevo sopra...Anzi,dentro di me
..e ripensandoci a posteriori quando mi capita di scrivere parti in corsivo o magari sottolineando,il motivo e' appunto quello di esprimere cio che mi viene fuori come un "immagine" difficile da spiegare a parole,se non attraverso una sintesi
Rispondo a davintro 45,
l'idea di una dialettica tra immanente e trascendente mi convince poco, la dialettica presuppone basi per un linguaggio comunicativo comune e i significati di fondo, tra una rappresentazione immanente e una trascendente (naturalmente pure) del mondo sono differenti. La dialettica può insistere tra individui su contenuti trascendenti se entrambe sono "predisposti". La dialettica su argomenti immanenti è più facile, perché tutti hanno esperienze e contenuti immanenti. Se poi con dialettica si intende il confronto interiore tra esperienze immanenti ed esperienze che si reputano trascendenti allora sono d'accordo.
Rispondo a paul11 56,
nell'altro thread mi dicevi che qui definivi la tua idea di razionalità. In realtà mi sembra che qui si parli soprattutto di senso, ma chissà forse le due cose si avvicinano. Potremmo differenziare tra un senso immanente ed un senso trascendente. Orrore! Cos'è un senso immanente, posso fare un esempio pratico preso dal thread, dove ci si domandava che senso ha il suicidio, ora se la domanda trovasse una risposta compatibile con la legge evoluzionistica (Cosa problematica, visto che è un comportamento direttamente opposto all'istinto di sopravvivenza), questo ridurrebbe la problematicità di trovare un altro tipo di senso, magari trascendente. Il senso, trattato in questo modo, si avvicina molto all'idea di razionalità, entrambe nascono dallo stesso bisogno umano di "chiudere il cerchio", trovare cioè una spiegazione per tutto (o almeno illudersi di averla trovata).
Anthonyi
ho scritto numerosi post e non posso ripetermi.Utilizzo la filosofia dialettica per mettere in comunicazione i due domini dell'eterno e del divenire, mediati dall'autocoscienza che vive nel contraddittorio mondo delle apparenze.
Dal post di acquario posso dire che l'uomo ha paura di ciò che non conosce,anche di se stesso.
La predittività scientifica si razionalizza in una equazione per prevedere i fenomeni.
Sapere è predire, prevedere e questo porta alla padronanza.Ma la vera padronanza è conoscere anche e non solo esternamente i movimenti degli essenti, degli eventi e fenomeni che ritornano all'autocoscienza che correla i due domini.
La conoscenza della cultura contemporanea ,figlia degli ultimi cinque secoli, si è illusa che estendendo la conoscenza che si è esplicata nella creazione di innumerevoli discipline scientifiche, in miriadi di dati, potesse avere quella padronanza.
La conoscenza così non è sapere, perchè il sapere è sempre riunificazione delle essenze, il distillato della conoscenza.Oggi l'uomo invece di essere padrone di sè è sempre più confuso e la morte fa ancora più paura .
Nisargadatta Maharaj non era un uomo istruito, cosi' come pure Ramakrishna, eppure a prova che non e' il bagaglio culturale che puo' far arrivare a 'conoscere' cos'e la morte, ma anzi a volte ne e' di ostacolo, perche' manda come in confusione la mente e preclude quell'intimo 'sentire' che ci connette con il trascendente.
Trascrivo qui un frammento di dialogo tratto dal libro' IO SONO QUELLO' di Sri Nisargadatta Maharaj, un libro che io trovo sempre molto 'illuminante' nel percorso di risposta alla domanda 'Chi sono io?':
Visitatore: Quando il corpo muore, tu continui a esistere?
Maestro: Non muore niente.Il corpo e' soltanto immaginario. In realta' non esiste.
V. Prima della fine del secolo,sarai morto per tutti coloro che ti circondano. Il tuo corpo sara' coperto di fiori,cremato,le ceneri saranno sparse al vento:Questa sara' la nostra esperienza. Quale sara' la tua?
M.Il tempo finira' Viene chiamata 'la grande morte', la morte del tempo.
V.Significa che finira' l'universo e tutto cio' che contiene?
M.L'universo e' una tua esperienza personale:Come puo' essere influenzato? Potresti aver tenuto una grande conferenza per due ore:dov'e' andata quando hai finito? e' stata riassorbita nel silenzio in cui l'inizio,la parte centrale e la fine coincidono. Il tempo deve finire,c'era ma non c'e' piu'. IL SILENZIO dopo una vita di chiacchere, e il silenzio dopo una vita di silenzio sono uguali. L'immortalita' significa liberta' dalla sensazione di esistere,dall' IO SONO' Tuttavia non e' una fine.Al contrario,e' uno stato infinitamente piu' reale,consapevole e felice di quanto tu non possa immaginare. Scompare soltanto la coscienza di se'.
V. Perche' la grande morte della mente non coincide con la piccola morte del corpo?
M.Non coincide! Puoi morire migliaia di volte senza che l'inquietudine della tua mente subisca una battuta di arresto:Oppure puoi conservare il tuo corpo e morire soltanto nella mente. La morte della mente e' l'inizio della saggezza.
.......
V. E il testimone'? E' reale o no?
M.Tutte e due le cose.L'ultima briciola di illusione, il primo tocco del reale. Dire 'io sono il testimone' e' vero e falso allo stesso tempo.Falso a causa 'dell'io sono' vero per via del testimone.E' meglio dire:'c'e' la testimonianza'. Nel momento in cui dici 'io sono' un intero universo viene alla luce insieme al suo creatore.
Pag. 276-277 - Capitolo: la morte della mente e l'inizio della saggezza.
Citazione di: Aniel il 25 Agosto 2016, 10:37:06 AMNisargadatta Maharaj non era un uomo istruito, cosi' come pure Ramakrishna, eppure a prova che non e' il bagaglio culturale che puo' far arrivare a 'conoscere' cos'e la morte, ma anzi a volte ne e' di ostacolo, perche' manda come in confusione la mente e preclude quell'intimo 'sentire' che ci connette con il trascendente. Trascrivo qui un frammento di dialogo tratto dal libro' IO SONO QUELLO' di Sri Nisargadatta Maharaj, un libro che io trovo sempre molto 'illuminante' nel percorso di risposta alla domanda 'Chi sono io?': Visitatore: Quando il corpo muore, tu continui a esistere? Maestro: Non muore niente.Il corpo e' soltanto immaginario. In realta' non esiste. V. Prima della fine del secolo,sarai morto per tutti coloro che ti circondano. Il tuo corpo sara' coperto di fiori,cremato,le ceneri saranno sparse al vento:Questa sara' la nostra esperienza. Quale sara' la tua? M.Il tempo finira' Viene chiamata 'la grande morte', la morte del tempo. V.Significa che finira' l'universo e tutto cio' che contiene? M.L'universo e' una tua esperienza personale:Come puo' essere influenzato? Potresti aver tenuto una grande conferenza per due ore:dov'e' andata quando hai finito? e' stata riassorbita nel silenzio in cui l'inizio,la parte centrale e la fine coincidono. Il tempo deve finire,c'era ma non c'e' piu'. IL SILENZIO dopo una vita di chiacchere, e il silenzio dopo una vita di silenzio sono uguali. L'immortalita' significa liberta' dalla sensazione di esistere,dall' IO SONO' Tuttavia non e' una fine.Al contrario,e' uno stato infinitamente piu' reale,consapevole e felice di quanto tu non possa immaginare. Scompare soltanto la coscienza di se'. V. Perche' la grande morte della mente non coincide con la piccola morte del corpo? M.Non coincide! Puoi morire migliaia di volte senza che l'inquietudine della tua mente subisca una battuta di arresto:Oppure puoi conservare il tuo corpo e morire soltanto nella mente. La morte della mente e' l'inizio della saggezza. ....... V. E il testimone'? E' reale o no? M.Tutte e due le cose.L'ultima briciola di illusione, il primo tocco del reale. Dire 'io sono il testimone' e' vero e falso allo stesso tempo.Falso a causa 'dell'io sono' vero per via del testimone.E' meglio dire:'c'e' la testimonianza'. Nel momento in cui dici 'io sono' un intero universo viene alla luce insieme al suo creatore. Pag. 276-277 - Capitolo: la morte della mente e l'inizio della saggezza.
sono in parte d'accordo con il saggio.
Due sarebbero i punti da chiarire.
Cosa intende per morte della mente, e quindi cosa esiste ancora; se è l'anima sono d'accordo.
La seconda problematica è la visione del mondo. La mia non è separazione fra il dominio dell'eterno e del divenire.
Quindi questa anima dopo la morte dove va? Se è il nulla non sono d'accordo.
Quale è il significato dell'esistenza? Se la separazione fra mondo e realtà delle apparenze fosse illusione, sembrerebbe (uso il condizionale) che il mondo fisicosia "espiazione", una sorta di inferno o purgatorio ,tanto per farmi capire e non sarei d'accordo
Partendo da questa prospettiva
Citazione di: Phil il 23 Agosto 2016, 15:40:55 PM
questo "dove" e questo "andare", di radicata tradizione greco-cristiana, sono secondo me l'ingannevole presupposto che (pre)orienta la domanda verso un vicolo cieco o in un pozzo senza fondo [...] si tratta per me di una domanda mal posta (a trabocchetto, del tipo: dove va la rabbia quando mi calmo? Dove vanno i sogni quando mi sveglio? Per queste domande il "dove" e l'"andare" sono solo una metafora [...] la mia personale "scommessa" è che non ci sia un "andare da qualche parte", ma un cambiare stato/condizione [...].
Almeno questo è quello che ho "sentito nel Silenzio"(!) di cui parla Sariputra
mi ritrovo a gongolare un po' nel sapere che anche chi è più saggio di me ha trattato "l'andare" ed "il silenzio" con un approccio-rapporto simile:
Citazione di: Aniel il 25 Agosto 2016, 10:37:06 AM
Potresti aver tenuto una grande conferenza per due ore:dov'e' andata quando hai finito? e' stata riassorbita nel silenzio in cui l'inizio,la parte centrale e la fine coincidono [...] IL SILENZIO dopo una vita di chiacchiere, e il silenzio dopo una vita di silenzio sono uguali.
[corsivo mio]
Anche qui l'"andare via"(fuor di metafora: il terminare) altera irreversibilmente l'identità (della conferenza), la cui morte è solo un "riassorbimento", quindi un modificarsi (cambiando "stato"), diventando silenzio (ovvero "assenza"), quel silenzio che fa "eloquentemente" da sfondo (e da "cimitero") a ogni episodio-evento e all'accadere in generale (della conferenza o della vita).
Per quanto riguarda la "morte della mente":
Citazione di: Aniel il 25 Agosto 2016, 10:37:06 AMPuoi morire migliaia di volte senza che l'inquietudine della tua mente subisca una battuta di arresto:Oppure puoi conservare il tuo corpo e morire soltanto nella mente. La morte della mente e' l'inizio della saggezza.
Suppongo non si parli di morte cerebrale, ma, con tatto più orientale, di morte di quell'"inquietudine"(cit.) che agita la mente (sotto forma di attaccamento, illusione, etc.); per questo è possibile "conservare il tuo corpo e morire soltanto nella mente"(cit.), senza ritrovarsi zombie o in coma: "la morte della mente e' l'inizio della saggezza" perché la mente che muore, in questo caso, è la mente "ignorante" (induisticamente parlando!) che causa la rinascita del corpo... e che può anche consentire, inversamente, di "morire migliaia di volte senza che l'inquietudine della tua mente subisca una battuta di arresto"(cit.): ovvero la stessa mente si reincarna migliaia di volte e migliaia di volte muore, senza arrestare questo ciclo con il raggiungimento della Saggezza-Illuminazione.
P.s. Ho giocato a fare l'esegesi di un brano tratto da un testo che non ho letto (e che non rappresenta esattamente la mia visione del mondo, soprattutto per quanto riguarda reincarnazione e affini): chiedo a chi l'ha letto se questa mia interpretazione possa essere pertinente...
Il problema , rileggendo il brano riportato da Aniel su Nisargadatta, che ho letto e riletto tanti eoni fa nella traduzione di Grazia Marchianò, è la difficoltà per noi occidentali, influenzati fino al midollo dalla concezione greco-cristiana dell'esistenza, anche di dare la corretta interpretazione ai termini e alle frasi del vecchio tabaccaio di Bombay. Per es. , come giustamente fa notare e chiede Paul, cosa significa "anima" per Nisargadatta ? Anima è un concetto platonico che il Vedanta non identifica con la stessa esperienza. L'anima , nella nostra visione è "noi stessi". Impensabile vederla come qualcosa di impersonale, privo di ricordi di ciò che è stato e di ciò che ha fatto, pena il decadere stesso della necessità della Rivelazione di Cristo. Nisargadatta invece, coerente con l'idea hindu, non identifica l'anima con l'IO sono e infatti afferma: Io sono...Quello! (Tat tvam Asi-Tu sei Quello).in cui l'Io non gode di natura propria ma è solamente specchio su cui si riflette ...Quello. E' una differenza radicale con la nostra visione filosofica.
E infatti: "L'immortalita' significa liberta' dalla sensazione di esistere,dall' IO SONO' ". Ora mi sembra che la morte sia un problema proprio per quell'IO sono, che ha la consistenza di un sogno, di un'illusione per Nisargadatta, non è certo un problema per l'eventuale atman impersonale destinato a partecipare dell'assoluto cosciente, pieno di gioia e beatitudine (Satchitananda) il famoso Brahman, anelito eterno della speculazione metafisica induista. Addirittura l'intero "mondo" è illusorio per il tabaccaio indiano ( Maya), c'è solo l'Atman che deve scoprire di essere nient'altro che Brahman stesso. Tralasciando il problema filosofico, evidenziato dai filosofi buddhisti, sul perchè questo Atman, che è l'Assoluto stesso, nasconda a se stesso la sua stessa natura ( problema a cui Shankara tenterà di dare risposta , secondo me, in maniera non del tutto convincente,e alla fine quasi accettando il Velo di Maya come un mistero, un gioco , un diletto dell'Assoluto stesso che amerebbe "uscire" ed "entrare" in sé continuamente, se non fosse che la natura dolorosa di Maya pone l'interrogativo sul perchè allora l'Assoluto amerebbe soffrire...) il fatto che l'Io sono sia illusorio comporta il suo completo annichilimento, la morte totale, il game over dell'attuale esperienza cosciente. Infatti Nisargadatta afferma, coerentemente con Shankara e tutto l'Advaita Vedanta: "Scompare soltanto la coscienza di se'."
La domanda successiva che mi verrebbe , se fossi l'intervistatore, di porgli sarebbe: Se la coscienza di Sari scompare...di cosa stiamo parlando?
La risposta inevitabile sarebbe: DI Qualcosa di reale che esiste, fuori da ogni tempo, che non è Sari.
Domanda: E allora dov'è andato Sari?
Risposta: Sari è un'illusione di maya, è scomparso, è svanito come un sogno.
E questo non è annichilimento totale di Sari? A che giova al povero Sari sapere che c'è un principio eterno immortale, privo della sensazione di esistere, anzi , come dice Nisargadatta, "libertà dalla sensazione di esistere", di cui non può fare parte? Quando il povero Sari illusorio deve sprofondare per sempre nel nulla? E' Sari che vuole vivere, l'atman, se esiste, chi lo ha mai visto?
Citazione di: anthonyi il 24 Agosto 2016, 17:35:48 PMRispondo a davintro 45, l'idea di una dialettica tra immanente e trascendente mi convince poco, la dialettica presuppone basi per un linguaggio comunicativo comune e i significati di fondo, tra una rappresentazione immanente e una trascendente (naturalmente pure) del mondo sono differenti. La dialettica può insistere tra individui su contenuti trascendenti se entrambe sono "predisposti". La dialettica su argomenti immanenti è più facile, perché tutti hanno esperienze e contenuti immanenti. Se poi con dialettica si intende il confronto interiore tra esperienze immanenti ed esperienze che si reputano trascendenti allora sono d'accordo. Rispondo a paul11 56, nell'altro thread mi dicevi che qui definivi la tua idea di razionalità. In realtà mi sembra che qui si parli soprattutto di senso, ma chissà forse le due cose si avvicinano. Potremmo differenziare tra un senso immanente ed un senso trascendente. Orrore! Cos'è un senso immanente, posso fare un esempio pratico preso dal thread, dove ci si domandava che senso ha il suicidio, ora se la domanda trovasse una risposta compatibile con la legge evoluzionistica (Cosa problematica, visto che è un comportamento direttamente opposto all'istinto di sopravvivenza), questo ridurrebbe la problematicità di trovare un altro tipo di senso, magari trascendente. Il senso, trattato in questo modo, si avvicina molto all'idea di razionalità, entrambe nascono dallo stesso bisogno umano di "chiudere il cerchio", trovare cioè una spiegazione per tutto (o almeno illudersi di averla trovata).
Quando parlavo di dialettica non la intendevo in senso linguistico-comunicativo, ma in senso logico-argomentativo. La dialettica come forma della razionalità che cerca di trovare collegamenti fra una molteplicità di fenomeni a prescindere dalla necessità di dover comunicare intersoggettivamente le proprie idee. Ma nel momento in cui la dialettica viene identificata con la comunicazione linguistica si crea pregiudizialmente un ostacolo per la possibilità di una conoscenza razionale di tutto ciò che ha a che fare con la dimensione spirituale, compreso dunque il trascendente. Il linguaggio è un sistema di simboli sensibili, udibili, visibili. Dunque mi è tanto più facile comunicare qualcosa quanto più la sensibilità delle parole rispecchia la sensibilità degli oggetti a cui le parole si riferiscono. E se la razionalità coincide con la comunicatività allora una dialettica che riconosca un' ulteriorità rispetto alla conoscenza dell'immanenza sensibile diviene quasi impossibile. Ammettendo invece che i limiti della pensabilità non coincidono con quelli del linguaggio (seppur livelli reciprocamente correlati), allora si riapre per la dialettica lo spazio per un riconoscimento di un sapere spirituale, a cui potremmo pervenire nell'autocoscienza, quanto più la mente si rivolge alla propria interiorità, un sapere non riferito a oggetti sensibili, bensì intelligibili e dunque difficilmente adeguabile e rappresentabile dal linguaggio esteriore, fatto di parole e suoni, cioè di sensibilità, ma non per questo un sapere non dialetticamente e argomentativo valido. Mi rendo conto che tale visione presuppone un'idea di rapporto pensiero-linguaggio improntato al riconoscimento di un certo margine di autonomia del primo termine rispetto al secondo, un'idea controversa, che personalmente condivido anche se per ora preferisco non approfondire (forse sarà per un'altra discussione)
Se non sbaglio Paul11, che ringrazio per gli immeritati complimenti, mi chiedeva di operare una critica al mio post sulla razionalità del collegamento tra fenomeni dell'immanenza e un piano metafisico. Se ho ben capito, un'autocritica. Io direi che un'apparente difficoltà di questo "mio" discorso potrebbe riscontrarsi nel fatto che i fenomeni, in quanto apparenze, sarebbero descrivibili e analizzabili delimitando qualunque loro significato al relativismo di una soggettività il cui sguardo sul mondo è rinchiuso all'interno dei limiti spaziotemporali della prospettiva dei singoli individui, nel senso che i fenomeni che osservo non sono oggetti da cui potrei ricavare un complesso di giudizi universali, autenticamente scientifici, validi non solo dal mio punto di vista. Tuttavia penso che tale difficoltà possa superarsi alla luce dell' approfondimento della nozione di "soggetto". Quando parliamo della coscienza soggettiva che riceve il manifestarsi dei fenomeni parliamo della mia particolare coscienza individuale, costituita da caratteri contingenti e non universalizzabili, ciò che appartiene a me e non ad altri, o dobbiamo considerare la coscienza nelle sue strutture universali, tali a prescindere dalla diversità dei singoli individui, nel senso essenziale intuibile dei suoi vissuti? In sintesi, fondamentale è la distinzione tra "soggetto empirico" e "soggetto trascendentale". Nel secondo dei suoi significati, la soggettività non è chiusa nel relativismo, ma si riconosce come dotata di caratteri universali che permettono di investigare in modo razionale e oggettivo i fondamenti della sua possibilità in generale di fare esperienza del mondo, cioè di ricevere il darsi dei fenomeni. La soggettività resterebbe il contenuto di un sapere la cui forma invece sarebbe invece oggettiva, dunque razionale
...e una risata mi seppellirà!
Phil,
capisci il pensiero orientale e mi sembri in parte d'accordo e non hai capito cosa ho postato finora?
Quello "stato" che muta è il livello di consapevolezza che l'autocoscienza acquisisce nell'esperienza
Sariputra,
la dialettica nell'antica Grecia dei filosofi era già agli albori in Socrate con l'elenchos.
L'io sono è una constatazione, a mio parere confondi l'Ego con l'autocoscienza
Lambiguità del pensiero orientale è proprio quel "vivere tirandosi fuori", quel "mezzo" vivere etericamente nel mondo.L'anima è personale, renderla impersonale è di nuovo ambiguo,Non c'è assenza se prima non c'è presenza.
L'evoluzione della propria autocoscienza che matura la sua anima passa nella vita dentro le contraddizione.
Il silenzio è la sintesi delle essenze è il sapere che viene dalle conoscenze esperite,è la sintesi che viene dall'analisi.
Diversamente :a che servirebbe allora a vivere , a essere nulla ?
La mia considerazione è che il pensiero orientale ha avuto fortuna da un paio di secoli a questa parte in Occidente (parecchi influenti pensatori hanno avuto in qualche modo una certo ascendente)proprio per sua antitesi al nostro sistema culturale Ma è l'aspirina, non la cura, perchè il vero problema non è nell'ntitesi, ma nel ribaltamento dei paradigmi. Io non sono antitetico al pensieor scientifico moderno e nemmno a quello Oriental, tutt'altro, ma ne vedo chiare le contraddizioni dei paradigmi perchè qualunque umano a qualunque latitudine dimori e in qualunque tempo viva, dovrà sempre e comunque relazionare e correlazionare gli enti, le cose, i fenomeni e gli eventi, e il suo modo di relazionarli, il suo sistema rappresentativo del mondo, dei domini,dichiarerà anche se lui ritine di definire il vuoto, il silenzio, e l'assenza, come la sua presenza ha significato dentro la propria esistenza.
In altre parole, che sia un monaco certosino di clausura, o sia Obama, uno zen o un sufi, non ha molta importanza, se non come processo di identificazione di una cultura che si è "personalizzata" anche se ritene di essere impersonale, perchè è dentro l'esistenza e da questo nessuno è sottratto per evidente contraddizione logica.
Metaforicamente il slienzio è parte dei suoni, nel rigo musicale ha dei suoi segni e una durata, come la virgola e il punto segnano il ritmo delle proposizioni.
Davintro,
gli uomini sono simili, ma non uguali, nessuno è mai stato uguale ad un altro fisicamente, mentalmente.
la libertà è personale come la responsabilità. l'uomo nasce come particolarità come le contraddizioni delle particolarità nelle apparenze..E'la ragione razionalizzante che correla a livello individuale.
La sofferenza del saggio che tende a isolarsi, è dato dall'inconsapevolezza di troppi individui che si fermano alle apparenze contraddittorie e pensano di sapere solo dalle contraddizioni. la sintesi è l'operazione necessaria fra esperienza e ragione, fra vita e razionalità per ricondurlo ad Uno che è il Tutto,sapendo che ne è parte, ma nello stesso tempo è anche particolare come identità contraddittoria.
Più è alto il livello di consapevolezza dell'autocoscienza e più è metaforicamente silenzio, perchè non esiste una formula universale per arrivare alla sintesi, l'avremmo già tutti eseguita e forse il mondo e noi saremmo migliori.
In questo sta la soggettività, come momento isolato contraddittorio con i propri simili, ma consapevole che lui stesso insieme ai suoi simili sono parti di quell'Uno che è Tutto.Questo processo è soggettivo.
La grande difficoltà a capire la logica dialettica sta nel proprio livello di autocoscienza (che non è solo culturale)
perchè il rapporto di relazione a sua volta fra intellezione/ragione e fra razionalità ed empirismo è un lavoro di sintesi dove ad ogni contraddizione il maestro dovrebbe chiedere al discepolo, non tanto cosa conosce, è sottinteso, ma se ha capito? Per forza entra in gioco l'individuo, perchè il processo di relazione del contraddittorio è personale nella singola esistenza, e la cosa più dificile è condividere esistenze,viverle anche negli altri per capirle e a sua volta aiutare.
I maestri religiosi o spirituali orientali, come nelle arti esoteriche ebree, e in diverse mistiche, il rapporto fra maestro e discepolo è personale, è come se nelle nostre scuole dalle elementari alla laurea ci fosse sempre stato un unico tutor personale che oltre alla conoscenza ci avrebbe aiutato nell'evoluzione della maturità della nostra personalità. Noi invece abbiamo genitori, amici, insegnati che spesso si contraddicono fra loro. Noi già da lì maturiamo con un nostro sistema di relazione,compiamo operazioni dialettiche inconsapevolmente, che è naturale in quanto tutti lo abbiamo, ma è personale nel momento in cui ognuno è unico un suo proprio sistema; che non significa essere opposti ai nostri simili,ma diversi in qualche caratteristica che ci caratterizza.
In questo ritengo la soggettività dentro il processo dialettico della vita, dell'esistenza.
I complimenti sono meritati.
L'autocritica è ancora dialettica, perchè è contendere nella forma dialettica come confronto di diversità.
Io non vivo quindi l'esistenza come competizione egoistca, ma come evoluzione, e in quanto tale non sono quindi ,ripeto, un anti-qualcosa,seguo di tutto,cerco sempre di imparare da qualcosa o qualcuno.
Quindi chiedere i pensieri altrui, è come chiedere a vite altrui personali di dargli qualcosa ,altre essenze che forse non potrebbe esperire.Ecco perchè una buona lettura per ognuna di noi è fonte di riflessione, perchè sentiamo che ci migliora..
Alla fine noi convergiamo tutti in un unico punto originario, le particolarità si ricongiungono come essenze dapprima contraddittorie e poi come razionalità nell'unico disegno che ci comprende.
Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PM...e una risata mi seppellirà! Phil, capisci il pensiero orientale e mi sembri in parte d'accordo e non hai capito cosa ho postato finora?
Nel mio piccolo credo, magari sbagliando, di essermi fatto un'idea piuttosto verosimile della tua prospettiva, così come di quella di Nisargadatta, ma non condivido fino in fondo nessuna delle due.
Secondo me, quella che tu chiami autocoscienza (o anima, giusto?), e quella che Nisargadatta chiama "mente che può vivere infinite vite", non vanno da nessuna parte (fino a prova contraria ;) ), semplicemente, si spengono, si disattivano, si arrestano (purtroppo non mi vengono parafrasi migliori per dire "muoiono").
Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PMQuello "stato" che muta è il livello di consapevolezza che l'autocoscienza acquisisce nell'esperienza
La morte è un'esperienza? Non credo sia facile esserne certi... per me la morte è proprio il cessare irreversibile dell'esperienza e dell'autocoscienza.Ciò che cambia stato, secondo me, è l'identità (vista dall'esterno ovviamente!) di qualcosa/qualcuno che, all'accadere della morte, diventa altro, ovvero qualcosa/qualcuno semplicemente morto (a prescindere da quello che si augurano i suoi cari o che lui sperava da vivo...).Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PMDiversamente :a che servirebbe allora a vivere , a essere nulla ?
Il presupposto che la vita
debba (necessità!) avere un senso o "servire a qualcosa" è tanto atavico e inconscio che talvolta escludiamo che possa essere diversamente, lo diamo per apodittico e ci preoccupiamo solo di partire per la ricerca che quel presupposto ci indica... tuttavia, se talvolta facciamo fatica a trovare un risultato affidabile, convincente o perlomeno plausibile oltre la congettura, questo potrebbe anche suggerire che, forse, quel presupposto.... ma avrai già capito a cosa alludo...
Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PMMetaforicamente il silenzio è parte dei suoni, nel rigo musicale ha dei suoi segni e una durata
Vero, ma fuor di metafora, il silenzio è ciò da cui la musica o il suono si afferma (prima di iniziare) e ciò a cui la musica o il suono si "riduce" (appena finisce), oltre a essere lo "sfondo di ogni vuoto" interno alla musica e al suono... dove va il suono quando cessa? Siamo noi a diventare sordi o è il suono e non essere più? Va altrove? Certo, nei nostri ricordi e nelle nostre speranze di risentirlo (se ci è piaciuto), ma questa sua ulteriore vita-esistenza non è davvero "sua" (possessivamente), né davvero "vita" (qualcuno la chiama "traccia"...).P.s. Non indugio a raccontare la mia prospettiva per fare il pedante, ma solo perché mi hai posto un "ridente quesito" :)
Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PML'io sono è una constatazione, a mio parere confondi l'Ego con l'autocoscienza Lambiguità del pensiero orientale è proprio quel "vivere tirandosi fuori", quel "mezzo" vivere etericamente nel mondo.L'anima è personale, renderla impersonale è di nuovo ambiguo,Non c'è assenza se prima non c'è presenza. L'evoluzione della propria autocoscienza che matura la sua anima passa nella vita dentro le contraddizione. Il silenzio è la sintesi delle essenze è il sapere che viene dalle conoscenze esperite,è la sintesi che viene dall'analisi. Diversamente :a che servirebbe allora a vivere , a essere nulla ?
Io non riesco a vedere separazione tra Autocoscienza ed Ego. Mi sembra di osservare un unico processo in atto. Anche tecnicamente viene definita come "la conoscenza che l'Io ha di se stesso".
Certo che questa terminologia ( Io, Ego, se stesso, me stesso, autocoscienza) rischia di confondere. Preferisco di gran lunga la sintesi che ne fa la teologia cristiana con il semplice termine "anima".
In effetti, anche nella pratica meditativa, o di introspezione, finanche nella preghiera si nota solo che " il pensiero sente che sta pensando". Se l'anima è formata dal pensiero e da tutte le pulsioni consapevoli e inconsapevoli della mente è una presenza alquanto "ballerina" e mutevole. Questa autocoscienza come "centro unificatore" dell'essere può avere una valenza psicologica e biologica , ma definirla come un'entità sostanziale che sopravvive al mutare delle cose che si riflettono in essa è un'altra cosa, che a parer mio implica solo un atto di fede.
E' vero che la spiritualità orientale da l'idea di un "volersi tirare fuori" ma questo avviene perchè parte da un presupposto esistenziale per cui la vita viene percepita sostanzialmente come sofferenza e tutto il cammino è rivolto alla liberazione da questa, nell'estinzione del dolore nirvanica o nell'assorbimento nell'Assoluto al di là di ogni illusione dolorosa.
Che tutte le varie forme di spiritualità, sia le abramitiche con il monoteismo, che le orientali abbiano prodotto pochi sostanziali cambiamenti migliorativi nell''uomo è una questione interessante da studiare. Tu definisci le orientali un"aspirina" , ma non la soluzione del problema. Però non c'è ancora nemmeno una diagnosi concorde su qual'è la malattia spirituale dell'uomo. In definitiva non sappiamo ancora cos'è l'uomo. A meno che...non si assuma una particolare fede e ci si dia le risposte in base a quel credo (fede anche nella scienza...).
Resto dell'idea che separare l'autocoscienza dall'ego sia come separare, in un albero, le radici dal fusto.
Sariputra,
in effetti quell'aspirina sulla spiritualità orientale stona anche a me; è una mia cialtroneria con una punta di arroganza
che non mi piace e mi scuso anche perchè è vero quello che sostieni e spesso ho scritto nel vecchio forum, le radici sono conuni. E' vero anche quello che scrivi in un precedente post; quando ho approfondito la religione ebraica fino alle radici con la cultura sumerico-accadica, loro non sono platonici, il mondo della natura apparentemente è separato dal sacro, ma intimamente connesso,non c'è ancora la separazione astratta.
Phil e Sariputra,
Bhe Phil, in fondo tutti viviamo fasi interlocutorie,io stesso non posso presentarmi come colui che ha la verità,ci vivo anch'io nella contraddizione.
E' vero che è difficile definire oggetti ontologici della filosofia , confonderli con la psicanalisi e psicologia e di nuovo con il cognitivsimo e le neuroscienze.
Il problema è la complessità umana della mente(L'io, l'Ego, il Sè, la coscienza,ecc) ,delle forme del processo della nostra conoscenza(intuitiva, induttiva, deduttiva,ecc) e delle diverse forme conoscitive (razionale, empirico,ecc).
La direi così, ed è ribadisco personale, perchè il focus sul movimento e modo operandi dei processi conoscitiva mio parere è fondamentale, fa la differenza e le caratteristiche sull'ontologia, fenomenologia, epistemologia.,
Se non siamo computer e difficilmente inquadrabili come sistema, dimostra che l'uomo è già un universo in sè come complessità e qualità.
Lo spirito è l'Essere filosofico e a mio parere non entra nel mondo fisico.E' l'anima che fa da mediatore fra spirito e corpo umano fisico. L'anima non è inerte, suggerisce alla ragione con l'intuito anche se non è proprio intuito e si rivela nell'autocoscienza, ma non è l'autocoscienza che a sua volta si relaziona alla ragione che è in sè complessa per le sue diverse forme, intellezione, razionalità. L'ego è più legato all'istinto di sopravvivenza, nasce come animalità è più relato alla psiche. Se è già difficile definire chiaramente gli oggetti , la cosa ancor più difficile è come interagiscono fra loro, perchè non sono a loro volta separati, ma possono evolvere o decadere a seconda di chi prevale.
La ragione ad esempio interagisce con l'ego, l'evolve se la educa, decade se diventa egoismo ,vale a dire se la ragione si piega alla volontà animale per cui il cinismo e scaltrezza, astuzia strategica dell'egoismo ne è il risultato.
Noi non possiamo fare a meno dell'istinto di sopravvivenza, dell'ego, il problema è come la ragione lo armonizza nella razionalità, ovvero di come la stessa ragione si muove in rapporto al mondo contraddittorio dove prevarrebbe l'ego, ma dove l'autocoscienza invece si muove in senso contrario.La ragione è mediatore quindi fra ego da una parte e autocoscienza dall'altra, il chi e come si risolve la contesa che definirei l'autocontraddizione della lotta interiore umana è quanto è riuscita la stessa ragione a capire fra i due rappresentanti dell'ego del mondo naturale e di se stesso del dominio metafisico. Quì è fondamentale il segno, significazione, simbolo e senso.Il senso è il ragionamento razionale che attraverso le contraddizioni delle apparenze nel mondo fisco, compresa la morte com-prende,, fa sua la contraddizione e la porta dentro la riflessione dell'autocontraddittorio personale; se riesce a coniugare, a "far filare liscio "( la metto sul semplice e banale) il momento razionale., allora si ha un senso coerente e completo del sistema.
Quel cambiamento di stato Phil è l'autocoscienza che media dalla ragione razionale attraverso il concetto,che ha trovato il senso dalla contraddizione del negativo(la realtà del mondo delle apparenze) al posiitvo dell'Uno o Tutto. Questo positivo è l'indimostrabile scientifico e in quanto tale per la scienza è l'irrazionalità; ma senza questo processo noi viviamo costantemente la fase interlocutoria, perchè la ragione prende dalle percezioni sensoriali il mondo e la ragione cerca il momento razionale dentro le apparenze, illudendosi di trovare verità.
Io non credo davvero alla morte, lo è certamente biologicamente, ma al bios è superiore l'anima mediatrice.
L'autocoscienza deposita a sua volta il sapere della propria essenza esistente all'anima e dopo la morte l'anima porta allo spirito l'essenza di quella persona al proprio essere eterno ,preesitente, lo spirito.
Non chiedetemi come e dove sia lo spirito, il paradiso, ecc. in questo la penso come la teologia negativa, simile alla spiritualità orientale.Noi quì nel divenire non possiamo dire degli eterni come concetto esistenziale, non è esperibile ,sarebbe davvero solo fantasticare privo di una razionalità.
Il perchè siamo al mondo, perchè uno spirito eterno decide di incarnarsi nel divenire del finito è un'altrettanta sola constatazione. Ma è altrettanto vero,come dici Sariputra che le fedi e le spiritualità hanno decido spesso che la vita corporea sia negazione nella sofferenza e lo spirito il positivo.Nietzsche ne ha fatto un 'intera operazione del pensiero,Ha ragione perchè il processo, ma vedete che appunto la filosofia dialettica ricalca il momento negativo e positivo,,del come viene interpretata e razionalizzata la vita nell'esistenza decide le motivazioni e gli atteggiamenti umani nella propri vita, ovvero può condizionarlo positivamente o negativamente, può evolvere o mortificarlo.
Quindi come le metafisiche , religioni, spiritualità culture decidono di relazionare i momenti conoscitivi fra mondo fisco e mondo del sacro o dell'essere con gli enti o essenti è fondamentale nei processi culturali più di quanto possiamo pensare perchè è il vero modello che sovrasta anche quello delle scienze che per loro natura non operano oltre la determinazione del finito osservabile e quindi dimostrabile e la logica formale sul particolare dei fenomeni.
Allora le contraddizioni, ambiguità, crisi, non le vedo più come fattore negativo in sè e per sè, ma come momento necessario per l'autocoscienza che con la ragione li raccoglie e li correla per cercarvi quel senso.Questo è per me il vero senso dell'esistenza, dipanare dalle moltitudini degli eventi, fenomeni, relazioni personali che scorrono nell''esistenza i significati districandoli nel contraddittorio della riflessione dentro l'autocoscienza.
La nostra cultura attuale invece li formalizza come errori e compie la sepoltura dell'autocoscienza mortificando l'anima.La crisi ad esempio è come il rito d'iniziazione delle età umane, i processi di maturazione,Sono necessarie per evolvere.Invece questa cultura le fugge ed ecco spuntare gli immaturi a vita.
Il problema penso Davintro è che il momento oggettivo e soggettivo è un errore di metodo delle scienze che costruiscono finte complessità.
Non è scomponendo in parti un corpus i particolari eil Tutto, che si trovano soluzioni.
Non è studiando il fegato da solo e il cuore da solo e pensando di ricomporlo come sommatorie dei particolari che ho capito il corpo .
Il momento soggettivo rimane per forza, il problema è razionalizzarlo nel concetto
Chi vuole faccia pure critiche, sono le benvenute.
@ Paul11
Mi sembra di capire, dimmi se sbaglio, che vedi tre "agenti" all'opera:
L'Io o Ego grossolano, per così dire, preposto a soddisfare i bisogni e adeguarsi al mondo.
L'anima che è il ponte, il mediatore la definisci, fatto di ragione e intuito, che lavora per "educare" l'Ego e facendo questo dare un senso, un significato al proprio divenire nel mondo.
Lo spirito che è altro dal divenire , che non entra nel flusso del divenire (il famoso Essere filosofico ) ed è essenzialmente Autocoscienza.
Pensavo, sbagliando, che avessi una visione simile a quella cristiana ma questa frase rivela invece un altro punto di vista:
dopo la morte l'anima porta allo spirito l'essenza di quella persona al proprio essere eterno ,preesitente, lo spirito.
Come certamente sai la visione teologica cristiana non ammette che lo spirito individuale sia pre-esistente alla nascita fisica dell'individuo. Dio e i genitori concorrono insieme alla creazione del nuovo essere nella sua interezza di spirito e materia.
Lo spirito che non entra nel mondo, pre-esistente al mondo, eterno, lo vedi, mi par di capire, come colui che tira le fila finali del lavoro dell'anima chiamata a relazionarsi con tutto ciò che non è spirito, ossia con la contraddizione dell'apparente divenire di se stessa. In più l'anima ha il compito di "traghettare" nella dimensione dello spirito l'ego personale, via via "purificato" dalla ragione, così che lo spirito possa assumere in sé l'intera persona, con i suoi ricordi, i suoi atti, i suoi principi,ecc.
Scusami se tento di fare un riassunto sommario.
Ma l'agente eterno , lo spirito o l'Essere che dir si voglia, lo vedi creato da una divinità? Perchè se come sostieni è eterno, presistente, non può essere creatura.
E' unico e assume in sè le varie anime individuali, come un cesto che raccoglie le individualità ? In questo caso sarebbe Dio, ma non il Dio cristiano.
Paul e Sari hanno anime diverse ma uno stesso Essere? Oppure hanno esseri diversi?
Il tuo scritto bene esposto ( all'1.44 di notte!!!...ma come fai? ???) mi fa sorgere più interrogativi che risposte.
Il che è una cosa molto positiva... :)
Sariputra,
Non penso affatto che Dio si metta temporalmente a costruire spiriti e corpi in divenire: è contraddittorio.
Quindi la data di nascita dentro il tempo corrisponderebbe alla data di nascita anche dello spirito, ovvero l'Essere non è eterno ,ma entra in divenire nel finito.
E' tutto contraddittorio.
Deve necessariamente l'Essere abitare l'eternità, non solo l'Uno come fede che è Dio. L'anima sarebbe il cordone ombelicale spirituale , il "respiro" dello spirito nel divenire, il "soffio della vita"
Non è messo in discussione Dio dal punto di vista teologico, ma l'uomo come creato.
O Dio entra costantemente nel divenire dell'universo a generare e creare, oppure Tutto è già nel meccanismo del rapporto fra eterno e divenire fin dall'inizio, vale a dire nel "disegno divino".
In altri termini o Dio per ogni uomo si mette a fare come Adamo e lo trovo assurdo, oppure nel concepimento riproduttivo nel mondo fisico di un nuovo corpo umano lo spirito è già ed è eterno. E lo spirito manda l'anima nel corpo , il soffio della vita, come mediatore fra eterno e divenire, lo stesso ruolo ma dentro il movimento del conoscere lo ha l'autocoscienza.
Sì Dio è l'Uno, colui che ha moltiplicato e colui che il moltiplicato si ricondeuce all'Essere.
Potrei dire così. Il momento cosmologico fisico , in cui tutto l'universo è dentro energeticamente e materialmente dentro la capocchia di spillo è il momento generativo.Avviene l'espansione delle energie e creazione delle materie, l'universo si espande e moltiplica le differenze, ma il momento originario è destinato a ritornare.Tutto sarà riassorbito nell'Uno, nel momento originario del cilo del processo.
Quindi noi siamo "frammenti" apparenti come fenomeni, ma ogni cosa è relata al momento originario in cui l'Essere(quì è Dio) genera l'energia fisica.Ma in questo momento c'è già l'energia spirituale che è L'Essere di ognuno di noi .
L'anima accompagna nel divenire il corpo umano, ma ritorna come significazione dell'esistenza allo spirito che è da sempre , è sempre rimasto nell'eterno, fin dall'inizio dei tempi preesiste.
E' Dio senza attributi e appellativi "umani" che non hanno senso. Gli esseri eterni sono spirituali e creati dall'Uno, da Dio .
Quindi noi ritorniamo allo spirito individuale(il nostro Essere) con le nostre essenze portate dall'anima nel divenire del corpo fisico .
Ma se tutto è scaturito da Dio e l'universo e l'esistenza dell'uomo appare nella fisicità, i nostri singoli Esseri erano in Dio e Uno per cui perdiamo a quel punto l'unicità e la singolarità per essere riassorbiti nell'Essere divino.
Il problema è di due tipi
1) la costruzione razionale dentro la logica dialettica
2) il senso della vita di ognuno di noi a sua volta legato al disegno divino originario che ci è imperscrutabile
Dio è Uno e governa il Tutto , non esiste cristiano, musulmano, induista ateo, laico, e tutte le attribuzioni in cui ci perdiamo nelle contraddizioni del divenire. Siamo più che fratelli e sorelle, siamo energia originaria che si è differenziata affinchè sorgesse la vita e si esplicasse nel divenire del finito.
Provate a verificare la teoria cosmologica dell'universo e la teoria delle "stringhe" delle scienze fisiche, il movimento ,per ceti versi è simile. Esiste una unità iniziale temporale nella cosmologia, il punto originario ,il tempo zero, dopo pochi frammenti di secondi quell'energia fa comparire le forze fisiche, la stringa è l'unità teorica fisica a su volta indivisibile,Sono le sue differenziazioni che costituiscono gli elementi atomici e le forze mediatrici
Allora capirete che la nostra conoscenza attuale è focalizzata sulle apparenze come differenziazioni, come separazioni per costruire attribuzioni ad ogni cosa.ma è contraddittorio con i paradigmi iniziali ,perchè la stessa scienza mi dice che all'inizio era solo energia e che la stringa è il momento originario fisco come l'atomos lo era per Democrito.
Noi diamo troppa importanza alle differenze, il senso della razionalità lo riconduce ai paradigmi originari che non sono ma i differenze ma unità indivisibili a loro volta.
Nisargadatta ha avuto fiducia nell'insegnamento del suo Maestro. Punto. Ha avuto fiducia ed ha iniziato l'indagine di se stesso e del 'fenomeno' che si chiama vita!!!
La sua era una vita ordinaria, come quella di tutti, e' stato un commerciante , sposato con figli, un accanito fumatore di tabacco fino alla fine, quando il cancro alla gola non gli ha piu' permesso di fumare, viveva in una stanzetta dove giornalmente si cantavano i Veda con i suoi devoti abituali e i visitatori occasionali, i rumori della citta' spesso sovrastavano i canti Sacri...lui stesso non ha mai amato parlare della propria vita perche' la considerava irrilevante rispetto a quella'liberta' dalla sensazione di esistere' che non e' annichilimento ma pienezza!!!, non sei piu' 'te stesso' perche' si oltre, sei il 'tutto'.
Nisargadatta ha spesso detto che la 'realizzazione' e' un'esperienza che trascende qualsiasi tipo di ragionamento e parola, qualsiasi discorso,se noi non siamo in grado di conoscerlo perche' non ne abbiamo fatto esperienza, le strade sono solo due, o intuitivamente ci abbandoniamo a quell'insegnamento perche' sentiamo che e' la giusta via o scegliamo altre vie piu' consone per noi.Il caso non esiste, tutto a una spiegazione al fine dell'Evoluzione.
Noi siamo anime in evoluzione lo spirito e' un'altra cosa.
Ogni tradizione mistica esprime questo: nella mistica cristiana soprattutto attraverso l'ascesi, l'abbandono, la trascendenza del Sacro cuore di Gesu', NON DELLA MENTE: DEL 'CUORE' !! (apertura del plesso solare) per esempio. Vogliamo iniziare ad aprirlo allora, questo cuore? saremo il TUTTO che nell'aspetto manifesto e' AMORE INCONDIZIONATO e nell'aspetto immanifesto e' indescrivibile.
Io stessa non sono mica una santa, ho anch'io i miei nemici presunti o reali che mi intossicano giornalmente l'anima, ho a che fare anch'io con questa vita che mi mette alla prova, ma questi insegnamenti sono la mia 'stella fissa' la mia' direzione' per non perdermi ma per ri-trovarmi.
Quindi l'aldiqua' e l'aldila', vita e morte, cambia poco...poiche' ci reincarneremo ancora e ancora per fare esperienza, fino che arriveremo a quella comprensione, che adesso, scusate, non siamo minimamente in grado di comprendere.
Io non sono una persona erudita ma ho capito che la legna che ho mi e' sufficiente per accendere un fuoco che mi scalda il Cuore, un fuoco che se alimentato mi da PACE,molta PACE. Questa e' la mia esperienza.
Paul
Il problema diventa poi definire la natura di questo Uno-Dio assoluto. Se la manifestazione è così contradditoria alla nostra ragione, e quindi anche alla nostra anima, sorge questo interrogativo:
Questo Assoluto spirito è buono o malvagio?
E' satchitananda (essere-coscienza-beatitudine) o una Malvagia Volontà di potenza ( malvagia relativamente al nostro pensare e soffrire ovviamente)?
Questo per richiamare anche la testimonianza di Aniel:
NON DELLA MENTE: DEL 'CUORE' !! (apertura del plesso solare) per esempio. Vogliamo iniziare ad aprirlo allora, questo cuore?
Io stesso sono un fautore delle ragioni del Cuore ma non mi sentirei sicuro di affermare che dal "Cuore" esca solo Amore...purtroppo!!
Sariputra,
il bene e il male ,la ragione e il cuore.
Penso che male sia la contraddizione e bene la razionalità.
Penso che il sentimento sia importante e correlato a ragione e psiche(l'Io) con l'autocoscienza.
Il solo sentimento o contrapporlo alla ragione non ha assolutamente senso.
Se seguissimo "le ragioni" del cuore non potremmo mai distinguere la coerenza logica di un senso, per cui il demonio AMA il male è coerrente ,ma contraddittorio
Tutti amiamo ,anche il serial killer, ma è la ragione con l' autocoscienza che dà il senso al sentimento e non viceversa.
Dio quindi non è nè male nè bene, non è nelle categorie della legge della natura , poichè sono incluse nella metafisica.
Dio equivale alla primordiale e fondamentale identità logica che crea la contraddizione ( il perchè non lo so e nessuno penso lo possa sapere) del divenire in cui siamo esistenti.Il bene e il male sono il primo la coerenza logica , il secondo la contraddizione.
Il mondo non è governato dal bene e dal male, ma semmai coabitano come risultante dei nostri movimenti razionali logici e se vuoi anche dei sentimenti che eseguono quella ragione.
Se mi avete seguito, allora la vita ha senso e significato nell'esistenza dentro la contraddittorietà del divenire finito, in quanto l'uomo può discernere e quindi scegliere con la volontà se vivere la contraddizione e affermarla per vera, oppure cercare le significazioni come traccia per dare senso alla razionalità.
Il simbolo logico , non so se capirete, viene traslato nel segno del bene e del male).
Tutto ciò che è carnale e materiale è rappresentazione segnica del male poichè sono le verità nella contraddizione del finito in divenire, in ciò che appare e sparisce , nasce e muore.
Se credo al demonio credo a tutto ciò che il desiderio è dentro il divenire, ma il demonio sa che lui stesso è stato creato dall'Uno originario , non può vincerlo, allora la verità sussistente eterna è il paradigma a cui il bene e il male si ricongiungeranno alla fine dei tempi. Ecco il movimento escatologico delle religioni,, l'eterno crea il divenire e il divenire finisce nei tempi (muore) ritornando all'alba originaria dopo il tramonto.
Non viene prima la Terra e poi l'Universo, il movimento è dall'origine e unità del Tutto alla dispersione nella multiformità.
Può benissimo essere che il sentimento bypassi la ragione e vada direttamente nell'autocoscienza, ma quell'anima pura ha quanto meno fatto una scelta consapevole o meno di non dare senso al sentimento accompagnandolo nel cinismo del potere o denaro, ha scelto, come in molte parabole di tutti i testi spirituali, di indirizzare il proprio sentimento ,perchè "lo sente dentro d isè".
quella purezza è il legame fra anima e autocoscienza che arriva direttamente al sentimento: fa le cose giuste senza cercare la ragione,
oserei dire inconsapevolmente è quello che si dice , il saggio sa senza conoscere, vale a dire il sapere (capire) senza necessità della ragione, allora quel sentimento è molto vicino all'anima, è quella grazia divina di alcune religioni dispensata da Dio .
Lo sappiamo tutti che cì è qualcosa dentro di noi che non è mai stato spiegato nè dalla psicanalisi ,psicologia o quant'altro è quell'intuito che avevo postato precedentemente, come se l'anima suggerisse non un concetto logico, ma un indirizzo, un senso su cui ragione e sentimento si muovono .
@paul11
Vediamo se ho capito la tua prospettiva (è divergente dalla mia ma voglio comprenderla!): c'è un Dio (eterno), c'è lo spirito/i che eternamente genera anime che accompagnano (letteralmente "animano"!) il corpo dell'uomo nella sua avventura materiale (detta "vita") nel mondo; quando questa vita termina, l'anima (che ha abitato l'uomo carnale) torna al suo spirito eterno. Ho frainteso?
Trovo comunque molto pertinente la questione aperta da Sariputra
Citazione di: Sariputra il 26 Agosto 2016, 09:26:38 AM
Ma l'agente eterno , lo spirito o l'Essere che dir si voglia, lo vedi creato da una divinità? Perchè se come sostieni è eterno, presistente, non può essere creatura.
Che sia, per assonanza, l'eterno Spirito Santo della trinità? Se così fosse resterebbe comunque il problema della sua quantità:
Citazione di: Sariputra il 26 Agosto 2016, 09:26:38 AME' unico e assume in sè le varie anime individuali, come un cesto che raccoglie le individualità ?
Credo che Paul risponderebbe di no, avendo parlato di "spirito individuale":
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 10:13:35 AMnoi ritorniamo allo spirito individuale(il nostro Essere)
anche se aveva già preventivamente accennato all'indecidibilità riguardo tale spirito:
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 01:44:45 AMNon chiedetemi come e dove sia lo spirito, il paradiso, ecc. in questo la penso come la teologia negativa, simile alla spiritualità orientale.Noi quì nel divenire non possiamo dire degli eterni come concetto esistenziale, non è esperibile ,sarebbe davvero solo fantasticare privo di una razionalità.
Mi restano quindi alcune domande:
- se lo spirito è individuale (ed eterno), allora è corretto parlare di spiriti, al plurale, come moltitudine, proiezione metafisica di tutti gli individui vissuti e dei corpi che esisteranno... ma allora i nostri spiriti (miliardi!) sono "coetanei" di Dio? Ma forse questa è una sotto-domanda dell'obiezione di Sariputra e chiama in causa l'impossibilità della risposta...
- l'anima, una volta ricongiunta con il suo corrispettivo spirito eterno, muore?
Dove va? Si dissolve/risolve in esso?
Mi risulta un po' oscura anche la tua concezione di "essenza":
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 01:44:45 AML'autocoscienza deposita a sua volta il sapere della propria essenza esistente all'anima e dopo la morte l'anima porta allo spirito l'essenza di quella persona al proprio essere eterno ,preesitente, lo spirito.
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 10:13:35 AMnoi ritorniamo allo spirito individuale(il nostro Essere) con le nostre essenze portate dall'anima nel divenire del corpo fisico
Cosa intendi con "essenze" che l'anima "porta" (accumula?) durante la vita, essenza il cui sapere "l'autocoscienza deposita" nell'anima?
Che fine fa questo deposito quando l'anima ritorna al
suo spirito eterno? Che "senso" ha tale depositare?
P.s. Ho cercato di usare il tuo "vocabolario", spero di esserci riuscito :)
L'anima non viene al mondo per animare il corpo, ma s'incarna in un corpo per operare tramite esso. Il modo in cui opera, cioè le sue opere, sono la prova che deve superare. In altre parole la vita del corpo - parte vegetale degli umani - è il tempo concesso ad ogni anima affinché decida se scegliere il bene o il male e sulla base di questa scelta, che è la ragione della nostra vita, l'anima si guadagna la vita eterna fatta di pace, gioia e serenità o perde la vita stessa.
Le anime che scelgono il bene tornano al cuore del Signore Dio e tutto l'esperito e consapevolezza determinano la distanza dal centro del cuore del Signore Dio stesso che è l'equivalente della scala sociale in questo mondo.
Chi ha scelto il male, non torna da dove era partito, ma vie collocato, a secondo della malvagità delle sue opere, nei vari livelli dell'inferno, ciò che Dante chiama gironi.
Gli spiriti sono di due categorie: Buoni e cattivi. Sia quelli buoni che quelli cattivi, anche se sono tanti, sono in comunione fra loro tramite la comunione con il Signore Dio se sono spiriti buoni e tramite il serpente se sono spiriti malvagi.
Ogni spirito buono ha il potere sul serpente e spiriti collegati perché l'Onnipotente da loro il potere.
Esempio: Se accendiamo la più piccola delle lampadine del presepio di natale nel buio dell'universo, tutto il buio dell'universo non avrà il potere di spegnerla.
Non credere quanto sopra detto genera la paura di morire e questa paura e/o non credenza procede dal serpente per indurre l'uomo alla disperazione o comunque a non vivere in pace.
Il primo passo per entrare nella verità è riconoscere che non siamo carne ma anima.
Phil e Sariputra,
Dio è l'Essere e Uno e Gesù è la manifestazione di uno spirtio che si incarna come uomo.
Noi eseguiamo gli stessi passaggi di Gesù senza essere evidentemente Dio che ci ha creato.
Lo spirito quindi genera, ma non crea.
Il discorso trinitariio cristiano è logica formale, è controverso,in questo thread ci depisterebbe.
Negli eterni non c'è la creatura fisica, siamo puro spirito ,abbandonate i concetti antropomorfici , noi non portiamo là i nostri desideri carnali, il film della vita è già stato nel divenire dei tempi, l'anima porta il "filmato" delle essenze significative della nostra esistenza e si riconduce allo spirito e Dio "vede" il nostro spirito.
Cosa intendi Phil per indecidibilità dello spirito?
Phil tu presumi la reincarnazione, non la posso scartare come ipotesi
L'anima è la mediatrice fra spirito e corpo e quindi si risolve nello spirito.
L'essenza, faccio prima metaforicamente, è un profumo, è il tè,ecc.
Ovvero è la verità seppur contraddittoria , la sintesi, di ciò che noi capiamo nel mondo.
la nostra opinione personal,e il nostro modi di fare, pensare ,agire, riflettere, è data dalle sintesi dei significati nell'esistenza della vita.E' il riassunto significativo per ogni molteplicità delle apparenze,
Il senso è se noi ci siamo evoluti o decaduti. Io la definisco metaforicamente una porta che noi apriamo in questa vita frai due domini i, quello della carne nella natura del divenire e quello dello spirito nell'eterno. Sta a noi aprire o chiudere la porta.
Sto cercando ,come sempre, di essere discorsivo e non formale accademico.
Provo a far capire alcuni denominatori comuni che sono nelle essenze culturali anche spirituali.
Tutte le religioni tendono a dire che il mondo è una forma di contraddizione.
La simbiosi fra logica e metafora religiosa funziona, perchè amare nel mondo della natura troppo spesso vuol dire "attaccarsi" ai desideri.Se il sentimento veicola la ragione a focalizzarsi sui desideri, ecco nascere il peccato, la contraddizione logica dialettica delle apparenze, l'incarnazione del male come demone.I segni sono esattamente logici, solo che gli antichi ,come dimostrano i miti, antropomorfizzavano i concetti.
Amare non basta, è dove ,come e quale è la finalità della passione, il suo senso ,il suo indirizzo.
Per questo c'è la ragione e soprattutto l'autocoscienza.
Se nego l'autocoscienza la ragione sposa il desiderio passionale di attaccarsi alle apparenze e le giustifica formalmente: questo fa la scienza attuale, e l'uomo decade perchè desidera la quantità di conoscenza che non è la qualità delle essenze e cerca la certezza e verità nell'apparire. Quindi il desiderio è come la morte, perchè coabitano nello stesso dominio, Più desidero e mi attacco al mondo e più la morte si contrappone e lo temo.
Ad una apparenza si contrappone un'altra e noi involontariamente ragioniamo abitualmente così.
Ma esaltare solo il metafisico signifca che noi no riusciremo a trascendere le contraddizioni, perchè la trascendenza è negata dall'astrazione. Significa che nego la vita terrena per illudermi di vivere già nello spirito.
Il siddharta questo lo intuisce quando svolgendo la vita ascetica vede e ascolta un suonatore di chitarra, o strumento simile, Capisce che le corde per suonare bene non possono essere nè troppo tirate e neppure troppo
rilasciate.L'armonia è quindi accettare di vivere la vita sapendo che incontreremo problemi, contraddizioni nel sentimento e nella ragione che coagulano nell'autocoscienza, ma sapendo che i desideri carnali e materiali non portano da nessuna parte se non nel vedere la morte come fine, l'autocoscienza mediando i due domini apre la porta del senso dalla natura al sacro, dall'empirico al metafisico, depositando le contraddizioni che l'autocoscienza insieme alla ragione dirimano in essenze significative dell'esistenza,Il capire perchè si esiste, cambia la prospttiva della vita stessa, non esiste più un altrui, il nemico, l'odio, espressioni del sentimento che non trova nella ragione il significato vivendolo come contraddizione della contraddizione e l'autocoscienza morde perchè a sua volta l'anima suggerisce.Quindi l'uomo vive la propria conflittualità dentro e fuori di sè.
L'autocoscienza insegna ad accettare a distaccarsi, ad accordare ,ad agire o non agire, a capire i momenti dell'opportunità e dell'inopportunità. Più matura e più predice, perchè sa e capisce le essenze delle contraddizioni che ritornano continuamente sotto altre apparenze con gli stessi significati.
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 19:45:04 PMPhil tu presumi la reincarnazione, non la posso scartare come ipotesi
Non presumo affatto la reincarnazione: è una congettura religiosa in cui
non credo... per questo ho scritto di
non essere d'accordo con la prospettiva di Nisargadatta
Citazione di: Phil il 25 Agosto 2016, 16:16:32 PMche non rappresenta esattamente la mia visione del mondo, soprattutto per quanto riguarda la reincarnazione
P.s. Sono proprio così illeggibile? ;)
Paul,
ma accettare il Divenire come Reale non semplifica le cose ? Accettare che proprio l'impermanenza di tutte le cose sia "Vera" e l'immagine che se ne da la mente invece illusoria, non ci libera dalla necessità di postulare l'esistenza di una sostanza eterna metafisica? Se accettiamo che tutti i fenomeni di cui siamo coscienti insorgono e decadono per cause e condizioni dipendenti tra loro e che i processi coscienti di contatto con questi fenomeni transitori sono a loro volta soggetti a nascita e morte non porta a vedere il Tutto-che-muta come unità con la nostra stessa esperienza cosciente? Paragonabile ad un fiume infinito che non ha sorgente né foce e di cui noi siamo illusoriamente, per ignoranza della mente, spettatori quando invece ne siamo immersi come tutto ciò che esiste? Assumere la sensazione della coscienza di sè come sostanza eterna e immutabile crea inevitabilmente dualità tra autocoscienza e "mondo" a parer mio. Quando invece la constatazione che la coscienza non ha esistenza autonoma ma sorge sempre in dipendenza da...mi farebbe istintivamente e intuitivamente sentire parte di questo processo di insorgere e decadere continuo e ininterrotto.
L'unica verità direttamente esperibile dai nostri sensi e quindi dalla nostra coscienza è che tutto passa, il resto mi appare solo come rappresentazione mentale, disegno, trama e ordito dell'attività cerebrale, un telaio e un filato che magicamente prende la forma che il suo tessitore ha sognato. Se osservo la vita non vedo da dove viene e non vedo dove va. Proprio come un fiume che scorre senza inizio nè fine, sapendo poi che anche il fiume è solo un mio filato, una mia rappresentazione. E' chiaro poi che , essendo tutto impermamente, si rivela il carattere insoddisfacente della vita che sperimentiamo. Insoddisfazione che trova il suo fondamento nell'attaccamento all'idea di permanenza , di sostanza, di anima che è altra dal flusso del cambiamento, quando invece questa idea potrebbe avere come base la volontà, la sete di esistere e perpetuarsi in eterno del Divenire stesso?
Quindi, riassumendo: Nessun Dio, nessuna anima, solo il sibilo del vento sulla bruna tomba. Alziamo la coppa Paul , Phil e Giona e anche tu Aniel...che presto l'eterno mutare farà coppa dei nostri teschi...
( Questo fa molto Khayyam ma mi sembra una buona uscita...non trovate? :) )
Mi sembra di essere, nel complesso, d'accordo con i post di Paul11, se ho a grandi linee compreso le sue idee..., condivido l'attribuzione del ruolo della razionalità metafisica alla sintesi tra immanenza e trascendenza nella fondazione di un complesso di significati universali, nonchè legato a tutto ciò l'identificazione tra spirituale ed eternità da un lato, e tra materiale come particolarità contingente dall'altro; mi lascia solo un pò perplesso il costante utilizzo della categoria di "contraddizione" riferita al divenire dei fenomeni dell'immanenza, contrapposta ad una razionalità metafisica che dovrebbe anelare al superamento di tale contraddizione. Per me "contraddizione" ha un senso che vale sul piano della logica formale, contrdditorio è un discorso che non ha una coerenza interna logica, e dunque è necessariamente falso ed assurdo. Ora, se il divenire è contradditorio, sarebbe solo un'illusione, dovremmo rifiutare l'idea della dualità trascendente-immanente e di conseguenza la stessa tensione a trovare tra essi una relazione che li colleghi, un equilibrio dialettico e dinamico. Resterebbe solo una realtà, eterna ed immutabile, e ricadremmo nel dar ragione a quel monismo così rigido, che, come avevo scritto giorni fà, avrebbe difficoltà nel rendere ragione dell'avvertimento della dualità eternità-finitezza che determina in noi la paura della morte, se non liquidandolo come mera "illusione". Invece a mio avviso il divenire esiste e dunque non può essere contraddittorio, non c'è alcuna incoerenza logica nel fatto che qualcosa cambi e si trasformi. La metafisica entra in gioco non nel rilevare una contraddizione nel divenire, ma nella sua insufficienza nel rendere ragione di se stesso. Perciò, non si dovrebbe parlare di "contraddizione", ma di "problematicità". L'esperienza del divenire, della nostra finitezza suscita dei problemi a cui la razionalità metafisica (ma a questo punto direi "filosofica") è chiamata a dare una risposta teorizzando un'ulteriorità rispetto all'immanenza problematica. Può sembrare una distinzione accademica e pedante, ma non è così. Limitarsi alla constatazione di una contraddizione vorrebbe dire di fatto precluderci qualunque considerazione "positiva", ossia concreta sul reale. Contraddirsi è: Roma è la capitale d'Italia, ma la capitale d'Italia non è Roma. Ma riconoscere la contraddizione mi porterebbe solo ad affermare l'assurdità del discorso affermando l'inconciliabilità delle parti del discorso, ma senza di per sè permettere di pronunciarsi su quale delle due parti sia vera e quale falsa, se Roma sia o non sia davvero la capitale d'Italia. Invece un discorso metafisico orientato al riconoscimento di un concreto ed effettivo modo d'essere delle cose, della nostra vita non può fondarsi sul rilevamento dalla contraddizione di ciò che si vuole trascendere, ma dalla sua problematicità. Altrimenti potrebbe solo limitarsi a tautologie e ad una "pars destruens" dei discorsi insensanti, senza proporre un alternativa positiva, una "pars costruens", "pars costruens" per cui non basta l'analisi, la coerenza logica interna (anche se indispensabile), ma ci vuole anche uno sguardo aperto sul reale, sintetico ed intuitivo
CitazioneL'anima non viene al mondo per animare il corpo, ma s'incarna in un corpo per operare tramite esso. Il modo in cui opera, cioè le sue opere, sono la prova che deve superare. In altre parole la vita del corpo - parte vegetale degli umani - è il tempo concesso ad ogni anima affinché decida se scegliere il bene o il male e sulla base di questa scelta, che è la ragione della nostra vita, l'anima si guadagna la vita eterna fatta di pace, gioia e serenità o perde la vita stessa.
CitazioneSe osservo la vita non vedo da dove viene e non vedo dove va. Proprio come un fiume che scorre senza inizio nè fine, sapendo poi che anche il fiume è solo un mio filato, una mia rappresentazione. E' chiaro poi che , essendo tutto impermamente, si rivela il carattere insoddisfacente della vita che sperimentiamo. Insoddisfazione che trova il suo fondamento nell'attaccamento all'idea di permanenza , di sostanza, di anima che è altra dal flusso del cambiamento, quando invece questa idea potrebbe avere come base la volontà, la sete di esistere e perpetuarsi in eterno del Divenire stesso?
da questi due commenti mi vengono fuori due considerazioni e nella mia profonda ignoranza non capisco fondamentalmente due cose;primo perché si viene al mondo...ho sentito dire che la vita sarebbe un dono di Dio,con lo scopo di "tornare a lui"..ma allora perché ci mette nelle condizioni di superare delle prove? e con l'aggiunta di un (e a quanto pare inappellabile) giudizio finale?prove (e condizioni stesse) che tra l'altro per alcuni non si capisce perché siano più terribili ed indecifrabili di altri e di esempi si sprecherebbero,che so pensiamo a quelli che dopo il terremoto rimangono vivi,specie se molto giovani ma hanno perso tutte e due i genitori rimanendo soli collegato al primo ce un secondo aspetto che mi ricollega alla considerazione di Sariputra,quindi tenendo appunto presente la sua stessa "prospettiva"...e la domanda e' questa (domanda non personale ma generica)perché si decide a un certo punto di mettere al mondo una creatura se poi si saprebbe che alla sua insoddisfazione/sofferenza non ci sarebbe praticamente scampo finche si resta in vita?..a quel punto non era più sensato che un "errore" simile non venisse pure prolungato ad altri?e per questo mi sarei dato due risposte;la prima l'ignoranza,per cui si andrebbe come in "automatico" senza starci a pensare e fregandosene delle conseguenze,la seconda invece sarebbe il più brutale egoismo compreso una forte dose di sadomasochismo,fondamentalmente inspiegabile anche questo.
Citazione di: acquario69 il 27 Agosto 2016, 04:04:49 AM
CitazioneL'anima non viene al mondo per animare il corpo, ma s'incarna in un corpo per operare tramite esso. Il modo in cui opera, cioè le sue opere, sono la prova che deve superare. In altre parole la vita del corpo - parte vegetale degli umani - è il tempo concesso ad ogni anima affinché decida se scegliere il bene o il male e sulla base di questa scelta, che è la ragione della nostra vita, l'anima si guadagna la vita eterna fatta di pace, gioia e serenità o perde la vita stessa.
CitazioneSe osservo la vita non vedo da dove viene e non vedo dove va. Proprio come un fiume che scorre senza inizio nè fine, sapendo poi che anche il fiume è solo un mio filato, una mia rappresentazione. E' chiaro poi che , essendo tutto impermamente, si rivela il carattere insoddisfacente della vita che sperimentiamo. Insoddisfazione che trova il suo fondamento nell'attaccamento all'idea di permanenza , di sostanza, di anima che è altra dal flusso del cambiamento, quando invece questa idea potrebbe avere come base la volontà, la sete di esistere e perpetuarsi in eterno del Divenire stesso?
da questi due commenti mi vengono fuori due considerazioni e nella mia profonda ignoranza non capisco fondamentalmente due cose;
primo perché si viene al mondo...
ho sentito dire che la vita sarebbe un dono di Dio,con lo scopo di "tornare a lui"..ma allora perché ci mette nelle condizioni di superare delle prove? e con l'aggiunta di un (e a quanto pare inappellabile) giudizio finale?
prove (e condizioni stesse) che tra l'altro per alcuni non si capisce perché siano più terribili ed indecifrabili di altri e di esempi si sprecherebbero,che so pensiamo a quelli che dopo il terremoto rimangono vivi,specie se molto giovani ma hanno perso tutte e due i genitori rimanendo soli
collegato al primo ce un secondo aspetto che mi ricollega alla considerazione di Sariputra,quindi tenendo appunto presente la sua stessa "prospettiva"...
e la domanda e' questa (domanda non personale ma generica)
perché si decide a un certo punto di mettere al mondo una creatura se poi si saprebbe che alla sua insoddisfazione/sofferenza non ci sarebbe praticamente scampo finche si resta in vita?..a quel punto non era più sensato che un "errore" simile non venisse pure prolungato ad altri?
e per questo mi sarei dato due risposte;
la prima l'ignoranza,per cui si andrebbe come in "automatico" senza starci a pensare e fregandosene delle conseguenze,la seconda invece sarebbe il più brutale egoismo compreso una forte dose di sadomasochismo,fondamentalmente inspiegabile anche questo.
Quando fummo creati, cioè quando furono creati Adamo e Eva che siamo noi, non c'era morte, non c'era peccato e non c'erano prove da superare.
Queste cose sono entrate nel mondo nel momento in cui l'uomo disubbedì al comandamento di non mangiare dall'albero proibito ubbidienza.
Il Signore Dio sapeva già ciò che sarebbe successo, ma creò l'uomo ugualmente perché se questi prova la sofferenza che causa il peccato e riesce a ravvedersi sarà più affidabile di chi non ha sofferto per aver peccato. Nell'uomo la parte più importante della sua anima è la volontà. La volontà dell'uomo che ha patito è più forte di quella di chi non ha patito.
Per questo veniamo al mondo, cioè le nostre anime s'incarnano, e se riusciamo a superare la prova di non cedere o di ravvederci avremo la vita eterna.
Nell'Ap è scritto: Ai combattenti darò la vita eterna. Il combattente è colui che ha visto lo sbaglio e le conseguenze e fa di tutto per non ricadere.
La morte altro non è che la dissoluzione del corpo materiale per accedere al corpo glorioso - lo stesso che avevano Adamo ed Eva ed il Signore Gesù dopo la resurrezione.
Allora il problema non è più morire, ma risorgere perché chi non risorge resta nella massima sofferenza eterna.
Di questo sì occorre aver paura.
Sariputra,
il divenire per cui tutto scorre è nel nostro destino.
E' la constatazione di fatto di una mente che attraverso i sensi percepisce il mondo.
Ma la ragione non si ferma all'osservazione, elabora.
Non è possible che la ragione formuli leggi matematiche e fische, ovvero utilizza la logica formale e si fermi lì.
E adatto che è la stessa ragione che costruisce quegli strumenti elaborativi per studiare e capire i fenomeni,
non si ferma al momento empirico dell'osservazione del mondo.Questa è già metafisca, perchè come ho già scritto, noi vediamo il mondo, non l'equazione dell'energia o le formulazioni della termodinamica.
La scienza è strumento metafisco dentro l'empirismo.Il suo errore e il nostro è fermarsi a questo solo movimento conoscitivo.
E' l'autocoscienza che chiede alla ragione il senso.
Se acettassi il divenire oltre a questa contraddizione dei domini, ci sarebbe un altro risvolto che amio parere non avete compreso, ma sottaciuto.Tutto è fondato sul nulla.
Significa che la cultura è una vestigia del ieri che muta nell'oggi e obsoleta domani.Nulla è fermo perchè gli stessi pensieri, gli stessi paradigmi culturali poggiano su piedi di argilla.
Quale sarebbero i paradigmi etici e morali dentro la politica e l'economia, quale teoria standard delle particelle fisiche vi sarà fra un secolo.Allora dall'atomos di Democrito alla teoria delle stringhe, tutto muta anche nel modello di rappresentazione del mondo ,che a sua volta muta il modello socio-culturale, che asua volta muta il nostro modello personale di vedere il mondo e noi stessi. Così diciamo di Democrito, oggi che fu bravo, ma superato, e domani diranno dell'oggi.
Rimane il regno dell'indeterminata immanenza con l'illusione che la scienza determini i fenomeni e costruisca scienza. Ma tuto è falso, poichè muta autofalsificandosi, la verità inciampa nell'opinione e noi siamo banderuole al vento in preda a culture dominanti che nulla hanno di vero.
Il risultato è l'accettazione del relativismo in cui il rapporto individuo-sociale- cultura oltre che al rapporto ambienetale uomo-natura è basato sul finalismo della funzionalità, ovvero una cosa è giusta perchè è utile a me e di nuovo emerge la particolarità e con essa l io come egoismo.
Perchè nulla vi è di fondativo etico e morale, le spirtualità sarebbero illusioni per tener buona la gente, e la vera regola è la violenza che è già dentro nelle vestigia culturali che esplica le sue contraddizioni nelle guerre, poichè incapace di gestire attraverso un paradigma di verità e non di relativismo se stesso e il mondo.
Quindi siamo animali pseudo culturali.Il finalismo è il potere e il denaro e dentro questa cultura se accettata è l'unica verità che rimane.
E l'autocoscienza dovìè ,cose ne è di lei?.Mortificata.
Allora l'uomo alienato, nella sua schizofrenica disputa esistenziale fra l'essere e l'avere del finalismo dell'utile e del menfreghismo, si rintana sempre più spesso nella sua solitudine raminga.
La cultura diventa esibizione eloquente delle retoriche, ovvero imbonitori che devono convincere la gente, come i pastori di pecore che menano dalla stalla al pascolo e viceversa.
E questo è l'uomo? Mi rifiuto razionalmente, autocoscientemente , esistenzialmente che quello che c iritroviamo come ragione e autocoscienza ci servano "per ucciderci"meglio" "per costruire un piano strategico di come fottere il prossimo"
Solo l filosofia può avere l'esercizio critico di porre le domande nel contraddittorio delle culture secolari.
La dialettica nacque da Socrate con l'elechos, era morale, passa in Hegel e diventa spirtio arriva a Severino diventa logica dialettica.
Davintro,
la logica dialettica comprende quella formale.
la disputa di qualche anno fa fra Severino e professori universitari di logica ne è un esempio.
La logica formale cerca il vero e il falso dentroil confronto, ma si ferma alle particolarità.
Il logico formale dovrebbe costruire infinite proprosizioni per dirimere il sistema di confronto ,di relazione nei vari domini,Ma cosa esce alla fine, cosa rimane da questo immane lavoro la dialettica rimane nel particolare proposizionale o fenomenico? Solo un confronto, perchè la logica formale non si chiede se il dominio ambinetale in cui pone il confronto è falso e vero, accetta comunque qualunque confronto proprositivo.
E' come se un matematico elaborasse infinite operazioni ,ma non si chiede se il sitema è completo e coerente, lofa e aspetta un Godel che gli dice una verità sconfortante.
Quando Wittgenstein, cleberrimo filosof del linguaggio, pone prima critiche al mtafiscio, ma come insegnante di matematica comincia a porsi domande su come edove si fonda il suo sitema stesso e il secondo Wittgenstein non è già più il primo, perchè riconosce esplicitamente, ma più spesso implicitamente, che lo stesso linguaggio sfugge alle logiche e le vere fondamenta logico matematiche sono metafische.
Il logico formale non si chiede dei domini, così come un medico specialistico conosce bene le funzioni organiche di un corpo umano, ma o chiede consulto ad altri specialisti di altri settori, o nessuno è in grado di sapere quel corpo come interezza e peggio ancora quel corpo è di una persona con ragione e autocoscienza di cui non gli interessa sapere
Personalmente quindi non sono contro nulla, semmai sono contro all'approccio culturale secolare.
Se le verità fossero frammenti, noi abbiamo necessità di avere cognitivamente il disegno finale per confrontare i singoli frammenti e quel disegno.Questa è la logica dialettica ed ecco perchè comprende quella formale,
Ogni frammento il formale lo confronterebbe sentenziando è vero o falso, ma non ha un disegno di dove collocare quel frammento nel puzzle.la logica dialettica deve confrontare i frammenti ma dentro il disegno di riferimento che è il paradigma fondamentale.
Acquario,
le domande che poni sono molto problematiche e difficilmente hanno una soluzione.
personalmente accetto la mi avita come di fatto di fatto ovvero sono ed esisto.
Penso che ci sia un destino, un disegno divino, in cui gli spiriti devono incarnarsi.
La nostra volontà o meno di mettere al mondo figli non può nulla sul disegno che permea il tutto.
Non può, se così posso dire, l'uomo contraddittorio, consapevole della propria sofferenza, di sua propria mano, poi chiedersi se è giusto mettere al mondo figli, semplicemente perchè nella sua breve esistenza spazio/temporale ritiene ingiusto il mondo Vi vedo la contraddizione della contraddizione.
L'uomo deve lottare per trovare una verità, non deve fare la scelta di uccidere il futuro perchè non sa mutare il presente.L'uomo sparirebbe per sua stessa contraddizione.
Giona,
dai una risposta che infatti avevo in mente
ma la ricondurrei in questo modo.
Quando, soprattutto nel vecchi forum ,dicevo di scienze antiche , miriferivo al fatto che utilizzano linguaggi diversi, non sono formali.
Perchè le religioni pongono in metafora gli operatori razionali.
Quando dopo la disobbedienza citata giustamente da Giona, Dio dice ad Adamo d Eva che soffrirà ladonna nel parto, e che l'uomo dovrà faticare e lavorare per poter sopravvivere, spezza l'unione dle sacro e della natura e l'uomo viene relegato nelle leggi di natura: ora muore.
Questo a mio parere è formidabile se traslata la metafora in senso logico dialettico.
Se la disobbedienza è una contraddizione dell'autocoscienza che attraverso la volontà decade nel desiderio per la tentazione, il peccato logicamente è un corto circuito logico è la contraddizione della propria autocoscienza.
L'espiazione, il fio, è ora vivere dentro le stesse contraddizioni affinchè l'autocoscienza con gli strumenti azionali della ragione riattinga le essenze dentro le contraddizioni stesse. ricomprenda l'errore.
Vuol dire che riportare l'autocoscienza aripara l'errore (contraddizione/peccato) deve vivere nel mondo della stessa contraddizione ,Il risorgere di Giona è capire i propri errori ,ma sapendo che il disegno di verità non si ferma nel mondo della natura, ma deve ritornare nel sacro, in quel primo e originario concetto identificativo di ricongiunzione fra i domini del sacro e della natura., ovvero del metafisico ed empirico.
per rispondere a Sari, il mio riferimento al capire con il 'cuore' era riferito al 'Cuore Sacro' cioe' una comprensione della ' realta' che passa attraverso quella che nelle varie tradizioni viene chiamata fede- Ramana Maharshi disse che ci sono due vie per comprendere la ' Realta Suprema' o la bakti,la fede, l'abbandono o la ricerca : ' Chi sono io?'.
Per quanto riguarda la reincarnazione, nasce sempre da un processo di causa-effetto, che secondo me e' da presumere il cammino piu' ragionevole per l'evoluzione dell'anima. Non possiamo pensare che sia sufficiente una vita per arrivare a fonderci nell''Impersonale, nell'Assoluto, nello Spirito . Una volta arrivati all'illuminazione anche la logica della reincarnazione non esiste piu', perche' non c'e' piu' un individuo che deve reincarnarsi. Forse per i cristiani il senso della resurrezione e' proprio questo, non piu' rinascere nel corpo ma resuscitare nello spirito.Giona mi potrebbe aiutare a capire questo concetto, perche' con mio grande stupore sto cominciando a intuire a cosa si riferiva Einstein quando parlava di la Religione Universale , significava ricondurre tutte le tradizioni religiose ad un'unica Verita' Ma per non andare fuori tema lascio ancora alcune considerazioni di Nisargadatta sulla morte, attinenti alle mie riflessioni:
Visitatore: -C'e' un nesso causale nella successione tra un 'corpo-conoscitore' o 'corpo-mente' e l'altro?
Maestro: -Si, c'e' qualcosa che potrebbe essere chiamato 'corpo-mnemonico' o 'corpo-causale': una registrazione di tutto cio' che e' stato pensato,voluto e fatto.E' come una nuvola costruita di immagini intessute.
....
V. -Non e' la morte a dissolvere la confusione?
M -Nella morte muore soltanto il corpo. La vita, la coscienza e la realta' non muoiono: Anzi,la vita non e' mai cosi' viva che dopo la morte.
V. -Ma si rinasce?
M. -Cio' che nasce deve morire. Solamente il non-nato e' immortale.Vai alla ricerca di quella cosa che non dorme mai e non si sveglia mai il cui pallido riflesso e' il nostro senso dell'IO.
V. -E come faccio a trovarla?
M. -Come fai a trovarla? Dedicandoci il cuore e la mente:
.....
-Tutto verra', fai il primo passo, le benedizioni vengono da dentro. Volgiti all'interno. L'IO SONO lo conosci gia'. Rimanici tutto il tempo che puoi,finche' ti rivolgerai spontaneamente verso di esso. Non c'e' modo piu' semplice e facile.
Cio' che nasce deve morire: pag.14 - 15 - Sri Nisargadatta Maharaj -Io sono quello- Ubaldini Editore -ROMA-
Citazione di: paul11 il 27 Agosto 2016, 11:11:43 AMSariputra, il divenire per cui tutto scorre è nel nostro destino. E' la constatazione di fatto di una mente che attraverso i sensi percepisce il mondo. Ma la ragione non si ferma all'osservazione, elabora. Non è possible che la ragione formuli leggi matematiche e fische, ovvero utilizza la logica formale e si fermi lì. E adatto che è la stessa ragione che costruisce quegli strumenti elaborativi per studiare e capire i fenomeni, non si ferma al momento empirico dell'osservazione del mondo.Questa è già metafisca, perchè come ho già scritto, noi vediamo il mondo, non l'equazione dell'energia o le formulazioni della termodinamica. La scienza è strumento metafisco dentro l'empirismo.Il suo errore e il nostro è fermarsi a questo solo movimento conoscitivo. E' l'autocoscienza che chiede alla ragione il senso. Se acettassi il divenire oltre a questa contraddizione dei domini, ci sarebbe un altro risvolto che amio parere non avete compreso, ma sottaciuto.Tutto è fondato sul nulla. Significa che la cultura è una vestigia del ieri che muta nell'oggi e obsoleta domani.Nulla è fermo perchè gli stessi pensieri, gli stessi paradigmi culturali poggiano su piedi di argilla. Quale sarebbero i paradigmi etici e morali dentro la politica e l'economia, quale teoria standard delle particelle fisiche vi sarà fra un secolo.Allora dall'atomos di Democrito alla teoria delle stringhe, tutto muta anche nel modello di rappresentazione del mondo ,che a sua volta muta il modello socio-culturale, che asua volta muta il nostro modello personale di vedere il mondo e noi stessi. Così diciamo di Democrito, oggi che fu bravo, ma superato, e domani diranno dell'oggi. Rimane il regno dell'indeterminata immanenza con l'illusione che la scienza determini i fenomeni e costruisca scienza. Ma tuto è falso, poichè muta autofalsificandosi, la verità inciampa nell'opinione e noi siamo banderuole al vento in preda a culture dominanti che nulla hanno di vero. Il risultato è l'accettazione del relativismo in cui il rapporto individuo-sociale- cultura oltre che al rapporto ambienetale uomo-natura è basato sul finalismo della funzionalità, ovvero una cosa è giusta perchè è utile a me e di nuovo emerge la particolarità e con essa l io come egoismo. Perchè nulla vi è di fondativo etico e morale, le spirtualità sarebbero illusioni per tener buona la gente, e la vera regola è la violenza che è già dentro nelle vestigia culturali che esplica le sue contraddizioni nelle guerre, poichè incapace di gestire attraverso un paradigma di verità e non di relativismo se stesso e il mondo. Quindi siamo animali pseudo culturali.Il finalismo è il potere e il denaro e dentro questa cultura se accettata è l'unica verità che rimane. E l'autocoscienza dovìè ,cose ne è di lei?.Mortificata. Allora l'uomo alienato, nella sua schizofrenica disputa esistenziale fra l'essere e l'avere del finalismo dell'utile e del menfreghismo, si rintana sempre più spesso nella sua solitudine raminga. La cultura diventa esibizione eloquente delle retoriche, ovvero imbonitori che devono convincere la gente, come i pastori di pecore che menano dalla stalla al pascolo e viceversa. E questo è l'uomo? Mi rifiuto razionalmente, autocoscientemente , esistenzialmente che quello che c iritroviamo come ragione e autocoscienza ci servano "per ucciderci"meglio" "per costruire un piano strategico di come fottere il prossimo" Solo l filosofia può avere l'esercizio critico di porre le domande nel contraddittorio delle culture secolari.
Postulare che il Reale è il Divenire non significa affatto fermarsi alla semplice osservazione di un'esperienza dei sensi. Nemmeno esclude la logica e la ragione, che diventa lo studio delle forme , delle cause e delle condizioni che sostengono l'Eterno mutare di Tutto. Però non si può subordinare la ricerca ( e qui non intendo solo la ricerca scientifica) ad un giudizio a priori, ad un pre-giudizio sulla natura e sul suo passare ininterrotto.Non possiamo dire che il Divenire non è vero ( nel senso che non è la Realtà ultima) solo perchè noi desideriamo in cuor nostro che non sia vero. Dobbiamo poi investigare in profondità questo divenire e vedere se veramente è negativo, sorretto e conducente al Nulla, come sostieni. Se una cosa è vera lo è indipendentemente dal giudizio , magari viziato dall'avversione o sostenuto dal desiderio, personale di noi. Brutalmente si potrebbe dire che il reale è indifferente al fatto che ci stia simpatico o antipatico per come appare.
Per es. prendiamo il Tempo che è il cambiamento stesso. Si presenta come nemico dell'uomo quando ci priva di ciò che amiamo, ma diventa amico quando guarisce una grave malattia, quando ripara le ferite dell'animo con la progressiva dimenticanza, quando lentamente lenisce un dolore. L' autocoscienza che tipo di giudizio obiettivo può formulare sul Tempo? E' negativo? E' positivo? La risposta più razionale , a mio modesto parere, diventa: né positivo, nè negativo. Il tempo è...semplicemente il tempo. Tutte le cose sono semplicemente se stesse, ma quel loro "essere se stesse" non è dovuto al fatto che dispongono di una sostanza , o "anima", ma lo sono in virtù di cause e condizioni che le pongono in essere. Al mutare delle cause e delle condizioni, mutano anche tutte le cose ( compresa l'autocoscienza). Forse la mia valutazione risente di una sorta d'amore per la Bellezza del divenire e niente ispira più della caducità, L'amore stesso ha bisogno della caducità. Come potremmo amare i fiori che a Maggio sbocciano sui ciliegi se prima non fosse passato il freddo inverno? Che amore profondo sgorga osservando un figlio che , piano piano, cresce o un vecchio che, pian piano, muore.
C'è una "sacralità" profonda, rabbrividente, nel divenire di tutto. Una sacralità però che non è esterna ad esso. Non è uno spirito che osserva il passare delle cose e ama o soffre. E' il divenire della natura stessa ( qui per natura intendo TUTTA la natura, compreso l'uomo con il suo pensiero e la sua coscienza) che ama e soffre, che crea amore e dolore. Perchè se noi, esseri naturali dotati di ragione e coscienza, amiamo e soffriamo non è proprio per mezzo di noi che la natura ama e soffre in se stessa? Prendiamo una moneta. Una moneta dispone di due facce. Ossevandole si può dire che siano opposte l'una all'altra. Se mettiamo l'effige della coscienza da un lato e quella della natura dall'altro, non otteniamo proprio visivamente l'idea che abbiamo della Realtà? Però le due facce sono un'Unica moneta, sono costruite nella stessa lega, partecipano dello stesso movimento se le gettiamo in aria, cadono insieme...
Io vedo il Divenire come unità indissolubile di coscienza e materia e la lega che lo forgia la "sete d'esistere" o "volontà d'esistere". Una volontà cieca , quasi brutale, indifferente alle ragioni dell'Io personale, costretta ad andare eternamente avanti per le stesse cause e condizioni che la costituiscono ma, nell'uomo che la pensa, si pensa; nell'uomo che ne è cosciente, è cosciente di questo suo stato e ....( non prendetemi per folle visionario, sono solo un inadeguato esteta...) ne soffre, amandosi disperatamente.. Per questo ,alla Natura che in eterno si trasforma, donerei il nome "Il Vivente".
Non degrado l'uomo partecipandolo dell'eterno mutamento, ma lo innalzo come colui che rende vivo e cosciente l'eterno mutare delle cose.
P.S: In pratica ho tentato di fondere, in un tutt'uno inscindibile, Coscienza e Materia. Si potrebbe dire che sostengo la "spiritualizzazione" della materia ( anche se odio il termine "spirito") o la "materializzazione" dello spirito ...( e non sono ancora ubriaco!... ;D)
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 00:36:46 AM
Postulare che il Reale è il Divenire non significa affatto fermarsi alla semplice osservazione di un'esperienza dei sensi. Nemmeno esclude la logica e la ragione, che diventa lo studio delle forme , delle cause e delle condizioni che sostengono l'Eterno mutare di Tutto. Però non si può subordinare la ricerca ( e qui non intendo solo la ricerca scientifica) ad un giudizio a priori, ad un pre-giudizio sulla natura e sul suo passare ininterrotto.Non possiamo dire che il Divenire non è vero ( nel senso che non è la Realtà ultima) solo perchè noi desideriamo in cuor nostro che non sia vero. Dobbiamo poi investigare in profondità questo divenire e vedere se veramente è negativo, sorretto e conducente al Nulla, come sostieni. Se una cosa è vera lo è indipendentemente dal giudizio , magari viziato dall'avversione o sostenuto dal desiderio, personale di noi. Brutalmente si potrebbe dire che il reale è indifferente al fatto che ci stia simpatico o antipatico per come appare.
Per es. prendiamo il Tempo che è il cambiamento stesso. Si presenta come nemico dell'uomo quando ci priva di ciò che amiamo, ma diventa amico quando guarisce una grave malattia, quando ripara le ferite dell'animo con la progressiva dimenticanza, quando lentamente lenisce un dolore. L' autocoscienza che tipo di giudizio obiettivo può formulare sul Tempo? E' negativo? E' positivo? La risposta più razionale , a mio modesto parere, diventa: né positivo, nè negativo. Il tempo è...semplicemente il tempo. Tutte le cose sono semplicemente se stesse, ma quel loro "essere se stesse" non è dovuto al fatto che dispongono di una sostanza , o "anima", ma lo sono in virtù di cause e condizioni che le pongono in essere. Al mutare delle cause e delle condizioni, mutano anche tutte le cose ( compresa l'autocoscienza). Forse la mia valutazione risente di una sorta d'amore per la Bellezza del divenire e niente ispira più della caducità, L'amore stesso ha bisogno della caducità. Come potremmo amare i fiori che a Maggio sbocciano sui ciliegi se prima non fosse passato il freddo inverno? Che amore profondo sgorga osservando un figlio che , piano piano, cresce o un vecchio che, pian piano, muore.
C'è una "sacralità" profonda, rabbrividente, nel divenire di tutto. Una sacralità però che non è esterna ad esso. Non è uno spirito che osserva il passare delle cose e ama o soffre. E' il divenire della natura stessa ( qui per natura intendo TUTTA la natura, compreso l'uomo con il suo pensiero e la sua coscienza) che ama e soffre, che crea amore e dolore. Perchè se noi, esseri naturali dotati di ragione e coscienza, amiamo e soffriamo non è proprio per mezzo di noi che la natura ama e soffre in se stessa? Prendiamo una moneta. Una moneta dispone di due facce. Ossevandole si può dire che siano opposte l'una all'altra. Se mettiamo l'effige della coscienza da un lato e quella della natura dall'altro, non otteniamo proprio visivamente l'idea che abbiamo della Realtà? Però le due facce sono un'Unica moneta, sono costruite nella stessa lega, partecipano dello stesso movimento se le gettiamo in aria, cadono insieme...
Io vedo il Divenire come unità indissolubile di coscienza e materia e la lega che lo forgia la "sete d'esistere" o "volontà d'esistere". Una volontà cieca , quasi brutale, indifferente alle ragioni dell'Io personale, costretta ad andare eternamente avanti per le stesse cause e condizioni che la costituiscono ma, nell'uomo che la pensa, si pensa; nell'uomo che ne è cosciente, è cosciente di questo suo stato e ....( non prendetemi per folle visionario, sono solo un inadeguato esteta...) ne soffre, amandosi disperatamente.. Per questo ,alla Natura che in eterno si trasforma, donerei il nome "Il Vivente".
Non degrado l'uomo partecipandolo dell'eterno mutamento, ma lo innalzo come colui che rende vivo e cosciente l'eterno mutare delle cose.
P.S: In pratica ho tentato di fondere, in un tutt'uno inscindibile, Coscienza e Materia. Si potrebbe dire che sostengo la "spiritualizzazione" della materia ( anche se odio il termine "spirito") o la "materializzazione" dello spirito ...( e non sono ancora ubriaco!... ;D)
mi piacerebbe capire meglio le cose che hai descritto sopra mi sembra quindi di capire che per te non ce' nessuno "IO" e inoltre che tutto si svolge senza causa determinante o principio, e che insomma tutto si svolgerebbe in se stesso in un eterno divenire e diciamo noi compresi,partecipandovi in una sorta di "fusione"ho interpretato bene!?ora (se) stando così le cose come dici tu qui sopra,secondo me vengono fuori un paio di contraddizioni;la prima e' che in questo modo questo eterno divenire sia contemporaneamente anche cio che e' (tu sopra citi,io vedo il divenire come unita' indissolubile,al che mi chiedo: come può infatti qualcosa di indissolubile,percio indivisibile in se stesso,divenire e quindi mutare?)...allora o l'uno o l'altro perché come può il divenire essere allo stesso tempo cio che e'?collegato a quanto sopra poi subentrerebbe anche la seconda contraddizione poiché il fatto di sostenere che non può esserci un principio,diventa implicitamente anch'esso un principio e questo secondo me mette in evidenza che al principio stesso e' impossibile sfuggire,il che ne denuncia la sua stessa esistenza,pur non riconoscendola.
Citazione di: acquario69 il 28 Agosto 2016, 07:34:46 AMCitazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 00:36:46 AM[/font][/size] [font=Verdanastando così le cose come dici tu qui sopra,secondo me vengono fuori un paio di contraddizioni;[/font] la prima e' che in questo modo questo eterno divenire sia contemporaneamente anche cio che e' (tu sopra citi,io vedo il divenire come unita' indissolubile,al che mi chiedo: come può infatti qualcosa di indissolubile,percio indivisibile in se stesso,divenire e quindi mutare?)...allora o l'uno o l'altro perché come può il divenire essere allo stesso tempo cio che e'? collegato a quanto sopra poi subentrerebbe anche la seconda contraddizione poiché il fatto di sostenere che non può esserci un principio,diventa implicitamente anch'esso un principio e questo secondo me mette in evidenza che al principio stesso e' impossibile sfuggire,il che ne denuncia la sua stessa esistenza,pur non riconoscendola.
Rispondo prima alla seconda obiezione.
Non può essere dato un principio a qualcosa che è eterno. Non c'è inizio e non c'è fine all'eterno mutamento. Qual'è il principio?
Se per principio invece sostieni che una cosa è fondata in se stessa, allora sì, l'eterno divenire è fondato in se stesso. Fondato sulle sue cause e condizioni che lo trasformano ininterrottamente. E' una catena di produzione condizionata.
Sulla prima obiezione invece ho scritto che l'unità indissolubile riguarda l'unione di materia ( intesa come Natura) e coscienza. La definisco indissolubile perchè, proprio come gli anelli di una catena, nessuna forma del divenire può sorreggersi da sola, ma acquista il suo senso solo nel legame con le altre cause e condizioni . L'Io cosciente è semplicemente un anello della catena.
La mente umana, che come giustamente scrive Paul, ragiona e usa la logica, definisce le forme del divenire, me è impossibilitata , per la struttura stessa del linguaggio, a concepire qualcosa di perennemente "fluido" e in continua trasformazione.
Per questo l'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale, a parer mio. Proprio perchè trascendono i limiti del linguaggio concettuale.
Sariputra,
Sai che quello che scrivo è armonico in grande parte anche alla spiritualità orientale, ma ti sfugge la logica dialettica
Se penso che il mondo della sola natura esiste e tutto è divenire la mia autocoscienza si attacca necessariamente al divenire, costruendo il possesso.Persino la conoscenza diventa conquista, le case, il denaro, tutto ciò che è fisico e osservabile, diventa attaccamento ,così la mia stessa vita.
L'errore delle spiritualità orientali, ma non era così in origine, è pensare che che si possa governare l'autocoscienza
per il mondo IN-Sè-E-PER- SE':anche questa è una forma di egoismo, molto più sottile.
La metafisica è necessaria per chiudere il cerchio, in senso orientale è come se un blocco energetico che si manifesta come malattia non riesce a passare per le linee energetiche
Perchè capisce che se il movimento della conoscenza e dei sentimenti si ferma agli oggetti della materia che appaiono es scompaiono nel tempo, tutto è fatuo.Ma l'autocoscienza ferma il tempo .
L'uomo non è solo cognitivo, ha una coscienza.
Il divenire non è che non offre la conoscenza, non ho mai detto che la scienza contemporanea sia falsa, è utile e funzionale a scopi, ma non è la verità ciò che può fermare se si ferma al mondo in divenire, alla realtà che lascia dietro di sè solo vestigie e memorie che si perdono nelle nebbie dei tempi. E' la coscienza che fa vivere oltre il tempo, è lei che unisce il passato, il presente e il futuro offrendosi come intuizione alla ragione calcolativa e logica..
Quando riflettiamo si presenta l'autocoscienza e si relaziona alla conoscenza della ragione, è quì che emergono i movimenti contraddittori che l'autocoscienza deve dirimere.
Se tutto passa e va e la ragione segue il movimento del divenire, l'autocoscienza ha registrato le nostre essenze fuori dal tempo e le correla ai movimenti della ragione.Cerca le costanti senza tempo che le variaibili delle apparenze despistano nel contraddittorio del finito.
La logica, la ragione, l'autocoscienza e persino i sentimenti allora comprendono quella leggerezza dell'essere che gli impone di conoscere e di accettare la vita, ma di non finalizzarsi nel divenire della morte come fine del Tutto, poichè vi porterebbe i propri desideri, il possesso, la diversità e la frammentazione, illudendosi che il suo Ego sia unicità contro altre unicità frammentate di umani che vengono e vanno alla vita.
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 10:01:09 AMl'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale, a parer mio. Proprio perchè trascendono i limiti del linguaggio concettuale.
Se mi è concesso, vorrei prendermi la libertà di "ristrutturare" questa tua osservazione, non perché sia "fatiscente" (anzi!), ma proprio perché vorrei provare ad "abitarla" e, com'è noto, ogni inquilino "personalizza" sempre il suo "habitat" (non mi chiederai l'affitto, giusto? Confido nella tua ospitalità ;) )Un elemento che eliminerei è l'intuizione (se intesa
laicamente come balenare di una possibile verità): secondo me, è troppo vincolata a ciò da cui nasce (la mente, l'inconscio...) per essere ritenuta adeguatamente affidabile (intendiamoci, a volte lo è, e ci risolve persino alcuni problemi...). Per inciso, penso che nel silenzio alinguistico (di cui si è parlato in precedenza) non si intuisca, ma si esperisca. Che differenza c'è? Che l'intuizione, secondo me, convoca l'angusto problema della verità con più facilità di quanto lo faccia l'esperienza (ma ammetto che è una distinzione molto personale).L'arte si avvicina alla "conoscenza" del reale? Vorrei innescare al massimo la potenzialità di quelle virgolette, fino a tramutare "conoscenza" (parola gravida di concetti elucubrativi come soggetto/oggetto, verità, sapienza, etc.) in "esperienza". Ciò che infatti ritengo l'arte faccia
accadere è l'esperienza, non una "comunicazione gnoseologica"... esperienza del vero? Solo se ci accostiamo all'arte ciecamente affamati di verità e quindi (auto)suggestionati dal desiderio di trovarla (finendo per vedere dappertutto le sue tracce...).
L'arte e l'intuizione trascendono i limiti del linguaggio concettuale? Direi che hanno un loro linguaggio che non è quello logico: l'intuizione ci comunica "qualcosa" (che tuttavia non possiamo formalizzare logicamente in modo esatto), l'arte ci comunica un "input" che fa accadere l'evento estetico (la sua comunicazione quindi può essere solo parafrasata con parole e concetti, ma di per sé non è un "dire"...). Forse risponderei alla domanda dicendo che il linguaggio, anzi, i linguaggi dell'intuizione e dell'arte non hanno limiti concettuali (più che "trascendere" quelli del linguaggio formale: si tratta di linguaggi differenti, non necessariamente "comunicanti" fra loro).P.s. Forse abuso dei termini "accadere" ed "esperire", ma sono due parole "dinamiche" che arrancano nel tentativo di descrivere la temporalità del divenire, per evitare di cristallizzare la vita in monolitiche identità che si prestano alla rigida speculazione metafisica (nobile per storia, ma che ragiona solo in termini di "fotogrammi", incapace di comprendere, anzi, esperire il "filmato"...).P.p.s. Ecco, ora che ho "ristrutturato" la tua osservazione, mi rendo conto che ho trasformato un accogliente monolocale in una cuccia per cani... sarà per questo che non faccio l'architetto?!
Citazione di: paul11 il 28 Agosto 2016, 10:56:43 AMSariputra, Sai che quello che scrivo è armonico in grande parte anche alla spiritualità orientale, ma ti sfugge la logica dialettica Se penso che il mondo della sola natura esiste e tutto è divenire la mia autocoscienza si attacca necessariamente al divenire, costruendo il possesso.Persino la conoscenza diventa conquista, le case, il denaro, tutto ciò che è fisico e osservabile, diventa attaccamento ,così la mia stessa vita. L'errore delle spiritualità orientali, ma non era così in origine, è pensare che che si possa governare l'autocoscienza per il mondo IN-Sè-E-PER- SE':anche questa è una forma di egoismo, molto più sottile. La metafisica è necessaria per chiudere il cerchio, in senso orientale è come se un blocco energetico che si manifesta come malattia non riesce a passare per le linee energetiche Perchè capisce che se il movimento della conoscenza e dei sentimenti si ferma agli oggetti della materia che appaiono es scompaiono nel tempo, tutto è fatuo.Ma l'autocoscienza ferma il tempo . L'uomo non è solo cognitivo, ha una coscienza. Il divenire non è che non offre la conoscenza, non ho mai detto che la scienza contemporanea sia falsa, è utile e funzionale a scopi, ma non è la verità ciò che può fermare se si ferma al mondo in divenire, alla realtà che lascia dietro di sè solo vestigie e memorie che si perdono nelle nebbie dei tempi. E' la coscienza che fa vivere oltre il tempo, è lei che unisce il passato, il presente e il futuro offrendosi come intuizione alla ragione calcolativa e logica.. Quando riflettiamo si presenta l'autocoscienza e si relaziona alla conoscenza della ragione, è quì che emergono i movimenti contraddittori che l'autocoscienza deve dirimere. Se tutto passa e va e la ragione segue il movimento del divenire, l'autocoscienza ha registrato le nostre essenze fuori dal tempo e le correla ai movimenti della ragione.Cerca le costanti senza tempo che le variaibili delle apparenze despistano nel contraddittorio del finito. La logica, la ragione, l'autocoscienza e persino i sentimenti allora comprendono quella leggerezza dell'essere che gli impone di conoscere e di accettare la vita, ma di non finalizzarsi nel divenire della morte come fine del Tutto, poichè vi porterebbe i propri desideri, il possesso, la diversità e la frammentazione, illudendosi che il suo Ego sia unicità contro altre unicità frammentate di umani che vengono e vanno alla vita.
Mi sembra di capire che tu intenda la ragione come l'unica possibilità di portare il reale all'autocoscienza. Lo fa attraverso simboli e concetti che io invece definisco come interpretazioni delle cause e delle condizioni del reale. E non è vero, secondo me ovviamente, che se penso che tutto è divenire io mi attacco al divenire. Per esempio osservando il dolore inerente al divenire sorge disgusto, distacco dal divenire stesso. Qui l'errore profondo è interpretare questo disgusto come prova dell'esistenza di "qualcosa" (anima) di natura sostanziale e diversa dal divenire che lo rifiuta e che se ne vuole liberare.
In realtà io vedo questa sensazione come operante all'interno del divenire stesso, in quanto, osservandola noto come l'Io prova disgusto perchè interpreta il divenire come una minaccia per la falsa idea di esistere in sé, come altro dal divenire. In realtà è proprio perchè tutto diviene che esiste una cessazione del dolore dell'Io.
In più non riesco a comprendere cosa intendi con "essenze fuori dal tempo". Sono per caso le Idee? Se attribuisci alle idee dell'Uomo, attraverso i tempi, un valore di assoluto non posso seguirti in quanto a me sembra che proprio le idee dell'uomo siano in continuo mutamento. Mutamento che coinvolge la morale stessa.
Se invece queste "essenze" si riferiscono alla logica e alla matematica, io non vedo contraddizione con il divenire, in quanto questo eterno mutamento segue una logica ferrea, la logica appunto delle sue cause e condizioni che lo mantengono in essere e lo costituiscono e che ovviamente non possono farlo precipitare nel caos.
E' vero, quello che scrivi è spesso molto armonico con la speculazione filosofica orientale, io lo interpreto molto vicino al sistema Samkhya di Isvarakrsna -Gaudapada, ma per certi aspetti anche molto lontano. Il radicale rifiuto della metafisica fa parte dell'Insegnamento di Gotama Siddharta ( il celeberrimo "Silenzio del Buddha") definita la "Giungla del teorizzare, il groviglio del teorizzare". Spetterà ai suoi seguaci costruirne una che porterà lontano dagli insegnamenti originali.
Anche la mia comunqua si può senz'altro definire come "teoria". AVrei dovuto coltivare il Silenzio... :D :D
Citazione di: Phil il 28 Agosto 2016, 12:00:43 PM
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 10:01:09 AMl'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale, a parer mio. Proprio perchè trascendono i limiti del linguaggio concettuale.
Se mi è concesso, vorrei prendermi la libertà di "ristrutturare" questa tua osservazione, non perché sia "fatiscente" (anzi!), ma proprio perché vorrei provare ad "abitarla" e, com'è noto, ogni inquilino "personalizza" sempre il suo "habitat" (non mi chiederai l'affitto, giusto? Confido nella tua ospitalità ;) ) Un elemento che eliminerei è l'intuizione (se intesa laicamente come balenare di una possibile verità): secondo me, è troppo vincolata a ciò da cui nasce (la mente, l'inconscio...) per essere ritenuta adeguatamente affidabile (intendiamoci, a volte lo è, e ci risolve persino alcuni problemi...). Per inciso, penso che nel silenzio alinguistico (di cui si è parlato in precedenza) non si intuisca, ma si esperisca. Che differenza c'è? Che l'intuizione, secondo me, convoca l'angusto problema della verità con più facilità di quanto lo faccia l'esperienza (ma ammetto che è una distinzione molto personale). L'arte si avvicina alla "conoscenza" del reale? Vorrei innescare al massimo la potenzialità di quelle virgolette, fino a tramutare "conoscenza" (parola gravida di concetti elucubrativi come soggetto/oggetto, verità, sapienza, etc.) in "esperienza". Ciò che infatti ritengo l'arte faccia accadere è l'esperienza, non una "comunicazione gnoseologica"... esperienza del vero? Solo se ci accostiamo all'arte ciecamente affamati di verità e quindi (auto)suggestionati dal desiderio di trovarla (finendo per vedere dappertutto le sue tracce...). L'arte e l'intuizione trascendono i limiti del linguaggio concettuale? Direi che hanno un loro linguaggio che non è quello logico: l'intuizione ci comunica "qualcosa" (che tuttavia non possiamo formalizzare logicamente in modo esatto), l'arte ci comunica un "input" che fa accadere l'evento estetico (la sua comunicazione quindi può essere solo parafrasata con parole e concetti, ma di per sé non è un "dire"...). Forse risponderei alla domanda dicendo che il linguaggio, anzi, i linguaggi dell'intuizione e dell'arte non hanno limiti concettuali (più che "trascendere" quelli del linguaggio formale: si tratta di linguaggi differenti, non necessariamente "comunicanti" fra loro). P.s. Forse abuso dei termini "accadere" ed "esperire", ma sono due parole "dinamiche" che arrancano nel tentativo di descrivere la temporalità del divenire, per evitare di cristallizzare la vita in monolitiche identità che si prestano alla rigida speculazione metafisica (nobile per storia, ma che ragiona solo in termini di "fotogrammi", incapace di comprendere, anzi, esperire il "filmato"...). P.p.s. Ecco, ora che ho "ristrutturato" la tua osservazione, mi rendo conto che ho trasformato un accogliente monolocale in una cuccia per cani... sarà per questo che non faccio l'architetto?!
Magari non sarai un grande architetto...ma come filosofo non te la cavi niente male!! :D :D
Concordo con te : Esperienza definisce meglio che non intuizione. In realtà volevo scrivere
Prajna , un termine sanscrito che però non ha un esatto equivalente nella nostra lingua (Conoscenza intuitiva? Visione intuitiva? Legato al meditare...), quindi "esperienza" ha un significato più vasto che non intuizione.
Anche sull'Arte e sul suo significato , con tutti i limiti che evidenzi, concordo. Infatti ho scritto :"
l'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale."Si avvicinano" , ma non possono esaurire la conoscenza del divenire. Mi sembrano al momento gli strumenti meno spuntati, a parer mio, di cui disponiamo . Dei sussidi propedeutici alla famosa "esperienza". Non dispongono di un linguaggio logico, parlano la loro lingua, spesso meno arida di quella logica. E' un linguaggio "open" :D...creativo.Apprezzo molto quel: "accadere" ed "esperire"sono due parole "dinamiche" che arrancano nel tentativo di descrivere la temporalità del divenire, per evitare di cristallizzare la vita in monolitiche identità che si prestano alla rigida speculazione metafisica (nobile per storia, ma che ragiona solo in termini di "fotogrammi".Per caso hai tempo pure per ristrutturare casa mia, pesantemente decaduta e che dimostra tutto l'eterno passare del tempo?...In questo giorni avrei bisogno di qualcuno che mi aiutasse a riverniciare gli infissi delle finestre. Pago poco però...un prosecchino di Valdobbiadene o un caffè napoletano vanno bene lo stesso? Serviti dalla Vania naturalmente...
:D :D :D
CitazioneSariputra:
Rispondo prima alla seconda obiezione.
Non può essere dato un principio a qualcosa che è eterno. Non c'è inizio e non c'è fine all'eterno mutamento. Qual'è il principio?
Se per principio invece sostieni che una cosa è fondata in se stessa, allora sì, l'eterno divenire è fondato in se stesso. Fondato sulle sue cause e condizioni che lo trasformano ininterrottamente. E' una catena di produzione condizionata.
Sulla prima obiezione invece ho scritto che l'unità indissolubile riguarda l'unione di materia ( intesa come Natura) e coscienza. La definisco indissolubile perchè, proprio come gli anelli di una catena, nessuna forma del divenire può sorreggersi da sola, ma acquista il suo senso solo nel legame con le altre cause e condizioni . L'Io cosciente è semplicemente un anello della catena.
La mente umana, che come giustamente scrive Paul, ragiona e usa la logica, definisce le forme del divenire, me è impossibilitata , per la struttura stessa del linguaggio, a concepire qualcosa di perennemente "fluido" e in continua trasformazione.
Per questo l'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale, a parer mio. Proprio perchè trascendono i limiti del linguaggio concettuale.
il linguaggio e la mente hanno evidenti limiti,percio e' chiaro che si può stare a discutere all'infinito e non arriveremo mai a coglierlo proprio a motivo delle premesse iniziali...ma abbiamo comunque l'intuizione che facendo un paragone e' come il silenzio che si "oppone" alla parola..ma che e' anche al tempo stesso,il contenitore di tutte le sue possibilità,allo stesso modo del principio da cui tutto scaturisce (spero si capisca il concetto) per cercare di rientrare nell'argomento senza troppe dispersioni "perché si ha paura di morire"io dico questo:la morte non esiste,per cui a me non fa nessuna paura...quello che mi scoccia semmai e' la sofferenza,ma qui credo si entrerebbe di nuovo in un labirinto,percio questo punto lo chiudo così.un altra cosa che voglio dire e che penso proprio non coincide con la tua concezione,e' che la coscienza (non l'ego/IO) e' "qualcosa" che e' "al di fuori" di questo eterno divenire,ed e' il principio immutabile su cui ruota tutto il divenire stesso e le sue incessanti forme..( analogo esempio e' lo stesso silenzio accennato sopra) una volta morti,questa coscienza incarnata si libera da questa stessa forma "attuale"...
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 13:14:45 PMPrajna , un termine sanscrito che però non ha un esatto equivalente nella nostra lingua (Conoscenza intuitiva? Visione intuitiva? Legato al meditare...)
Molto interessante la Prajna come intuizione indotta dalla meditazione (o meditazione che porta all'intuizione), ovvero, se ho ben inteso, come esperienza dalle conseguenze "illuminanti"(o "risveglianti"), estranea alla logica del conoscere formalizzato, alla razionalità del comprendere linguistico e al misticismo dell'ascesi a dio.
Credo non ci sia un termine adatto a tradurre "Prajna" perché la cultura occidentale (greco-cristiana) probabilmente non ha mai concepito un tipo di """conoscenza""" basata su un "uso del corpo", basti pensare alla differente sfumatura semantica del verbo "meditare": in occidente viene inteso soprattutto come ponderare, riflettere, valutare, mentre in oriente viene inteso perlopiù come pratica disciplinata del proprio corpo (con attenzione al respiro, alla postura, etc.).
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 13:14:45 PMIn questo giorni avrei bisogno di qualcuno che mi aiutasse a riverniciare gli infissi delle finestre. Pago poco però...un prosecchino di Valdobbiadene o un caffè napoletano vanno bene lo stesso? Serviti dalla Vania naturalmente... :D :D :D
Grazie per l'invito, ma, in tutta onestà, non mi ti consiglio... sarei un manutentore estremamente
inadeguato ( ;) ), rischierei di verniciare anche i vetri... magari ne verrebbero giochi di luce interessanti ;D
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 12:03:58 PMCitazione di: paul11 il 28 Agosto 2016, 10:56:43 AMSariputra, Sai che quello che scrivo è armonico in grande parte anche alla spiritualità orientale, ma ti sfugge la logica dialettica Se penso che il mondo della sola natura esiste e tutto è divenire la mia autocoscienza si attacca necessariamente al divenire, costruendo il possesso.Persino la conoscenza diventa conquista, le case, il denaro, tutto ciò che è fisico e osservabile, diventa attaccamento ,così la mia stessa vita. L'errore delle spiritualità orientali, ma non era così in origine, è pensare che che si possa governare l'autocoscienza per il mondo IN-Sè-E-PER- SE':anche questa è una forma di egoismo, molto più sottile. La metafisica è necessaria per chiudere il cerchio, in senso orientale è come se un blocco energetico che si manifesta come malattia non riesce a passare per le linee energetiche Perchè capisce che se il movimento della conoscenza e dei sentimenti si ferma agli oggetti della materia che appaiono es scompaiono nel tempo, tutto è fatuo.Ma l'autocoscienza ferma il tempo . L'uomo non è solo cognitivo, ha una coscienza. Il divenire non è che non offre la conoscenza, non ho mai detto che la scienza contemporanea sia falsa, è utile e funzionale a scopi, ma non è la verità ciò che può fermare se si ferma al mondo in divenire, alla realtà che lascia dietro di sè solo vestigie e memorie che si perdono nelle nebbie dei tempi. E' la coscienza che fa vivere oltre il tempo, è lei che unisce il passato, il presente e il futuro offrendosi come intuizione alla ragione calcolativa e logica.. Quando riflettiamo si presenta l'autocoscienza e si relaziona alla conoscenza della ragione, è quì che emergono i movimenti contraddittori che l'autocoscienza deve dirimere. Se tutto passa e va e la ragione segue il movimento del divenire, l'autocoscienza ha registrato le nostre essenze fuori dal tempo e le correla ai movimenti della ragione.Cerca le costanti senza tempo che le variaibili delle apparenze despistano nel contraddittorio del finito. La logica, la ragione, l'autocoscienza e persino i sentimenti allora comprendono quella leggerezza dell'essere che gli impone di conoscere e di accettare la vita, ma di non finalizzarsi nel divenire della morte come fine del Tutto, poichè vi porterebbe i propri desideri, il possesso, la diversità e la frammentazione, illudendosi che il suo Ego sia unicità contro altre unicità frammentate di umani che vengono e vanno alla vita.
Mi sembra di capire che tu intenda la ragione come l'unica possibilità di portare il reale all'autocoscienza. Lo fa attraverso simboli e concetti che io invece definisco come interpretazioni delle cause e delle condizioni del reale. E non è vero, secondo me ovviamente, che se penso che tutto è divenire io mi attacco al divenire. Per esempio osservando il dolore inerente al divenire sorge disgusto, distacco dal divenire stesso. Qui l'errore profondo è interpretare questo disgusto come prova dell'esistenza di "qualcosa" (anima) di natura sostanziale e diversa dal divenire che lo rifiuta e che se ne vuole liberare. In realtà io vedo questa sensazione come operante all'interno del divenire stesso, in quanto, osservandola noto come l'Io prova disgusto perchè interpreta il divenire come una minaccia per la falsa idea di esistere in sé, come altro dal divenire. In realtà è proprio perchè tutto diviene che esiste una cessazione del dolore dell'Io. In più non riesco a comprendere cosa intendi con "essenze fuori dal tempo". Sono per caso le Idee? Se attribuisci alle idee dell'Uomo, attraverso i tempi, un valore di assoluto non posso seguirti in quanto a me sembra che proprio le idee dell'uomo siano in continuo mutamento. Mutamento che coinvolge la morale stessa. Se invece queste "essenze" si riferiscono alla logica e alla matematica, io non vedo contraddizione con il divenire, in quanto questo eterno mutamento segue una logica ferrea, la logica appunto delle sue cause e condizioni che lo mantengono in essere e lo costituiscono e che ovviamente non possono farlo precipitare nel caos. E' vero, quello che scrivi è spesso molto armonico con la speculazione filosofica orientale, io lo interpreto molto vicino al sistema Samkhya di Isvarakrsna -Gaudapada, ma per certi aspetti anche molto lontano. Il radicale rifiuto della metafisica fa parte dell'Insegnamento di Gotama Siddharta ( il celeberrimo "Silenzio del Buddha") definita la "Giungla del teorizzare, il groviglio del teorizzare". Spetterà ai suoi seguaci costruirne una che porterà lontano dagli insegnamenti originali. Anche la mia comunqua si può senz'altro definire come "teoria". AVrei dovuto coltivare il Silenzio... :D :D
Il disgusto è ancora sentimento ,non è ragione tanto meno autocoscienza.Quel disgusto deve seguire i movimenti dentro gli strumenti conoscitivi. la ragione deve sciogliere l contraddizione che gli porta il sentimento che tende a separare a focalizzarsi in qualcosa tralasciando altro, per cui l'amore diventa ad esempio possesso se la ragione l'autocoscienza non lo rapportano ad una unicità. e di nuovo dal deduttivo nellì'induttivo invertendo il movimento
Acquario è vicino al mio modo di pensare.
Se ti lasci guidare dall'IO .l'ego continuerà a cercarsi strada nel mondo dei desideri, ma non potrà mai essere soddisfatto e teme ovviamente la morte come fine contraddittoria del Tutto, perchè lui finisce, perchè lui è attaccato alle apparenze perchè vive nei e di frammenti.L'Io egoico è solo dentro la natura e si oppone ,all'autocoscienza si costituisce per sopravvivere, ma non per vivere nella riflessione del pensiero.
Se vince giustificandosi nella ragione, allora l'uomo intero deve negare la propria autocoscienza e riconoscersi necessariamente nel divenire e deve obliare tutto ciò che dal rapporto autocoscienza/ragione porterebbe all'origini dell'unicità.
Quando lo fa l'uomo e la società si manifestano come malattia, come separazione dell'indivisibile. perchè l'oblio è solo nascondimento non si può negare ciò che è e deve necessariamente essere, allora l'uomo soffre perchè l'anima di nuovo suggerisce all'autocoscienza che chiede alla ragione le domande esistenziali, i primitivi filosofici e religiosi.Fin quando l'uomo oblierà la propria autocoscienza rimarrà immaturo e decadrà.
E se quell'uomo penserà che l'autocoscienza è dividere nel mondo della natura il bene e il male , il giusto o lo sbagliato, errerà continuamente nell'opinione delle condizioni culturali che di nuovo si susseguiranno temporalmente dicendo oggi ciò che è bene e della stesa cosa domani ne dichiarerà il male,
In effetti il termine essenza è ambiguo, in quanto storicamente mutato.
Ad esempio un'equazione che spiega non un fenomeno ,ma un principio per me è essenza.
Quindi comincia a riunificare i frammenti nel mondo delle apparenze e li confronta.
Deve trovare le costanti , la fermezza, non le variabili nel e del divenire.
L'essenza è trovare nelle diversità umane e del mondo ciò che li unisce e caratterizza.
Ma il movimento del conoscere non può fermarsi all'appercezione e trovarvi le regole di questo dominio.
La ragione quindi porta l essenze all'autocoscienza che riflette e unisce le correlazioni fra i domini.
E' fuori dal tempo pur essendo nel tempo la correlazione che compie l'autocoscienza.
Ribadisco, non nego la scienza dentro il dominio della natura, ma nego la scienza come strumento di verità dentro un dominio ritenuto vero.Se ci si crede allora coerentemente dovresti negare la tua propria coscienza, e la tua spiritualità, ti serve solo come training autogeno,Se non la neghi, come praticamente tutti fanno, agiscono solo per convenienza ,ma non perchè credono in ciò che pensano o fanno, ovvero contraddittoriamente procedono nel divenire obliando parte di sè, e fischiettando accettano che il vento li porti dove vorrà.
Si può essere benissimo "anime belle" ed ingenue e cercare pezzi di felicità e di serenità.
Ma fin quando il destino porterà il vento felice. Ma mai capirà quell'uomo il destino e sarà sempre in balia degli eventi, chiamandoli fortuna e sfortuna.
Lo so benissimo che l'evidenza della natura è fortissima, il metafisico è celato e da scoprire, così il tramonto segue l'alba, il tempo scorre. Poichè l'inerzia è la potenza della natura, la metafisica richiede di andare oltre l'ozio fisico del divenire che trasporta inconsapevoli esistenze.
Se tutto ciò che è reale coincidesse con il divenire non sarebbe possibile neanche la coscienza del divenire, del mutamento stesso. Noi possiano riconoscere in noi il cambiamento a partire dall'esperienza di una successione di stadi della nostra esistenza. Ma questa successione si riferisce ad un soggetto che viene percepito come sempre lo stesso, seppur mutato in alcune sue componenti. Ciò che ero primo, ciò che sono, ciò che sarò sono differenti ma appartengono ad uno stessa sostanza o substrato che costituisce la nostra identità personale. Quando la mia autocoscienza mi avverte di essere cambiato, io sto ricordando. L'Io, trascendendo l'immediatezza istantanea del puro presente (di fronte invece dovrebbe fermarsi riducendolo materialisticamente ed empiristicamente ad una vuota tabula rasa riempita di volta in volta, da stimoli sensibili provenienti dagli oggetti che colpiscono fisicamente i suoi campi percettivi) si protende verso il non-essere del passato creando una continuità passato-presente resa possibile dalla presenza di un "nocciolo", di un nucleo immutabile della persona (in tedesco definibile con "Kern" secondo la terminologia di Edith Stein), cosicchè la coscienza non è un punto, ma una flusso comprendente e riconoscente in sè differenti fasi temporali. In assenza di tale nucleo immutabile non potrei fare alcun esperienza del divenire, l'io del passato che ora ricordo non sarebbe in alcun modo lo stesso io del presente, e allora come potrei dire che "sono cambiato"? Mancherebbe il soggetto del cambiamento, resterebbe un'esperienza di oggetti senza alcun legame di continuità fra loro., anzi non sarebbe possibile alcun ricordo, non solo riferito a me stesso, autocoscienziale, ma anche degli oggetti del mondo esterno, perchè qualunque ricordo di qualunque oggetto presuppone sempre la coscienza di me stesso come osservatore passato di quegli oggetti che era lo stesso osservatore del presente che ora ricorda. In sintesi, la coscienza di essere cambiato presuppone che l'Io passato e l'Io presente siano stadi mutati appartenenti allo stesso soggetto che resta se stesso in nome di una continuità che gli permette di ricondurre a sè la successione dei suoi stadi.
Quindi i due errori dai quali guardarci, a mio parere, dovrebbero essere da un lato la confusione parmenidea eleatica che confonde il livello ontologico formale con quello "materiale" concreto pensando di dedurre dalla reciproca esclusione logica dell' "essere" e del "non-essere", la staticità monolitica di questo essere, non avvedendosi del fatto che il divenire, lungi dall'essere passaggio contradditorio da un assoluto essere ad un assoluto non-essere, va interpretato come trasformazione qualitativa interna dell'essere, che non conduce l'essere al di fuori di sè ma testimonia il passaggio da UN certo tipo d'essere a un ALTRO tipo d'essere, dall'altro lato l'assolutizzazione del divenire, che negando qualunque aspetto di continuità si precluderebbe, come provato a mostrar sopra, la stessa coscienza del divenire stesso. Convivono nella persona aspetti mutevoli e contingenti (aristotelicamente "contingenti"), ed un'essenza immutabile che accoglie in sè la mutevolezza dei caratteri appartenenti al suo substrato. Questa comparecipazione corrisponde alla dualità materia-spirito. L'uomo è sintesi di materia e spirito, la materia determina la nostra mutevolezza , lo spirito fonda la nostra continuità, e universalità, alla luce della coscienza che nella memoria di sè "trattiene" il passato unificandolo entro certi limiti al presente. Ed in questa imperfetta continità l'uomo si scopre analogo, non identico, a quell'Io, che è pura unità senza frammentazione, cioè un puro spirito che, non avendo materialità, è immune dal divenire, Dio. il problema metafisico (e inevitabilmente teologico) si apre nel tentativo di giustificare razionalmente l'origine del carattere di continuità e spiritualità nell'uomo, mostrando tutta la problematicità di un'ipotesi materialistica per la quale l'inferiore, il corruttibile, il contingente (la materia) dovrebbe porsi come causa adeguata a realizzare qualcosa di superiore, incorruttibile, autosufficiente, cioè lo spirito
p.s.
Essendo oggi il mio compleanno spero che eventuali contestazioni non siano troppo aggressive!
(ovviamente scherzo... sono aperto a tutto!)
@ paul
E' impossibile farsi guidare dall'Ego se vedi la consistenza dolorosa e insoddisfacente del divenire ( se la vedi davvero, non se la affermi semplicemente come idea). Spontaneamente decade l'attrazione per ciò che è ripugnante. Ma il divenire è anche coscienza, sentimento, ragione, e quindi spontaneamente la mente rivolge l'attenzione a questo. Nessuna dualità, tra coscienza e natura. E' il rifiuto della metafisica come possibilità di dare un senso all'esistenza se non costruendolo su astrazioni concettuali inverificabili. In effetti quale altra concreta esperienza abbiamo se non quella del divenire e tutte le idee e formule che escogitiamo non si riferiscono sempre al divenire stesso? Persino le religioni sono piene di concetti "in divenire" ( Realizzazione del regno, fine dei tempi, Cieli nuovi e Terra nuova, beatitudine da conquistare con il tempo, ecc.). Questo , a mio parere, dimostra che le cause e condizioni che tengono in essere il divenire sono le stesse che formano la mente umana e il suo lavoro non può sfuggire alle stesse cause e condizioni, anche se ne è inconsapevole ( avidya).
Il centro unificatore, o anima che spiega anche
@ davintro ( a proposito auguri!! :))
ha una consistenza temporanea, legata al tempo. Al mutare delle condizioni e delle cause che lo determinano, si trasforma. Anche il corpo agisce come un tutt'uno. I piedi camminano insieme e le braccia dondolano alternativamente mentre passeggiamo, nel frattempo il cuore batte, lo stomaco digerisce e i polmoni respirano. Ma chi se la sentirebbe di dire che è eterno ?
E la mente che si trasforma: da neonato che non ha coscienza di sé, a bimbo che non vede differenza alcuna tra la realtà e i sogni, all'adulto che ha ricordi ma che costantemente li muta, li trasforma, li rimuove e poi al vecchio che perde tutti i ricordi e non distingue più il passato dal presente e perde qualunque possibilità di ragionare e di pensarsi, perchè invece desumiano che tutto questo processo sia l'esperienza di un'anima eterna ? Se quello è così anche questo deve essere necessariamente così, perchè ci dovrebbero essere due realtà separate? Una spirituale e una materiale?
Credo anche che la separazione creata dal pensiero greco-cristiano tra spirito e materia , con questa inferiore e da sottomettere e usare, abbia costruito le basi di una visione negativa e utilitaristica della Natura.
Per questo l'ho definita "Il Vivente" e noi , che siamo nella natura, siamo anche noi "Il Vivente". Quando cessa l'identificazione con l'Ego appare Il Vivente. Cosa c'è di più puro e sacro ?
Però credo che sono andato troppo fuori tema... :-\ :-\ :-\
Mi scuso per non aver avuto il tempo di leggere gli interventi in questa discussione.
Per parte mia non temo affatto la morte come "annullamento di ogni cosa per chi la subisce" (in particolare per me); va da sé che non condivido l' affermazione dell' intervento iniziale in questa discussione per la quale "E' evidente che il nulla non può esistere (il che già dire che esiste il nulla,la dice lunga sull'enorme contraddizione)": per me non é per niente illogico o contraddittorio: due negazioni affermano, ma la negazione di un' affermazione nega logicissimamente e sensatissimamente".
Temo piuttosto un' eventuale reincarnazione o metempsicosi: pur essendo assai contento della mia vita attuale (ritengo che sia fortunata, senza alcun mio merito, poiché non me la sono data da me così com' é), constato che molti sono fortemente e crudelissimamente infelici senza alcuna colpa (nessuno si é fatto da sé così com' é, più o meno buono o malvagio: pensiamo ad esempio a chi é ancora vivo e destinato a morire sotto le macerie del terremoto lazio-umbro-marchigiano: qualcosa di orribile!) non vorrei proprio correre il rischio di un' altra vita che potrebbe essere infelice, pur sapendo che sarebbe altrettanto possibile che fosse felice.
Comunque non posso fare nulla per evitare un' eventuale reincarnazione: posso solo sperare che non accada.
@davintro
Credo che in questa problematicità fra permanente ed impermanente, tu abbia convocato un protagonista fondamentale: la memoria... è lei che dà continuità alla (auto)coscienza, consentendole di assecondare la fluidità del divenire; non serve altro... ogni stato di memoria comprende il precedente (non lo cancella) e, così aumentando, percepisce il passare del tempo: oggi mi ricordo tutto il mio passato fino a ieri (ovviamente con molti "vuoti di memoria", ma credo sia chiaro cosa intendo); domani ricorderò anche oggi, e questa "crescita" di memoria, con la sua continuità, mi farà capire che è passato del tempo e la mia vita, accumulando ricordi, è andata avanti.
Non serve uno spirito o un'anima per tenere assieme il flusso di coscienza ("joyciano") o per organizzare la memoria: bastano un cervello sano ed un'annessa autocoscienza... il fatto che io viva la vita dal mio punto di vista prospettico (in senso fisico, non metaforico!), e che ciò che ho visto un attimo fa sia seguito da ciò che vedo ora, mi garantisce l'identità e la coesione del mio essere lo stesso soggetto-percipiente che esperisce sensazioni successive e a cui accadono fatti in sequenza (una sorta di dimostrazione per assurdo: non credo che i malati di Alzheimer abbiano un'anima "difettosa", ma la loro crisi d'identità e il loro rapporto conflittuale con l'ordine del divenire, sono dovuti, se non erro, ad un problema di funzionamento esclusivamente fisiologico...)
Banalizzando: il mio computer non ha un'anima (spero!) eppure tenendo traccia della cronologia (delle operazioni che compie, dei siti che visita, etc.) che aumenta giorno dopo giorno, se fosse intelligente, o se avesse addirittura una coscienza, potrebbe percepire anche lui il suo divenire, il suo fluire nel/del tempo. Secondo me, basta avere una memoria cosciente e si può essere consapevoli del proprio divenire e del divenire di ciò che ci circonda...
Con questo non voglio criticare chi crede in un'anima e le ascrive il compito di essere tutore dell'identità dell'individuo, ma solo suggerire che, forse, la coscienza del divenire può anche fare a meno di entità trascendenti o mistiche...
P.s. Buon compleanno!
Davintro,
buon compleanno...purtroppo il tempo scorre....
Tutta la prima parte la ritengo esatta.
Nel mo modo di vedere l'autocoscienza è centrale, è il centro del cerchio per cui alla periferia appare e scompare il divenire attorno a sè.
Sono d'accordo sul'accennata analisi di Parmeide.
Perchè si ferma al dominio dell'Essere contraddicendo la propria esistenza, contraddice se stesso come agente epistemologico. E' come dire io esprimo l'Essere ma nego me stesso.
Trovo che l'unica forma non statica sia la filosofia dialettica ,perchè pone le relazioni e quindi spiega.
le filosofie che si fermano al processo dichiarativo e di definizioni ontologiche vanno incontro alla critica giusta di Heidegger, non dicono nulla dell'Essere.
Nel mio modo di vedere l'esser-ci heideggeriano dovrebbe corrispondere al rapporto anima/autocoscienza.
Ma non vorrei essere confuso nè con l'idealismo e nemmeno con l'esistenzialismo, seppur prendo molti loro spunti.
Hai scritto come la penso quindi non posso che essere di nuovo d'accordo.
Ecco preciserei che l'IO è Ego, perchè ho voluto assecondare in questo caso Sariputra, le definizioni poste da altri per cercare di fare meno confusione possibile nella comunicazione interna.
So benissimo che l'IO potrebbe essere definito e interpretato in maniere diverse in base ai domini in cui viene relazionato ( filosofia, psicologia, ecc.).
Sariputra,
considero l'astrazione diversamente dalla trascendenza, tant' che Severino che applica la logica dialettica divide il concreto dall'astratto, ma non vorrei quì creare confusioni terminologiche, per cui direi che l'astratto è Parmenide che crede al solo dominio metafisco dell'essere e oltre non va perchè si blocca al momento identitario non riconoscendo la contraddizione esistenziale del divenire .
Insomma è come se io parlassi solo di Dio negando il mondo.
Ma l'errore è viceversa è negare il dominio metafisico accettando solo il dominio naturale della realtà delle apparenze.
Per rimanere in tema, il "solo" metafisico negherebbe totalmente la morte, mentre il "solo" empirico che crede che solo la natura possa essere vera in quanto dimostrazione nelle apparenze del finito direbbe che è una verità incofutabile.
Entrambi compiono il momento astratto perchè l'autocoscienza fa da ponte fra i due domini è la legge della ragion razionale che non può bloccarsi a un solo dominio, perchè l'esistenza nel divenire chiede alla ragione di procedere autocoscientemente fino all'essere che necessariamente è eterno e allora l'astratto svanisce e si apre il trascendente, ovvero il passaggio fra i due domini.
Non confondiamo memoria e identità,E' come dire che chi ha perso momentaneamente la memoria non è più se stesso, ma altro da sè e poi ritorna in sè ricostruendo l'identità?
Saremmo di nuovo al paradosso logico descritto dalla fisica?
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 20:03:50 PM
perchè invece desumiano che tutto questo processo sia l'esperienza di un'anima eterna ? Se quello è così anche questo deve essere necessariamente così, perchè ci dovrebbero essere due realtà separate? Una spirituale e una materiale?
secondo me sei tu che le interpreti separate (sempre in riferimento alle spiegazioni di davintro,ma anche le mie e quelle di paul,magari cambiando inevitabilmente la forma,ma non la sostanza dei relativi ragionamenti...ed e' questo il nodo centrale)e' la nostra prospettiva umana che in apparenza ce le fa sembrare separate,ma non lo sono,esattamente come il tempo,per cui per noi ce sempre un inizio ed una fine ma non ce ne l'uno e nell'altro.penso che quando spieghi il divenire come realtà,ti limiteresti a considerare solo l'aspetto della manifestazione che si traduce nel duale,(ying e yang),anche se considerati in maniera complementare come unita...ma cio che a mio avviso "non vedi" e' cio che li produce,ossia l'Uno,che a sua volta e' il riflesso del Tao (non manifesto) "Il Tao produce l'Uno, l'Uno produce il Due, il Due produce il Tre, il Tre produce tutti gli esseri "
Ieri ho visto un film, il titolo e' OLTRE LA VITA-UNA STORIA VERA l'ho trovato su you tube per caso,in realta' stavo cercando Resort,l'ultimo film,uscito nel marzo di quest'anno che parla dei fatti storici relativi alla resurezione del Cristo, quest'ultimo dall'anteprima mi e' parso un film che vale la pena di vedere. Ma torniamo al film in questione,OLTRE LA VITA : il protagonista e' un uomo piuttosto violento, la parte peggiore che e' in lui stranamente nel momento in cui affronta quella esperienza di pre-morte si mette da parte e incontra invece un'esperienza di amore che,al momento del ritorno sulla terra gli fa cambiare rotta e prospettiva di vita, comprendendo che solo l'amore per il prossimo conta, tutto il resto e' solo fatica di vivere, fatica di morire, perche' si ha paura....praticamente l'amore e' la soluzione...
La trama e' talmente banale che ti viene da dire:'che bella scoperta!' pero' la storia e' vera e insegna qualcosa di molto scontato ma non sempre vissuto fino in fondo.
Stamattina mi sono svegliata con un pensiero in mente: ma se il sogno, la morte e la vita sono tre aspetti della stessa 'illusione' a cosa serve tutta questa manifestazione??, la domanda c'era ma 'esigenza della risposta no,forse e' per questo che mi sento cosi' bene a questo inizio di giornata,.
Sara' questo il TAO? lo O prima dell'uno? lo 0 e' rotondo simboleggia il cerchio, il serpente che si morde la coda,il non-finito...poi viene l'Uno , quello che tutto comprende, il due, l'aspetto duale di ogni cosa, con il due nasce anche la manifestazione, ne e' la sua qualita':bene male -luce ombra - yin yang -alto basso ...e con la manifestazione che nasce la multiplicita': tutti gli altri numeri, che non finiscono mai...
Ma torniamo all'amore e fermiamoci li' ad assaporarne l'essenza senza tempo, la qualita' infinita dell'amore...e' un sentire,,,una fede che non ha niente a che fare con la razionalita',una non-paura. Dicono che del TAO chi lo conosce non ne puo' parlare. Buona giornata allora.
Rispondo brevemente alle varie osservazioni, ben consapevole dei limiti del linguaggio e dell'estrema difficoltà di mettere in parole un'esperienza.
Paul sostiene che la memoria non è identità. Su questo non sono d'accordo. La memoria del proprio vissuto è l'identità di una persona. Certo, se la perdita è momentanea, poi si ritrova, magari rielaborato, il proprio precedente vissuto, ma quando la perdita è definitiva e totale , l'identità precedente dove possiamo trovarla? Viene custodita "da qualche parte", in attesa che, dopo la morte fisica, questi ricordi magicamente ritornino perchè custoditi da un ipotetico "spirito"? Questa è pura metafisica...Ciò non impedisce a questo essere smemorato di continuare a vivere e compiere scelte , avere pensieri, ancorchè completamente distorti, ecc. ma potremmo identificare questo vissuto con il precedente?
Il termine Identità ha comunque tanti significati. Nello specifico lo intendo come identità psicologica.
Acquario sostiene che sono io che interpreto come una dualità l'esistente. Non posso che riportare l' esempio della moneta con le due facce. Sostengo un'unità indissolubile di coscienza e forme del divenire. Ossia questo non può essere senza quello...
Quando affermo che si tratta di una catena ininterrotta, è implicito che non c'è un primo anello ( un UNO che ha generato il due, il tre, ecc.). E' una catena senza inizio e senza fine. Una catena di produzione condizionata. Il principio del Tao è inconoscibile dalla ragione e giustamente si pone l'accento sul Silenzio. Il Tao è un'esperienza del reale, non una riflessione sul reale. Quando invece i pensatori taosti introducono categorie del pensiero ( Yin Yang, maschile e femminile, ecc.) ricadono nel groviglio del teorizzare. Questo non è più il vero Tao...
Bellissima questa frase di Aniel:
la domanda c'era ma 'esigenza della risposta no,forse e' per questo che mi sento cosi' bene a questo inizio di giornata,.
Questo io lo chiamo " stare con con le cose".
P.S. Ma tutte le obiezioni che portate , per ritornare in tema, siete sicuri che non nascondano il vostro potentissimo desiderio di vivere in eterno? :) :) :)
Non è detto che sia poi un affare.... :'( :'(
Citazione di: Sariputra il 29 Agosto 2016, 09:03:10 AM
Acquario sostiene che sono io che interpreto come una dualità l'esistente. Non posso che riportare l' esempio della moneta con le due facce. Sostengo un'unità indissolubile di coscienza e forme del divenire. Ossia questo non può essere senza quello...
Quando affermo che si tratta di una catena ininterrotta, è implicito che non c'è un primo anello ( un UNO che ha generato il due, il tre, ecc.). E' una catena senza inizio e senza fine. Una catena di produzione condizionata. Il principio del Tao è inconoscibile dalla ragione e giustamente si pone l'accento sul Silenzio. Il Tao è un'esperienza del reale, non una riflessione sul reale. Quando invece i pensatori taosti introducono categorie del pensiero ( Yin Yang, maschile e femminile, ecc.) ricadono nel groviglio del teorizzare. Questo non è più il vero Tao...
Bellissima questa frase di Aniel:
la domanda c'era ma 'esigenza della risposta no,forse e' per questo che mi sento cosi' bene a questo inizio di giornata,.
Questo io lo chiamo " stare con con le cose".
P.S. Ma tutte le obiezioni che portate , per ritornare in tema, siete sicuri che non nascondano il vostro potentissimo desiderio di vivere in eterno? :) :) :)
Non è detto che sia poi un affare.... :'( :'(
infatti io ho detto : ti limiteresti a considerare solo l'aspetto della manifestazione che si traduce nel duale,(ying e yang),anche se considerati in maniera complementare come unita'....quindi credo sia lo stesso senso nell'esempio che fai anche tu della moneta con due facce. (complementari di una stessa unita')quello che dal mio punto di vista (ma che non rientra nel tuo) e' il fatto che per te non esiste cio che viene prima e da cui tutto trae la sua origine.il Tao e' infatti inconoscibile alla ragione,ma come già detto in altre occasioni la ragione da sola non e' infatti sufficiente per "vedere" al di la dei sensi stessi e dell'umana comprensione,perché rientra nel manifesto...penso che il discorso che abbiamo fatto finora non può che arrestarsi su questo punto..CitazioneMa tutte le obiezioni che portate , per ritornare in tema, siete sicuri che non nascondano il vostro potentissimo desiderio di vivere in eterno?
per quello che posso dire io non si tratta affatto di desiderio ma di aver semplicemente svelato il Reale,e credimi,in questo non ce nessuna volontà di potenza anche se so benissimo che può dare questa impressione,ma e' invece esattamente il contrario.PS: naturalmente,rimango con tutti i difetti e tutti i limiti di una qualsiasi persona
Citazione di: Sariputra il 29 Agosto 2016, 09:03:10 AMRispondo brevemente alle varie osservazioni, ben consapevole dei limiti del linguaggio e dell'estrema difficoltà di mettere in parole un'esperienza. Paul sostiene che la memoria non è identità. Su questo non sono d'accordo. La memoria del proprio vissuto è l'identità di una persona. Certo, se la perdita è momentanea, poi si ritrova, magari rielaborato, il proprio precedente vissuto, ma quando la perdita è definitiva e totale , l'identità precedente dove possiamo trovarla? Viene custodita "da qualche parte", in attesa che, dopo la morte fisica, questi ricordi magicamente ritornino perchè custoditi da un ipotetico "spirito"? Questa è pura metafisica...Ciò non impedisce a questo essere smemorato di continuare a vivere e compiere scelte , avere pensieri, ancorchè completamente distorti, ecc. ma potremmo identificare questo vissuto con il precedente? Il termine Identità ha comunque tanti significati. Nello specifico lo intendo come identità psicologica. Acquario sostiene che sono io che interpreto come una dualità l'esistente. Non posso che riportare l' esempio della moneta con le due facce. Sostengo un'unità indissolubile di coscienza e forme del divenire. Ossia questo non può essere senza quello... Quando affermo che si tratta di una catena ininterrotta, è implicito che non c'è un primo anello ( un UNO che ha generato il due, il tre, ecc.). E' una catena senza inizio e senza fine. Una catena di produzione condizionata. Il principio del Tao è inconoscibile dalla ragione e giustamente si pone l'accento sul Silenzio. Il Tao è un'esperienza del reale, non una riflessione sul reale. Quando invece i pensatori taosti introducono categorie del pensiero ( Yin Yang, maschile e femminile, ecc.) ricadono nel groviglio del teorizzare. Questo non è più il vero Tao... Bellissima questa frase di Aniel: la domanda c'era ma 'esigenza della risposta no,forse e' per questo che mi sento cosi' bene a questo inizio di giornata,. Questo io lo chiamo " stare con con le cose". P.S. Ma tutte le obiezioni che portate , per ritornare in tema, siete sicuri che non nascondano il vostro potentissimo desiderio di vivere in eterno? :) :) :) Non è detto che sia poi un affare.... :'( :'(
Sariputra
se la coscienza sparisce come le apparenze del divenire, a cosa serve la coscienza?
Di nuovo , se esiste una coerenza logica e se fossimo davvero nella verità del finito, allora coerentemente era meglio nascere animali, ucciderci e competere da animali e ragionare in finalità di violenza.quella coscienza e morale che ne deriverebbe davvero sarebbe solo un orpello ai fini di utilità e finalità egoistiche individuali.Non lamentiiamoci, di nuovo coerentemente, se la regola della natura è apparire e sparire ,perchè la felicità passerebbe sulla infelicità del prossimo.
Stai ponendo molte problematiche di tipo egoistiche, come dire che chi crede alla metafisica e/o Dio implicitamente compie un atto di superbia?
Non ha ancora capito che la nosra cultura contemporanea è fondata sulle apparenze dove se la morte è verità allora la vita è relativa e conta poco sull'altare della competizione e della finalità dell'utile e funzionale? Non esistono morali.
il primo passo è capire i paradigmi logici di questa nostra cultura che tengono in piedi contraddizioni fondative.
se non si fa questo è inutile discutere di filosofia e logica dialettica.
L'eternità non è di nuovo una scelta egoistica, diventa una necessità logica razionale a prescindere dall'agente conosocitivo che lo compie.
Citazione di: paul11 il 29 Agosto 2016, 12:54:11 PM
Citazione di: Sariputra il 29 Agosto 2016, 09:03:10 AM(
Sariputra se la coscienza sparisce come le apparenze del divenire, a cosa serve la coscienza? Di nuovo , se esiste una coerenza logica e se fossimo davvero nella verità del finito, allora coerentemente era meglio nascere animali, ucciderci e competere da animali e ragionare in finalità di violenza.quella coscienza e morale che ne deriverebbe davvero sarebbe solo un orpello ai fini di utilità e finalità egoistiche individuali.Non lamentiiamoci, di nuovo coerentemente, se la regola della natura è apparire e sparire ,perchè la felicità passerebbe sulla infelicità del prossimo. Stai ponendo molte problematiche di tipo egoistiche, come dire che chi crede alla metafisica e/o Dio implicitamente compie un atto di superbia? Non ha ancora capito che la nosra cultura contemporanea è fondata sulle apparenze dove se la morte è verità allora la vita è relativa e conta poco sull'altare della competizione e della finalità dell'utile e funzionale? Non esistono morali. il primo passo è capire i paradigmi logici di questa nostra cultura che tengono in piedi contraddizioni fondative. se non si fa questo è inutile discutere di filosofia e logica dialettica. L'eternità non è di nuovo una scelta egoistica, diventa una necessità logica razionale a prescindere dall'agente conosocitivo che lo compie.
A cosa serve la coscienza domandi ? Ad essere coscienti ed è parte della nostra natura. Sembra una facile battuta , ma mi sforzo di calarmi nell'esser-ci dell'esistenza. Il pensare che abbia una finalità altra dal semplice processo di essere presenti a se stessi è , di nuovo, scusa se mi ripeto, un cadere nella metafisica. Non riesco a vedere la coscienza come indipendente dalle forme del divenire. Anche solo per definirne le qualità dobbiamo servirci delle forme stesse.
Sono anch'io assolutamente convinto che la società attuale vive sulle apparenze. L'obiezione che poni, cioè che se esiste solo il divenire, tanto vale, anzi molto meglio, esser nati animali e goderci la vita come meglio possiamo. A questo obietto che siamo coscienti che il divenire è anche doloroso e che cause buone producono Bene e cause malvagie producono Male, in ragione del fatto che il Divenire sottostà ad una logica e coerenza interna, ossia poggia su cause e condizioni e le cui sembianze sono le forme che appaiono alla nostra coscienza.
In più l'elemento coscienza presente nel movimento stesso del divenire permette la percezione della Bellezza del divenire stesso, il godimento interiore di questa eterna Bellezza, l'Amore privo di attaccamento che ne scaturisce spontaneamente. Quindi la ricompensa del seguire le cause positive dell'agire sorpassa ampiamente i frutti del seguire le cause negative dell'agire stesso.
In poche parole la condotta morale è ricompensa a se stessa.
Non sono un filosofo...mi ispiro all'Insegnamento di Siddharta Gotama, cerco di comprenderlo e renderlo vivo nella mia vita, e naturalmente lo sviluppo filosofico che ha portato alla scuola Madhyamika di Nagarjuna
P.s. Volevo aggiungere che il credere in una sostanza eterna non è negativo, se questo comporta un agire secondo le cause positive. I frutti che si possono assaporare sono esattamente gli stessi. Purchè il credere non comporti divisione e conflitto ( e queste sono cause negative dell'agire). In sostanza non è credere o no nell'esistenza di un'anima, ma seguire il Bene che ci nobilita, che fa la differenza tra vivere come un essere umano e vivere per appagare semplicemente il nostro Ego...
Sariputra,
con tutto il rispetto che ho anche per il buddismo, il nirvana a mio modesto, parere equivale al nulla, per questo il buddismo non è una religione e solo una tecnica per vivere e indirettamente una filosofia, una visione del mondo,, non ha neppure risvolti sociali e infatti è una forma egoica di gestione del sè, costruita in maniera mirabile: ma autocontraddittoria.
Il termine coscienza che si utilizza nel linguaggio comune equivale alla volontà, " quella persona è cosciente, o incosciente...." o termine morrale, ecc. E' purtroppo un altro termine ambiguo. Personalmente, utilizzo l'autocoscienza come pensiero che riflette se stesso in relazioni con la ragione, e sta in rapporto fra anima e appunto ragione.
In effetti ho scritto una fesseria. E' l'anima che torna allo spirito dopo la morte e non l'autocoscienza.
Riflettendo sull'eternità, non tanto dal punto di vista filosofico o teologico, ma egoistico, trovo che siano proprio coloro che temono la morte che cercheranno l'eternità.
Quando le scienze gli daranno cellule staminali, organi ricostruiti , vedranno vivere degli zombie .
Personalmente e con tutta sincerità, l'eternità è un concetto, se poi qualcuno ci vede fiumi di latte e miele o pensa di portarci i desideri reconditi di questa esistenza di nuovo ricade in contraddizione.
Io non so pensarmi dentro l'eternità perchè non so pensare nemmeno il "volto" di Dio, metaforicamente scrivendo.
Citazione di: paul11 il 29 Agosto 2016, 15:03:57 PMSariputra, con tutto il rispetto che ho anche per il buddismo, il nirvana a mio modesto, parere equivale al nulla, per questo il buddismo non è una religione e solo una tecnica per vivere e indirettamente una filosofia, una visione del mondo,, non ha neppure risvolti sociali e infatti è una forma egoica di gestione del sè, costruita in maniera mirabile: ma autocontraddittoria. Il termine coscienza che si utilizza nel linguaggio comune equivale alla volontà, " quella persona è cosciente, o incosciente...." o termine morrale, ecc. E' purtroppo un altro termine ambiguo. Personalmente, utilizzo l'autocoscienza come pensiero che riflette se stesso in relazioni con la ragione, e sta in rapporto fra anima e appunto ragione. In effetti ho scritto una fesseria. E' l'anima che torna allo spirito dopo la morte e non l'autocoscienza. Riflettendo sull'eternità, non tanto dal punto di vista filosofico o teologico, ma egoistico, trovo che siano proprio coloro che temono la morte che cercheranno l'eternità. Quando le scienze gli daranno cellule staminali, organi ricostruiti , vedranno vivere degli zombie . Personalmente e con tutta sincerità, l'eternità è un concetto, se poi qualcuno ci vede fiumi di latte e miele o pensa di portarci i desideri reconditi di questa esistenza di nuovo ricade in contraddizione. Io non so pensarmi dentro l'eternità perchè non so pensare nemmeno il "volto" di Dio, metaforicamente scrivendo.
Ovviamente non condivido la tua rispettabilissima opinione sul buddhismo, ma questo va accettato. Ognuno ha il suo sentire...
Ricordo solo che, quando a 16 anni lessi per la prima volta qualcosa sull'insegnamento, ogni cosa mi sembrava assumere una sua logica e coerenza. Quindi per me fu esattamente il contrario dell'autocontraddizione che invece ravvisavo nell'insegnamento cristiano-cattolico che mi era stato impartito. Questo sì che lo sentivo molto lontano dall'esperienza del mio vivere...
Ti ringrazio dei tantissimi spunti di riflessione.
P.s: A proposito... tu ci sai fare con la vernice e gli infissi? Non ne posso più... :o :o :o
Scherzo naturalmente...sono pur sempre un buffone inadeguato, no? ;D
Cit. Sariputra: In poche parole la condotta morale è ricompensa a se stessa.
Non sono un filosofo... mi ispiro all'Insegnamento di Siddharta Gotama, cerco di comprenderlo e renderlo vivo nella mia vita, e naturalmente lo sviluppo filosofico che ha portato alla scuola Madhyamika di Nagarjuna Non raramente riproponiamo i nostri pensieri e le nostre scritture, e talvolta, quando ne ritroviamo i fili ne abbiamo una sensazione come di rincontrar un vecchio amico. Nel mio caso il tuo post me ne ricordato uno mio del vecchio forum (Buddha bar post 6) che ricopio qui sotto, non avendo al tempo ricevuto risposta al quesito. Le domande son sempre (più o meno) le stesse, ma le risposte, chi le conosce davvero?...Certamente ci si deve adoperar con fatica per ottener una qualsiasi cosa (anticamente e purtroppo odiernamente anche per il solo sopravvivere quotidiano) ma gli affanni a volte son ripagati, come ben conoscono gli artisti al completar l'opera cui furon dediti... nel contemplarla, sentendo che non v'è più nulla d'aggiungere o da togliere e che quello è il massimo che han potuto ottenere... forse alfine svuotati da quell'energia che fece dimenticar loro sonno e cibo per dedicarcisi appieno, rimangon lì, a volte lor stessi increduli del risultato (...perché non parli..?) per un tempo senza tempo, e in quel momento la pienezza recata da tal raggiungimento li farebbe accettar anche di naufragar, dolcemente, in qualche mare infinito.
Io che ammiro le loro opere sento che hanno un senso e anche se diverranno (forse, non è completamente sicuro) polvere nel nulla pur quel nulla tuttavia dovrà accoglierle... e se dal nulla qualcosa si crea e vi ritorna, fosse anche la minima cosa, il più piccolo suono, allor non può esser nulla.
Il nulla con cui abbiamo a che fare, procedendo il concetto da un pensiero, è relativo a quello ed esiste solo in quello.
Dir "per nulla differente" è lo stesso che dir "uguale"?
"Il samsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. "
(Nāgārjuna, Mūla-madhyamaka-kārikā) CordialmenteJean
Citazione di: Jean il 29 Agosto 2016, 17:23:39 PMCit. Sariputra: Il nulla con cui abbiamo a che fare, procedendo il concetto da un pensiero, è relativo a quello ed esiste solo in quello. Dir "per nulla differente" è lo stesso che dir "uguale"? [/color] "Il samsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. " (Nāgārjuna, Mūla-madhyamaka-kārikā) Cordialmente Jean
Una domanda più facile no..eh? ;D Se pensi che Chandrakirti ci ha scritto dei commentari sopra...
Però, visto che sono un impavido, non voglio sottrarmi all'impegno, tenendo come punto focale che non sono un filosofo buddhista e neanche un semplice bhikkhu (monaco)...
Parto dalla concezione assolutistica del Divenire in cui Tutto trova la sua Natura. Il termine samsara , in questo contesto, non è tanto riferito all'aspetto del mutamento ma all'attaccamento alle false concezioni su di esso. La mente che non comprende la Natura del reale è immersa nel samsara, nell'attaccamento alle forme e alle sensazioni mutevoli che danno piacere o dolore. Qualunque forma di attaccamento è samsara, anche l'attaccamento all'idea di un dio o a quella dell'annientamento totale (il Nulla). Il termine Nirvana si riferisce letteralmente all'estinzione di questo attaccamento, non all'estinzione del Divenire della Natura ( il che sarebbe assurdo). Se paragoniamo l'attaccamento (samsara) alle forme del divenire alla fiammella di una candela e il Nirvana all'estinzione, spegnimento di questa fiammella e l'insegnamento del Buddha ( Dharma) al metodo per togliere via via cera alla candela , togliendo perciò alimento alla fiammella, possiamo immaginare una similitudine.
Ora è possibile avere Estinzione ( Nirvana) della fiammella senza che ci sia una fiammella? Evidentemente no. Pertanto ipotizzare il Nirvana come altro dalla fiammella è illogico. E'semplicemente uno stato di assenza della fiammella.Ma la fiammella ha natura sostanziale o esiste unicamente in virtù di ciò che la alimenta (cera, ossigeno,ecc.) ? La fiammella (samsara) non dispone di natura sostanziale e perciò è composta da molteplici elementi di non-fiammella ( in questa caso l'attaccamento è composto da molteplici elementi: percezioni, desideri, ecc.). Ora come si può definire assente una cosa che non è presente come realtà in sé, come sostanziale? Ed essendo priva di realtà autonoma, sostanziale, ma sostenuta solo come realtà ordinaria, apparente, come designazione mentale di uno stato composto non è della stessa natura della sua assenza (Nirvana)? Il problema è che noi intendiamo il Nirvana come uno stato sensibile, di beatitudine, di gioia, ecc. mentre il Nirvana, nella sua originaria formulazione, è semplicemente lo stato di assenza dell'attaccamento ( o sete di esistere) della mente verso le sue stesse designazioni.
Le cose di questo mondo sono semplici convenzioni di nostra creazione. Dopo averle stabilite, ci perdiamo in esse e non vogliamo mollare la presa, dando il via all'attaccamento alle nostre idee e opinioni personali. Questo tipo di attaccamento non ha mai fine, è il samsara, interminabile.
Questo attaccamento che natura ha? Non è semplicemente vuoto di esistenza autonoma, intrinseca? E il Nirvana non è semplicemente Vuoto ( shunyata) dall'attaccamento stesso ?
Affermando che samsara e Nirvana non sono in nulla differenti, ritengo si intenda mettere la vacuità come caratteristica fondamentale di ogni aspetto dell'esistenza. Vacuità non intesa come Nulla , ma bensì semplicemente come insostanzialità di ogni fenomeno, come interdipendenza sia esteriore che interiore.
Se la natura del samsara è vacuità e noi cerchiamo il vuoto (vacuità) dal samsara (Nirvana) , non cerchiamo illusoriamente qualcosa che già abbiamo?
Per questo Nagarjuna, secondo me, spinge a vedere la sostanziale vacuità di esistenza intrinseca di tutti i fenomeni designati dalla mente per vedere la loro natura di Nirvana.
Bisogna sempre considerare poi che , in particolare nel buddhismo, le enunciazioni filosofiche hanno sempre uno sfondo pratico. Questa frase celebre aiuta i praticanti a liberarsi dal falso concetto che il Nirvana sia trascendente il reale e sia sostanziale ( una sorta di paradiso in Terra per intenderci...).
La libertà dal samsara ( che è il Nibbana) non va cercata al di fuori del samsara ma è nel samsara stesso ( Sari 2016 :)) )Una storiella per conciliare il sonno:
Un monaco, che si trovava in Cina e si recava a Long Dam per visitare un maestro si fermò in una locanda condotta da un'anziana signora. Il monaco si presentò tenendo in mano una copia del Sutra del Diamante e l'anziana signora, che conosceva bene il testo, se ne accorse.
Dopo una notte di riposo, il monaco disse:" Buon giorno, signora. Posso avere qualcosa per aguzzare la mia mente?" (""aguzzare la mente" è un'espressione cinese che sottintende la prima colazione).
La donna per contro domandò: "Quale tipo di mente vuoi aguzzare: quella del passato, quella del presente o quella del futuro?"
Il monaco non fu in grado di rispondere. Vergognandosi , abbandonò l'idea di visitare il maestro e ritornò a casa.
Se la donna mi avesse posto la stessa domanda , avrei risposto: "Non ho bisogno della mente del passato, né di quella del presente o di quella del futuro. Ho fame e non desidero altro che qualcosa da mangiare". L'idea che la mente del passato, quella del presente e quella del futuro non possano essere afferrate è eccellente, comunque è soltanto un'idea. Abbiamo bisogno di mangiare. Questa è una realtà viva. Quando si ha fame, si fa colazione. Perchè ci si dovrebbe lasciare impressionare da una locandiera chiacchierona?
(THich Nhat Hanh)
Dire che memoria e identità sono la stessa cosa, prendendo l'espressione alla lettera, rischia di essere fuorviante, perchè presupporrebbe l'identificazione idealistica tra pensiero e realtà, e si dovrebbe cadere in una sorta di relativismo per cui il fatto di avere un'identità personale, un elemento di continuità sarebbe determinato dal nostro sentire soggettivo e dalle nostre opinioni sempre variabili a seconda degli individui. Certo dovremmo star lontani dall'errore opposto, il realismo ingenuo, che vorrebbe separare in modo troppo radicale i nostri vissuti delle cose, dalle cose stesse, fenomeno e noumeno. La memoria è un vissuto e come tutti i vissuti della nostra coscienza vanno descritti e analizzati nel modo più oggettivo possibile per mostrare le implicazioni ontologiche (riferibili alla realtà oggettiva) legate alla possibilità di manifestazione di tali fenomeni. Quindi il problema è rilevare come sia possibile far scaturire dal vissuto della memoria il riconoscimento di un reale aspetto di permanenza del soggetto che renda ragione della capaictà dell'Io di trascendere la successione temporale che appare divorare istante dopo istante la nostra esistenza per trattenere nei ricordi il nostro passato. Quindi si può dire non che la memoria sia l'identità, ma che potrebbe presupporla. Inoltre limitandoci a considerare la memoria si rischierebbe di fermare l'analisi della continuità della persona alla dinamica presente-passato ignorando la dimensione del futuro. Quindi accanto alla memoria occorrerebbe considerare l'immaginazione e l'aspettativa, vissuti nei quali l'Io si protende verso il futuro, il non-essere-ancora, così come la memoria era il vissuto che apriva al passato. Anzi considerando il tema della discussione, paura della morte e, aggiungo io, speranza della vita eterna, direi che più decisivo sia il rapporto della coscienza con il futuro con tutte le implicazione conseguenti!
necessita la memoria di un'anima, di una sostanza trascendente? Ecco qua la qualifica di trascendente intesa in un certo modo può portare fuori strada. Che si intenderebbe con "trascendente"? Se la trascendenza dell'anima dal corpo la si intende come la intendeva il rigido dualismo cartesiano res cogitans-res extensa, io potrei essere d'accordo con chi nega che la memoria o qualunque altra funzione psichica giustifichi il ricorso a una causa trascendente separata (tale dualismo comprometteva tanto pesantemente l'unità della persona che per mantenerla tale occorreva l'ipotesi fantasiosa di una "ghiandola pineale" che tra l'altro nel collegare l'anima al corpo finiva perfino con lo spazializzare l'anima, che finiva con l'essere materializzata nell'essere collegata a qualcosa di fisico come una ghiandola, paradossalmente anche il dualismo esasperato porta a conclusioni materialiste!). Totalmente diverso il discorso se si considera l'anima nell'accezione aristotelica e tomista di "forma" del corpo", l'anima come causa formale che rende il corpo un corpo umano, portatore di una vita razionale. Non va negata l'ovvia dipendenza delle funzioni psichiche come la memoria dal corpo, dal cervello, un cervello sano, ma il punto è: cosa rende il cervello sano un "cervello sano", e non un ammasso di atomi materiali inadatti a sostenere qualunque processo mentale. Cosa rende il corpo vivente "vivente" e non una cadavere? Qui entra in gioco l'anima, la causa formale che plasma la materia e la rende materia organizzata a sostenere attività psichiche, materia cerebrale vivente. L'anima è fonte di vita del corpo. Certamente, considerando la situazione dell'uomo, unità di forma e materia, anima e corpo, l'anima non potrebbe agire se non all'interno dei limiti imposti dalla materia. Ma escludere a livello assoluto una condizione in cui una volta slegata da una certa materia, la forma, di per sè non delimitata spazialmente, possa trovare una nuova materia da configuare come "vita", predisposta a certe funzioni differenti da quelle a cui è predisposta la materia che conosciamo ora (il nostro corpo così come è ora) vorrebbe dire ammettere che la vita umana è possibile solo nella misura in cui si realizza nel nostro mondo immanente, mondo immanente che in questo modo verrebbe assolutizzato, essendo posto come l'unico possibile già all'inizio del discorso. Il rischio è quello di un circolo argomentativo vizioso, nel quale ciò che si vorrebbe dimostrare, l'intrascendibilità dell'immanenza, è posta già come premessa, l'idea che l'unica spiritualità possibile sia quella umana, cioè la spiritualità di un'anima dipendente dalla materia, escludendo a priori di considerare, a livello ipotetico, la nozione di "spirito" considerato indipendentemente dal resto per poi mostrare delle implicazioni conseguenti a tale considerazione
p.s.
Grazie a tutti per gli auguri!
Quello che ho notato storicamente è che le scienze antiche traslavano il concetto nelle persone e il senso e i significati entravano nelle relazioni fra dei, semidei, umani. Quindi i concetti sono portati, incarnati nelle persone, il concetto è antropomorfo.
La separazione avviene con la filosofia greca, il concetto diventa per sè stesso separato dall'uomo.
La terza fase è quella dei pensatori in qualche modo critici prima con l'Illuminismo poi con i concetti di modernità, è quì che riapparare
nell'esistenzialismo in modo eclatante il rapporto uomo/filosofia, spesso rivisita l'intero percorso storico del pensiero filosofico, ma sempre con il tentativo di riconciliare l'Essere e l'uomo.
Davintro,
sono ancora d'accordo sulla tua prima parte nella relazione memoria/identità e sul fare attenzione a non cadere nel realismo ingenuo.
Mi piace l'acuta osservazione sulla problematizzazione dell'anima come forma e sostanza. Io credo a entrambi, ma proprio perchè noi siamo ponte fra empirico e metafisico , noi siamo natura e cultura, noi siamo razionale e irrazionale, siamo noi stessi incarnazione del contraddittorio duale che metaforizza nei miti, nei romanzi, nell'arte e nella filosofia
L'anima è il "traghettatore" dello e allo spirito, in quanto ponte dei domini dell'empirico e del metafisico e che razionalizza attraverso la ragione, la deduzione e l'induzione, ovvero armonizza i due domini costruendo un unico senso che li attraversi: questo è il trascendente dall'empirico al metafisico e pongo l'agente razionalizzante, vale a dire l'essere umano come centrale nel processo epistemologico.
Lo spirito puro non può entrare direttamente nella materia , è una questione di energia, deve incarnarsi, deve diventare materia soggetta alle regole della realtà dell'universo, ma questo è più esoterismo che filosofia
La vita ha il profondo significato di sciogliere la negazione del contraddittorio, ovvero le differenze ne ll divenire enl finito, sintetizzarle autocoscientemente con la ragione e trascenderli verso L'uno.Quindi il percorso umano è dal molteplice all'Uno che è identità assoluta e universale . Ma la stessa autocoscienza ,per no illudersi, deve di nuovo costantemente agire nei due movimenti dal metafisico all'empirico e viceversa affichè quella trascendenza non divenga astrazione e riappaiono le negazioni del contraddittorio che frammenterebbe di nuovo e in cui riapparirebbe nella negazione il suo signore assoluto.la morte nel divenire.
Il conoscere nella vita ,allora diventa il percorso del conoscere per evolvere la propria autocoscienza.Il ruolo dell'apparire e del nascondimento è il luogo in cui l'uomo attraversa l'orizzonte delle proprie esperienze in cui costantemente rielabora il contraddittorio
confrontando l'Uno e il molteplice, l'identità e la contraddizione identitaria della frammentazione.
Caro Sari,
oggi abbiamo risposto, tu per primo, al nuovo giovane utente "Sogni e Pensieri" (ho apprezzato i tuoi consigli) che evidenziava una caratteristica (tra le più importanti ) della mente, quella di aderire agli oggetti/pensieri/enti ecc. che incontra, sia da desta che in sogno.
Non fosse che nel percorso tra percezione e reazione/risposta sia coinvolto un piccolissimo lasso temporale (forse dovuto a caratteristiche biologiche o forse no...) che permette l'esperienza/sensazione dell' "osservatore", non avremmo scampo, saremmo quello che percepiamo e risponderemmo in funzione di quello che abbiamo immagazzinato e/o avuto in eredità nella memoria individuale e collettiva.
Non raramente sfugge l'importanza di quel piccolo intervallo temporale, eppure la condizione umana si origina da lì (differentemente dagli animali).
Il divenire presuppone il tempo e vorrei suggerirti di considerare quel piccolo intervallo temporale...
Poiché come dici qualunque forma di attaccamento è samsara e la mente non si può cambiare/trasformare/sopprimere ecc., lo stato di "assenza dall'attaccamento" o della caratteristica della mente di aderire, si ha quando quel piccolo intervallo temporale per un qualche motivo non entri in gioco, come mi par possa avvenire a seguito delle pratiche zen, ad esempio del tiro con l'arco.
Ho dei dubbi che "le cose di questo mondo sono semplici convenzioni di nostra creazione. Dopo averle stabilite, ci perdiamo in esse e non vogliamo mollare la presa, dando il via all'attaccamento alle nostre idee e opinioni personali." nel senso che la nostra attività pensante, e ancor più quella "creatrice", ci "accadono" più che esser noi a produrle.
Ma naturalmente ognuno ha le sue opinioni in merito, anche se nel secondo caso dovrebbe esser possibile (avendole prodotte) intervenirci... cosa alquanto difficile... nella quasi totalità vengono "sostituite" con altre...
Sono del tutto d'accordo che "questo tipo di attaccamento non ha mai fine, è il samsara, interminabile." , ma da questo punto trovo semplicistica l'affermazione che l'attaccamento abbia una natura intrinsecamente vuota come lo sia il nirvana rispetto ad esso.
Mancano dei passaggi, è un salto troppo lungo, fuor di parametri, c'è qualcosa di inappropriato nell'usare il termine "vuoto", forse c'è una questione semantica (son solo mie opinioni, naturalmente).
Vediamola in un altro modo... che sono quei "confini" che delimitano sia il samsara che il nirvana?
Ammettere un confine è ammettere anche un limite... ricordo che usi parlar delle due facce della stessa medaglia, eccole qui, da una parte il samsara e dall'altra il nirvana.
E un percorso nella mente/moneta della percezione su una faccia e la risposta nell'altra (a causa di quel piccolo lasso di tempo, quel provvidenziale e miracoloso stratagemma...).
In quest'accezione il nirvana non è la risposta ma la permette.
Le due facce esprimono il perfetto equilibrio della mente/moneta, qualcosa entra e qualcosa esce... se la direzione sia una meta "per nulla differente" è quanto rimane da scoprire...
Nel mio modo d'indagare, riposti i libri d'un tempo, interpreto con quel poco che l'esperienza mia ha insegnato i confini della vita e dove/quanto dedicarci il tempo che mi resta, scusandomi della limitata partecipazione.
Cordialmente
Jean
Caro Jean
La parola "vuoto", per noi occidentale così indigesta, istintivamente ripugnante quasi, in sanscrito era usata come aggettivo e si riferiva di solito ai luoghi tranquilli in cui i monaci potevano meditare con profitto. I luoghi quieti, pacifici, non disturbanti. Per questo non s'intende il vuoto come un assoluto, una cosa in Sè, ma semplicemente e sempre in riferimento alle cose (dhamma) e agli oggetti mentali che continuamente affollano la mente ( pensieri, sensazioni, sogni,ecc.). Quando la mente sperimenta lo stato di non-attaccamento a tutto questo si definisce "mente vuota dall'attaccamento". Il Nirvana è proprio questa possibilità , questa qualità di esistere della mente. La natura dei dhamma che continuamente sperimentiamo è definita vuota non nel senso che non esistono , ma invece , anche qui, come "vuoti di esistenza intrinseca", ossia interdipendenti, soggetti all'insorgere e allo svanire ( a volte questo insorgere e svanire è rapidissimo, tanto che la mente non riesce normalmente a definirli, appaiono come un lampo all'osservazione della coscienza). La mente quindi viene intesa come "creatrice del mondo" perchè opera una designazione di questi dhamma passeggeri, fluidi, in continuo cambiamento. Assegna loro forma e identità e comincia a maturare un'opinione su quello che lei stessa ha definito, normalmente aggrappandocisi. Al di fuori di questo lavoro incessante, continuo della nostra testa, la Realtà esiste, fluisce, nasce e muore...
Non so dirti se, quell'intervallo di tempo di cui parli, quello che passa tra la sensazione dovuta dal contatto dei sensi con i dhamma esterni e dell'elemento coscienza con quelli interni, sia semplicemente il tempo che serve alla ragione per ricondurre l'evento al riconoscimento, tramite la memoria, dello stesso e la sua catalogazione e interpretazione. Un tempo "tecnico", biologico di reazione.
Spesso in questo tempo abita l'angoscia esistenziale, in questo "luogo" si annida la consapevolezza dell'impermanenza di tutte le cose, la sensazione di non avere risposte, appunto il "vuoto" di esserci della nostra condizione. E' un luogo che la coscienza sembra non registrare, ma è vivo e pieno di dolore ( dukkha). Nell'arte del primo novecento abbiamo avuto dei grandi artisti che hanno scavato in questo luogo/non-luogo della mente (Kafka, E.Munch, G.Morandi,ecc.) mettendo a nudo il dramma esistenziale dell'uomo. Non possiamo fondarci in niente e allora irrompe la sensazione del nulla.
Il Buddha partiva dalla consapevolezza della sconfitta della ragione e di ogni metafisica e nella loro incapacità di trovare risposta all'irrisolvibile questione del Perchè, del "Perchè una Causa ( un essente) e non il nulla?" Siddharta invita alla realizzazione del Shunyata come soluzione, superamento di questo dolore . La disciplina della mente diventa fondamentale per calarci nell'esperienza del mistero dell'esistenza e trovare nella stessa "sostanza" della disperazione esistenziale la via dell'Illuminazione (Nirvana).
L'approdo, a parer mio ovviamente.è la consapevolezza che la Realtà è una corrente in continuo movimento e che c'è un luogo di pace dentro di noi che si realizza solo con il distacco dall'attaccamento ad essa, causa della nostra disperazione esistenziale. Di questo luogo di pace nulla si può dire con il linguaggio. E' un'esperienza.
Un saluto dal pittore...di infissi!! :D :D
Citazione di: Jean il 31 Agosto 2016, 00:04:49 AMlo stato di "assenza dall'attaccamento" [...] si ha quando quel piccolo intervallo temporale per un qualche motivo non entri in gioco
In quel lasso temporale infatti ci
assentiamo dal vivere l'esperienza
attuale... un po' come quando dobbiamo scegliere qualcosa al supermercato, ci soffermiamo a ponderare e, in quel preciso momento, la realtà intorno a noi "sfuma", non è più "a fuoco", perché siamo assorti-assenti, non siamo più nel qui-ed-ora...
Citazione di: Jean il 31 Agosto 2016, 00:04:49 AMcome mi par possa avvenire a seguito delle pratiche zen, ad esempio del tiro con l'arco
ma non solo:
Citazione di: Sariputra il 31 Agosto 2016, 11:19:18 AMDi questo luogo di pace nulla si può dire con il linguaggio. E' un'esperienza. Un saluto dal pittore...di infissi!! :D :D
Se il buon Sariputra dipinge con immanente consapevolezza, senza discriminare fra il pennello, la vernice, l'infisso, etc., senza assentarsi mentalmente per rincorrere pensieri, incombenze e desideri, lasciando che il suo respiro regolare lo accompagni nel vivere-fare quell'azione, allora anche verniciare gli infissi può essere meditazione zen, una piccola parentesi di Nirvana...P.s. Poi, probabilmente, suonerà il telefono/cellulare, Sariputra chiederà "chi è?", e un centralinista della Tim, senza cogliere la profondità esistenziale della domanda (il koan che il nostro pittore gli pone), proporrà un'offerta imperdibile per "navigare più veloce" nel Samsara e per avere sempre un'ottima "copertura" (di Maya...) ;D
Penso che la paura della morte sia dovuta a quell'illusione che nasce all'età di uno o due anni di essere un "qualcuno" che osserva l'universo e ne è distaccato. Questo qualcuno prende il nome di EGO o SE'. Questo EGO non si accorge, per la sua natura illusoria, che in realtà è una semplice emanazione di cause ed effetti che governano l'universo... pensa di non farne parte e quindi crede di dover sopravvivere a quella trasformazione naturale che avviene nel corpo che passa da uno stato di EGO ad uno stato di non EGO.
Passiamo l'intera vita cercando di trovare questo SE' non riuscendoci mai (naturalmente perchè non esiste).
Ci identifichiamo con un nome, con un lavoro, con il nostro corpo, con i nostri pensieri.... ma se andiamo a vedere, non troveremo mai questo io... questo sè.
la paura della morte deriva dal fatto che il Se (che spesso cerca di affermare la propria esistenza tramite il ME+IO ossia MIO) non vuole cessare... ma siccome non esiste il raziocinio vuole che DEVE CESSARE.
Eliminando il concetto di un Sè, scompare anche qualsiasi timore per la trasformazione che avviene nel nostro corpo passando da uno stato ad un altro.
Se ci pensi bene in ogni istante il nostro corpo sia fisico che mentale cambia. Il morire è solo un cambiamento naturale di stato.
questo video potrebbe aiutarti non poco... ciao :)
https://www.youtube.com/watch?v=x80-ZKJpBHU
Citazione di: bluemax il 26 Settembre 2016, 11:01:21 AMPenso che la paura della morte sia dovuta a quell'illusione che nasce all'età di uno o due anni di essere un "qualcuno" che osserva l'universo e ne è distaccato. Questo qualcuno prende il nome di EGO o SE'. Questo EGO non si accorge, per la sua natura illusoria, che in realtà è una semplice emanazione di cause ed effetti che governano l'universo... pensa di non farne parte e quindi crede di dover sopravvivere a quella trasformazione naturale che avviene nel corpo che passa da uno stato di EGO ad uno stato di non EGO. Passiamo l'intera vita cercando di trovare questo SE' non riuscendoci mai (naturalmente perchè non esiste). Ci identifichiamo con un nome, con un lavoro, con il nostro corpo, con i nostri pensieri.... ma se andiamo a vedere, non troveremo mai questo io... questo sè. la paura della morte deriva dal fatto che il Se (che spesso cerca di affermare la propria esistenza tramite il ME+IO ossia MIO) non vuole cessare... ma siccome non esiste il raziocinio vuole che DEVE CESSARE. Eliminando il concetto di un Sè, scompare anche qualsiasi timore per la trasformazione che avviene nel nostro corpo passando da uno stato ad un altro. Se ci pensi bene in ogni istante il nostro corpo sia fisico che mentale cambia. Il morire è solo un cambiamento naturale di stato. questo video potrebbe aiutarti non poco... ciao :) https://www.youtube.com/watch?v=x80-ZKJpBHU
Sono sostanzialmente d'accordo con te e con il video proposto, e successivo. Però bisogna stare attenti a considerare l'Io semplicemente come un'illusione. Il primo a formulare la teoria dell'anatman, non-io, come sai, è stato Gotama Siddharta, il Buddha storico. Ebbene, mai il Buddha ha negato l'esistenza del Sè empirico, convenzionale, ma bensì ha rifiutato l'idea della sua esistenza in senso sostanziale e trascendente. Infatti l'io empirico è assolutamente necessario per la sopravvivenza fisica stessa e per la formulazione di qualsiasi tipo di linguaggio parlato. E', di fatto, una "necessità" naturale della mente.
Diverso è il discorso dell'attaccamento a questo senso dell'Io e la credenza in una sua esistenza sostanziale, identificandolo con il concetto di "anima". E' piuttosto semplicistico pensare che, basta smettere di credere nell'Io e...la paura della morte scompare. Ci sono implicazioni biologiche profonde in questa paura che non sono strettamente legate alla falsa idea di essere un Io sostanziale.
Poi...chi formula l'idea che non c'è l'Io e si attacca a questa, se non l'Io stesso? Potrebbe essere molto gratificante e comodo pensare che, siccome non c'è più l'Io, posso fare qualsiasi cosa e darmi ad una condotta morale negativa, che alla fine gratifica la sete d'esistere dell'Io stesso, creduto cacciato dalla porta, e rientrato alla chetichella dalla finestra. Quanti occidentali, insofferenti all'insegnamento religioso sul "peccato", si sono tuffati nell'idea di Non-io, o in quella del Sè Universale, proposta dall'esperienza orientale, dimenticando ( o facendo finta di dimenticare) che la virtù morale è cardine di ogni tipo di ricerca spirituale? Ovviamente, per aggirare il fastidioso problema, si sono inventati filosofie più "accomodanti", più libertarie e gioiose, più "New Age", palesando che quello che cercavano, in realtà, non era la crescita e la comprensione, ma un desiderio più raffinato di godimento, di appagamento.
Pervenire alla comprensione profonda del significato dell'insegnamento sul non-Io, non è attuabile con la semplice proposizione del concetto o con la visione di un filmato. La comprensione intellettuale non ha nulla a che fare con le profonde radici che ci tengono avvinghiati a questa idea e che possono essere rimosse solo con il non attaccamento alla sete di ri-divenire, che è una corrente interiore profonda e che è strettamente connessa con quell'ipotetica "energia" ( sono molto scettico su questo concetto di "energia universale" ) che è in sostanza la sete d'esistere di tutto ciò che ci circonda.
Citazione di: Sariputra il 26 Settembre 2016, 11:54:02 AM
Sono sostanzialmente d'accordo con te e con il video proposto, e successivo. Però bisogna stare attenti a considerare l'Io semplicemente come un'illusione. Il primo a formulare la teoria dell'anatman, non-io, come sai, è stato Gotama Siddharta, il Buddha storico. Ebbene, mai il Buddha ha negato l'esistenza del Sè empirico, convenzionale, ma bensì ha rifiutato l'idea della sua esistenza in senso sostanziale e trascendente. Infatti l'io empirico è assolutamente necessario per la sopravvivenza fisica stessa e per la formulazione di qualsiasi tipo di linguaggio parlato. E', di fatto, una "necessità" naturale della mente.
Diverso è il discorso dell'attaccamento a questo senso dell'Io e la credenza in una sua esistenza sostanziale, identificandolo con il concetto di "anima". E' piuttosto semplicistico pensare che, basta smettere di credere nell'Io e...la paura della morte scompare. Ci sono implicazioni biologiche profonde in questa paura che non sono strettamente legate alla falsa idea di essere un Io sostanziale.
Poi...chi formula l'idea che non c'è l'Io e si attacca a questa, se non l'Io stesso? Potrebbe essere molto gratificante e comodo pensare che, siccome non c'è più l'Io, posso fare qualsiasi cosa e darmi ad una condotta morale negativa, che alla fine gratifica la sete d'esistere dell'Io stesso, creduto cacciato dalla porta, e rientrato alla chetichella dalla finestra. Quanti occidentali, insofferenti all'insegnamento religioso sul "peccato", si sono tuffati nell'idea di Non-io, o in quella del Sè Universale, proposta dall'esperienza orientale, dimenticando ( o facendo finta di dimenticare) che la virtù morale è cardine di ogni tipo di ricerca spirituale? Ovviamente, per aggirare il fastidioso problema, si sono inventati filosofie più "accomodanti", più libertarie e gioiose, più "New Age", palesando che quello che cercavano, in realtà, non era la crescita e la comprensione, ma un desiderio più raffinato di godimento, di appagamento.
Pervenire alla comprensione profonda del significato dell'insegnamento sul non-Io, non è attuabile con la semplice proposizione del concetto o con la visione di un filmato. La comprensione intellettuale non ha nulla a che fare con le profonde radici che ci tengono avvinghiati a questa idea e che possono essere rimosse solo con il non attaccamento alla sete di ri-divenire, che è una corrente interiore profonda e che è strettamente connessa con quell'ipotetica "energia" ( sono molto scettico su questo concetto di "energia universale" ) che è in sostanza la sete d'esistere di tutto ciò che ci circonda.
Stiamo parlando di vacuità a quanto pare... il concetto di inesistenza delle cose in modo intrinseco ma semplicemente come unione di cause ed effetti in continua evoluzione.
Effettivamente non voglio dire che il Sè non esiste... io non esisto... ma semplicemente non esisto per come la mente grossolana lo vuol far apparire (e cosi' ogni cosa nell'universo che ci appare come unica ed a se stante. A partire dalla tastiera su cui sto' scrivendo alla persona).
Concordo sul fatto che la mente, non essendo fatta di materia, ma di stati mentali successivi e mutevoli (lo scorrere del fiume) non puo' cessare con la morte del corpo fisico. Esisterà sempre un istante di mente successivo a quello della morte, cosi' come prima della nascita esisteva un istante di mente precedente.
La paura della morte, secondo me, cessa totalmente di esistere quando si comprende a pieno il concetto di vacuità, frutto dell'ignoranza del cervello (non della mente) che associa ad ogni fenomeno prodotto (ed il corpo, l'ego, il sè è uno di questi) una sua esistenza intrinseca. Quando si comprende che ogni cosa nell'universo è fluttuazione costante di cause ed effetti... quando si comprende che la mente, per forza di cose, non puo' avere una fine ne un inizio... ecco che la morte diventa una semplice trasformazione necessaria...
obbiettivamente noi siamo abbastanza abituati alla morte... ogni volta che andiamo a dormire è un morire. L'ego si assopisce, il corpo continua a funzionare per opera delle cause ed effetti e quel che rimane è semplicemente mente (ahime inconsapevole per chi non è pratico di meditazione).
E' bellissimo ad esempio in meditazione scoprire la vera natura della mente... ne tocchi la sua essenza, fai scomparire tutti i pensieri grossolani che affliggono tale natura e ti accorgi che quel che rimane è la tua mente (se cosi' la vogliamo chiamare).
La morte non significa che MARIO rivive in GIOVANNI.
Mario muore, i suoi ricordi muoiono, le sue aspettative, i suoi desideri, le sue agitazioni... cio' che rimane è l'impressione che i pensieri hanno avuto sulla mente (plasmandola) la sua indole, le sue predisposizioni le sue CAUSE che verranno sperimentate come EFFETTI nelle "reincarnazioni" notare le virgolette future.
la mente è come un fiume... ogni volta che incontra un sasso fa una esperienza, ma rimane fiume (il sasso è una rinascita).
L'ego è paragonabile ad una onda di mare... pensa di esistere al di fuori del mare stesso... si crede un qualcosa di differente, osserva il mare ma non crede di farne parte. Al momento della morte l'onda muore... ritorna mare... ed i suoi EFFETTI generano nuove onde... il tutto è bellissimo :) :)
ciao :)
@ bluemax
quoto in tutto ! :)
Forse nel finale, invece che "il tutto è bellissimo", mi sarei limitato a : "Il tutto è quel che è". Ma sono dettagli e inclinazioni personali.
Buona giornata anche a te ...e buona meditazione! :)
Citazione di: bluemax il 26 Settembre 2016, 12:11:46 PM
La paura della morte, secondo me, cessa totalmente di esistere quando si comprende a pieno il concetto di vacuità, frutto dell'ignoranza del cervello (non della mente) che associa ad ogni fenomeno prodotto (ed il corpo, l'ego, il sè è uno di questi) una sua esistenza intrinseca. Quando si comprende che ogni cosa nell'universo è fluttuazione costante di cause ed effetti... quando si comprende che la mente, per forza di cose, non puo' avere una fine ne un inizio... ecco che la morte diventa una semplice trasformazione necessaria...
Evidentemente il concetto di vacuità non è stato compreso appieno: l
a prassi dovrebbe essere coerente con la teoria altrimenti la teoria non è credibile.Ieri sono salito sulla cima di una montagna da cui si godeva una visione panoramica bellissima. Numerosi corvi volteggiavano nell'aria, mi sarebbe piaciuto imitarli.
Immagino che chi crede in concetti come quelli citati non dovrebbe avere alcuna paura, alcun timore di lanciarsi nel vuoto e provare a volare, le sensazioni dovrebbero essere fortissime e bellissime: vacuità per vacuità provare a volare forse è meglio che stare a guardare e si scende più rapidamente.
Io non l'ho fatto. La ragione è che mi piace vivere, trovo che la vita sia bella, per cui non voglio morire e rinvio al futuro il mio volo.
Citazione di: baylham il 26 Settembre 2016, 15:27:05 PM
Evidentemente il concetto di vacuità non è stato compreso appieno: la prassi dovrebbe essere coerente con la teoria altrimenti la teoria non è credibile.
Ieri sono salito sulla cima di una montagna da cui si godeva una visione panoramica bellissima. Numerosi corvi volteggiavano nell'aria, mi sarebbe piaciuto imitarli.
Immagino che chi crede in concetti come quelli citati non dovrebbe avere alcuna paura, alcun timore di lanciarsi nel vuoto e provare a volare, le sensazioni dovrebbero essere fortissime e bellissime: vacuità per vacuità provare a volare forse è meglio che stare a guardare e si scende più rapidamente.
Io non l'ho fatto. La ragione è che mi piace vivere, trovo che la vita sia bella, per cui non voglio morire e rinvio al futuro il mio volo.
da non confondere la paura irrazionale di morire con relativa ammissione della cessazione di un sè ed il piacere e desiderio di morire. Le due cose sono totalmente differenti. La vita o meglio la PREZIOSA RINASCITA UMANA diviene estremamente bella, appagante, degna di essere vissuta ogni suo secondo nel momento in cui ti rendi conto della sua preziosità appunto.
Il tutto ha poco a che fare col concetto di vacuità (che nonostante la parola indichi MANCANZA significa esattamente l'opposto ossia PIENEZZA del tutto)
ciao ;)