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LOGOS - Argomenti => Tematiche Spirituali => Discussione aperta da: Socrate78 il 18 Maggio 2021, 20:49:43 PM

Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Socrate78 il 18 Maggio 2021, 20:49:43 PM
Come mai nelle religioni e in particolare in quella cattolica, ma anche molto in quella islamica, vi è l'idea secondo cui il suicidio condanni l'anima della persona che lo commette alla dannazione eterna o comunque ad un destino di sofferenza dopo la morte? In realtà se lo scopo del suicidio è quello di smettere di soffrire, Dio che è infinità bontà non può condannare chi lo compie, proprio perché Dio vuole che l'uomo sia felice, non che soffra, altrimenti sarebbe sadico! Quindi semmai si dovrebbe persino dire che il suicidio è ammissibile e non condannato da una divinità buona, anzi, Dio potrebbe persino ritenerlo in alcuni casi un atto di coraggio. Una persona piena zeppa di problemi gravissimi, disperata, che non fa nulla per risolverle la sua situazione potrebbe infatti anche pensare spesso al suicidio, ma non avere il coraggio di attuarlo, quindi in questo caso è sostanzialmente un vile che non sa prendere in mano le redini della sua vita.
Vi sono tantissimi casi di suicidio, ad esempio il suicidio di Socrate fu un suicidio quasi eroico, egli affrontò la morte come un'estrema sottomissione alle leggi della polis, quindi egli decise così di dimostrare la sua fedeltà alla patria, mentre avrebbe potuto benissimo fuggire. Io quindi non mi immagino affatto Socrate tra le fiamme infernali per aver commesso suicidio, anzi ritengo che un'ipotetica divinità abbia addirittura approvato quell'atto. Inoltre, cosa più importante, l'atto del suicidio era comunque previsto da Dio essendo Egli onnisciente, di conseguenza se Dio non l'ha impedito significa che in qualche modo esso faceva parte di un progetto, di un piano verso quella persona.
Voi personalmente come ritenete l'atto del suicidio, come vi ponete nella sua valutazione etica? Lo ritenete sempre o quasi condannabile, come un atto vigliacco e cattivo, oppure ritenete che vi siano casi di suicidio non condannabili?
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 18 Maggio 2021, 22:23:52 PM
Ciao Socrate, intanto il tuo omonimo non si è suicidato, è stato condannato a morte.
Mi risulta il caso di un veggente, che chiedeva a un'entità spirituale che ne era di un suo amico che si era suicidato buttandosi da un precipizio. Questa entità gli spiegava che la durata della caduta era stata sufficiente per il pentimento.
Nelle esperienze NDE da tentati suicidi spesso vengono raccontate esperienze molto brutte, a differenza degli altri casi NDE, caratterizzate da profondi stati di angoscia e dalla precipitazione in luoghi bui dove si sente la presenza di tanta gente disperata, per cui io sarei dell'idea che il suicidio è un atto molto pesante per l'anima, da non confondere con il sacrificio eroico per un principio, un valore, come è appunto il sacrificio di Socrate.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Alexander il 20 Maggio 2021, 14:32:36 PM
Buongiorno a tutti


Dietro ad un suicidio, che non sia dovuto ad atto di guerra o rituale, c'è sempre una grossa sofferenza. Cristo è venuto a sanare, non a giudicare. Il tempo del dio-giudice è superato.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Ipazia il 20 Maggio 2021, 21:34:25 PM
L'occidente ha una arcaica repulsione per il suicidio. Altrettanto non può dirsi per la cultura orientale, inclusa quella islamica che negli ultimi tempi ha esaltato assai la figura dello shahid. La figura del martire viene esaltata anche nel mondo cristiano, ma è storia antica. Ci sono pure i martiri riconosciuti tali da ideologie secolari, patrie e ideologie varie, ma questo genere di suicidio non pare suscitare più grandi passioni. I giapponesi sono i più aperti verso il suicidio che viene considerato l'unica via d'uscita dignitosa in molte situazioni di fallimento esistenziale. Anche da noi il fallimento esistenziale (affari, affetti) sta diventando un motore suicidario importante, benchè spiritualmente siamo lontani dalla cultura del seppuku.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 21 Maggio 2021, 05:42:58 AM
Citazione di: Ipazia il 20 Maggio 2021, 21:34:25 PM
L'occidente ha una arcaica repulsione per il suicidio. Altrettanto non può dirsi per la cultura orientale, inclusa quella islamica che negli ultimi tempi ha esaltato assai la figura dello shahid. La figura del martire viene esaltata anche nel mondo cristiano, ma è storia antica. Ci sono pure i martiri riconosciuti tali da ideologie secolari, patrie e ideologie varie, ma questo genere di suicidio non pare suscitare più grandi passioni. I giapponesi sono i più aperti verso il suicidio che viene considerato l'unica via d'uscita dignitosa in molte situazioni di fallimento esistenziale. Anche da noi il fallimento esistenziale (affari, affetti) sta diventando un motore suicidario importante, benchè spiritualmente siamo lontani dalla cultura del seppuku.
Ciao ipazia, un martire ed un suicida sono cose differenti. Al di là di chi compie l'atto c'è la differenza profonda nella prospettiva. Il martirio è una morte per la vita, di chi crede in qualcosa che riguarda la vita degli altri. Il suicidio è una morte per la morte, di chi non crede più in nulla di positivo. Falcone e Borsellino sono martiri, non suicidi, ma capisco che tu non lo possa capire, materialista come sei.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Ipazia il 21 Maggio 2021, 10:21:56 AM
Falcone e Borsellino non si sono imbottiti di esplosivo; li hanno imbottiti. La differenza tra suicida e martire può essere enorme, ma anche diventare insussistente. In genere l'insussistenza è in rapporto alla necrofilia del sistema ideologico che stimola l'atto. Crociati e shahid appartengono a sistemi di pensiero necrofili. Ma non posso pretendere che chi fa riferimento a quei sistemi di pensiero capisca.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 21 Maggio 2021, 10:49:02 AM
Citazione di: Ipazia il 21 Maggio 2021, 10:21:56 AM
Falcone e Borsellino non si sono imbottiti di esplosivo; li hanno imbottiti. La differenza tra suicida e martire può essere enorme, ma anche diventare insussistente. In genere l'insussistenza è in rapporto alla necrofilia del sistema ideologico che stimola l'atto. Crociati e shahid appartengono a sistemi di pensiero necrofili. Ma non posso pretendere che chi fa riferimento a quei sistemi di pensiero capisca.
Falcone e Borsellino sono morti perché credevano in qualcosa, per questo sono martiri. Chi abbia determinato materialmente la loro morte è secondario, é per questa ragione che io considero anche Socrate un martire per un principio di giustizia, indipendentemente dal fatto che poi la cicuta l'abbia portata lui alla bocca.
Per favore, ipazia, non ripetere le mie parole come un pappagallo, ci fai brutta figura.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Jacopus il 21 Maggio 2021, 11:32:38 AM
A mio parere la distinzione che fa Ipazia è corretta. Il martirio di stampo religioso è un inno alla morte anche se ha un possibile significato di rinascita in un'altra vita, per cui si va verso la morte con gioia, certi di essere nuovamente in vita l'istante dopo la morte, in un contesto diverso e finalmente completo e appagante. A questo significato se ne è aggiunto uno per estensione, come quello dei martiri del lavoro a cui possono essere accomunati Falcone e Borsellino. Ma Falcone e Borsellino, pur consapevoli dei rischi che correvano, prendevano le loro contromisure, avevano la scorta, la macchina corrazzata. Non andavano verso la morte con un senso di beatitudine e di compimento. Ancora diverso il caso di Socrate, che si pone in una zona di mezzo e che a mio parere, mette in atto l'azione più eroica fra tutte. Si da la morte per accettare la legge della sua città, pur avendo una alternativa (esilio), e pur non pensando di essere accolto in paradiso.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 21 Maggio 2021, 13:13:52 PM
Citazione di: Jacopus il 21 Maggio 2021, 11:32:38 AM
A mio parere la distinzione che fa Ipazia è corretta. Il martirio di stampo religioso è un inno alla morte anche se ha un possibile significato di rinascita in un'altra vita, per cui si va verso la morte con gioia, certi di essere nuovamente in vita l'istante dopo la morte, in un contesto diverso e finalmente completo e appagante. A questo significato se ne è aggiunto uno per estensione, come quello dei martiri del lavoro a cui possono essere accomunati Falcone e Borsellino. Ma Falcone e Borsellino, pur consapevoli dei rischi che correvano, prendevano le loro contromisure, avevano la scorta, la macchina corrazzata. Non andavano verso la morte con un senso di beatitudine e di compimento. Ancora diverso il caso di Socrate, che si pone in una zona di mezzo e che a mio parere, mette in atto l'azione più eroica fra tutte. Si da la morte per accettare la legge della sua città, pur avendo una alternativa (esilio), e pur non pensando di essere accolto in paradiso.
Intanto ipazia, come te è OT, ha introdotto per suoi motivi ideologici il martirio in un topic sul suicidio.
Se poi tu mi dici che il martirio di stampo religioso(questa specifica siete voi che la fate) é un inno alla morte non posso che evidenziare in te le stesse motivazioni ideologiche.
Martire significa testimone, un testimone di qualcosa in cui crede e che testimonia ciò di fronte a tutti gli uomini, viventi e non morti. Non c'entra niente la sopravvivenza dopo la morte. Falcone e Borsellino sono certamente morti sul lavoro, ma sono anche morti perché credevano in un ideale di giustizia che hanno perseguito anche a rischio della loro vita. Un ideale di giustizia che rimane a tutti noi, esattamente come i valori della religione cristiana rimanevano ai cristiani sopravvissuti nei primi 3 secoli dell'era cristiana.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Ipazia il 21 Maggio 2021, 15:38:22 PM
Piano con l'OT. Suicidio e martirio sono cugini stretti di visioni del mondo che svalorizzano la vita al punto da rifiutarla. Tale svalorizzazione può avere motivazioni fisiche, sociali o ideologiche, andando in ordine inverso di plausibilità. Nessuno nasce suicida. E fa assai comodo a chi sostiene ideologie antivitalistiche e oltremondane ridurre la fenomenologia del suicidio integralmente a responsabilità individuali. Sono convinta che il contesto sociale sia in ogni caso determinante nell'autosoluzione finale. Talvolta pure in senso positivo, come nell'eutanasia.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 21 Maggio 2021, 17:16:18 PM
Citazione di: Ipazia il 21 Maggio 2021, 15:38:22 PM
Piano con l'OT. Suicidio e martirio sono cugini stretti di visioni del mondo che svalorizzano la vita al punto da rifiutarla. Tale svalorizzazione può avere motivazioni fisiche, sociali o ideologiche, andando in ordine inverso di plausibilità. Nessuno nasce suicida. E fa assai comodo a chi sostiene ideologie antivitalistiche e oltremondane ridurre la fenomenologia del suicidio integralmente a responsabilità individuali. Sono convinta che il contesto sociale sia in ogni caso determinante nell'autosoluzione finale. Talvolta pure in senso positivo, come nell'eutanasia.
Nel suicidio la vita è svalutata, o meglio la vita propria e svalutata.
Nel martirio c'è un valore, un principio, che viene posto al di sopra della vita propria. Ora se questo principio è un principio a favore della vita, non possiamo dire che la vita è svalutata, ma solo che l'urgenza della propria vita è stata messa in secondo piano rispetto a quella di tutti gli altri in un atto d'amore.
La scelta del suicida è spesso una scelta egoistica, la scelta del martire (che non è quella di uccidersi ma di affrontare una morte causata da altri) é una scelta altruistica.

Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: niko il 21 Maggio 2021, 17:41:59 PM
Probabilmente il Socrate storico non credeva che una vita migliore o un paradiso di qualche tipo lo attendesse dopo il suo suicidio-condanna a morte, ma già il Socrate platonico, cioè il personaggio di Socrate per come lo racconta e lo descrive Platone, lascia più volte intendere qualcosa del genere.


Celebre è il passo del canto dei cigni, nel Fedone, che è secondo me uno dei punti di massima vicinanza e anticipazione tra cristianesimo teologico tradizionale e pensiero di Platone, e quindi anche una delle principali e più famose svolte in senso metafisico o, a voler essere critici, "necrofilo", o quanto meno antimaterialistico, del pensiero occidentale in generale.


In esso il personaggio di Socrate, stravolgendo la concezione naturalistica precedente del pensiero greco, per cui si pensava che i cigni cantassero in prossimità della loro morte per il dolore e la tristezza di stare per perdere la loro (unica) vita, come un tragico saluto ad essa e un effimero tentativo di godere appieno degli ultimi istanti, afferma invece, tutto al contrario, che i cigni sanno che una vita migliore li attende dopo la morte, e, in prossimità del momento fatale, cantano per la gioia di stare per raggiungere questa vita migliore, quindi non in saluto della vecchia vita che se ne va, ma di una presunta nuova che viene.


E naturalmente anche Socrate da questa bizzarra e anti-tradizionale interpretazione di un fatto naturale, ne trae un ulteriore motivo per non temere il suo imminente martirio-morte, perché quello che vale per i cigni, ovvero la prospettiva della vita ultraterrena, vale anche per gli uomini.


E così il duro realismo e la tragicità intrinseca del primo modo di interpretare il canto e i suoi motivi, si perde nel razionale quanto indimostrabile ottimismo del secondo.






Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: viator il 21 Maggio 2021, 18:19:54 PM
Salve. Interessantissimi i post qui appena precedenti : cosa non farebbero quasi tutti pur di assecondare le proprie personali ideologie ! Tutto riescono a giustificare in base al cristianesimo piuttosto che al materialismo.





Suicidio e martirio non hanno - di per sè - alcuna intrinseca connotazione egoistica piuttosto che altruistica. E' sempre e solamente questione di scelte legate alle circostanze.Chi venga colpito da gravissime invalidità i cui effetti onerosi, dolorosi, insopportabili, ricadano anche su coloro che li circondano, suicidandosi compie senz'altro atto altruistico.Chi affronti il martirio per non voler rinunciare alla tutela di valori coscenziali personali (esempio : Tizio non vuole abiurare ad una propria convinzione pur avendo a carico una propria famiglia composta da moglie, genitori invalidi e 15 figli).......ecco, costui è solamente uno stolto egoista. Saluti.

Titolo: Re:Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 21 Maggio 2021, 18:56:52 PM
Citazione di: viator il 21 Maggio 2021, 18:19:54 PM
Salve. Interessantissimi i post qui appena precedenti : cosa non farebbero quasi tutti pur di assecondare le proprie personali ideologie ! Tutto riescono a giustificare in base al cristianesimo piuttosto che al materialismo.





Suicidio e martirio non hanno - di per sè - alcuna intrinseca connotazione egoistica piuttosto che altruistica. E' sempre e solamente questione di scelte legate alle circostanze.Chi venga colpito da gravissime invalidità i cui effetti onerosi, dolorosi, insopportabili, ricadano anche su coloro che li circondano, suicidandosi compie senz'altro atto altruistico.Chi affronti il martirio per non voler rinunciare alla tutela di valori coscenziali personali (esempio : Tizio non vuole abiurare ad una propria convinzione pur avendo a carico una propria famiglia composta da moglie, genitori invalidi e 15 figli).......ecco, costui è solamente uno stolto egoista. Saluti.

Tenuto conto che solitamente i martiri, religiosi o laici, sono ricordati fortemente nella storia, mi sai fare un solo esempio storico  di un martire per ragioni egoistiche?
Il suicidio per ragioni altruistiche, comunque, io non lo nego, e mi astengo da valutazioni morali.
A proposito, viator, quale sarebbe la mia ideologia? Io cerco solo di rendere chiaro un concetto, una parola della lingua italiana, che qualcun altro cerca di stravolgere per ragioni ideologiche.


Titolo: Re:Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 21 Maggio 2021, 19:05:11 PM
Citazione di: niko il 21 Maggio 2021, 17:41:59 PM
Probabilmente il Socrate storico non credeva che una vita migliore o un paradiso di qualche tipo lo attendesse dopo il suo suicidio-condanna a morte, ma già il Socrate platonico, cioè il personaggio di Socrate per come lo racconta e lo descrive Platone, lascia più volte intendere qualcosa del genere.


Celebre è il passo del canto dei cigni, nel Fedone, che è secondo me uno dei punti di massima vicinanza e anticipazione tra cristianesimo teologico tradizionale e pensiero di Platone, e quindi anche una delle principali e più famose svolte in senso metafisico o, a voler essere critici, "necrofilo", o quanto meno antimaterialistico, del pensiero occidentale in generale.


In esso il personaggio di Socrate, stravolgendo la concezione naturalistica precedente del pensiero greco, per cui si pensava che i cigni cantassero in prossimità della loro morte per il dolore e la tristezza di stare per perdere la loro (unica) vita, come un tragico saluto ad essa e un effimero tentativo di godere appieno degli ultimi istanti, afferma invece, tutto al contrario, che i cigni sanno che una vita migliore li attende dopo la morte, e, in prossimità del momento fatale, cantano per la gioia di stare per raggiungere questa vita migliore, quindi non in saluto della vecchia vita che se ne va, ma di una presunta nuova che viene.


E naturalmente anche Socrate da questa bizzarra e anti-tradizionale interpretazione di un fatto naturale, ne trae un ulteriore motivo per non temere il suo imminente martirio-morte, perché quello che vale per i cigni, ovvero la prospettiva della vita ultraterrena, vale anche per gli uomini.


E così il duro realismo e la tragicità intrinseca del primo modo di interpretare il canto e i suoi motivi, si perde nel razionale quanto indimostrabile ottimismo del secondo.
Ciao niko, ma poi cos'è che ti dice che la certezza di una vita oltre la vita ti fa desiderare la morte. Tutto dipende dalla bellezza della vita che ti aspetti di trovare rispetto a quella che vivi.
Titolo: Re:Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: niko il 21 Maggio 2021, 19:42:28 PM
Citazione di: anthonyi il 21 Maggio 2021, 19:05:11 PM
Citazione di: niko il 21 Maggio 2021, 17:41:59 PM
Probabilmente il Socrate storico non credeva che una vita migliore o un paradiso di qualche tipo lo attendesse dopo il suo suicidio-condanna a morte, ma già il Socrate platonico, cioè il personaggio di Socrate per come lo racconta e lo descrive Platone, lascia più volte intendere qualcosa del genere.


Celebre è il passo del canto dei cigni, nel Fedone, che è secondo me uno dei punti di massima vicinanza e anticipazione tra cristianesimo teologico tradizionale e pensiero di Platone, e quindi anche una delle principali e più famose svolte in senso metafisico o, a voler essere critici, "necrofilo", o quanto meno antimaterialistico, del pensiero occidentale in generale.


In esso il personaggio di Socrate, stravolgendo la concezione naturalistica precedente del pensiero greco, per cui si pensava che i cigni cantassero in prossimità della loro morte per il dolore e la tristezza di stare per perdere la loro (unica) vita, come un tragico saluto ad essa e un effimero tentativo di godere appieno degli ultimi istanti, afferma invece, tutto al contrario, che i cigni sanno che una vita migliore li attende dopo la morte, e, in prossimità del momento fatale, cantano per la gioia di stare per raggiungere questa vita migliore, quindi non in saluto della vecchia vita che se ne va, ma di una presunta nuova che viene.


E naturalmente anche Socrate da questa bizzarra e anti-tradizionale interpretazione di un fatto naturale, ne trae un ulteriore motivo per non temere il suo imminente martirio-morte, perché quello che vale per i cigni, ovvero la prospettiva della vita ultraterrena, vale anche per gli uomini.


E così il duro realismo e la tragicità intrinseca del primo modo di interpretare il canto e i suoi motivi, si perde nel razionale quanto indimostrabile ottimismo del secondo.
Ciao niko, ma poi cos'è che ti dice che la certezza di una vita oltre la vita ti fa desiderare la morte. Tutto dipende dalla bellezza della vita che ti aspetti di trovare rispetto a quella che vivi.


Certo siamo nell'ambito di concezioni ottimistiche che credono che, quantomeno per il giusto, ci sarà una vita migliore, appunto "passare a miglior vita" , che non può essere anticipato col suicidio perché  il giusto per definizione  affronta le prove e le difficoltà della vita e non si sottrae, almeno non senza un ottimo motivo per sottrarsi..
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Eutidemo il 03 Giugno 2021, 14:29:29 PM
Le più ragionevoli considerazioni sul suicidio, secondo me, le ha fatte Seneca, quando ha scritto (a Lucilio), quanto segue:
"È bene disdegnare la vecchiaia avanzata e non aspettare la morte, ma darsela con le proprie mani?
Ecco il mio parere.
Se uno attende inerte il proprio destino, non è dissimile da chi lo teme; come è un ubriacone chi vuota la bottiglia e beve anche la feccia.
Dovremo, però chiederci se l'ultima parte della vita è feccia o piuttosto bevanda limpidissima e purissima, sempre che la mente sia sana e i sensi integri aiutino l'anima, e il corpo non sia in declino e morto prima del tempo; importa molto, cioè, se prolunghiamo la vita o la morte.
Ed infatti, se il corpo non assolve più le sue funzioni, non è meglio liberare l'anima dalle sue sofferenze?
Anzi, forse bisogna agire un po' prima del dovuto perché, arrivato il momento, non ci si trovi nell'impossibilità di poterlo fare (come accadde al mio amico Paolo, paralizzato dalla SLA); ed infatti, secondo me, il pericolo di vivere male è molto peggiore del pericolo morire presto.
Quindi, se uno non scongiura il rischio di una grande disgrazia solo per guadagnare un po' di tempo, a mio parere è un pazzo!
Pochi uomini sono morti vecchissimi senza subire danno; molti hanno condotto un'esistenza passiva e inutile: aver perduto una parte della vita ti sembra tanto più crudele che perdere il diritto di mettervi fine?
Non ascoltarmi contro voglia, come se il mio parere ormai ti riguardasse direttamente e pondera bene quello che ti dico: io non abbandonerò la vecchiaia, se mi conserverà integro, ma integro nella parte migliore di me, se, però comincerà a turbare e a sconvolgermi la mente, se non mi lascerà la vita, ma solo il soffio vitale, mi precipiterò fuori dall'edificio marcio e in rovina.
Non fuggirò la malattia con la morte, purché non sia una malattia inguaribile e non danneggi l'anima.
Non mi darò la morte per paura del dolore: morire così significa darsi per vinto. Tuttavia, se saprò di dover soffrire per tutta la vita, me ne andrò non per il dolore in se stesso, ma perché mi sarebbe di ostacolo a tutte quelle attività che sono lo scopo dell'esistenza.
E' debole e vile chi si dà la morte per paura del dolore, ma è insensato chi vive soltanto per soffrire.
Ma la sto tirando troppo alla lunga; ho ancora argomenti che potrebbero occupare un giorno intero: e come potrà mettere fine alla sua vita un uomo incapace di finire una lettera?
Perciò addio: leggerai più volentieri questo commiato, che tutti i miei ragionamenti sulla morte.
Stammi bene."
***
Considero come se tale lettera fosse stata scritta a me, invece che a Lucilio; e mi riservo, per quanto mi sarà possibile, di seguirne puntualmente i suggerimenti.
Che condivido in pieno!
;)
***
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Ipazia il 03 Giugno 2021, 19:49:29 PM
Questa lettera appartiene al meglio della tradizione classica, da Epicuro alla Stoa. E risuona di una attualità cristallina a duemila anni di distanza.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: daniele22 il 04 Giugno 2021, 08:53:18 AM
E' già da molto tempo che mi chiedo se avrei mai il coraggio di suicidarmi. Tale momento per ora non è ancor giunto. In ogni caso sono propenso a pensare che l'ipotesi del mio suicidio dovrebbe configurarsi nello specifico ambito delle decisioni da prendere in funzione della mia salute fisica. Mi riferisco nella fattispecie alle considerazioni di Junger nel suo "der waldgang" (trattato del ribelle) quando dice che è senz'altro giusto curarsi, ma che a un certo punto una persona dovrebbe pure mettere da parte la mondanità e dedicarsi ad altre attenzioni
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Kobayashi il 04 Giugno 2021, 10:54:22 AM

In questo Topic più che di suicidio finora si è parlato di eutanasia e martirio...
Per questo tema, come non mai, vale la regola che si può conoscere solo ciò che si ama.
Dunque è richiesta una certa affinità per le tenebre.
Come preparazione ad essa il consiglio è dimenticare gli antichi e lasciarsi sprofondare nei labirinti di Van Gogh, A. Artaud, Sylvia Plath, Sarah Kane, Edgar Allan Poe, Lovencraft, Strindberg...
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: daniele22 il 04 Giugno 2021, 15:42:48 PM
Citazione di: Kobayashi il 04 Giugno 2021, 10:54:22 AM

In questo Topic più che di suicidio finora si è parlato di eutanasia e martirio...
Per questo tema, come non mai, vale la regola che si può conoscere solo ciò che si ama.
Dunque è richiesta una certa affinità per le tenebre.
Come preparazione ad essa il consiglio è dimenticare gli antichi e lasciarsi sprofondare nei labirinti di Van Gogh, A. Artaud, Sylvia Plath, Sarah Kane, Edgar Allan Poe, Lovencraft, Strindberg...


Non sono proprio d'accordo con te. Chiaro che io ho parlato del mio suicidio potenziale anche conformemente alle mie paure. Mica posso sapere per quale motivo si suicidano gli altri, anche se a volte azzardo delle ipotesi. Il nome che usi è quello di un pilota di formula 1 e anche il nome di un poeta. E' cmq un nome orientale. Per quel poco che so dell'oriente estremo non mi sembra possibile che essi conoscano solo ciò che amano. Resto infatti del parere che si conosce solo ciò che si fa
Titolo: Re:Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Kobayashi il 05 Giugno 2021, 17:10:16 PM
Daniele22, "Kobayashi" è un cognome abbastanza comune in Giappone. L'ho adottato molto prima che iniziassi a frequentare questo forum. Non vuole essere in alcun modo il segno di una mia "specializzazione" sull'Oriente.


C'è un brano nell'ultima opera di Sarah Kane, scritta poco prima di uccidersi, in cui racconta come una mattina, bevendo caffè nero amaro e fumando una sigaretta, riconosce all'improvviso, in una nuvola di vecchio tabacco quell'odore di medicinale dell'ospedale psichiatrico in cui era stata ricoverata, e così, dice, una ferita si riapre e da essa sgorga un dolore oscuro, ripugnante, un dolore pieno di vergogna.

È questo tipo di fragilità che mi sembra avere attinenza con il suicidio.
Titolo: Re:Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Phil il 05 Giugno 2021, 17:51:04 PM
Credo che, per quanto sia inopportuno generalizzare su qualcosa di radicalmente individuale (forse non c'è gesto più estremamente personale del suicidio, darsi la morte, considerando che il darsi la vita non è possibile), la scena raccontata chiami in causa quelli che sono in generale i principali moventi del suicidio: quello psichiatrico (con differenti declinazioni), quello del dolore (anche qui le possibilità sono molteplici) e quello della non accettazione (il "sentirsi pieni di vergogna" o semplicemente il non accettare più la vita).
Sulla questione della fragilità, sempre restando sul generale, lo scenario è forse più ambiguo: può il togliersi consapevolmente la vita essere un gesto dettato direttamente dalla fragilità? Quanta forza d'animo, imprescindibile per il suicidio, scaturisce dalla fragilità che rende insopportabile la vita? Se l'esser fragili porta a soccombere, a l'esser schiacciati (che non è lo schiacciarsi volontario), quanta risolutezza e quanta (ultima prova di) forza sono richieste per sottrarsi a ciò che schiaccia, rendendosi "inschiacciabili" in quanto definitivamente fuori dalla dinamiche oppositive e dai rapporti di forza? La fragilità stessa della vita individuale, non richiede un'estrema forza per essere violata dal suo stesso possessore, andando contro ogni istinto, ogni norma morale e ogni scelta di autoconservazione compiuta fino a quel momento?
Titolo: Re:Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Eutidemo il 06 Giugno 2021, 05:58:46 AM
Citazione di: Kobayashi il 05 Giugno 2021, 17:10:16 PM
Daniele22, "Kobayashi" è un cognome abbastanza comune in Giappone. L'ho adottato molto prima che iniziassi a frequentare questo forum. Non vuole essere in alcun modo il segno di una mia "specializzazione" sull'Oriente.


C'è un brano nell'ultima opera di Sarah Kane, scritta poco prima di uccidersi, in cui racconta come una mattina, bevendo caffè nero amaro e fumando una sigaretta, riconosce all'improvviso, in una nuvola di vecchio tabacco quell'odore di medicinale dell'ospedale psichiatrico in cui era stata ricoverata, e così, dice, una ferita si riapre e da essa sgorga un dolore oscuro, ripugnante, un dolore pieno di vergogna.

È questo tipo di fragilità che mi sembra avere attinenza con il suicidio.
Il tuo cognome "Kobayashi" mi ricorda molto il cognome "Kuribayashi" (栗林忠道), che era quello del valoroso comandante giapponese Tadamichi Kuribayashi; il quale morì suicida, compiendo "seppuku", il 26 marzo 1945, quando il suo posto di comando,  sull'isola di Iwo Jima, era ormai prossimo a cadere nelle mani dei marines.
Titolo: Re:Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: daniele22 il 06 Giugno 2021, 14:07:23 PM
Citazione di: Kobayashi il 05 Giugno 2021, 17:10:16 PM
Daniele22, "Kobayashi" è un cognome abbastanza comune in Giappone. L'ho adottato molto prima che iniziassi a frequentare questo forum. Non vuole essere in alcun modo il segno di una mia "specializzazione" sull'Oriente.


C'è un brano nell'ultima opera di Sarah Kane, scritta poco prima di uccidersi, in cui racconta come una mattina, bevendo caffè nero amaro e fumando una sigaretta, riconosce all'improvviso, in una nuvola di vecchio tabacco quell'odore di medicinale dell'ospedale psichiatrico in cui era stata ricoverata, e così, dice, una ferita si riapre e da essa sgorga un dolore oscuro, ripugnante, un dolore pieno di vergogna.

È questo tipo di fragilità che mi sembra avere attinenza con il suicidio.


Ciao Kobayaschi, mi sono pronunciato sul mio ipotetico suicidio solo perché ritengo ozioso pronunciarmi oltre. Però ora mi pronuncio. Nel momento in cui mi rendo conto che una persona potrebbe anche suicidarsi per ammazzare spiritualmente un'altra persona, ritengo di non dover o voler commentare i suicidi delle persone
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Donalduck il 07 Giugno 2021, 11:09:24 AM
Citazione di: Socrate78 il 18 Maggio 2021, 20:49:43 PM
Voi personalmente come ritenete l'atto del suicidio, come vi ponete nella sua valutazione etica? Lo ritenete sempre o quasi condannabile, come un atto vigliacco e cattivo, oppure ritenete che vi siano casi di suicidio non condannabili?
Trovo abbastanza stupefacente che sia dato per scontato, in questa domanda, che il suicidio sia comunque in molti casi da condannare. Sembra che la nostra eredità cattolica, che personalmente considero deleteria, continui ad esercitare pesantemente la sua influenza.

Se anziché delegare a ideologie i nostri pensieri ci limitiamo a riflettere, senza bisogno di spremerci troppo il cervello, credo che il semplice buonsenso ci possa suggerire che il suicidio sia da considerare un atto di vigliaccheria e irresponsabilità solo nei casi in cui la propria morte causi danni o sofferenze gravi a persone nei confronti delle quali abbiamo assunto legami e impegni, ma naturalmente si può valutare solo caso per caso, senza mai cadere nella tentazione di creare regole generali. In tutti gli altri casi mi sembra evidente (ma a quanto pare per molti non lo è) che nessuno ha da metter becco nel diritto di una persona di disporre della propria vita come meglio crede.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 07 Giugno 2021, 12:06:12 PM
Citazione di: Donalduck il 07 Giugno 2021, 11:09:24 AM
In tutti gli altri casi mi sembra evidente (ma a quanto pare per molti non lo è) che nessuno ha da metter becco nel diritto di una persona di disporre della propria vita come meglio crede.
Anche questa è una posizione ideologica, Donald, in una società la vita di ciascuno non è indifferente per gli altri componenti della società e cercare di evitare che una persona faccia del male a se stessa fa parte dei meccanismi che caratterizzano l'azione pubblica. La morte è un fatto irreversibile per cui, quanto meno, una persona che voglia autoprodursela, va invitato a rifletterci molto bene.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Donalduck il 07 Giugno 2021, 13:10:22 PM
Citazione di: anthonyi il 07 Giugno 2021, 12:06:12 PM
Citazione di: Donalduck il 07 Giugno 2021, 11:09:24 AM
In tutti gli altri casi mi sembra evidente (ma a quanto pare per molti non lo è) che nessuno ha da metter becco nel diritto di una persona di disporre della propria vita come meglio crede.
Anche questa è una posizione ideologica, Donald, in una società la vita di ciascuno non è indifferente per gli altri componenti della società e cercare di evitare che una persona faccia del male a se stessa fa parte dei meccanismi che caratterizzano l'azione pubblica. La morte è un fatto irreversibile per cui, quanto meno, una persona che voglia autoprodursela, va invitato a rifletterci molto bene.
Una posizione è ideologica quando è determinata o fortemente condizionata dall'adesione a un'esplicita e condivisa ideologia, ossia a un insieme di principi, idee e regole codificata e più o meno universalmente nota. Se invece una posizione deriva principalmente dal proprio modo di vedere e  sentire e da una propria autonoma elaborazione non è ideologica. Altrimenti qualunque posizione sarebbe ideologica, per il solo fatto di derivare da qualche idea.
In ogni caso, a scanso di qualunque equivoco, è questo il modo in cui uso il termine ideologico: convinzioni che non sono frutto di elaborazione mentale propria e di una propria autentica sensibilità, ma sono prese e subite da ideologie che circolano nel proprio ambiente e che magari vengono insistentemente proposte o nei casi peggiori inculcate a forza.

Sulla tua ultima osservazione: una cosa è invitare a riflettere, ben altro è condannare o biasimare.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 07 Giugno 2021, 13:47:49 PM
Citazione di: Donalduck il 07 Giugno 2021, 13:10:22 PM
Citazione di: anthonyi il 07 Giugno 2021, 12:06:12 PM
Citazione di: Donalduck il 07 Giugno 2021, 11:09:24 AM
In tutti gli altri casi mi sembra evidente (ma a quanto pare per molti non lo è) che nessuno ha da metter becco nel diritto di una persona di disporre della propria vita come meglio crede.
Anche questa è una posizione ideologica, Donald, in una società la vita di ciascuno non è indifferente per gli altri componenti della società e cercare di evitare che una persona faccia del male a se stessa fa parte dei meccanismi che caratterizzano l'azione pubblica. La morte è un fatto irreversibile per cui, quanto meno, una persona che voglia autoprodursela, va invitato a rifletterci molto bene.
Una posizione è ideologica quando è determinata o fortemente condizionata dall'adesione a un'esplicita e condivisa ideologia, ossia a un insieme di principi, idee e regole codificata e più o meno universalmente nota. Se invece una posizione deriva principalmente dal proprio modo di vedere e  sentire e da una propria autonoma elaborazione non è ideologica. Altrimenti qualunque posizione sarebbe ideologica, per il solo fatto di derivare da qualche idea.
In ogni caso, a scanso di qualunque equivoco, è questo il modo in cui uso il termine ideologico: convinzioni che non sono frutto di elaborazione mentale propria e di una propria autentica sensibilità, ma sono prese e subite da ideologie che circolano nel proprio ambiente e che magari vengono insistentemente proposte o nei casi peggiori inculcate a forza.

Sulla tua ultima osservazione: una cosa è invitare a riflettere, ben altro è condannare o biasimare.
Infatti, Donald, io non ho contestato la tua argomentazione critica.
La parte che ho ripreso la considero ideologica perché fondata su una visione individualistica della società, una visione che oltre ad essere estrema è anche errata perché gli uomini sono esseri sociali.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Donalduck il 07 Giugno 2021, 15:37:37 PM
Citazione di: anthonyi il 07 Giugno 2021, 13:47:49 PM
Infatti, Donald, io non ho contestato la tua argomentazione critica.
La parte che ho ripreso la considero ideologica perché fondata su una visione individualistica della società, una visione che oltre ad essere estrema è anche errata perché gli uomini sono esseri sociali.
Estrema, non vedo proprio perché, e tu non accenni neppure a spiegarlo.
Fondata su una visione individualistica della società, neppure. Fondata su semplice, elementare buonsenso, che sa distinguere i confini tra ciò che è dominio dell'individuo e ciò che è competenza della società. Società che, nella mia concezione, prevedrebbe anche forti limitazioni alla proprietà privata e ad ogni accentramento e accumulo di potere individuale o oligarchico. Niente a che fare con quello che generalmente viene chiamato individualismo.

Casomai sarebbe estrema, caratteristica dei regimi dittatoriali e liberticidi, una concezioni in cui la società si arroga il diritto di condizionare e prevaricare anche le decisioni di un individuo sulla sua sfera più personale e intima, e non solo quelle sul rapporto con gli altri, insomma in cui l'ndividuo è ridotto a semplice componente della società, la cui volontà non conta nulla ma deve essere sempre subordinata a quella della collettività, ossia in concreto a quella di chi detiene il potere.
Le religioni, che nella loro essenza altro non sono che ideologie di appoggio a regimi totalitari e schiavisti, portano questa espropriazione del dominio individuale fino alle estreme conseguenze: la tua vita non ti appartiene affatto, ma appartiene a Dio (in concreto a chi detiene il potere e si autoproclama portavoce di Dio) e tu non hai alcun diritto di disporne; e se trasgredisci, sarai sottoposto alle più terribili punizioni.
Solo questo tipo di ideologie, a mio parere abominevoli, possono concepire una condanna del suicidio, tanto più se a priori, senza considerare attentamente ogni singola specifica situazione.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Jacopus il 07 Giugno 2021, 16:12:26 PM
Condannare moralmente o religiosamente un suicida o ritenere un disperato che non si suicida un vile, sono due facce della stessa medaglia, quella che potremmo definire la "medaglia del non riconoscimento". I motivi per cui un essere umano decide di suicidarsi sono molteplici e condannarlo per il suo atto è come versare sale su una ferita, come un conferma della giustezza del suicidio, di fronte ad una così orribile incapacità di comprendere.
Le religioni condannano questo atto di solito per motivi legati al loro "ordine" e al loro "potere", poichè darsi la morte avrebbe un significato di hybris verso Dio, unico artefice della vita e della morte. Morire per propria mano inoltre è una decisione che spiazza chi crede in un disegno divino che lega tutte le vite. Vi è una singolare riunione nella divina Commedia che pone i suicidi (scialaquatori della propria vita) insieme a coloro che hanno sperperato il loro patrimonio.
Non trovo niente di individualistico nel rispettare il desiderio di morire di un mio simile. E' molto più individualistico e bigotto il pensiero di chi condanna chi è a favore del suicidio assistito o dell'interruzione volontaria di gravidanza ma allegramente si dimentica  della precedente sofferenza del soggetto che decide di morire o della successiva sofferenza del soggetto che viene fatto nascere contro la volontà della madre.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 07 Giugno 2021, 17:10:24 PM
Citazione di: Donalduck il 07 Giugno 2021, 15:37:37 PM
Citazione di: anthonyi il 07 Giugno 2021, 13:47:49 PM
Infatti, Donald, io non ho contestato la tua argomentazione critica.
La parte che ho ripreso la considero ideologica perché fondata su una visione individualistica della società, una visione che oltre ad essere estrema è anche errata perché gli uomini sono esseri sociali.
Estrema, non vedo proprio perché, e tu non accenni neppure a spiegarlo.
Fondata su una visione individualistica della società, neppure. Fondata su semplice, elementare buonsenso, che sa distinguere i confini tra ciò che è dominio dell'individuo e ciò che è competenza della società. Società che, nella mia concezione, prevedrebbe anche forti limitazioni alla proprietà privata e ad ogni accentramento e accumulo di potere individuale o oligarchico. Niente a che fare con quello che generalmente viene chiamato individualismo.

Casomai sarebbe estrema, caratteristica dei regimi dittatoriali e liberticidi, una concezioni in cui la società si arroga il diritto di condizionare e prevaricare anche le decisioni di un individuo sulla sua sfera più personale e intima, e non solo quelle sul rapporto con gli altri, insomma in cui l'ndividuo è ridotto a semplice componente della società, la cui volontà non conta nulla ma deve essere sempre subordinata a quella della collettività, ossia in concreto a quella di chi detiene il potere.
Le religioni, che nella loro essenza altro non sono che ideologie di appoggio a regimi totalitari e schiavisti, portano questa espropriazione del dominio individuale fino alle estreme conseguenze: la tua vita non ti appartiene affatto, ma appartiene a Dio (in concreto a chi detiene il potere e si autoproclama portavoce di Dio) e tu non hai alcun diritto di disporne; e se trasgredisci, sarai sottoposto alle più terribili punizioni.
Solo questo tipo di ideologie, a mio parere abominevoli, possono concepire una condanna del suicidio, tanto più se a priori, senza considerare attentamente ogni singola specifica situazione.
L'estremalita é riferita all'individualismo, che è sostanzialmente l'assunzione della totale assenza di relazione tra gli individui e le loro scelte, fondamentalmente e l'idea che la società non esiste.
Se gli individui sono in relazione questo vuol dire che a priori non esiste uno spazio di azione libero per l'individuo, ma questo è il frutto di una convenzione definita tra gli individui.
Normalmente gli individui non hanno il diritto di andare in giro nudi, ora io non so se tu intendi il fatto di coprirsi o meno come un dominio dell'individuo, certamente non lo è per la società nella quale viviamo. L'esistenza di sanzioni, anche se meramente amministrative, nei confronti di chi si droga, ci dà un altro esempio di intromissione nello "spazio libero di azione dell'individuo". Potrei fare altri esempi, ma la sostanza è che quello "spazio libero di azione" che tu consideri dato e assoluto, in realtà é una risoluzione sociale, sono cioè tutti gli individui che trovano un accordo convenzionale sullo stesso.
E ho parlato di scelte certamente meno importanti della scelta sulla propria vita, sulla quale a maggior ragione la sensibilità sociale ha ragione di intervenire, tenuto anche conto del fatto che tipicamente si tratta di una scelta fatta in momenti di angoscia emotiva nei quali non si riesce neanche ad essere lucidi.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 07 Giugno 2021, 17:37:02 PM
Citazione di: Jacopus il 07 Giugno 2021, 16:12:26 PM
Condannare moralmente o religiosamente un suicida o ritenere un disperato che non si suicida un vile, sono due facce della stessa medaglia, quella che potremmo definire la "medaglia del non riconoscimento". I motivi per cui un essere umano decide di suicidarsi sono molteplici e condannarlo per il suo atto è come versare sale su una ferita, come un conferma della giustezza del suicidio, di fronte ad una così orribile incapacità di comprendere.
Le religioni condannano questo atto di solito per motivi legati al loro "ordine" e al loro "potere", poichè darsi la morte avrebbe un significato di hybris verso Dio, unico artefice della vita e della morte. Morire per propria mano inoltre è una decisione che spiazza chi crede in un disegno divino che lega tutte le vite. Vi è una singolare riunione nella divina Commedia che pone i suicidi (scialaquatori della propria vita) insieme a coloro che hanno sperperato il loro patrimonio.
Non trovo niente di individualistico nel rispettare il desiderio di morire di un mio simile. E' molto più individualistico e bigotto il pensiero di chi condanna chi è a favore del suicidio assistito o dell'interruzione volontaria di gravidanza ma allegramente si dimentica  della precedente sofferenza del soggetto che decide di morire o della successiva sofferenza del soggetto che viene fatto nascere contro la volontà della madre.
La condanna morale di atti che danneggiano l'individuo, come il suicidio o l'abuso di droghe, serve a proteggere l'individuo dal male che può farsi da solo.
Voi ragionate come se la volontà dell'individuo fosse un assoluto, e anche per questo siete individualisti. Nella realtà ciascun individuo é condizionato dall'ambiente in cui vive, e da quello che dicono attorno a lui, non dimentichiamo d'altronde l'instabilità delle scelte individuali, oggi una persona sceglie la morte, ma domani può cambiare idea, naturalmente può farlo solo se ha scelta la vita, e questo vale sia per il fenomeno suicidio, sia per l'aborto.
La scelta della morte è in effetti comoda, non si soffre più, (almeno nel caso in cui non esista una realtà ultraterrena) però è un atto irreversibile del quale molte potenziali madri si pentono vivendo a volte veri e propri traumi psichici
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Jacopus il 07 Giugno 2021, 18:25:17 PM
Anthonyi. Davvero pensi che la condanna morale possa servire a proteggere un individuo che vuol farsi del male da solo? La condanna morale personalmente a me farebbe venir voglia di drogarmi ancora di più per dimenticare con quali persone assurde devo condividere il mondo. Da parte mia, ho una certa idiosincrasia verso ogni "assoluto" e quindi non credo di aver mai dichiarato l'individualismo come un assoluto. Anzi l'individualismo non lo ritengo neppure un valore di per sè, perchè va sempre bilanciato con i valori collettivi e pubblici. Rispetto ad aborto e morte assistita occorre adottare dei protocolli seri che, anche in questo caso, bilancino esigenze diverse, perchè quello che tu dici è verissimo, tanto che soggetti rimasti in vita ciechi, dopo aver tentato il suicidio hanno preferito restare in vita da ciechi, mentre prima del tentativo preferivano morire da vedenti. L'animo umano è variegato e spesso imprevedibile ma ciò non toglie che la società si deve far carico di problemi che in passato non esistevano, perchè no esistevano tecnologie che potevano farci sopravvivere (ad esempio) ma a prezzo di grandi sofferenze. La scelta dell'aborto è una scelta traumatica, anche questo è vero, ma qui non si tratta di incentivare l'aborto, ma di considerarlo un diritto organizzato e legalizzato e nello stesso tempo offrire tutte le opportunità, comprese quelle economiche, per evitare che si abortisca. Il tutto nero/tutto bianco è un tipo di ragionamento che tendo ad evitare.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 07 Giugno 2021, 21:09:52 PM
Citazione di: Jacopus il 07 Giugno 2021, 18:25:17 PM
Anthonyi. Davvero pensi che la condanna morale possa servire a proteggere un individuo che vuol farsi del male da solo? La condanna morale personalmente a me farebbe venir voglia di drogarmi ancora di più per dimenticare con quali persone assurde devo condividere il mondo. Da parte mia, ho una certa idiosincrasia verso ogni "assoluto" e quindi non credo di aver mai dichiarato l'individualismo come un assoluto. Anzi l'individualismo non lo ritengo neppure un valore di per sè, perchè va sempre bilanciato con i valori collettivi e pubblici. Rispetto ad aborto e morte assistita occorre adottare dei protocolli seri che, anche in questo caso, bilancino esigenze diverse, perchè quello che tu dici è verissimo, tanto che soggetti rimasti in vita ciechi, dopo aver tentato il suicidio hanno preferito restare in vita da ciechi, mentre prima del tentativo preferivano morire da vedenti. L'animo umano è variegato e spesso imprevedibile ma ciò non toglie che la società si deve far carico di problemi che in passato non esistevano, perchè no esistevano tecnologie che potevano farci sopravvivere (ad esempio) ma a prezzo di grandi sofferenze. La scelta dell'aborto è una scelta traumatica, anche questo è vero, ma qui non si tratta di incentivare l'aborto, ma di considerarlo un diritto organizzato e legalizzato e nello stesso tempo offrire tutte le opportunità, comprese quelle economiche, per evitare che si abortisca. Il tutto nero/tutto bianco è un tipo di ragionamento che tendo ad evitare.
E' vero che c'è il gusto della trasgressione, ritengo comunque che la sanzione morale abbia comunque un effetto sulla gran parte degli individui, se così non fosse non vedo per quale ragione, anche in questo 3d, si contesta tanto la condanna morale che sarebbe illegittima, tale contestazione non avrebbe senso se la condanna stessa non avesse un peso, un peso che, si spera, porti l'individuo sulla strada reputata come socialmente più giusta.
Mi fa piacere lo spirito concreto con il quale hai sviluppato la problematica, rispetto alla quale io sono sensibile, non sono contrario all'eutanasia, ma non si può partire dall'idea che su questioni di questo genere  uno può fare quello che gli pare perché sono fatti suoi.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Ipazia il 07 Giugno 2021, 22:23:26 PM
La vita è  il massimo bene (in tutti i sensi) incontrovertibile di ogni vivente. È l'unica sacrosanta proprietà, inalienabile, e tocca a ciascun legittimo proprietario disporne liberamente al di là di ogni tarantolato, velenoso, moralismo. Giù  le zampe dalla nostra vita e dalla nostra morte, in un ambito in cui esiste solo l'individuo per legge di natura.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Donalduck il 07 Giugno 2021, 23:00:38 PM
Citazione di: anthonyi il 07 Giugno 2021, 17:10:24 PM
L'estremalita é riferita all'individualismo, che è sostanzialmente l'assunzione della totale assenza di relazione tra gli individui e le loro scelte, fondamentalmente e l'idea che la società non esiste.
Se gli individui sono in relazione questo vuol dire che a priori non esiste uno spazio di azione libero per l'individuo, ma questo è il frutto di una convenzione definita tra gli individui.
Normalmente gli individui non hanno il diritto di andare in giro nudi, ora io non so se tu intendi il fatto di coprirsi o meno come un dominio dell'individuo, certamente non lo è per la società nella quale viviamo. L'esistenza di sanzioni, anche se meramente amministrative, nei confronti di chi si droga, ci dà un altro esempio di intromissione nello "spazio libero di azione dell'individuo". Potrei fare altri esempi, ma la sostanza è che quello "spazio libero di azione" che tu consideri dato e assoluto, in realtà é una risoluzione sociale, sono cioè tutti gli individui che trovano un accordo convenzionale sullo stesso.
E ho parlato di scelte certamente meno importanti della scelta sulla propria vita, sulla quale a maggior ragione la sensibilità sociale ha ragione di intervenire, tenuto anche conto del fatto che tipicamente si tratta di una scelta fatta in momenti di angoscia emotiva nei quali non si riesce neanche ad essere lucidi.
E' facile verificare che in quello che ho scritto non c'è assolutamente nulla che autorizzi ad attribuirmi "l'assunzione della totale assenza di relazione tra gli individui e le loro scelte, fondamentalmente e l'idea che la società non esiste", che sarebbe sbagliato e di gran lunga esagerato anche per qualunque forma di individualismo esistente, ma soprattutto lo è come presunta conseguenza di quanto ho affermato. E' chiaro che se si traggono conclusioni fantasiose da alcune frasi e poi si controbattono queste conclusioni fantasiose e non le frasi dette o scritte, la discussione non va molto avanti.

Inoltre tengo a precisare ancora una volta che non aderisco a nessuna ideologia, ma ho le mie idee. Ora, siccome è ben difficile che qualcuno concepisca delle idee che nessun altro ha mai concepito, o che non assimili idee dalle più svariate fonti, è chiaro che le idee di chiunque avranno necessariamente qualcosa in comune con quelle di qualcun altro e anche con quelle che fanno parte di qualche ideologia. Ma, mentre nel caso di una persona ideologizzata, tale individuo assimilerà tutte le idee di quella ideologia (o comunque la gran maggioranza) insieme alle loro relazioni, nel caso di un pensiero autonomo ci potranno essere punti di contatto con diverse ideologie contemporaneamente e la combinazione di queste idee potrà portare a esiti totalmente diversi da quelli di ciascuna di quelle ideologie. Ed è quindi fuorviante e dispersivo tirare in ballo qualche ideologia ogni volta che ci sembra di sentirne l'eco nelle affermazioni di qualcuno.
(E' vero che anch'io l'ho fatto a proposito della domanda di Socrate78, ma non mi riferivo alle sue idee, ma al fatto che il dare per scontato che il suicidio sia generalmente considerato da condannare - che chi lo afferma sia d'accordo o meno con tale condanna - significa, secondo me, sentirsi all'interno di un ambiente fortemente condizionato da ideologie, tra cui predomina quella cattolica - non a caso ci ritroviamo ancora i crocifissi nelle scuole, negli ospedali e perfino nei tribunali).

Quindi ti sarei grato se togliessi le ideologie e gli "ismi" da questa discussione, e ti limitassi a confrontare le idee, dato che non solo non aderisco a ideologie ma le discussioni sulle ideologie in generale non rientrano proprio nei miei interessi, se non eventualmente per denunciarne l'effetto nefasto.

Fatta questa premessa, veniamo al nocciolo della questione, che è il rapporto tra le istanze sociali e quelle individuali. Essendoci un legame innegabile tra le due entità, che si condizionano e si influenzano a vicenda, si tratta di capire in quali circostanze, in linea di massima, dovrebbe prevalere l'una o l'altra.
Ci possono essere due posizioni estreme e virtualmente un'infinità di posizioni intermedie.
Le due posizioni estreme sono ovviamente una che la volontà individuale sia sempre sovrana e nessuna interferenza sia accettata, l'altra che la volontà collettiva (ma qui sarebbe di decisiva importanza stabilire come questa volontà viene espressa, e se realmente l'organizzazione sociale nel suo insieme esprima una volontà collettiva) prevalga sempre su quella individuale. La prima porta all'assenza di regole collettive, quindi alla legge del più forte allo stato grezzo, senza nessun temperamento, ossia alla giungla. La seconda porta alla dittatura, ossia ancora una volta alla legge del più forte, ma non più in una situazione di "tutti contro tutti", ma nella situazione di pochi che dominano i molti. O anche a un'ipotetica (e mai realmente realizzata, a differenza delle dittature, e secondo me irrealizzabile) società democratica ma totalmente governata da istanze collettive al punto da sacrificare qualunque esigenza individuale a fini collettivi, compresa ovviamente la vita dell'individuo e la sua integrità fisica e psichica.
Se siamo d'accordo nel considerare entrambi questi punti di vista estremi come aberrazioni incompatibili con una concezione sana dell'individuo e della società, e se siamo d'accordo nel confrontare le idee e lasciar stare le ideologie, possiamo cercare di definire dei criteri in base ai quali stabilire, ovviamente in linea di principio, i confini tra potestà individuale e potestà sociale. E, dato questo messaggio è già parecchio lungo, ti invito a esporre per primo il tuo punto di vista.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 08 Giugno 2021, 07:23:17 AM
Il mio intervento iniziale , Donald, era su un post nel quale tu etichettavi come ideologiche le affermazioni di un altro, e devo dire che è stata proprio quella provocazione a stimolare il mio intervento.
Andando al discorso devo dire che non condivido la simmetria della tua rappresentazione tra sociale e individuale.
Non la condivido perché il sociale è in realtà sempre dominante, ed è sempre alla base di ogni diritto individuale.
Anche nel caso della scelta di morte, sono dell'idea che il soggetto non può restare solo, non dovrebbe poter legalmente fare una scelta senza il consenso di chi gli sta vicino, e comunque la scelta va valutata anche in termini psicologici, cioè un tecnico deve confermare che quella scelta è la vera volontà stabile e non patologica (un depresso non può scegliere di morire).
La scelta poi non deve essere di fuga dalle proprie responsabilità chi vuole morire perché non sopporta il carcere non deve poterlo fare.
Per me è emblematica la storia di welby, che non vuole morire per le sofferenze della sua condizione, ma perché non sopporta che la compagna che ama sacrifichi la sua vita per lui, la sua e una scelta d'amore.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Ipazia il 08 Giugno 2021, 09:23:16 AM
L'ideologia pesa moltissimo nel giudizio personale sul suicidio e sua praticabilità. Se credo che la mia vita appartenga ad una divinità è ben diverso che se non ci credo. E in certe culture, come in Giappone, il suicidio diventa un obbligo morale di redenzione per chi è reo di comportamenti infamanti e il suo sottrarsi motivo di esecrazione. La stessa cultura del martirio, per motivi ideologici di testimonianza religiosa o secolare, sdogana forme di suicidio santificate.

Il tasso ideologico varia a seconda delle motivazioni ed è decisamente più basso in quelle individuali rispetto a quelle "sociali". E' pressochè assente nei motivi correlati all'eutanasia, e massima nelle varie forme di martirio perseguito come testimonianza di fede.

Rimane l'area grigia intermedia del disagio esistenziale, che non è riducibile al dogma della socialità in quanto tale disagio è sintomo di una socialità malata molto più di chi vi si sottrae col suicidio. Esistono anche forme di inattitudine alla vita, patologiche nella misura in cui oltrepassano il disagio medio degli individui di quella societa, considerato pure che l'antidoto giusnaturalistico denominato istinto di conservazione è più efficace di tutti i sermoni morali.

Che l'ideologia moralistica sia risolutiva del problema lo falsificano le statistiche suicidarie di culture in cui il suicidio non è considerato "peccato", che ritornano la patata bollente al benessere sociale al netto di ogni ideologia.

Indicatore ben più affidabile delle strategie moralistiche colpevolizzanti è il "tasso di felicità media" del contesto sociale. Difficile, ma non impossibile, da determinare. Cominciando l'analisi a partire da Brecht: "beati i popoli che non hanno bisogno di eroi".
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 08 Giugno 2021, 09:39:21 AM
E' singolare l'imparzialità di chi critica la cultura religiosa definendola ideologica, ma poi non accetta che la propria critica possa essere etichettata come ideologica.
Tra i principi dell' "ideologia" Cristiana c'è un detto: "non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso", e direi che è perfettamente coerente, per chi afferma di non seguire tale ideologia, non rispettare tale detto.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Ipazia il 08 Giugno 2021, 10:10:38 AM
Infatti l'ideologia pesa tanto che si creda nei numi, quanto che non si creda. Par condicio e differente approccio al problema. Non sono certo io, atea, a voler tenere il piede in entrambe le staffe.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 08 Giugno 2021, 11:37:12 AM
Citazione di: Ipazia il 08 Giugno 2021, 09:23:16 AM
L'ideologia pesa moltissimo nel giudizio personale sul suicidio e sua praticabilità. Se credo che la mia vita appartenga ad una divinità è ben diverso che se non ci credo. E in certe culture, come in Giappone, il suicidio diventa un obbligo morale di redenzione per chi è reo di comportamenti infamanti e il suo sottrarsi motivo di esecrazione. La stessa cultura del martirio, per motivi ideologici di testimonianza religiosa o secolare, sdogana forme di suicidio santificate.

Il tasso ideologico varia a seconda delle motivazioni ed è decisamente più basso in quelle individuali rispetto a quelle "sociali". E' pressochè assente nei motivi correlati all'eutanasia, e massima nelle varie forme di martirio perseguito come testimonianza di fede.


Siamo alle solite, ipazia, il martirio, quello vero cioè la morte procurata da altri per chiudere la bocca a qualcuno rispetto a una certa testimonianza di vita, non è suicidio.
Ma da quale forza interiore proviene questo bisogno ossessivo che hai di denigrare sempre i simboli della fede cristiana?
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: viator il 08 Giugno 2021, 12:53:09 PM
Salve anthonyi. Azzardo la condivisione da parte di Ipazia (oltre che mia personale) della motivazione antireligiosa fornita da Lenin : "La religione è l'oppio dei popoli".


Poi naturalmente, sia all'interno della farmacopea che all'interno della condizione e delle scelte esistenziali........le droghe hanno il loro degnissimo e talvolta "altamente funzionale"ruolo. Saluti.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: InVerno il 08 Giugno 2021, 12:55:34 PM
Uno dei motivi che mi tiene ancorato vicino alla natura è poter assistere al fenomeno che forse ritengo più affascinante di tutti, molto più della coscienza il cui mistero sembra tutti abbagliare, ovvero l'istinto di sopravvivenza. Osservare un albero appigliato per poche radici ad una roccia tentare di sopravvivere alle folate di vento, o tastare il cuore di un animale sventrato tentare di battere ancora dopo diversi minuti dopo la morte, è un privilegio unico per chi ha la possibilità di apprezzarlo. Ritengo che l'istinto di autoconservazione sia forse una delle forze più potenti dell'universo, capace persino di sconfiggere la gravità che muove i pianeti. Per questo ne ho immenso rispetto, e per questo ho anche immenso rispetto per una forza sufficiente forte da annullare cotanta potenza. Proverei probabilmente a discutere con un aspirante suicida, non tanto per fargli cambiare idea quanto per essere di servizio e cercare di portare luce dove magari egli si fosse dimenticato di illuminare, ma di fronte alla decisione presa o al fatto avvenuto, penso che l'unica cosa da fare sarebbe tacere, di fronte a qualcosa che evidentemente ha superato le mie possibilità di comprensione, anche se istinti suicidi mi hanno temporaneamente attraversato, mai hanno vinto, perciò.. Le religionI (non ci sono solo i cristiani) possono continuare a lanciare anatemi e condanne sui morti, possono sempre prendersela con la scienza per il calo di consenso, anzichè affrontare la realtà di essere uomini piccoli piccoli che si difendono con giustificazioni minuscole..
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 08 Giugno 2021, 14:25:24 PM
Citazione di: viator il 08 Giugno 2021, 12:53:09 PM
Salve anthonyi. Azzardo la condivisione da parte di Ipazia (oltre che mia personale) della motivazione antireligiosa fornita da Lenin : "La religione è l'oppio dei popoli".


Poi naturalmente, sia all'interno della farmacopea che all'interno della condizione e delle scelte esistenziali........le droghe hanno il loro degnissimo e talvolta "altamente funzionale"ruolo. Saluti.
Anche tu, viator, fai parte del club dell'offesa per associazione forzata, la religione è religione, e la droga è droga, indipendentemente da quello che tu pensi di entrambe.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 08 Giugno 2021, 14:55:54 PM
Citazione di: InVerno il 08 Giugno 2021, 12:55:34 PM
Uno dei motivi che mi tiene ancorato vicino alla natura è poter assistere al fenomeno che forse ritengo più affascinante di tutti, molto più della coscienza il cui mistero sembra tutti abbagliare, ovvero l'istinto di sopravvivenza. Osservare un albero appigliato per poche radici ad una roccia tentare di sopravvivere alle folate di vento, o tastare il cuore di un animale sventrato tentare di battere ancora dopo diversi minuti dopo la morte, è un privilegio unico per chi ha la possibilità di apprezzarlo. Ritengo che l'istinto di autoconservazione sia forse una delle forze più potenti dell'universo, capace persino di sconfiggere la gravità che muove i pianeti. Per questo ne ho immenso rispetto, e per questo ho anche immenso rispetto per una forza sufficiente forte da annullare cotanta potenza. Proverei probabilmente a discutere con un aspirante suicida, non tanto per fargli cambiare idea quanto per essere di servizio e cercare di portare luce dove magari egli si fosse dimenticato di illuminare, ma di fronte alla decisione presa o al fatto avvenuto, penso che l'unica cosa da fare sarebbe tacere, di fronte a qualcosa che evidentemente ha superato le mie possibilità di comprensione, anche se istinti suicidi mi hanno temporaneamente attraversato, mai hanno vinto, perciò.. Le religionI (non ci sono solo i cristiani) possono continuare a lanciare anatemi e condanne sui morti, possono sempre prendersela con la scienza per il calo di consenso, anzichè affrontare la realtà di essere uomini piccoli piccoli che si difendono con giustificazioni minuscole..
I morti vanno lasciati in pace, ma ci sono i vivi. La condanna morale non serve ad accanirsi su chi non c'è più, ma a cercare di impedire a chi è vivo di compiere atti senza ritorno.
Tu dici di aver avuto istinti suicidi, sicuramente in una dimensione minore rispetto alla mia, e comunque si tratta di un'esperienza che in tanti fanno perché fa parte delle opportunità del mondo reale.
E se poi tra tanti tentati quelli che effettivamente si suicidano sono solo una piccola parte questo vuol dire che ci sono tante cose che fanno cambiare loro idea, e tra queste c'è anche la morale.
Naturalmente poi il discorso è se dobbiamo considerare il suicidio in sé come un bene o un male, per me è un male, e un atto che danneggia la società, e quindi è da disincentivare.
Cercare di salvare un aspirante suicida e per me un dovere morale.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: viator il 08 Giugno 2021, 16:11:58 PM
Salve anthonyi. Citandoti. "Naturalmente poi il discorso è se dobbiamo considerare il suicidio in sé come un bene o un male, per me è un male, e un atto che danneggia la società, e quindi è da disincentivare.
Cercare di salvare un aspirante suicida e per me un dovere morale".

"Per me è un male"..........."per me è un dovere morale".............poi per ciascuno di noi sarà quello che preferiamo.Non esiste più nessuno che sia in grado di discernere la logica dall'etica.La logica ci dice che il suicidio - di per sè - è atto al di là del bene e del male, cioè al di là di ogni etica e di ogni morale !

Si mi uccido lasciando vedova ed orfani bisognosi di me, sono un egoista che realizza il male sociale. Se invece lo faccio pochè sono diventato inutile, incapace, risultando di peso e di sacrificio alla mia famiglia ed alla previdenza sociale............allora la società dovrebbe erigermi un monumento !.


Ma naturalmente le morali religiose devono avere la precedenza sulla logica, vero ?. Saluti.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 08 Giugno 2021, 16:40:03 PM
Citazione di: viator il 08 Giugno 2021, 16:11:58 PM
Salve anthonyi. Citandoti. "Naturalmente poi il discorso è se dobbiamo considerare il suicidio in sé come un bene o un male, per me è un male, e un atto che danneggia la società, e quindi è da disincentivare.
Cercare di salvare un aspirante suicida e per me un dovere morale".

"Per me è un male"..........."per me è un dovere morale".............poi per ciascuno di noi sarà quello che preferiamo.Non esiste più nessuno che sia in grado di discernere la logica dall'etica.La logica ci dice che il suicidio - di per sè - è atto al di là del bene e del male, cioè al di là di ogni etica e di ogni morale !

Si mi uccido lasciando vedova ed orfani bisognosi di me, sono un egoista che realizza il male sociale. Se invece lo faccio pochè sono diventato inutile, incapace, risultando di peso e di sacrificio alla mia famiglia ed alla previdenza sociale............allora la società dovrebbe erigermi un monumento !.


Ma naturalmente le morali religiose devono avere la precedenza sulla logica, vero ?. Saluti.
Scusa viator, quale logica ti dice che il suicidio è al di là del bene e del male, quando mai la logica ha dettato legge nel mondo della morale, la morale è una preferenza umana, io dico che il suicidio è un male perché quando vengo a sapere che una persona si è suicidata la cosa mi rattrista, di più di quanto mi rattristerebbe il sapere che quella stessa persona è morta per un evento involontario.
Poi magari l'idea che finalmente ha finito di soffrire compensa un po' questa tristezza.
Tu parti dall'idea che la morale sia un fatto meramente religioso, niente di più sbagliato, guarda ipazia, che infarcisce i suoi post di condanne morali, eppure è atea.
Mentre io, che sono credente, assai raramente cedo alla tentazione del giudizio di condanna, liggio al principio del "non giudicare se non vuoi essere giudicato".
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Ipazia il 08 Giugno 2021, 17:43:10 PM
Citazione di: anthonyi il 08 Giugno 2021, 11:37:12 AM
Siamo alle solite, ipazia, il martirio, quello vero cioè la morte procurata da altri per chiudere la bocca a qualcuno rispetto a una certa testimonianza di vita, non è suicidio.
Ma da quale forza interiore proviene questo bisogno ossessivo che hai di denigrare sempre i simboli della fede cristiana?
Siamo alle solite anthonyi, nel caso del suicidio "sociale" attivo per causa di fede non tiro in ballo i simboli della fede cristiana ma gli atti inconsulti di quella musulmana del martire-shahid. Non è che i cristiani non abbiano abusato nella loro storia di benedizione alle bandire dei cristiani in armi che non sommo periglio andavano a combattere contro infedeli ed eretici e che sempre in armi portavano la vera fede ai popoli dell'universo mondo sprovvistine. Compito preso in carico dal braccio secolare nell'esportazione di pace e liberta in cui, convengo, il rischio per i neocrociati è talmente irrisorio da non prevedere alcun martirio. Semmai sono gli "infedeli" ad essere martirizzati.

Se riflettiamo sul suicidio non vedo perche dobbiamo esecrare solo le forme individuali e non quelle sociali che hanno prodotto, e continuano a produrre nel corso della storia, veri e propri suicidi di massa. Forme sociali la cui necrofilia è già in sè un invito al suicidio individuale. Antidoto al quale è quello che ha ribadito pure InVerno, ovvero la fede nella natura, l'attaccamento alla terra, che ogni essere vivente ci racconta, senza l'eccesso di filosofemi umani che finiscono con l'intorbidire la materia (di studio).

La natura è la migliore maieuta in questo campo e non indulge certo in discorsi morali che, mi compiaccio, riconosci siano anche nelle corde di chi teista non è (FN, a modo suo, fu un grande moralista). Proprio per la sua estraneità al logos morale la lezione naturale è quanto di meno ideologico vi sia a cui poter attingere per trattare l'argomento:

1) La vita è individuale e pure la morte, quindi la società faccia un passo indietro e si attivi per rendere la vita più desiderabile possibile. Se non lo sa fare, la colpa è sua, non del suicida.

2) Morire è inevitabile e talvolta pure la vita diventa così carica di sofferenza da rendere desiderabile la morte. Anche in questo caso, la società faccia un passo indietro. E chi ci ama, Beppino Englaro o la fidanzata di DJ Fabo o la moglie di Welby, sono i primi a saperlo.

Questa è la morale che ci insegna la natura e, in barba a chi ci vuole male, evviva il giusnaturalismo. (Non sempre, ma quasi, e in questo caso, sì)
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Donalduck il 08 Giugno 2021, 21:29:49 PM
Citazione di: anthonyi il 08 Giugno 2021, 07:23:17 AM
Il mio intervento iniziale , Donald, era su un post nel quale tu etichettavi come ideologiche le affermazioni di un altro, e devo dire che è stata proprio quella provocazione a stimolare il mio intervento.
Andando al discorso devo dire che non condivido la simmetria della tua rappresentazione tra sociale e individuale.
Non la condivido perché il sociale è in realtà sempre dominante, ed è sempre alla base di ogni diritto individuale.
Anche nel caso della scelta di morte, sono dell'idea che il soggetto non può restare solo, non dovrebbe poter legalmente fare una scelta senza il consenso di chi gli sta vicino, e comunque la scelta va valutata anche in termini psicologici, cioè un tecnico deve confermare che quella scelta è la vera volontà stabile e non patologica (un depresso non può scegliere di morire).
La scelta poi non deve essere di fuga dalle proprie responsabilità chi vuole morire perché non sopporta il carcere non deve poterlo fare.
Per me è emblematica la storia di welby, che non vuole morire per le sofferenze della sua condizione, ma perché non sopporta che la compagna che ama sacrifichi la sua vita per lui, la sua e una scelta d'amore.
Bene, direi che siamo sulla buona strada per un confronto di idee. Le tue si situano più o meno agli antipodi delle mie, ma proprio per questo la discussione è potenzialmente interessante.
Però per poter fare un confronto serve qualcosa di più di una esposizione di idee e opinioni.

Per prima cosa, dovresti spiegare meglio questa tua asserzione "il sociale è in realtà sempre dominante, ed è sempre alla base di ogni diritto individuale".
Ora, credo sia chiaro che qui non stiamo parlando di semplici dati di fatto, ossia di come stanno attualmente le cose. Anche in questo caso la tua asserzione sarebbe discutibile, dato che non mi sembra proprio che in tutte le società esistenti il diritto individuale sia basato sul sociale, anzi le varie dichiarazioni di diritti umani si basano essenzialmente sull'assunto che ci sono diritti individuali inalienabili che nessuna società ha il diritto di violare.
Ma qui comunque si sta parlando di etica, ossia di quello che noi che discutiamo riteniamo giusto o ingiusto, utile o dannoso, buono o cattivo.

Personalmente trovo che una società che limita e condiziona più dello stretto necessario la libertà di pensiero e d'azione dell'individuo sia tra le cose peggiori che si possano concepire (e che purtroppo sono state non solo concepite, ma largamente realizzate), e naturalmente ci sono dei motivi e dei criteri dietro questa convinzione. Ma prima di esporli, vorrei capire meglio il tuo pensiero.

In particolare, se trovi, come sembra, giusto che la società condizioni la vita dell'individuo sostanzialmente senza limiti (questo è quanto risulta dalle tue affermazioni), per prima cosa vorrei che spiegassi da dove scaturisce questa tua convinzione, e in particolare a chi gioverebbe una simile invadenza della società nella vita individuale.

In secondo luogo vorrei farti osservare che questo principio non fonda nessuna etica, o meglio è compatibile con etiche totalmente opposte.
E' compatibile con una società iperprotettiva, oppressiva e paternalistica, che pretende di guidare in tutto e per tutto la condotta individuale, e possibilmente anche il pensiero, e che quindi condanna il suicidio, ne vieta l'assistenza, vieta le droghe e quant'altro sia giudicato dannoso o sconveniente non solo per la società, ma anche per lo stesso individuo, la cui volontà non viene considerata rilevante (il termine "libertà" in questo contesto non troverebbe neppure posto).
Ma è anche compatibile con una società che stabilisca che le persone anziane, disabili o per qualunque motivo inadatte al lavoro vengano soppresse per far posto alle persone giovani e produttive e per evitare di pesare sulla collettività. E naturalmente è compatibile anche con la schiavitù, gli spettacoli dei gladiatori o gli equivalenti futuribili come quelli del racconto "La settima vittima" di Robert Sheckley, più volte ripreso in diversi film di fantascienza.
In entrambi i casi non si riconoscono agli individui diritti peculiarmente individuali, ma, come dici tu, qualunque diritto individuale è fondato sul sociale e da esso proviene.

Quindi, se trovassi (come suppongo) eticamente riprovevole il secondo esempio di società, dovresti far ricorso a qualche principio etico che va al di là di questo tuo "assolutismo sociale" per giustificare un simile giudizio negativo. E possibilmente spiegarne la ratio.
Naturalmente, prima o poi si dovrà arrivare a dei valori fondamentali che orientano i nostri pensieri e la nostra concezione sia della vita (che è necessariamente individuale) che della società, del valore e del "senso" che hanno per noi. Ma possiamo arrivarci per gradi.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: anthonyi il 08 Giugno 2021, 22:25:17 PM
Allora Donald, cerco di spiegarti il concetto che tu ritieni discutibile.
Qualsiasi diritto individuale deve essere definito e concettualizzato all'interno di un sistema culturale, prima di entrare nel sistema giuridico. Esso è quindi stato generato dalla società nel suo complesso tramite una mediazione dialettica  tra tanti individui di quella società.
Poi sulle dichiarazioni ufficiali potrà anche esserci scritto che quello è un diritto fondamentale inalienabile, ma questo vale sostanzialmente come vincolo per il potente di turno, quindi per un singolo, non certo per la società nel suo complesso che quel diritto lo ha definito e generato, e quindi riguardo ad esso può cambiare idea.
Spero di essere stato chiaro, ti faccio i saluti anche perché non interverro più in questo topic, quello che avevo da dire in fondo l'ho detto, e poi ci sono certe evoluzioni (non mi riferisco a te) che sinceramente mi annoiano.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: viator il 08 Giugno 2021, 22:42:30 PM
Citazione di: anthonyi il 08 Giugno 2021, 16:40:03 PM
Citazione di: viator il 08 Giugno 2021, 16:11:58 PM
Salve anthonyi. Citandoti. "Naturalmente poi il discorso è se dobbiamo considerare il suicidio in sé come un bene o un male, per me è un male, e un atto che danneggia la società, e quindi è da disincentivare.
Cercare di salvare un aspirante suicida e per me un dovere morale".

"Per me è un male"..........."per me è un dovere morale".............poi per ciascuno di noi sarà quello che preferiamo.Non esiste più nessuno che sia in grado di discernere la logica dall'etica.La logica ci dice che il suicidio - di per sè - è atto al di là del bene e del male, cioè al di là di ogni etica e di ogni morale !

Si mi uccido lasciando vedova ed orfani bisognosi di me, sono un egoista che realizza il male sociale. Se invece lo faccio pochè sono diventato inutile, incapace, risultando di peso e di sacrificio alla mia famiglia ed alla previdenza sociale............allora la società dovrebbe erigermi un monumento !.


Ma naturalmente le morali religiose devono avere la precedenza sulla logica, vero ?. Saluti.
Scusa viator, quale logica ti dice che il suicidio è al di là del bene e del male, quando mai la logica ha dettato legge nel mondo della morale, la morale è una preferenza umana, io dico che il suicidio è un male perché quando vengo a sapere che una persona si è suicidata la cosa mi rattrista, di più di quanto mi rattristerebbe il sapere che quella stessa persona è morta per un evento involontario.
Poi magari l'idea che finalmente ha finito di soffrire compensa un po' questa tristezza.
Tu parti dall'idea che la morale sia un fatto meramente religioso, niente di più sbagliato, guarda ipazia, che infarcisce i suoi post di condanne morali, eppure è atea.
Mentre io, che sono credente, assai raramente cedo alla tentazione del giudizio di condanna, liggio al principio del "non giudicare se non vuoi essere giudicato".

Io parto dall'idea che la morale sia un fatto meramente sociale e non abbia nulla a che vedere con la religione per il semplice motivo che le religioni consistono in sistemi organizzati basati su convinzioni irrazionali regolate DA UNA DOTTRINA IMMODIFICABILE E NON CERTO DA UNA QUALSIASI MORALE STORICAMENTE OD AMBIENTALMENTE MODIFICABILE. Saluti.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Donalduck il 08 Giugno 2021, 23:03:48 PM
Citazione di: anthonyi il 08 Giugno 2021, 22:25:17 PM
Allora Donald, cerco di spiegarti il concetto che tu ritieni discutibile.
Qualsiasi diritto individuale deve essere definito e concettualizzato all'interno di un sistema culturale, prima di entrare nel sistema giuridico. Esso è quindi stato generato dalla società nel suo complesso tramite una mediazione dialettica  tra tanti individui di quella società.
Poi sulle dichiarazioni ufficiali potrà anche esserci scritto che quello è un diritto fondamentale inalienabile, ma questo vale sostanzialmente come vincolo per il potente di turno, quindi per un singolo, non certo per la società nel suo complesso che quel diritto lo ha definito e generato, e quindi riguardo ad esso può cambiare idea.
Spero di essere stato chiaro, ti faccio i saluti anche perché non interverro più in questo topic, quello che avevo da dire in fondo l'ho detto, e poi ci sono certe evoluzioni (non mi riferisco a te) che sinceramente mi annoiano.
No, non sei stato per nulla chiaro, e hai evitato accuratamente di rispondere alle mie obiezioni (cosa che avrebbe effettivamente chiarito qualcosa). Ma capisco, ora, che in realtà non ti interessa confrontarti, ma solo mettere per iscritto cose che pensi a semplice scopo espositivo.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Ipazia il 09 Giugno 2021, 07:08:05 AM
Citazione di: anthonyi il 08 Giugno 2021, 22:25:17 PM
Qualsiasi diritto individuale deve essere definito e concettualizzato all'interno di un sistema culturale, prima di entrare nel sistema giuridico. Esso è quindi stato generato dalla società nel suo complesso tramite una mediazione dialettica  tra tanti individui di quella società.
Certamente, e la società nella sua evoluzione ha deciso, almeno a livello giuridico formale, che coloro che dopo aver dato a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che di Cesare restavano sprovvisti di tutto, recuperassero alcuni diritti inalienabili sulla loro persona. Compresa, proseguendo l'evoluzione, il diritto sulla propria vita e la propria morte. Di ciò, oppio a parte - la religione capitalistica ci ha aggiunto di peggio - ogni religione deve tener conto anche nel suo difficile incedere col piede in due staffe: trascendente e immanente.
CitazionePoi sulle dichiarazioni ufficiali potrà anche esserci scritto che quello è un diritto fondamentale inalienabile, ma questo vale sostanzialmente come vincolo per il potente di turno, quindi per un singolo, non certo per la società nel suo complesso che quel diritto lo ha definito e generato, e quindi riguardo ad esso può cambiare idea.
Ma si cambia in maniera ragionata, mica a casaccio. Se si torna alla schiavitù della donna e peggiorano le condizioni di semischiavitù degli uomini non è un accidente casuale, ma una tragedia epocale. Per la religione non vedo grandi prospettive di progresso a meno che non aggiorni drasticamente i suoi dogmi, perché proviene da epoche in cui la schiavitù era di norma e perché anche oggi, dall'integralismo islamico, alle macumbe, al sistema castale indiano basato sulla reincarnazione, mostra la parte peggiore della razza umana. E pertanto si deve buttare, buona ultima, nella staffa dell'immanenza dove ha ben poco da insegnare e molto da imparare. A partire dal dare all'umano quello che è dell'umano.
Titolo: Riflessioni sul suicidio.
Inserito da: Phil il 09 Giugno 2021, 23:39:21 PM
Propongo questa considerazione: «Durkheim, in ottica sociologica, ha descritto quattro forme di suicidio a coppie antitetiche: altruistico-egoistico e fatalistico-anomico. Nella prima coppia, a un polo, l'atto suicidario è condizionato, in maniera decisiva, da pressioni ideologiche e culturali che sembrano negare l'individualità della persona, mentre, al polo opposto, lo stesso atto è determinato da un eccesso di individualismo, che fa sfumare il senso di appartenenza alla comunità. Nella seconda coppia, a un estremo, si assiste a un'esagerata pressione di regole e norme che il singolo non è in grado di sostenere; dall'altro, il suicidio è frutto di una difficoltà del soggetto a tollerare momenti di transizione socioculturale, che comportino un cambiamento dei sistemi di valore e una perdita dei punti di riferimento» (tratto da questo articolo, in cui si parla, fra l'altro, dell'"effetto Werther", ovvero di come l'emulazione possa talvolta andare anche contro la propria autoconservazione).