"il s. della vanità della storia umana che l'aveva colto poco prima in cortile, lo riprese" (I. Calvino).
Uso il termine senso nell'accezione di significato. La storia umana , e quindi la storia personale di ognuno di noi, non appare priva di significato in assenza di Dio? Non di un dio qualsiasi ma del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio di Cristo, comunione trinitaria di amore e giustizia? Più si allontana nella storia il senso di questa presenza, ormai espulsa dalla società, espulsa dal cuore degli stessi credenti, più scende la percezione della vanità della storia stessa. Se nulla ho da raggiungere, e quindi da aggiungere, al mio passare come ombra tra il mutare degli anni e dei volti che incontro, non vengo colto anch'io, come il personaggio di Calvino dal senso di vanità della storia umana? Come gira la Terra attorno al suo Sole, come giro attorno ai miei anni, privato di significato, il senso di vuoto sembra quasi alleggerire la mia esistenza, come un inganno che nasconde invece una cupa pesantezza, una cappa di piombo che grava sul cielo. Senza Dio sono privato di una chiave di lettura della storia, una sua finalità, un suo epilogo. Qualunque storia ha un epilogo, bello o brutto, improvviso o lento . Quando raccontavo storielle ai miei figli spesso non mi lasciavano nemmeno terminare e mi chiedevano insistentemente:"Come finisce?". E allora, se tardavo a dare un epilogo, se lo inventavano loro. Viene naturale pensare ad un epilogo di una storia, altrimenti non sarebbe una storia, ma altro, dove innumerevoli storie che ci sembrano legate fra loro appaiono come il dibattersi di innumerevoli larve di zanzara in un secchio d'acqua piovana abbandonato. Il proprietario della casa se n'è andato e il secchio è rimasto là. Così Dio se n'è andato e la storia umana è rimasta abbandonata a se stessa, proprio come quel vecchio secchio. Naturalmente non sto parlando del dio di qualche chiesa, del dio che vive nei templi, ma del Dio-con-noi, di Quello con il quale discutevamo, ci arrabbiavamo, che invocavamo. Insomma del padrone della vigna, quello così ingiusto per noi da pagare gli operai che arrivavano nella vigna al tramonto come quelli che ci avevano sudato dall'alba.
Ho paura che il voler indagare cosi' profondamente una eventuale interazione di cio che "so" e di cio' che "non so" sia fatale alla salute mentale.
Vediamo cio' che so : dovrei essere nato visto che sono qui a "sparare cavolate" quindi avere un inizio come individuo , vivo una vita quale che sia , certamente moriro' ( purtroppo la statistica e' contro le mie aspirazioni di vita eterna seguendo inevitabilmente un benchmark biologico). Da questo punto in poi e' possibile tutto ed il contrario di tutto. Dal nulla incosciente alla visione diretta di un qualche dio ( Dio ?). La soluzione e' che e' sufficiente aspettare , cercando il piu' possibile il proprio bene ( che a mio parere e' strettamente legato a quello degli altri) finche' si e'. Poi sara'......
Dio è stato importante nella storia dell'umanità. Pensare Dio e la divinità in generale ha significato pensare oltre e organizzare il futuro. Dio ha anche significato cercare un senso della giustizia che altrimenti sfociava nell'insensato e nella protervia umana e naturale, spiegata bene dal Candido. La divinità è stato un segnale polisemantico, esso stesso con una sua filosofia della storia, visto che dai riti animistici siamo passati alla mitologia ellenistica e da quella al monoteismo e nel monoteismo siamo passati dall'ebraismo dell'AT al calvinismo.
Ora dovremmo essere ancora in cammino verso un diverso tipo di spiritualità, che lasci andare Dio e la divinità, evitando allo stesso tempo di divinizzare l'uomo o le sue torri di Babele in versione ultra-scientifica. Non so se saremo in grado, ma sono abbastanza certo che parte della nostra libertà ed emancipazione passa da questa via.
Ciao Alexander,
per quanto mi riguarda vale la critica nietzsche-ana a proposito.
Nietzsche si era accorto del buco che la scomparsa del fondamento religioso avrebbe lasciato nella cultura europea e tentando di ideare un rimedio culturale per quando il tempo fosse venuto, aldilà di termini quasi markettari come oltreuomo, l'idea era buona: separare l'istinto razionale (causa finale) dall'istinto vitale (causa prima), il "pull" secondario dal "push" originario per cosi dire; comprendere che il primo viene dal secondo, e saperne ricavare nuove direzioni.
Effettivamente chi non è in grado di riformulare questo passaggio sarebbe caduto a sua detta nel nichilismo, ovvero il non-senso, ma anche la non-cultura del senso.
Simili ad animali addomesticati che perdono il loro padrone e non riescono a tornare alla libertà, al principio autofondante intrinseco nell'esserci.
Dio che ha rimosso il limite della predazione intersociale e dell'individualismo basso (instintuale) muore quando l'uomo é abbastanza cosciente da esercitare l'individualismo alto, cioè "creazione sopra di sé", vita come sacrificio per la propria arte.
Oppure quando smette di fare comodo al potere che in primis lo promulgò.
Siamo in un era di mezzo; alcuni si sono elevati, altri no, alcuni pensano di averlo fatto ma non è vero, altri il contrario. Gli scismi sono a mio parere ineluttabili.
Il culto dell'inclusività genera le più acute differenze, chi non considera la differenza é destinato ad acuirla fino al punto della massima divisività. Una volta separati si moriva; oggi si muore quando insieme (perché incompatibili).
Io mi auguro che da questa "battaglia spirituale" emerga un individuo più sufficiente a se stesso e meno asservibile alle logiche di potere, anche se era da aspettarsi che un'era del genere avrebbe reso necessaria al potere la massima potenza della sua logica (controllo tecnocratico).
Ciao :)
Salve. Il problema della mancanza di senso (umano, ovviamente) non si può certo risolvere investendo la nostra esistenza di sensi oltreumani (Dio).
Noi amiamo fare i "furbi" escogitando continuamente sensi della vita che ci valorizzino, ci esaltino, rendano splendente la nostra immagine allo specchio della nostra coscienza.
Così come esiste una precisa etnia e religione che proclamano incrollabilmente di essere state "elette da Dio" a prevalere su tutte le altre (ebrei ed israelitismo).........tale aspetto è perfettamente ovvio e consequenziale al fatto che, sul Pianeta e forse anche oltre, esista una precisa specie (quella umana) che si proclami candidamente superiore e padrona di tutte le altre specie (per carità........in nome della trascendenza divina!). Saluti.
Figuriamoci, siamo venuti per divenire, come tutti gli altri animali, perché per noi -umani- dovrebbe essere diverso?
Dare senso al presente è rendere -con atto di volontà- il futuro diverso dal passato.
Creare due infiniti diversi che si limitino, ma non si imitino, tra di loro.
La fine può continuare all'infinito restando sempre differente dall'inizio, e l'inizio risalire nel tempo all'infinito restando sempre differente dalla fine. E ci sarebbe sempre e solo un attimo a dividerle.
Se io vivo, passato e futuro sono -eternamente- differenti.
Se io vivo non esiste il tempo, ma solo il divenire.
E il divenire -storico- a un certo punto ha travolto anche il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Penso sia stato perché all'uomo interessa soprattutto il divenire della volontà. La coincidenza di passato e voluto.
E il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, ha sempre la stessa, di volontà. Il suo voluto, non può passare. Costituisce dunque un'immagine solo approssimativa, dell'uomo e dei suoi veri problemi e desideri.
Nietzsche risolve il senso di vanità, e il conseguente nichilismo, al venir meno del finalismo teologico con due argomenti: credere nella terra, intesa come natura, e imparare ad amare il proprio fato (evolutivo). Poiché siamo nella sezione spirituale, trovo vi sia più spiritualità in tale predicazione che nelle leggende neolitiche.
Citazione di: Ipazia il 22 Ottobre 2021, 21:55:00 PM
Nietzsche risolve il senso di vanità, e il conseguente nichilismo, al venir meno del finalismo teologico con due argomenti: credere nella terra, intesa come natura, e imparare ad amare il proprio fato (evolutivo). Poiché siamo nella sezione spirituale, trovo vi sia più spiritualità in tale predicazione che nelle leggende neolitiche.
Ovvero : come - attraverso la doppia ed ugualmente appropriata interpretazione del termine VANITAS, ottenere il perfetto consenso di Viator nell'aver riconosciuto la vera e non EGOISTICA spiritualità. Saluti.
Citazione di: Alexander il 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM
"La storia umana , e quindi la storia personale di ognuno di noi, non appare priva di significato in assenza di Dio?.
Dio sembra una idea ben stramba. Da dove salta fuori?
E l'umanita' pure a ben pensarci.
Infatti come si può definire l'umanità?
Esiste davvero?
Di cosa si tratta esattamente?
Là si assume per fede o se ne può dimostrare l'esistenza?
Se affermiamo che la storia dell'umanità perde senso espellendo da essa Dio, è vero anche il contrario?
Penso che umanità e Dio siano concetti strettamente legati.
La morte di Dio è la morte dell'umanità.
Ma non è nessun lutto, essendo solo la presa di coscienza che l'umanità in se' è una convenzione.
Dovremmo allora forse meglio dire : la storia di ognuno di noi, e quindi la storia dell'umanità... e allora l'umanità riacquista un senso, come la storia comune di individui diversi.
Da dove nasce l'idea di Dio? È il perfetto esempio di ciò che noi diamo per scontato che esista, ma che in effetti non esiste, come , con altro esempio, l'umanità.
Dimostrare che esista l'umanità non mi sembra meno arduo che dimostrare che esista Dio.
Ma che senso ha percepire ciò che non esiste?
Secondo me ha senso, ma qui si aprirebbe un altra discussione.
Dal mio punto di vista l'idea di dio é il totem sociologico cardine e centro del gruppo.
Al centro é il simbolo: Metterci un umano mette a rischio la sopravvivenza della cultura, la affida al mondo della carne (peritura).
O per altro esempio meno tribale, Dio é lo spirito del lago di montagna: se si pensa l'umanità come una grande struttura di abitanti di montagna sistemati gerarchicamente vicino ad un fiume che scende, l'idea é che anche se chi sta piu in basso deve fare più strada, può sempre avere acqua fresca e pulita; metti un uomo ad abitare in cima, e sarà l'unico a bere acqua non sporca di escrementi ed urine.
Ovviamente questa é una interpretazione sociologica intorno alla nascita del concetto, mentre nel mio post precedente mi sono occupato del suo contesto storico per l'europa.
"Natura sive Deus" risolve la questione totem. Seppure non quella dei suoi autoproclamati guardiani (la Scienza, oggi). Con derivata pop gretina.
Buona domenica a tutti
Natura sive deus o deus sive natura? Mentre me lo chiedo indosso una mascherina chirurgica e tengo in tasca un detergente chimico per le mani.Mi siedo e vedo bolli rossi per il distanziamento. Mai come in questo periodo mi è difficile pensare di trovare un senso nel movimento naturale. Forse questo senso c'è, ma è ancora più nascosto e indecifibrabile di un dio, o del Dio.
Penso che dalla natura si possa spremere del piacere, ma non del significato. Siamo ormai troppo lontani come esseri dalla natura. La tecnica ci ha portato ormai troppo al largo dalla riva naturale. Anche la "svolta green" è chiaramente un accelerato processo tecnologico, basato sulla paura, che mira a ridurre l'impatto dell'uomo sull'ambiente, ma non porterà l'uomo ad abbracciare la natura, a trovare in essa un senso per la sua storia, anzi, la dipendenza e l'ibridazione dell'uomo con la tecnica sarà maggiore dell'attuale, con ogni probabilità e previsione. L'evoluzione poi è solo uno scalino di una scala lunga e indecifrabile e che non necessariamente fa sempre salire. essendo privata di riferimento esterno a sé , che le può conferire senso. La lettura , positiva o negativa, di questa scala è esercizio soggettivo, spesso arbitrario e sottoposto a preferenze. E' proprio l'osservazione di questa scala che fa nascere il senso di vanità. E' stata proprio la paura della natura il sorgere della tecnica che ci ha fatto allontanare da essa. Solo accettando la morte si accetta pienamente la natura. L'uomo però non accetta la morte, ne sente il fascino come di qualcosa esterno a sé, ma mai che la sua vita e la sua morte sono la medesima cosa.
Posso certamente, come facciamo tutti alla fine, dar-mi un senso, in modo soggettivo. Un senso incerto perché ancorato ad un vuoto, il mio vuoto. Sempre un dubbio, come il tarlo del legno, me lo divora dal di dentro. Certo non possiamo nemmeno usare Dio come un anti-tarme.
La natura è colei che è. Il significato è un patema problema nostro a cui possiamo dare svariate soluzioni. In tale varietà sta la nostra libertà e gli artisti della materia e del pensiero ci hanno fornito "materia" abbondante su cui cimentarci per fare della nostra vita opera d'arte, riempiendola di significato. Sempre sotto l'ala protettiva del totem che ci ha generato. Il cui rispetto e conoscenza - come da monito dell'Ulisse dantesco - ricambia con la sua grazia.
P.S. capisco che in un'epoca di mammonesca antinatura denominata Scienza l'apocalittica sembri la via obbligata, ma resta valido il monito nicciano di credere nella terra. E nella scienza non corrotta dall'ideologia e dai suoi apocalittici cavalieri.
La storia ha senso se è vista come un movimento che tende ad una piena conciliazione di libertà, ragione, e felicità.
Con il Dio giudaico-cristiano c'è libertà (l'uomo deve continuamente scegliere se seguire Dio oppure no), e felicità (vivere nella sua presenza significa per esempio convincersi che ciascuno di noi è stato voluto e creato esattamente così com'è, il che significa riconciliarsi con se stessi), ma non ragionevolezza (basti pensare l'episodio del sacrificio richiesto ad Abramo).
E infatti per tutto il medioevo il pensiero si è concentrato sul rapporto fede-ragione.
Il razionalismo moderno si è illuso di poter dar conto delle ragioni di Dio ma è riuscito soltanto a preparare l'avvento dell'ateismo.
In sostanza la via religiosa comporta un sacrificio, non della ragione umana in generale (perché ci sono molti temi religiosi perfettamente indagabili dalla ragione), ma di una comprensione esaustiva, totale, del piano di Dio.
Nel momento in cui la teologia da esegesi biblica diventa scienza (con la Scolastica medievale), si compie un passaggio (forse prima o poi necessario) che già segna la fine del cristianesimo perché la ragione a lungo andare non può fermarsi di fronte al mistero.
Tornando a noi, se si sceglie la via religiosa bisogna assimilare la posizione di Tertulliano, nel suo duplice significato:
- credo nonostante l'assurdità di certi elementi;
- credo proprio in quanto certi elementi sono assurdi, in quanto l'assurdità di questi elementi apre la strada ad una comprensione in realtà più profonda della vicenda umana.
Ci si decide per la profondità piuttosto che per la chiarezza.
I simboli di ogni religione sono pienezza di senso, profondità umanistica, ma non chiarezza ed evidenza di contenuti razionali eventualmente sottoponibile a calcolo.
L'idea di Rivoluzione è la forma completa di una visione della storia che metta insieme libertà, ragione, felicità.
Versione laica della Redenzione, però sconfitta (forse solo temporaneamente) dalla società dell'opulenza.
A quanto pare in presenza di un certo benessere la maggior parte delle persone sembrano essere disposte a rimangiarsi le esigenze di ragione e felicità (e di parte di libertà).
Infatti gli squilibri del mondo e la condizione di miseria di buona parte della popolazione mondiale significano: assenza di razionalità e di felicità (sia di chi soffre che di chi guarda coloro che soffrono).
Salve Ipazia. Citandoti : "La natura è colei che è."
Ma che ?..............personifichi ciò che tra l'altro, ha generato le persone ? Già ci sono i credenti che personificano Dio.............adesso ti ci metti anche tu - atea - con la natura, la quale ovviamente sarà "ciò che è" ?. Trovi ?.
Poi non si deve dire che l'uomo è ossessionato solamente da sè stesso ! A questo punto la titolazione del "topic" dovrebbe più sinceramente diventare "SENZA L'UOMO LA STORIA UMANA NON HA SENSO". Perdonami la pedanteria e saluti.
Citazione di: Alexander il 24 Ottobre 2021, 09:21:21 AM
Buona domenica a tutti
Natura sive deus o deus sive natura? Mentre me lo chiedo indosso una mascherina chirurgica e tengo in tasca un detergente chimico per le mani.Mi siedo e vedo bolli rossi per il distanziamento. Mai come in questo periodo mi è difficile pensare di trovare un senso nel movimento naturale. Forse questo senso c'è, ma è ancora più nascosto e indecifibrabile di un dio, o del Dio.
Penso che dalla natura si possa spremere del piacere, ma non del significato. Siamo ormai troppo lontani come esseri dalla natura. La tecnica ci ha portato ormai troppo al largo dalla riva naturale. Anche la "svolta green" è chiaramente un accelerato processo tecnologico, basato sulla paura, che mira a ridurre l'impatto dell'uomo sull'ambiente, ma non porterà l'uomo ad abbracciare la natura, a trovare in essa un senso per la sua storia, anzi, la dipendenza e l'ibridazione dell'uomo con la tecnica sarà maggiore dell'attuale, con ogni probabilità e previsione. L'evoluzione poi è solo uno scalino di una scala lunga e indecifrabile e che non necessariamente fa sempre salire. essendo privata di riferimento esterno a sé , che le può conferire senso. La lettura , positiva o negativa, di questa scala è esercizio soggettivo, spesso arbitrario e sottoposto a preferenze. E' proprio l'osservazione di questa scala che fa nascere il senso di vanità. E' stata proprio la paura della natura il sorgere della tecnica che ci ha fatto allontanare da essa. Solo accettando la morte si accetta pienamente la natura. L'uomo però non accetta la morte, ne sente il fascino come di qualcosa esterno a sé, ma mai che la sua vita e la sua morte sono la medesima cosa.
Posso certamente, come facciamo tutti alla fine, dar-mi un senso, in modo soggettivo. Un senso incerto perché ancorato ad un vuoto, il mio vuoto. Sempre un dubbio, come il tarlo del legno, me lo divora dal di dentro. Certo non possiamo nemmeno usare Dio come un anti-tarme.
Questa discussione deve aver ispirato tutti voi, perché ho letto veramente dei bei post da parte di tutti.😊
Tornando al tema, forse è impossibile trovare un senso, ma ciò non impedisce di continuare a cercarlo, e ci sembra a volte di trovarlo e poi di riperderlo, ma devo ribadire che, comunque stiano le cose, noi facciamo parte della natura, tecnica compresa. Per molti, non solo per te, ciò sembra difficile da digerire, e per motivi diversi.
Infatti non riesco neanche a pensare che la cosa in se' non sia evidente, ma allora diventano significativi i diversi motivi che fanno da paraocchi.
In verità, in verità vi dico, che se io possedessi un sentimento religioso, il pararsi a immagine di Dio mi sembrerebbe bestemmia massima., nonché uno dei diversi motivi per i quali ci possiamo pensare distinti dalla natura.
Il peccato, come ammonisce la Bibbia, è quello della conoscenza, che ci espelle dall'Eden-natura.
Ma non è un peccato distinguersi e distinguere, equivalendo ciò a conoscere; il peccato consiste nel credere che esista davvero ciò che distinguiamo, come se non fosse , ciò che diciamo esistere, solo il risultato di una interazione fra noi e la realtà, ma la realtà stessa. Se così fosse saremmo anche più che una sbiadita immagine di Dio, ma i suoi diretti emissari.
Se io possedessi un sentimento religioso sarei costretto a farmi la mia personale religione che dia un senso, ma forse è proprio così e noi non lo sappiamo, perché non è che conosciamo tutto noi, per quanto pecchiamo.
Magari una parte di noi c'è la siamo dimenticata in paradiso, ma non lo sappiamo,, e per questo è ancora lì.
Buon lunedì a tutti
che la settimana ci sia lieve
La domanda iniziale che mi ponevo non era però tanto sul senso della (mia) vita, ma quanto sul senso della storia umana. Ossia, osservando lo svolgersi degli avvenimenti della società umana, attraverso gli anni e i secoli, non credendo in Dio, il personaggio di Calvino prova un senso profondo di vanità. Questo non ha a che fare con la bellezza o la bruttezza estetica dell'esistenza del singolo, quanto proprio della vanità dell'insieme, del suo non essere più storia, se viene a mancare l'inizio, lo svolgersi e l'epilogo che abbia un qualche significato non accidentale. Intendo cioè che la storia umana ha un senso se è nella "mani" di un autore che l'ha pensata. L'autore di una storia è nella storia , ma anche esterno ad essa, come l'autore di una narrazione che infonde qualcosa di se stesso nel racconto, ma non è effettivamente nel racconto. Però può benissimo esserci una storia senza un creatore della stessa, una storia accidentale, che avanza senza meta e senza significato. Una storia creata da innumerevoli autori che agiscono senza consapevolezza dell'insieme . E' di questa storia che allora si prova, se sufficientemente sensibili, un profondo senso di vanità. Come scrive Kobayashi questo sentimento che nasce semplicemente dall'osservare ha a che fare più con la profondità che con la razionalità. Intuisco nel profondo dell'animo la vanità e l'insensatezza, mentre la ragione può dirmi al contrario che la vicenda umana è proprio così, casuale e senza un preciso significato.
Ciao Alexander.
Vorrei condividere, non fosse per quietare il senso di vanità che pure sento, se non fosse che rilevo una specie di paradosso: se c'è l'autore di una storia allora vi è un senso possibile, ma se le storie si moltiplicano con gli autori , allora si perde il senso, che non è inteso allora come senso di qualunque genere, ma come un senso unitario.
Il paradosso starebbe nel fatto che se esistesse un unico individuo, e quindi un unica storia, allora avremmo un senso.
Temo però che non avremmo una storia, perché non ci sarebbe uno svolgimento ,un divenire.
L'interagire di diversi individui relativamente indipendenti lascia la storia sempre aperta nel suo svolgersi, e per questo che la storia ci appassiona, perché non sappiamo come finisce.
Tutte le storie che hanno un finale già scritto, come le religioni, hanno il problema di giustificare quello che sta fra l'inizio e la fine. Se la storia acquista un senso, allora è il suo svolgimento a perderlo.
Una storia con un finale già scritto, di cui conosciamo quindi il senso, se è l'effetto di una causa che è lo svolgimento, là si può rappresentare come un ingranaggio che va' avanti finché non finisce la carica predeterminata.
Ma, seppure ciò che è meccanico faccia parte della vita, non la esaurisce però.
La storia di una vita con un senso sembra sembra raccontare la per difetto.
Come una storia che appena inizia è già finita, o, il che è lo stesso, come un meccanismo condannato a ripetersi sempre uguale. Una storia con un senso è una storia che, se non è ferma, gira su se stessa.
Paradossalmente la ricerca di un senso, il quale trovato bloccherebbe la storia, siccome invece non si trova, perciò allora vi è una storia da raccontare.
Concordo con iano. Se conoscessimo già il finale - come nelle escatologie religiose - la storia sarebbe già scritta e ci sarebbe solo da aspettare il suo compimento. Invece così è tutto più interessante - altro che vanità ! - perchè la storia la scrive e fornisce di senso ciascuno di noi, da solo o in gruppi piccoli e grandi, e il finale non lo conosce nessuno.
La storia umana non viaggia su binario unico nell'unico treno in cui sta raggruppata tutta l'umanità. La storia umana è sommatoria di storie parziali, incrocio di sentieri occasionali e gli attori, pirandellianamente, hanno perfino smesso di cercare l'autore e, non trovandolo, si sono rimboccati le maniche e si sono messi a recitare a soggetto.
Buonasera. D'accordo col fatto che non abbia molto senso parlare di storia umana. Se si cerca il senso della storia senza Dio, si dovrebbe desumerla immagino dal senso della storia riferendola al termine io. "Da dove viene il termine Dio?" chiede Iano. Evidentemente dall'io che l'ha prodotto. La storia umana di un individuo è una storia di ordini di attenzione verbalmente espressi più o meno permanenti generati da altri io, naturalmente in concomitanza con l'accadere di cose a cui l'io si riferisce quando genera qualcosa. Naturalmente non occorre che tutti capiscano quanto si è prodotto, occorre comunque un certo numero. Anche l'io di Parmenide generò qualcosa di assimilabile a una idea di Dio. E' però difficile sapere la quantità di credenza in Dio presente mediamente nell'individuo dell'anno mille. Quel che viene infine a mancare dalla scena odierna della storia di un superstizioso (mi rifiuto di credere che la mayoria dei credenti di oggi non appartenga a tale categoria) è il premio in cielo, e a cagion di questo, forse, chiedo, non riesce più a dare un senso alla morte e si getta nel nichilismo. Buona nottolata a questo punto
PS per JE: citandoti: "Nietzsche si era accorto del buco che la scomparsa del fondamento religioso avrebbe lasciato nella cultura europea e tentando di ideare un rimedio culturale per quando il tempo fosse venuto, aldilà di termini quasi markettari come oltreuomo, l'idea era buona: separare l'istinto razionale (causa finale) dall'istinto vitale (causa prima), il "pull" secondario dal "push" originario per cosi dire; comprendere che il primo viene dal secondo, e saperne ricavare nuove direzioni."
Aveva la vista lunga quel Nietsche ... dove si sarà mai arenato
Naturalmente rifiutando l'immagine ingenua e stereotipata del credente che avete, obietto che il cercare nella filigrana della storia la presenza del divino non toglie nulla alla scoperta, giorno per giorno, del divenire storico. Il credente semmai sente un compito più pressante del non credente: dare ragione della propria fede attraverso e malgrado il senso di vanità della storia umana che avverte. Leggere una eventuale storia nascosta che scorre assieme a quella ordinaria che tutti viviamo. Compito arduo perché l'inganno è sempre in agguato. L'inganno però gioca con ognuno di noi, credente o non. Il credente non conosce l'epilogo della storia, certo non più del non credente. L'unica differenza sta nelle fede in un autore e che questi sappia quello che fa. Riprendendo l'esempio del bambino che ascolta una storia, si dirà allora che il credente ha fiducia che ci sia un narratore che conosca l'epilogo. Attende allora la scoperta di questo epilogo. E questo è un atto di fede. La storia nel suo divenire allora lo interpella e vaglia la sua fede, perché è là, nella mancanza di senso, che può trovare o rifiutare il Dio/ autore, diventando così, con la sua scelta di ascoltare o meno, un custode oppure un imbrattatore del racconto. Frumento da granaio o pula.
Io non ne farei una questione di credenti e non credenti, in quanto credo che la fede sia a fondamento dell'uomo.
La differenza fra credenti e non credenti sta nel fatto che vi sono fedi esplicite e fedi non esplicite, di cui solo quelle non esplicite, in quanto non soggette al libero arbitrio, sono perciò condivise.
Riduco il tutto a un paradigma matematico.
Non puoi applicare alcuna ragione se non a partire da punti fermi quanto arbitrari.
Cioè, in quanto "umanità " , non possiamo che partire da una fede comune, che non conosciamo.
Dio è una ipotesi esplicita quanto indefinita, che si presta quindi ad ogni uso, perché quelle esplicite, sebbene potenzialmente condivisibili, finché restano esplicite, di fatto non lo saranno mai del tutto condivise.
Si prestano cioè potenzialmente a fare da trama per una storia comune, che in quanto tale sembrerebbero possedere un senso, ma di fatto il tutto non funziona mai.
Gli uomini condividono però delle cose, le quali giustificano parlare di una storia "dell'umanità ", ma non sono esplicite.
Se tutti percepiamo le stesse cose è perché vi sono fedi di fondo comuni, a partire dalle quali tutti giungiamo a "vedere le stesse cose" , tanto che ingannandoci crediamo quelle abbiano corrispondenza uno a uno con la realtà, se tutti le vediamo parimenti.
Queste fedi condivise mi fanno venire in mente la barzelletta di quei pazzi che ridevano quando uno di loro pronunciava un numero. Ma cosa succede se poi si dimentica a quale numero corrisponda quale barzelletta?
Dio è una ipotesi aperta a partire dalla quale ognuno trova il suo senso, e tutto ha funzionato bene, immagino, finché non si è inventata la scrittura con testi sacri a seguire.
Sono convinto infatti che ci sia stato un tempo in cui gli uomini, riuniti la sera attorno a un fuoco, erano capaci di trovare un senso alla vita, ma uno diverso per ogni sera.
Ogni mattina si rinasceva a una nuova vita con un nuovo senso.
Allora proviamo , come esempio, ad esplicitare una fede comune ad ogni uomo, che la vita sia una e non tante.
Ma sarà proprio vero?
Metti che siano tante e che ognuna abbia il suo diverso senso.
Così non vi sarebbe alcuna vita priva di senso.
Come volevasi dimostrare.😅
Ma Alexander, che senso ha cercare il senso della vita?
Per capirlo prova a rispondere alla seguente?
Se un giorno tutti gli uomini, in modo consapevole, condividessero un senso per la vita, allora quello sarebbe il senso della vita?
Non avremmo modo di dimostralo.
Ciò che avviene di fatto è che diversi gruppi di uomini , ognuno dei quali alla ricerca di un senso, condividano diversi sensi. Ogni senso determina un gruppo.
Se conveniamo di chiamare questi gruppi, umanità 1, umanità 2,..., umanità n, allora ogni umanità avrà il suo senso della vita.
Ciò ha senso, in quanto l'umanità è una astrazione, e possiamo quindi astrarne diverse in base a criteri arbitrari, come quello della condivisione di un senso della vita.
È la vita stessa come potremmo definirla?
Come ciò che ha un inizio e una fine?
Ma allora come faremmo a distinguere una fine che coincida con un inizio, ciò che di una vita ne fa tante?
Chiedersi quale sia il senso della vita per l'umanità ha senso nella misura in cui i termini in questione, vita è umanità, siano ben definiti. Ma ciò non è.
L'unica cosa sensata che mi sento di dire è che sia un senso condiviso a definire una "umanità " e se non c'è un unico senso condiviso allora ci sono tante umanità quanti sono i sensi.
Ma se diversi sensi della vita possono essere diversamente condivisi, allora il senso comune a tutti questi sensi è propriamente la condivisione.
Di fatto però , in questo modo, si tratterebbe solo di condividere le favole che raccontiamo a noi stessi. Anche questo mi sembra che contribuisca a far crescere il senso di vanità della/delle storie che ci raccontiamo. Che importanza può avere la favola che si raccontava il tagliapietre di Bisanzio nell'ottavo secolo ? Che importanza potrà avere quella che mi racconto, tra mille anni ? Nessuna. Con sgomento assumo questo vuoto in me, sapendo che è/ era il vuoto in ognuno, riempito solo di favole. Se non esiste Dio perché dovrei preferirne una ad un'altra? Solo perché qualcuna mi sembra simile, ma non ne sono certo, a quella che mi racconto anch'io ogni giorno? Per questo ripeto che si dovrebbe distinguere "senso della vita" da "senso della storia". Il primo è relativo e individuale, il secondo collettivo. E' la trama in cui si innesta il mio vivere soggettivo l'esistenza. Senza una trama non si può parlare di una storia con del senso. Ci sarà una storia, ma appunto priva di senso.
CitazioneChe importanza può avere la favola che si raccontava il tagliapietre di Bisanzio nell'ottavo secolo ? Che importanza potrà avere quella che mi racconto, tra mille anni ?
Molta o poca, ma comunque qualcuna.
Se la favola che ti racconti poi cambia il modo in cui agisci rispetto al non farlo, e questo cambia il modo in cui qualcun altro agisce, etc.
La favola di Bisanzio (chiunque sia) ti ha spinto a nominarla (anche se é solo un esempio), qualcuno potrebbe leggerla e venirne ispirato, cambiare azioni, influenzare altri a fare lo stesso, etc.
Il fatto che non sia determinabile non significa che sia anche non determinante.
Io penso che la tecnica non allontani l'uomo dalla natura, ma sia lo smarrimento dell'uomo nella realtà infinita e vasta della natura, natura che non è solo specie, ma cosmo, bioma, ecosistema, realtà dell'inorganico e universo, finanche probabilmente realtà degli universi-multiverso; la tecnica è dunque il perdersi dell'umano in ciò che non è più specie umana, ma è -comunque- ancora natura.
L'equivoco in cui molti cadono è che la tecnica non è innaturale, ma -solo- antispecifica rispetto alla specie umana geneticamente e animalmente intesa, insieme dei riconoscimenti e delle filiazioni ulteriori e interne alla specie, e quindi disgreganti, nello spazio e nel tempo,rispetto alla specie intesa come unità, ma a sua volta la natura non è -solo- specie, ma specie-più-altro, specie più mille altri aspetti, di modo che la tecnica "umana", e il suo fare-epoca, non è altro che un'ulteriore apofania della natura a se stessa e alla coscienza umana.
Insomma l'alienazione dalla specie, e quindi la realtà della tecnica, non è alienazione dalla natura, e quindi la natura non può essere ne l'età dell'oro da cui temporalmente ci si allontana, ne il totem alla cui ombra prosperare, ma sempre e comunque l'universo
pan-teistico di cui si è parte. Ed esserne parte vuol dire averne necessariamente una conoscenza parziale, avere una conoscenza parziale della natura o se vogliamo del deus sive natura, di modo che non è scontato dedurne, intendo dedurre dalla natura, i fondamenti di una qualsiasi etica, insomma ogni etica dei bisogni, cioè legata agli aspetti noti della natura, deve essere controbilanciata da un'etica dei desideri, cioè legata ai suoi aspetti ignoti, (desiderio del desiderio e attribuzione di libertà alla natura come Altro), perché ciò deriva direttamente dalla condizione della coscienza e della conoscenza di fare-parte del mondo senza esaurirlo, di modo che il mistero, la parte in ombra, può, e deve, essere attribuito alla natura stessa, e non a un dio come ipotetico fattore/creatore della natura.
Stando così la mia visione delle cose, la storia è il tempo stesso, non c'è differenza fondamentale e dicotomica tra tempo umano e tempo cosmico, come non ce né tra vivente e non vivente, tra organico ed inorganico; e il tempo non può avere un'epilogo, quale mai potrebbe essere l'epilogo del tempo?
Quale potrebbe essere l'epilogo di un tale immenso sistema di molteplicità non compresenti, o comunque non esperibili come compresenti?
Il suo epilogo potrebbe essere al massimo lo spazio come contenitore dell'eterno o della serie compresente, ma nello spazio ci siamo già, quindi dobbiamo "rassegnarci" a un senso della vita (e se vogliamo della storia) insieme vitalistico e minimale che corrisponda alla differenza che la vita (o la storia) fa nel tempo, all'avvento del presente come entità reale/illusoria tipica e propria della coscienza , che seppure non può essere divisiva dell'eternità e della continuità del tempo, può -forse- esserlo dell'eternità e della continuità del divenire, o, se vogliamo, lasciare traccia di noi nel mondo come spazio del prenascita e del post morte.
Noi non percepiamo ne organicamente ne scientificamente o tecnologicamente il tempo, percepiamo organicamente e strumentalmente il divenire, i rapporti e i mutamenti della cose nel tempo, e dunque rispetto a un piano di possibile realizzazione della nostra volontà e di uso etico della tecnica siamo "immersi" nell'elemento "naturale" giusto, e non in quello sbagliato, perché è nel divenire, (formato da una successione di stati diversi), e non nel tempo, (formato da una somma cumulativa infinita di stati uguali), che la volontà può realizzarsi; realizzarsi intendo, in mille modi, ma, per dirla nel modo più universale possibile segnando un "prima" e un "dopo" nel divenire e facendo la differenza (e notare che, essendo essa stessa sempre sempre volontà, e vivendo in un ineffabile presente, per fare questa differenza nel tempo deve aver voluto sia il futuro che il passato, deve aver voluto quello che in generale la attraversa nella sua potenziale dicotomia, smettere di volere qualcosa alle spalle nel segno della necessità e cominciare a volerne qualcun davanti agli occhi altra nel segno della libertà, quindi ne deriva un'etica di estrema responsabilità, e non di sola intenzione o individualismo consumistico o culto dell'innovazione in quanto tale: per smettere di volere, -qualunque cosa- bisogna prima aver voluto, accettare la propria responsabilità anche nel male e nella sofferenza, o perché nel male vi era in generale un errore, o perché nel male vi era in generale la difesa da un qualcosa di peggio).
Insomma ogni cosa, e ogni evento o innovazione, che si affaccia nel mondo abitato e percepibile dalla vita, è buona perché è in qualche, seppur remoto modo, oggetto di volontà, quantomeno manufatta o percepita da organi che hanno come scopo la vita e la sopravvivenza; ma il problema è che non ogni cosa e ogni evento esiste e trova forza e rapporti di forza per esistere, quindi era inevitabile che si passasse, storicamente, da una morale prescrittiva, che stabilisse cosa era in assoluto buono e cosa no, a una morale tecnica, che si occupasse esclusivamente di come realizzare in modo finito e intelligibile la volontà del volente stante il funzionamento della natura e le condizioni iniziali, insomma anche una volta sospeso ogni giudizio e accettata ogni volontà, le condizioni iniziali e le forze agenti nel mondo impongono un tipo di pensiero eudaimonisitco ed etico, che però tende a coincidere all'infinito con il pensiero tecnico e scientifico, insomma anche se tutta la storia nel suo complesso non finisce, coincide con il tempo stesso, e quindi non può più finire bene o male, le sue singole parti, le singole parti di divenire nel tempo, compresi noi che moriremo, finiscono eccome, e possono ben ancora finire bene o male rispetto ai loro singoli, più o meno consci e consapevoli, più o meno individuali o collettivi obbiettivi, e questo è il senso, residuale ma ragionevole, della vita e della storia secondo me.
Poco filosofico confondere storia e favola. La storia si scrive con la carne, la favola, con la fantasia.
CitazionePoco filosofico confondere storia e favola. La storia si scrive con la carne, la favola, con la fantasia.
Eppure, tra carne e fantasia il gioco a volte é molto stretto :)
CitazioneAveva la vista lunga quel Nietsche ... dove si sarà mai arenato
Purtroppo, a sentire gli storici, al bordello 8)
Citazione di: JE il 26 Ottobre 2021, 19:04:51 PM
CitazionePoco filosofico confondere storia e favola. La storia si scrive con la carne, la favola, con la fantasia.
Eppure, tra carne e fantasia il gioco a volte é molto stretto :)
Per quanto stretto, non al punto da superare lo schermo sottilissimo ma impenetrabile della realtà.
CitazionePer quanto stretto, non al punto da superare lo schermo sottilissimo ma impenetrabile della realtà.
Ma non ne ha alcun bisogno; non ne é mai uscita, ne é sempre stata all'interno :) Altrimenti non potrebbe nemmeno esistere!
Il primo libro di storia che mi regalarono in terza elementare si intitolava res gestae e trattava delle vicende di Roma antica. Fino allora mi avevano sempre regalato libri di favole e racconti per bambini. Compresi allora la differenza tra storia e favola, carne e immaginazione.
Imparai più tardi come sulle favole si possono costruire storie millenarie e come la storia può essere convertita in favola. Ma la distinzione ab origine tra storia e favola rimane. Dove c'è storia c'è sempre senso: il senso di chi ha vissuto quella storia.
CitazioneImparai più tardi come sulle favole si possono costruire storie millenarie e come la storia può essere convertita in favola. Ma la distinzione ab origine tra storia e favola rimane. Dove c'è storia c'è sempre senso: il senso di chi ha vissuto quella storia.
Per molti versi vale anche il contrario, della favola che diventa storia... Ma soprassederò! cito il punto per dire che anche la "storia" che conosciamo la conosciamo in quanto immaginata da noi come tale.
Ad ogni caso, la nostra esperienza della nostra fantasia, e il modo in cui esperienziamo/ne facciamo fare esperienza agli altri rimane nei limiti della realtà.
La realtà include tutto ciò che esiste, per cui anche le forme dell'immaginazione, condivisa o meno. E, come tutte le sue parti, ha potere oltre i limiti che noi vorremmo porgli per la via razionale.
Ad esempio un incubo di venire preso e ergastolato potrebbe fermare un tentato omicidio prima che avvenga; una giusta immagine nella mente di un ladro potrebbe rendere una rapina un successo; ed una storia scritta ad hoc potrebbe far ragionare diversamente un giovane, che agendo diversamente agirà sulla storia diversamente.
Alexander ha sottolineato la necessità di distinguere il racconto della propria vicenda privata dalla storia collettiva. Ciò che manca non sono le favole con cui intrattenersi nello spazio privato o attraverso cui decifrare i fatti della propria vita. Ciò che manca è un senso da assegnare all'avventura collettiva, che pretende verità, oggettività, universalità.
La valorizzazione (parziale) del racconto che incide solo sul privato può essere fatta solo dopo l'ammissione della perdita del senso di ciò che è comune. Cioè la fine non solo della religione ma anche della politica, con tutto ciò che ne consegue in materia di asservimento alle forze dominanti.
Il segreto dell'occidentale che non solo riesce a fare un po' di filosofia senza concludere nel suicidio, ma che sembra a tutti gli effetti sereno, allegro, appassionato, è l'attaccamento alle sue proprietà, al suo benessere, alle sue abitudini che 100 anni fa sarebbero state definite con disprezzo "borghesi".
Non si tratta affatto di un oltre-uomo, di un soggetto che è stato capace di trovare un senso al di là della debolezza del riferimento alla trascendenza, ma di un individuo il cui senso immanente è veramente poca cosa. Una creatura identica all'essere umano disegnato dal liberalismo classico: esclusivamente mosso dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita e di ottenere un minimo riconoscimento sociale. Questo è il giocatore.
E il gioco non sarebbe vano?
Potenza e atto, condizionale e indicativo, sono separati comunque da quel fatale diaframma del segno, che soltanto l'atto ha il potere di incidere nella realtà consegnandolo alla storia che viene in tal modo signi-ficata.
Spetta poi alla sensibilità dei sapienti liberarne il significato, così come un musicista ha accesso ai significati di una composizione preclusi al profano.
Il concetto di "vanità" è assai labile e soggettivo. Ciascuno lo applica ai valori dell'altro senza vederlo nei propri. Anche la modernità ha le sue favole (successo) e la sua teologia (mercato, capitale) coi suoi sacerdoti (influencer, esperti, politici). Valori collettivamente perseguiti, non più "vani" della fede antica.
Citazione di: Kobayashi il 27 Ottobre 2021, 08:51:07 AM
Il segreto dell'occidentale che non solo riesce a fare un po' di filosofia senza concludere nel suicidio, ma che sembra a tutti gli effetti sereno, allegro, appassionato, è l'attaccamento alle sue proprietà, al suo benessere, alle sue abitudini che 100 anni fa sarebbero state definite con disprezzo "borghesi".
Non si tratta affatto di un oltre-uomo, di un soggetto che è stato capace di trovare un senso al di là della debolezza del riferimento alla trascendenza, ma di un individuo il cui senso immanente è veramente poca cosa. Una creatura identica all'essere umano disegnato dal liberalismo classico: esclusivamente mosso dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita e di ottenere un minimo riconoscimento sociale. Questo è il giocatore.
E il gioco non sarebbe vano?
Il segreto è stato rivelato da Nietzsche nello Zarathustra quando racconta la morte del funambolo antico ucciso dal funambolo moderno. La folla esultante per il nuovo nume non è affatto assimilabile all'oltreuomo, bensì all'
ultimo uomo, il lobotomizzato finale dalla favola (capitalistica) della modernità borghese, volgare e in-significante. Tant'è che Zarathustra si assume pure il fardello del nume disarcionato, fino a pietosa sepoltura nella madre terra.
Citazione di: Alexander il 26 Ottobre 2021, 01:01:53 AM
Naturalmente rifiutando l'immagine ingenua e stereotipata del credente che avete, obietto che il cercare nella filigrana della storia la presenza del divino non toglie nulla alla scoperta, giorno per giorno, del divenire storico. Il credente semmai sente un compito più pressante del non credente: dare ragione della propria fede attraverso e malgrado il senso di vanità della storia umana che avverte. Leggere una eventuale storia nascosta che scorre assieme a quella ordinaria che tutti viviamo. Compito arduo perché l'inganno è sempre in agguato. L'inganno però gioca con ognuno di noi, credente o non. Il credente non conosce l'epilogo della storia, certo non più del non credente. L'unica differenza sta nelle fede in un autore e che questi sappia quello che fa. Riprendendo l'esempio del bambino che ascolta una storia, si dirà allora che il credente ha fiducia che ci sia un narratore che conosca l'epilogo. Attende allora la scoperta di questo epilogo. E questo è un atto di fede. La storia nel suo divenire allora lo interpella e vaglia la sua fede, perché è là, nella mancanza di senso, che può trovare o rifiutare il Dio/ autore, diventando così, con la sua scelta di ascoltare o meno, un custode oppure un imbrattatore del racconto. Frumento da granaio o pula.
Buongiorno a tutti: estraggo due parti di discorsi sentitiIpazia:"Il concetto di "vanità" è assai labile e soggettivo. Ciascuno lo applica ai valori dell'altro senza vederlo nei propri."Kobayashy: "Alexander ha sottolineato la necessità di distinguere il racconto della propria vicenda privata dalla storia collettiva. Ciò che manca non sono le favole con cui intrattenersi nello spazio privato o attraverso cui decifrare i fatti della propria vita. Ciò che manca è un senso da assegnare all'avventura collettiva, che pretende verità, oggettività, universalità."Chiedo perdono Alexander, comunque ho detto che la maggior parte dei credenti sarebbero per me dei superstiziosi, non tutti i credenti. D'altra parte ci sarà pur un motivo per cui si dice che Dio è morto. Vanità? A cosa debba riferirsi il senso di vanità di cui narra Calvino? La mia sensazione, ovvero la mia opinione, è che morto un Dio se ne farà un altro, anzi, si fa da sè. Come può essere che Dio sia morto? E' morto poiché è arrivata pian pianino la ola dello spirito ateo. Sappiamo da dove e da quanto tempo è partita questa marea, almeno in occidente. L'io non vuole più Dio e comincia a spingere e lo fa sempre più, con una forza simile a quella fatta a suo tempo dall'idea di Dio, ma in tempi più brevi se vediamo la cosa rispetto all'idea generale di un culto all'oltre vita. Vedi qualche nuovo Dio all'orizzonte? Dovrebbe esserci in giro da qualche parte. Lì sta il nuovo Dio e lì dovrebbe evidenziarsi l'epilogo della storia umana. Forse Calvino rappresentò nel suo personaggio il senso di vanità riferendosi all'inefficacia dell'agire umano per uscire dal cerchio degli dei. Questa sfida (intellettuale), se uno ci crede e sempre ammessa l'esistenza di qualche candidato a Dio in giro per le strade, potrebbe pure costituire un dar senso alla vita.Finché scrivevo Ipazia ha prodotto un post su Nietzche, che purtroppo non conosco
Onestamente non capisco una questione di fondo, l'intera questione della "morte di Dio" è praticamente unanimamente rappresentata come la morte di un padre, ma la morte del padre fisico è certamente una tragedia che può mandare in confusione i figli per periodi più o meno lunghi, ma con il passare del tempo non solo arriva l'accettazione, ma anche forse l'amara realizzazione che si trattava di un evento necessario alla propria crescita,, che và interpretato non rifuggito, perche è solo la nostra fine del mondo come "figli" e apre ora la strada ad un nuovo mondo. Non era Dio quello che quando chiudeva una porta, apriva una finestra?
Alexander dice che i suoi bambini scalpitano per conoscere l'epilogo.. le persone mature normalmente godono l'attesa dell'epilogo, anzi penso che uno degli atti masochistici più comici sarebbe quello di andare a leggere l'epilogo di un libro prima di iniziarlo. La bellezza ci riporta ad essere bambini, porta i nostri occhi a meravigliarci ancora, per chi sa ancora meravigliarsi il mondo è pieno di epilog-hi perchè la nostra innata fantasia si innesca, e con essa il nostro mondo è salvato.
Citazione di: Kobayashi il 27 Ottobre 2021, 08:51:07 AM
Alexander ha sottolineato la necessità di distinguere il racconto della propria vicenda privata dalla storia collettiva. Ciò che manca non sono le favole con cui intrattenersi nello spazio privato o attraverso cui decifrare i fatti della propria vita. Ciò che manca è un senso da assegnare all'avventura collettiva, che pretende verità, oggettività, universalità.
La valorizzazione (parziale) del racconto che incide solo sul privato può essere fatta solo dopo l'ammissione della perdita del senso di ciò che è comune. Cioè la fine non solo della religione ma anche della politica, con tutto ciò che ne consegue in materia di asservimento alle forze dominanti.
Il segreto dell'occidentale che non solo riesce a fare un po' di filosofia senza concludere nel suicidio, ma che sembra a tutti gli effetti sereno, allegro, appassionato, è l'attaccamento alle sue proprietà, al suo benessere, alle sue abitudini che 100 anni fa sarebbero state definite con disprezzo "borghesi".
Non si tratta affatto di un oltre-uomo, di un soggetto che è stato capace di trovare un senso al di là della debolezza del riferimento alla trascendenza, ma di un individuo il cui senso immanente è veramente poca cosa. Una creatura identica all'essere umano disegnato dal liberalismo classico: esclusivamente mosso dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita e di ottenere un minimo riconoscimento sociale. Questo è il giocatore.
E il gioco non sarebbe vano?
Mi pare si voglia dire che nel passaggio da individuo a collettività vi sia una dispersione di senso, senso che sembra quindi proporzionale alla possibilità certa di individuazione del soggetto.
Ma fino a che punto la nostra capacità di percepire individualità , cosa in se' relativa, si può assumere a discrimine nel determinare cosa sia individuale e cosa collettivo?
La scienza ci suggerisce oggi che ogni individuo è in effetti una collettività.
Una storia , per essere raccontata, pretende di avere dei protagonisti ben delineati , ammettendo forzature allo scopo.
Così si dice che Newton ha fatto un opera geniale, ma quell'opera andrebbe raccontata, se fosse facile farlo, come artificio di una collettività umana.
Il problema nel raccontare la storia come si dovrebbe, è che non è possibile attribuire azioni consapevoli alla collettività, mentre là si può attribuire a un prestanome che si presti come soggetto ben definito della storia da raccontare.
Si finge un soggetto , Newton, per poter raccontare la storia della gravitazione universale.
Senza voler togliere nulla a Newton, ma per poter raccontare una storia molto si deve togliere e semplificare, riducendo la collettività operosa ad un emblema.
È la collettività ad operare, ma non è consapevole di farlo.
Questa mancanza di consapevolezza impedisce alla collettività di essere indicata come il soggetto della storia.
Alla collettività possono essere attribuite solo azioni insensate, e non è con quelle che si può scrivere una storia sensata, il cui senso però diventa necessariamente forzato, riducendo la storia, che è sempre storia collettiva che si svolge continuamente,, a una storia di poche date e pochi nomi da mandare a memoria.
La coscienza è individuale, ma ogni individuo lo si può vedere come una collettività .
Quindi in questo quadro cosa è la coscienza intesa come procacciatrice di senso?
Se l'umanità, intesa come individuo, ha perciò una coscienza, noi non possiamo accedervi, seppure là determiamo.
Ma se essa, l'umanità, in quanto dotata di coscienza, produca un senso, non siamo noi individui a darglielo.
Naturalmente i miei sono discorsi non poco cervellotici, se non proprio confusi, ma vogliono mettere in luce quanto sia fuori luogo trarre da essi, una volta rivelato il carattere relativo dei soggetti del discorso, motivi di frustrazione e depressione.
Diciamo pure che la cosa sfiora il ridicolo, così io la chiuderei con una salutare risata.
Lo scoraggiamento e la depressione possibili sono sempre proporzionali alla importanza che ci diamo.
Quando le aspettative su di noi sono troppo alte allora non possono che andare deluse.
Vi sono epoche più fortunate in cui una coscienza collettiva appare e fa la storia. Altre più decadenti in cui si elabora il lutto degli dei (de)caduti o, meno saggiamente, come fece Giovanna detta la pazza col feretro del marito, li si porta in giro ovunque sperando in una improbabile resurrezione, mentre si ammorba l'aria circostante.
Questa è un'epoca parimenti necrofila che ha ridotto gli individui a cavie per esperimenti biotecnologici e sociali, simulando coscienze collettive da zombie mediatici, da cui è meglio stare alla larga, attingendo alle risorse di storie collettive e individuali più sane.
In attesa che passi la nottata.
Ma, se una collettività possiede una coscienza, per quanto sembri una idea pazzoide, e per quanto io stesso l'ho proposta, questa non appare e scompare, e sopratutto gli individui che compongono la collettività non vi hanno accesso.
Così come non hanno accesso alla nostra coscienza gli individui, le cellule di cui siamo fatti.
Perciò quelle cellule lamenterebbero una vanità, una mancanza di senso, se potessero?
Chi può dire che le cellule non abbiano la loro coscienza, già che siamo in vena di stramberie?
Anzi, sarebbe ragionevole attribuire coscienza ad ogni essere vivente, ma in diverso grado, con l'accortezza però di non mettere su un piedistallo chi più ne ha, non foss'altro perché chi poca ne ha , beato lui, sente poca o nulla vanità .
Ma se il senso di vanità è proporzionale alla coscienza posseduta, essendo in noi in aumento, allora si capisce da dove nasce la crisi di senso.
Forse il problema non è una mancanza di senso relativa alla collettività , ma ad una ridefinizione individuale per causa di incremento di coscienza.
Non siamo fatti noi esseri viventi di "tutta coscienza", ma in parte variabile, da quasi nulla a quasi troppa.
Non credo che averne o non averne sia un merito on demerito, e il problema non è quanta ne abbiamo, ma come varia.
Magari abbiamo solo un problema di assestamento e di ristrutturazione dell'io individuale.
Sarebbe saggio credo parlare di individualità e collettività come concetti relativamente intercambiabili.
Un insieme variabile di elementi, essendo l'insieme , esso stesso , elemento.
Buongiorno a tutti
Mi sembra che la state facendo un po' troppo complicata. Il mio era un discorso più terra-terra, che partiva dalla premessa che intendevo il termine "senso" nell'accezione di scopo, significato:
A - Ho fede nell'esistenza di Dio= la storia umana ha un senso, che non conosco, e questo genera un sentimento di vanità, ma che conosce Dio e questo le conferisce un senso.
B- Non credo in Dio= la storia umana scorre senza un senso, che qualcuno mi possa dimostrare che esista, e questo genera un sentimento di vanità.
Il discrimine è la fede in Dio, che non mi salva dal sentimento di vanità della storia collettiva umana.
Questa era la tesi.
Il senso delle storie individuali che ognuno cerca in sè o nelle relazioni è del tutto relativo, non può conferire senso oggettivo alla storia collettiva.
L'unica cosa che può conferire un senso oggettivo è solamente l'eventuale presenza di un Autore.
A meno che qualcuno non dimostri l'esistenza di un senso in mancanza di un autore della storia.State facendo molte ipotesi interessanti, ma non dimostrate nulla.Potrebbe essere il tempo, il divenire, l'evoluzione , le relazioni, la condivisione, ecc. Tutto evanescente. Appena mi soffermo ad osservarle attentamente, ecco il senso di vanità. Eventualmente, se sono un credente in Dio, solo un "retrogusto" un po' dolce, ma anche amaro, si agita dentro quel senso che mi opprime. Non posso nemmeno dimostrare l'esistenza di Dio, ho solo fede in un autore del racconto. Fede che, come tutti i sentimenti, va e viene. Così ho solo questo gusto un po' dolce a volte, ma più spesso amaro.
Il problema Alexander consiste anche nella trama della storia. Una trama caotica, se si vuole credere in Dio e contemporaneamente alle scoperte della paleontologia e dell'astrofisica. Infatti che senso avrebbe far dominare la vita a semplici batteri per diversi miliardi di anni, poi creare i crotosauri, che si estinguono quasi completamente e vengono sostituiti da altre forme di vita, fino all'avvento dei dinosauri, anche loro estinti per via dell'impatto di un meteorite sullo Yucatàn. Vi sono state in tutto cinque o sei estinzioni di massa sulla terra e già questa circostanza rende dubbia l'arca di Noè. I dinosauri sopravvissuti evolvono in uccelli e da piccoli roditori evolve l'uomo. La vita sulla terra è stata resa possibile da un impatto iniziale con un altro pianeta, Theia, i cui resti hanno formato la luna. L'acqua, indispensabile alla vita, è giunta attraverso il bombardamento iniziale di meteoriti. Per qualche milione di anni la terra è stata ricoperta completamente da centinaia di metri di ghiaccio, in epoche differenti scorreva la lava a fiumi. Se c'è un architetto autore di tutto ciò, ha scelto un tipo di architettura che potremmo definire "quantistico/caotica".
Pertanto il " discrimine" è abbandonare ogni tesi consolatoria e affrontare la realtà, per la quale sono stati trovati molti " sensi" possibili, uno dei quali è proprio la "ricerca" della verità, passando da Ulisse, fino a Galilei e Freud, anche quando la verità fa male. Parafrasando Voltaire, il senso della vita sta nella cura che ognuno di noi deve dedicare al proprio giardino.
Io non penso che credere in Dio sia una tesi consolatoria. La fede punge parecchio e proprio di fronte alle scoperte scientifiche chiede un salto nel vuoto non indifferente. E' quasi più consolatorio pensare che possa trovare un senso soddisfacente alla mia vita nella cura del mio orticello privato. Non mi chiede molto, in fin dei conti, la cura del mio giardino. Ultimamente significa abbandonarsi alla corrente, al senso comune. Cosa che non richiede molta fatica intellettuale, né molta catarsi individuale. Rinuncia a prendere in considerazione quel che senti e provi e abbandonati nelle braccia della Madre Scienza, che ha tutte le risposte. Se non ci sono domande esistenziali,se rinunciamo a farcele perché ci dicono che è un'attitudine superata, non è necessario nemmeno trovare delle risposte. Una risposta necessita sempre di una domanda. Purtroppo le domande sorgono lo stesso, anche se cerchi di reprimerle perché ti dicono che sono superate. Sono là. Il senso della vanità della storia umana si prova lo stesso, anche se ti dicono che è superato provarlo. Anzi, forse più te lo dicono e più ti sembra pungente. :)
Alexander. In realtà è la religione, sopratutto quelle della tradizione monoteistica a pensare di avere tutte le risposte. La scienza non è madre, è un metodo, il cui primo principio è proprio di non sapere nulla. Che il senso comune sia scientifico è tutto da dimostrare e, dal mio punto di vista, sarebbe un grande passo avanti per l'umanità. Pensare scientificamente non significa non poter godere di un tramonto o di chiedersi spiritualmente il senso della vita. La scienza, a differenza delle religioni (soprattutto le monoteistiche) non si arroga la presunzione di avere una risposta ad ogni quesito. Se vuole rispondere ad una domanda, cerca di rispondere con delle prove "reali" e non con " tradizioni tramandate".
Infine, la cura del proprio giardino ha un significato non solo individualista in Voltaire, ma un senso collettivo. Banalmente se io guardo un giardino ben curato da qualcun altro, ne trarrò giovamento io stesso, estemporaneo osservatore di quel giardino.
In verità, Jacopus, il mio non era un quesito sulla bontà o meno dell'essere una persona religiosa, ma sul significato della storia umana in assenza di un autore della stessa. E' una cosa diversa. Dopo aver premesso che lo sgomento di fronte alla storia umana lo può provare il credente come il non credente, concludo che, secondo me,senza un autore, la storia umana esiste, ma è priva di senso oggettivo. Avrà forse un senso soggettivo (l'esperienza che ne ho, che può essere o no gratificante per il singolo, o in parte gratificante e in parte non gratificante), ma chi/cosa infonde un significato non soggettivo? Dobbiamo concludere che è priva di un senso che non sia meramente soggettivo?
Alla tua ultima domanda rispondo sinteticamente: "l'intersoggettivitá". Ognuno di noi è se stesso fino ad un certo punto. Solo riscoprendo il significato della parola " fratellanza" in senso laico, è possibile dare un senso all'esistenza umana, senza cadere addosso alla Scilla oscurantista delle religioni e neppure verso la Cariddi del pensiero individualista tardocapitalistico. Questo è ciò che penso.
La fratellanza è il cuore del messaggio evangelico. Penso che proprio l'abbandono di questo ideale (anche storicamente da parte degli stessi cristiani) abbia dato una forza ormai incontrastata al "pensiero individualista tardocapitalista". Il senso di vanità della storia emerge anche dall'infedeltà e dal tradimento di questa aspirazione, purtroppo.
Citazione di: Alexander il 28 Ottobre 2021, 08:30:22 AM
L'unica cosa che può conferire un senso oggettivo è solamente l'eventuale presenza di un Autore.
A meno che qualcuno non dimostri l'esistenza di un senso in mancanza di un autore della storia.State facendo molte ipotesi interessanti, ma non dimostrate nulla.
Ci vuole dunque un Autore, o è sufficiente un autore?
Perché una collettività non può assumersi come autore?
Cosa gli manca per esserlo?
Che ci sia un senso di vanità, concordo.
Ma quale sarebbe il suo contrario?
Se il suo contrario fosse dato andrebbe tutto a posto?
Oppure avremmo conseguenze parimenti indesiderabili?
Buon pomeriggio Iano
Mia mamma diceva che non bastano tante fragole per fare una marmellata. Infatti aveva ragione: ci doveva mettere del suo. Una compagnia teatrale che recita sul palco priva di copione, ognuno per conto suo, riesce a fare un'opera con del senso (anche se esperimenti in tal senso sono stati fatti)? Alla fine il pubblico sentirà solo la voce più potente, che sovrasta le altre, o noterà l'attore più vistoso. La storia umana mi pare così: una recita senza copione, se non l'ha scritto nessuno. Uno studioso, non ricordo chi, diceva che la storia umana in definitiva è solo la storia del potere. Non esiste la storia umana, sosteneva, ma solo la storia di come nel divenire il potere di un uomo sull'altro abbia preso sempre nuove forme e sembianze. Può essere anch'essa una chiave di lettura.
Temo che il contrario del senso di vanità non sia un senso di pienezza, o di senso. Non credo che, per il solo fatto di avere fede in Dio, miracolosamente scompaia lo sgomento e il senso di vanità. Questo mi sembra piuttosto una cosa inerente la vita stessa. O che l'Autore l'abbia voluta così, forse per cercarlo . Come cercare di mettere insieme tanti frammenti. L'unica differenza tra lo sgomento del credente e quello del non credente è forse che, il primo, ha ancora un briciolo di speranza.
Penso che non tutti provino questo senso di vanità, osservando la storia umana. Forse lo proviamo solo io e il personaggio di Calvino, non so. Sicuramente la maggior parte non ci sta tanto a pensare. Non ho certezze al riguardo. :-\
Trovo che Dio non abbia alcun senso. Se esistesse sono sicuro che il suo senso della vita non sarebbe il mio.
La speranza non dipende da Dio, ma è Dio che dipende dalla speranza.
Che la vita in generale non abbia un senso non mi procura angoscia o sgomento, semmai un senso di libertà, di meraviglia e di curiosità.
Citazione di: Alexander il 28 Ottobre 2021, 15:11:11 PM
Buon pomeriggio Iano
Mia mamma diceva che non bastano tante fragole per fare una marmellata. Infatti aveva ragione: ci doveva mettere del suo. Una compagnia teatrale che recita sul palco priva di copione, ognuno per conto suo, riesce a fare un'opera con del senso (anche se esperimenti in tal senso sono stati fatti)? Alla fine il pubblico sentirà solo la voce più potente, che sovrasta le altre, o noterà l'attore più vistoso. La storia umana mi pare così: una recita senza copione, se non l'ha scritto nessuno. Uno studioso, non ricordo chi, diceva che la storia umana in definitiva è solo la storia del potere. Non esiste la storia umana, sosteneva, ma solo la storia di come nel divenire il potere di un uomo sull'altro abbia preso sempre nuove forme e sembianze. Può essere anch'essa una chiave di lettura.
Temo che il contrario del senso di vanità non sia un senso di pienezza, o di senso. Non credo che, per il solo fatto di avere fede in Dio, miracolosamente scompaia lo sgomento e il senso di vanità. Questo mi sembra piuttosto una cosa inerente la vita stessa. O che l'Autore l'abbia voluta così, forse per cercarlo . Come cercare di mettere insieme tanti frammenti. L'unica differenza tra lo sgomento del credente e quello del non credente è forse che, il primo, ha ancora un briciolo di speranza.
Penso che non tutti provino questo senso di vanità, osservando la storia umana. Forse lo proviamo solo io e il personaggio di Calvino, non so. Sicuramente la maggior parte non ci sta tanto a pensare. Non ho certezze al riguardo. :-\
Ho capito.
Sicuramente la maggior parte di noi non ci sta tanto a pensare, ma più in generale direi
che c'è sempre una parte di ognuno noi che non ci sta a pensare.Una parte di noi che recita ,replicandolo in continuo, un copione già scritto, ma di cui non siamo consapevoli.
Inconsapevoli nel farlo, come un automa, almeno per quella parte di noi.
Il senso di vanità è strettamente legato alla consapevolezza.
Se tu anche vivessi in una società dove da sempre la norma è la reciproca sopraffazione, vivresti ciò come la normalità senza starci a pensare troppo su.
Solo osservando da fuori quella società, si può notare quella norma comportamentale, e ragionare su quanto possa essere insensata e faticosa e stressante la sua applicazione.
Non sembra un comportamento sensato, ma lo si nota solo osservando da fuori.
Chi applica la norma comportamentale dal di dentro non fa' e non sente fatica alcuna.
Non rileva alcun problema di vanità e di mancanza di senso, perché non è consapevole del suo comportamento.
Ma, nel momento in cui accidentalmente dovesse prendere coscienza di quel comportamento, tornando magari dopo una lunga vacanza in cui ha preso abitudine ad usi diversi, si renderà conto allora che quella convenzione comportamentale è come una gabbia in cui egli si sentirà adesso costretto, come chi per campare è costretto a recitare lo stesso copione all'infinito. E immancabilmente si chiederà che senso possa avere tutto ciò.
Sebbene sia un copione non sembra avere un senso, anche perché nessuno lo ha scritto , ma tutti lo recitano senza saperlo.
Se un copione è scritto da qualcuno non tutti lo reciteranno, per il motivo che ha un senso non da tutti condiviso.
Se noi fossimo dei perfetti automi vivremmo una vita piena, priva di vanità, piena di inconsapevolezza, inconsapevolezza che gli asceti orientali chiamano anche illuminazione.
Il senso di vanità che nasce dalla presa di coscienza dei propri comportamenti individuali all'interno di una storia collettiva, richiede di essere colmato da un copione che tutti alla fine reciteranno senza chiedersi più il perché, perdendone memoria.
Essendo noi un mix di consapevolezza e inconsapevolezza proveremo sempre un relativo senso di vanità.
Noi siamo usi esaltare la consapevolezza e la coscienza, ma non ci rendiamo conto di quanta energia esse consumino.
Un consumo energetico insostenibile, se non fosse che col tempo ci trasformiamo in parte in automi, che fanno le cose senza più pensare. Senza consapevolezza, privi di senso di vanità.
Citazione di: Alexander il 28 Ottobre 2021, 08:30:22 AM
L'unica cosa che può conferire un senso oggettivo è solamente l'eventuale presenza di un Autore.
A meno che qualcuno non dimostri l'esistenza di un senso in mancanza di un autore della storia.State facendo molte ipotesi interessanti, ma non dimostrate nulla.
L'unico autore degno di questo nome è l'evoluzione naturale, con la sua legge e le sue modalità operative. Il rispetto delle quali e l'intelligenza adattativa sono tutto il senso che possiamo ottenere e desiderare.
Nella sua aureferenzialità la natura si dimostra senza residuo di dubbio alcuno. Tant'è che anche gli iperuranici più ragionevoli si guardano bene dal violare il suo nomos. Dei meno ragionevoli: "Fama di loro il mondo esser non lassa".
Paradossalmente, anche il sentimento della vanità è un sentimento, positivo e tetico come tutti gli altri sentimenti, quindi non può avere fino in fondo la vanità per oggetto, ma sempre altro.
La paura della vanità è sempre un'angoscia, si ha paura di quello che c'è oltre la vanità, di quello di cui la vanità è simbolo o finanche dell'opposto della vanità (del pieno schiacciante che nega ogni vera libertà e ad ogni scelta fa corrispondere infinite rinunce); così come nella vita si può fuggire o ricercare il nulla (tendenzialmente osservo che chi è felice vuole nulla, chi è lanciato e tutto assorto in un ideale o in un progetto è in fuga dal nulla, chi è ignavo, conformista o indifferente è molto più vicino al nulla di quanto creda) ma non si può veramente provarlo o sentirlo, il nulla, per questo ogni vita ha un senso: puoi avere una posizione e una direzione relativa rispetto al sentimento di vanità, una emozione scaturente dal sentimento, che al limite ti porta a volere o non volere la mentalizzazione del sentimento, ma non puoi veramente provarlo.
Dunque sei tu che decidi della verità del sentimento della vanità, come di tutti gli altri tuoi sentimenti, ma decidere della verità del sentimento della vanità vuol dire decidere che l'essere attuale e contingente possa essere completato e superato dal divenire, o viceversa che sia possibile per la parte sensiente perdersi misticamente nel tutto, entrambi sentimenti che se presi nello spirito "giusto" possono dare esaltazione e felicità; a volte è decidere della falsità del sentimento della vanità, che può fa sentire il peso schiacciante del mondo...
Citazione di: Ipazia il 28 Ottobre 2021, 20:10:58 PM
Citazione di: Alexander il 28 Ottobre 2021, 08:30:22 AM
L'unica cosa che può conferire un senso oggettivo è solamente l'eventuale presenza di un Autore.
A meno che qualcuno non dimostri l'esistenza di un senso in mancanza di un autore della storia.State facendo molte ipotesi interessanti, ma non dimostrate nulla.
L'unico autore degno di questo nome è l'evoluzione naturale, con la sua legge e le sue modalità operative. Il rispetto delle quali e l'intelligenza adattativa sono tutto il senso che possiamo ottenere e desiderare.
Nella sua aureferenzialità la natura si dimostra senza residuo di dubbio alcuno. Tant'è che anche gli iperuranici più ragionevoli si guardano bene dal violare il suo nomos. Dei meno ragionevoli: "Fama di loro il mondo esser non lassa".
Concordo.
Tutto ciò che possiamo ottenere, ma non tutto ciò che possiamo desiderare, a quanto pare, e questo desiderio, questa mancanza inappagata, entra pure essa nei meccanismi evolutivi, ma su questo credo Darwin non ci dica nulla, su quanto pesi la coscienza.
Gli effetti di questa vacuità dipendono però dalle condizioni della nostra vita.
Se ci si è abbandonati ad un tran tran di comodo, per quieto vivere, siamo nella condizione più sfavorevole.
Se invece si dà e si riceve amore sincero, dal proprio partner, dai propri fratelli, dal proprio cane o dal proprio gatto, allora chiunque e' ben disposto a mettere da parte il senso di vacuità , che però è sempre lì ad attenderci.
Se siamo riusciti a fare del bene disinteressato verso almeno una persona , ci sembra che la nostra vita non sia stata inutile, abbia avuto un senso. Chissà perché, però è così .
Non lo sappiamo, perché, se anche la coscienza ha un peso notevole per noi, non siamo fatti di sola coscienza.
Però quella parte di noi inconsapevole, che non esprime desideri, pur avendone, quando viene soddisfatta noi ce ne accorgiamo bene.
Possedere il privilegio di una spiccata coscienza richiede contropartite, e anzi non è neanche un privilegio.
È comunque uno dei meccanismi dell'evoluzione di cui non possediamo l'esclusiva.
La materia organica si distingue da quella inorganica, perché non si limita a seguire le leggi della fisica, ma si proietta oltre, fuori dalle curve descritte dalle equazioni.
Si percepisce, quando si percepisce, una vanità in tutto ciò, inutile negarlo.
Ma il copione è stato scritto solo per la materia inorganica.
Un anima pia che dopo un corretto percorso, secondo quanto deciso da un autore , approda in paradiso, non è diversa da una palla da biliardo che vada in buca secondo il copione scritto delle leggi fisiche.
Ciao Alexander, ti avevo citato con risposta ancora qualche giorno fa, o non hai letto, o non hai ritenuto influente la mia opinione. Te ne offro un'altra. Il senso della vita collettivo sta nelle produzioni linguistiche umane (Letteratura, poesia, testi sacri, filosofici, scientifici, spettacoli televisivi etc). Quello individuale nel poter campare meglio che si può. Le due cose si compenetrano ineluttabilmente. Dai più valore alle produzioni linguistiche nelle tue scelte di vita interiore o dai più valore alla tua esperienza? Personalmente non ho fede in Dio, ma nemmeno nell'ateismo. Per me il senso della vita è quello di contenermi nel rispetto di ciò che è altro da me, senza però mortificarmi. Pertanto la ricerca di un'umiltà non ideologica è il mio senso della vita. Ma è solo una mia scelta mediata tra l'esperienza personale e l'analisi (limitata per forza di cose) delle produzioni linguistiche
Buongiorno Daniele22
In realtà avevo letto il tuo post. Spesso cerco di condensare in un unico post vari spunti che provengono da interventi diversi, per esigenze di tempo.
Apprezzo anch'io " la ricerca di un'umiltà non ideologica "
Il senso di vanità sarebbe quindi naturale. Ossia: la natura , osservando se stessa, prova spesso un senso di vanità, ovvero una mancanza di senso. Il senso di vanità però , il personaggio di Calvino, lo prova per la storia umana, non tanto per la vita in sè, nella quale ognuno cerca il proprio senso e magari può trovarlo nelle cose più disparate che ad altri possono non interessare affatto.Su Aforismi.it ti danno cinquanta sensi della vita diversi, opinioni illustri di "chi sa", per ogni gusto personale. Posso sentire la vita piena di senso per molte cose a cui sono interessato. Un senso volatile perché, appena passa l'interesse, o mi viene a noia, o viene a mancarmi, necessariamente devo cercarne un altro . In questo caso si potrebbe dire che il senso della vita sta nella capacità di attaccarsi alle cose e trovarci/immaginarci un senso. Ma trovare un senso alla storia umana e attaccarcisi non mi pare così semplice e naturale. Dire che il senso si trova nell'evoluzione naturale sembra quasi come dire che il senso di placare la sete sta nel bere. Rischiamo di confondere meccanismo con significato. In altre parole un insegnante che racconta la storia agli alunni non si riduce semplicemente ad uno che parla e tanti che ascoltano. Il significato sta nel trasmettere delle nozioni e stimolare un interesse per il loro significato.E' un esempio. Il significato non si trova quindi nel semplice meccanismo, anche se ne dipende. Se provo allora un sentimento di mancanza di senso, osservando la storia umana in generale, è dovuto alla difficoltà o all'incapacità di trovare questo significato.
Mi sembra che l'esigenza sentita da molti di dare un significato ultimo al divenire degli eventi ci ha condotti , nel pensiero moderno, ad individuare nella storia un progresso, uno sviluppo che, in qualche modo, possa giustificare ogni crisi, ogni male e ogni inevitabile dolore. E' interessante notare che questa filosofia nasce con il pensiero giudaico-cristiano: tanto per il credente quanto per il filosofo della storia, il senso degli eventi non sta nel passato, ma in futuro escatologico sempre a venire, che per il cristiano è capace di inserire ogni fatto alla luce di una storia della salvezza, al cui epilogo è attesa la redenzione.Mentre però il credente è capace (non sempre) di portare la croce di questa attesa, il filosofo secolarizza la speranza religiosa nell'incondizionata fede nel progresso, tanto "cristiana nelle sue origini, quanto anti-cristiana nelle sue conseguenze" (Karl Lowith).
Secondo lo stesso Lowith in ogni filosofia della storia ci sono , ben mascherati, dei presupposti teologici che operano, decretandone, avulsi dall'ambito della fede, il drammatico fallimento della stessa. Questo smascheramento, che va dall'ebraismo di Marx alla lettura puramente storica della Bibbia, porta Lowith ad una tesi radicale: l'impossibilità stessa di una filosofia della storia.
Condivido con voi questa riflessione trovata sul web, perché mi sembra che sia alla base, esplicita o implicita, del senso della storia umana che comunemente si danno le persone. In fin dei conti siamo tutti stati educati a credere in questo "bene di là da venire", sia credenti che non credenti, e che dovrebbe conferire un senso alla storia umana.
Solo che, il personaggio di Calvino, posa lo sguardo sugli eventi e non vede venire questo bene. Allora sorge il senso di vanità.
Intendendo la storia umana (cultura) e non quella naturale, la filosofia della storia coincide con la storia della filosofia.
La storia naturale non è significato, che è cosa culturale, ma fondamento di significato, in quanto è sulle leggi naturali che le coscienze si plasmano nel modo più coerente, creativo e produttore di significati.
Per quanto sia "vano", vedo che l'attaccamento alla vita e equamente condiviso, al di là del bene e del male, ovvero di ogni ideologia, filosofema e fede.
Senza Natura la storia umana non ha senso. Vale tanto quanto, ed anzi di più, perché è un'affermazione rispettosa della verità oggettiva esperibile da chiunque. La qual cosa ha il merito di non essere un gatto che si morde la coda come il titolo della discussione: si costruisce ideologicamente il senso di Dio e poi si afferma che senza questo artificio la storia umana non ha senso.
Anche a considerare il senso del mondo una costruzione antropologica, ne avrà certamente di più ancorarlo a qualcosa di reale (natura) che a qualcosa di immaginario (Dio).
Citazione di: Ipazia il 29 Ottobre 2021, 20:21:16 PM
Senza Natura la storia umana non ha senso. Vale tanto quanto, ed anzi di più, perché è un'affermazione rispettosa della verità oggettiva esperibile da chiunque. La qual cosa ha il merito di non essere un gatto che si morde la coda come il titolo della discussione: si costruisce ideologicamente il senso di Dio e poi si afferma che senza questo artificio la storia umana non ha senso.
Anche a considerare il senso del mondo una costruzione antropologica, ne avrà certamente di più ancorarlo a qualcosa di reale (natura) che a qualcosa di immaginario (Dio).
Salve Ipazia. Tanto siamo - mi sembra proprio - d'accordo sui fondamenti.................quanto divergiamo vieppiù man mano che ci allontaniamo da essi verso le loro conseguenze sino all'attualità. Saluti.
Ma si può andare oltre:
Con Dio la storia umana è diventata un nonsenso.
Dai sacrifici umani, alle guerre di religione, liturgie, tabù, rituali magici, false credenze, superstizioni, persecuzioni di infedeli ed eretici, integralismo religioso, patriarcato, ... la storia umana si è sovraccaricata di talmente tanti nonsensi da renderci più insensati di qualsiasi altro animale che segue la legge innata di natura.
Se ne accorsero fin dell'antichità i filosofi epicurei ("Tantum potuit religio suadere malorum" - Lucrezio)
e vale pure oggi con quel "crescete e moltiplicatevi" più micidiale della "bomba zar" di Sacharov.
Citazione di: Alexander il 29 Ottobre 2021, 15:13:40 PM
Buongiorno Daniele22
In realtà avevo letto il tuo post. Spesso cerco di condensare in un unico post vari spunti che provengono da interventi diversi, per esigenze di tempo.
Apprezzo anch'io " la ricerca di un'umiltà non ideologica "
Il senso di vanità sarebbe quindi naturale. Ossia: la natura , osservando se stessa, prova spesso un senso di vanità, ovvero una mancanza di senso. Il senso di vanità però , il personaggio di Calvino, lo prova per la storia umana, non tanto per la vita in sè, nella quale ognuno cerca il proprio senso e magari può trovarlo nelle cose più disparate che ad altri possono non interessare affatto.Su Aforismi.it ti danno cinquanta sensi della vita diversi, opinioni illustri di "chi sa", per ogni gusto personale. Posso sentire la vita piena di senso per molte cose a cui sono interessato. Un senso volatile perché, appena passa l'interesse, o mi viene a noia, o viene a mancarmi, necessariamente devo cercarne un altro . In questo caso si potrebbe dire che il senso della vita sta nella capacità di attaccarsi alle cose e trovarci/immaginarci un senso. Ma trovare un senso alla storia umana e attaccarcisi non mi pare così semplice e naturale. Dire che il senso si trova nell'evoluzione naturale sembra quasi come dire che il senso di placare la sete sta nel bere. Rischiamo di confondere meccanismo con significato. In altre parole un insegnante che racconta la storia agli alunni non si riduce semplicemente ad uno che parla e tanti che ascoltano. Il significato sta nel trasmettere delle nozioni e stimolare un interesse per il loro significato.E' un esempio. Il significato non si trova quindi nel semplice meccanismo, anche se ne dipende. Se provo allora un sentimento di mancanza di senso, osservando la storia umana in generale, è dovuto alla difficoltà o all'incapacità di trovare questo significato.
Mi sembra che l'esigenza sentita da molti di dare un significato ultimo al divenire degli eventi ci ha condotti , nel pensiero moderno, ad individuare nella storia un progresso, uno sviluppo che, in qualche modo, possa giustificare ogni crisi, ogni male e ogni inevitabile dolore. E' interessante notare che questa filosofia nasce con il pensiero giudaico-cristiano: tanto per il credente quanto per il filosofo della storia, il senso degli eventi non sta nel passato, ma in futuro escatologico sempre a venire, che per il cristiano è capace di inserire ogni fatto alla luce di una storia della salvezza, al cui epilogo è attesa la redenzione.Mentre però il credente è capace (non sempre) di portare la croce di questa attesa, il filosofo secolarizza la speranza religiosa nell'incondizionata fede nel progresso, tanto "cristiana nelle sue origini, quanto anti-cristiana nelle sue conseguenze" (Karl Lowith).
Secondo lo stesso Lowith in ogni filosofia della storia ci sono , ben mascherati, dei presupposti teologici che operano, decretandone, avulsi dall'ambito della fede, il drammatico fallimento della stessa. Questo smascheramento, che va dall'ebraismo di Marx alla lettura puramente storica della Bibbia, porta Lowith ad una tesi radicale: l'impossibilità stessa di una filosofia della storia.
Condivido con voi questa riflessione trovata sul web, perché mi sembra che sia alla base, esplicita o implicita, del senso della storia umana che comunemente si danno le persone. In fin dei conti siamo tutti stati educati a credere in questo "bene di là da venire", sia credenti che non credenti, e che dovrebbe conferire un senso alla storia umana.
Solo che, il personaggio di Calvino, posa lo sguardo sugli eventi e non vede venire questo bene. Allora sorge il senso di vanità.
L'amore per il proprio fato evolutivo, se correttamente inteso, non è una metafisica della storia, tutt'altro.Cercherò di delineare il problema in modo breve e comprensibile:il futuro è difficile da amare perché è indeterminato; il passato è difficile da amare perché da una parte esso è l'unico possibile oggetto di coscienza per l'uomo, dall'altra in esso risiedono tutti i traumi subiti dall'individuo cosciente e la sua sofferenza come differenza tra desiderio e realtà, dunque esso in quanto passato è iper-determinato, determinato al di là dell'apparente volere della volontà.Dunque all'amore per il futuro si oppone la natura alternativamente o oggettuale (nel senso buono del termine, come amare l'altro) o narcisistica dell'amore umano che comunque in nessuno dei suoi due aspetti fondamentali può amare l'assolutamente indeterminato (non si può amare quello che in generale non è nella nostra coscienza e dunque non ha il minimo effetto sul nostro corpo), all'amore per il passato si oppone l'istinto di sopravvivenza e la difesa dell'io (se abbiamo messo la mano sul fuoco in passato, non ce la rimettiamo, e odiamo il pensiero del dolore subito, quindi non possiamo mai amare tutto il passato, semmai lo amiamo a tratti, spontaneamente diciamo "sì" a certe cose depositate nella memoria, e "no" ad altre).Ora, questi due problemi non hanno nessuna soluzione separata, ma hanno, appunto nell'amore per il fato evolutivo una soluzione simultanea; se io amo il mio passato, amo l'intero contenuto accessibile e riconoscibile della mia coscienza e memoria, dico di "si" a tutto ciò che vi riconosco e dunque sono felice (necessariamente anche il corpo esulta); se tale coscienza amata è anche conoscenza, se mi sovviene nell'attimo secondo verità e quindi nell'unico modo in cui mi può realmente sovvenire, io amo il passato in quanto tale, dunque amo che il passato sia se stesso e sia passato, e così mi apro al futuro, posso amare l'indeterminazione assoluta amando la più nitida determinazione "sfruttando" a mio vantaggio il "meccanismo" intrinseco alla vita, per cui ogni possibile determinazione è cosciente, e dunque passata. Di tutto ciò che so, so che è passato e so -anche- che lo amo, dunque mi resta "spazio" interiore per amare il futuro, lo spazio interiore dell'amore non è saturato dallo spazio figurale della determinazione.Non c'è in me nessuna metafisica della storia, perché non c'è in me nessuna differenza quantitativa tra quanto amo il passato e quanto amo il futuro, li amo tutti e due cogliendoli nella loro differenza qualitativa, ovvero esisto nell'attimo.Il senso della sete sta dunque nel bere?Non lo so, so solo che, prendendo ad esempio un bisogno fondamentale come la sete, come non si può continuare indefinitamente a volere il voluto (prima o poi fisicamente si muore), così non si può continuare indefinitamente a volere il passato (prima o poi si soccombe, ci si accorge ce la vita non è più degna di essere vissuta). Quando il voluto è passato, un po' anche il passato è voluto. Si ha tempo ed energia per fare e pensare altro. E' questo che succede quado, dopo aver vagato a lungo nel deserto, si giunge finalmente al pozzo o all'oasi. Si ha finalmente un buon rapporto con la parte nota del tempo, o meglio del divenire, e quindi, se si è capaci di intelligenza, anche con il suo tutto. Vale la pena di essere attaccato dai predoni o di morire di caldo domani, se ho trovato l'acqua oggi.Il divenire ha un ruolo mediamente molto più importante nelle filosofie e nelle etiche dei pessimisti o al limite dei realisti, che non in quelle degli ottimisti. Perché il divenire è danza degli opposti. Croce per gli ottimisti, e delizia per i realisti.
Se vi è un senso della storia buono per tutti, per essere tale deve essere ignoto, se è vero che, essendo dotati di libero arbitrio, conoscendolo potremmo rigettalo.
Non possiamo escludere che non vi sia un senso della storia, ma se vi è, e noi lo possediamo, non sappiamo però dirlo.
A meno che tutto non sia riducibile in parole, e allora sarebbe vero che la storia non ha senso.
Infatti se fosse riducibile a parole , non sarebbe il senso di tutti.
Dio è l'innominabile...più nominato che vi sia.
Perché?
Perché su ciò di cui non si può dire, si dice ogni cosa, che vale come non dire nulla.
Se c'è un senso , allora non possiamo dirlo, se non dandogli ogni possibile senso, quindi nessuno.
Non ci sono parole per dirlo. Nessuna parola è adatta, in quanto parola, e vanità è una parola.
Il senso è la vita, perché lo si vive, possedendolo tutti, come possediamo la vita.
È ciò che condividiamo, al di là delle scelte coscienti.
Il senso è ovvio, e come tutte le cose ovvie non occorre dire. Non si può.
Non si può dire perché il rosso lo vediamo rosso, ma tutti lo vediamo rosso.
Come si può spiegare questo a parole?
Si può dire che vediamo rosso perché ad esso corrisponde una precisa frequenza d'onda elettromagnetica.
Ma non si può dire perché in corrispondenza di quella frequenza vediamo rosso e non giallo.
Vediamo rosso perché il nostro sistema percettivo, a tutti comune, è fatto così, e nessuno di noi lo ha deciso.
Allo stesso modo cerchiamo un senso perché abbiamo una coscienza., che nessuno ha deciso di avere.
Quando facciamo una distinzione netta fra individuo e collettività , quando parliamo di discriminazioni, di ingiustizie, di oppressori, di complotti, dimentichiamo che stiamo parlando di noi, e non di altri.
Lamentiamo le diseguaglianze dimenticando quanto siamo uguali nel profondo.
Ma quando parliamo di storia umana, al contrario, dimentichiamo che non ci sarebbe alcuna storia senza individui diversi, e questa diversità è l'unico senso che io riesco a trovare.
Se pure l'umanità avesse un senso, un percorso prestabilito, un fato, questo percorso non è fattibile senza il motore della diversità fatto di individui, ognuno dei quali perciò comunque ha un senso.
Se c'è una meta, qualunque essa sia, non rischiamo di mancarla , spegnendo il motore, rinunciando alla nostra individualità, per presunta vanità.
Citazione di: iano il 30 Ottobre 2021, 22:09:04 PM
Se vi è un senso della storia buono per tutti, per essere tale deve essere ignoto, se è vero che, essendo dotati di libero arbitrio, conoscendolo potremmo rigettalo.
Non possiamo escludere che non vi sia un senso della storia, ma se vi è, e noi lo possediamo, non sappiamo però dirlo.
A meno che tutto non sia riducibile in parole, e allora sarebbe vero che la storia non ha senso.
Infatti se fosse riducibile a parole , non sarebbe il senso di tutti.
Sulla scia del titolo della discussione si arriva a questo ed è già un buon punto d'arrivo, ma se fosse insensata (unsinnig) la partenza, ovvero il titolo della discussione ? Se ci fosse una insolubile confusione tra
senso e
scopo, finalizzata (inconsciamente) a confondere le acque della logica e della semantica.
Dopo aver attinto ai sacri testi del diploma universitario web, mi sono schiarita un pochino le idee sul compagno indissolubile del senso, ovvero il
significato. In soldoni: il significato fa quello che il senso "vede". Il significato è, etimologicamente, un facitore di segni. Quindi prima di chiedersi se la storia umana ha senso bisognerebbe verificare se significa. La risposta è: sì. La storia umana è una fabbrica instancabile di segni fin dalle prime necropoli e pitture rupestri. Passando al recettore sensibile: ha senso tutto ciò ? Dipende dalla sensibilità del recettore. La quale non è mera soggettività individualistica, ma vincolata al livello di sensibilità del recettore medesimo. Una macchia su una radiografia ha un
senso ben diverso per un medico rispetto al profano. Così come una serie di note ha livelli di recettività sensibile (senso) assai diversi tra profani, dilettanti e musicisti.
Tornando alla domanda iniziale si perviene all'ambito soggettivo della filosofia di riferimento, della Weltanschauung detta pure visione del mondo. Per il
finalista, in cui il senso si lega indissolubilmente allo scopo, la storia umana, espunto il motore sovrannaturale del finalismo, non ha senso (scopo). Per un
immanentista, come molti che sono intervenuti, la storia umana, la natura, l'evoluzione, hanno un senso in sé e vanno presi così come sono. Adattando lo scopo (l'intenzionalità umana è indubbiamente finalistica, pro domo sua) al significato che la "realtà" propone al recettore dotato di senso, anche metafisico, trovando piena gratificazione e "senso" in tale operazione di disvelamento della verità immanente, attraverso il riconoscimento dei suoi segni. Così come quando si "scopre" qualcosa.
Sapendo che la scoperta non è la/il fine della storia, ma il capitolo di una storia il cui senso, e bellezza, è nel suo essere in-finita.
Buona domenica a tutti
Una collezione di segni non fornisce un significato. Perché assumano significato i segni vanno interpretati. Non è però semplice e univoco interpretare la storia umana. Anche la gratificazione che si può provare nel di-svelamento della Verità (?) immanente, ottenuto attraverso il riconoscimento di un segno, non si sottrae all'arbitrarietà dell'interpretazione soggettiva. Non è infatti pensabile che un segno storico immanente abbia un'unica interpretazione. L'opinione sul segno immanente, quanto mai personale, concorre al senso complessivo di vanità e mancanza di senso generale, perché la storia si genera anche in segni contraddittori tra loro, in cui alla fine prevale quello che ha più potere sugli altri. Potere che è anche convinzione, mi sembra. maggioranza, ecc. Che ci sia una finalità di dominio, che percorre tutta la storia umana, mi pare evidente. Dominio nelle più svariate forme, a cui ha concorso naturalmente anche l'istituzione religiosa, ma non solo. Possiamo allora dire che il senso della storia umana è questo percorso di dominio gli uni sugli altri? Dominio anche delle convinzioni? Anche in questo forum sono in difficoltà perché la mia interpretazione tende ad essere "dominata" da quella della larga maggioranza atea che scrive.Naturalmente è sempre difficile per tutti trovare le parole adatte, cercando di non diventare parolai. La sensazione di vanità della storia collettiva umana non mi sembra però molto razionalizzabile. Come ho già scritto: anche se penso che sia dovuta alla perdita della fiducia in un autore che sostenga la storia umana, la potrei a volte provare anche in presenza di questa fiducia, proprio perché non potrei essere certo di interpretare correttamente i segni che percorrono la storia. Il ciclista che sale su una strada di montagna può sperare che ci sia un traguardo che dia un senso finale alla sua fatica, ma come tutti non potrà mai esserne certo, non lo vede ancora, e quindi non può far altro che fare del suo meglio, come gli altri.
Citazione di: Alexander il 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM
Uso il termine senso nell'accezione di significato. La storia umana , e quindi la storia personale di ognuno di noi, non appare priva di significato in assenza di Dio?
E' talmente ovvio che non necessita una gran discussione.
Infatti l'ateo attribuisce debolezza, fragilità, fuga dalla realtà al credente. Perché quest'ultimo non accetta l'assenza di significato che deriva dalla vita così come ci appare. Oddio, qualcuno si esercita in improbabili dimostrazioni di significato/i laddove, viceversa, è del tutto evidente l'assenza di esso/i.
E' per questo che l'ateo, non sempre ma spesso, afferma (o più elegantemente pensa tra sé e sé) che egli è più forte, più oggettivo, più aderente alla realtà insomma.....superiore.
Chissà, magari è anche vero.
P.S.
Ho usato la parola credente senza specificare in quale Dio. Perché se è certamente vero che esistono delle differenze nei vari credo è altrettanto vero che esistono anche delle similitudini. Come nel caso di specie e cioè che il credere in qualunque Dio dà un significato alla propria vita.
Il significato include l'interpretazione di un segno, ma non tutte le interpretazioni si equivalgono e l'ermeneutica storica si sforza di discriminare i segni dal contesto sociopolitico che li ha prodotti, inclusivo delle leggende e bufale su di essi. Tutti i segni portano a dimostrare che Giulio Cesare fosse latino e non giapponese (verità ! immanente), indipendentemente dalle acrobazie soggettive che si possono esercitare sul significato "Giulio Cesare".
Altra questione è il rapporto tra senso e scopo. Da ciclista assicuro che i miei giri in bicicletta non hanno come scopo il ritorno alla meta, dove posso benissimo rimanere anche senza usare la bicicletta. Il senso del mio biciclettare è il piacere che mi dà il farlo, non la scontata meta finale.
Non nego che per qualcuno il senso della vita sia racchiuso in una fede religiosa, ma per altri può essere un rapporto umano, un lavoro, un interesse di qualsiasi genere. Di queste sommatorie di senso è fatta la storia umana ed escluderne alcuni a vantaggio di altri significa presumere un Senso ed una Sensibilità superiori a tutti gli altri. Hybris inaccettabile.
Salve alexander. Citandoti (ma sto contemporaneamente citando il "senso comune" creduto valido da chiunque !) : "Il ciclista che sale su una strada di montagna può sperare che ci sia un traguardo che dia un senso finale alla sua fatica, ma come tutti non potrà mai esserne certo, non lo vede ancora, e quindi non può far altro che fare del suo meglio, come gli altri.".
Potrei tranquillamente affermare che non esiste conclusione più sciocca di quella di chi considera che un traguardo possa costituire il senso di una azione.Sin qui lo sciocco - secondo appunto il "senso comune" - apparirò invece essere io.........ma al di là del vaporoso significato di "senso", esiste la LOGICA.
Nel momento in cui il ciclista affronta la salita intenzionato a raggiungerne il colmo, il senso della sua fatica consiste nel produrre uno sforzo orientato al raggiungimento di una certe forma fisica e/o di un proprio masochistico piacere e/o di una propria soddisfazione psicoatletica e/o di una certo luogo (quello del traguardo).
Perciò, arrestandosi al traguardo, il ciclista cessa la propria fatica, la quale, come sopra detto, incarna il senso del suo agire. Il traguardo pertanto è sempre la FINE DEL SENSO DI CIO' CHE ABBIAMO FATTO PER RAGGIUNGERLO.
Esso traguardo (ovunque e comunque collocato) è solamente uno strumento che ci permette di dare un senso al "viaggio" che noi compiamo per raggiungerlo. Saluti.
Citazione di: Alexander il 31 Ottobre 2021, 11:48:24 AM
Buona domenica a tutti
Che ci sia una finalità di dominio, che percorre tutta la storia umana, mi pare evidente. Dominio nelle più svariate forme, a cui ha concorso naturalmente anche l'istituzione religiosa, ma non solo. Possiamo allora dire che il senso della storia umana è questo percorso di dominio gli uni sugli altri? Dominio anche delle convinzioni? Anche in questo forum sono in difficoltà perché la mia interpretazione tende ad essere "dominata" da quella della larga maggioranza atea che scrive.Naturalmente è sempre difficile per tutti trovare le parole adatte, cercando di non diventare parolai. La sensazione di vanità della storia collettiva umana non mi sembra però molto razionalizzabile. Come ho già scritto: anche se penso che sia dovuta alla perdita della fiducia in un autore che sostenga la storia umana, la potrei a volte provare anche in presenza di questa fiducia, proprio perché non potrei essere certo di interpretare correttamente i segni che percorrono la storia.
Se l'inconsapevole motore della storia è una collettività di individui consapevoli , esso trae energia da un gradiente che è la loro diversità. Che in virtù di questa diversità, per fattori contingenti, alcuni abbiano un vantaggio sugli altri, è il succo dell'evoluzione, la quale si muove non per andare da qualche parte, ma anzi per "restare" , resistere, su una terra che invece non sta, mutando in continuazione.
Le estinzioni di massa, almeno sei, secondo quanto spesso ci ricorda Jacopus, ci suggeriscono che se vogliamo cercare un senso esso va' riferito alla vita, cioè alla collettività di tutti gli individui, dai microbi in su'.
Se torniamo indietro ai primi due miliardi di anni ( se non ricordo male) dominato dai microbi, che senso ci possiamo trovare?
Se vi state figurando quella terra, vedrete bene che quello è il perfetto quadro della vanità.
Possiamo vedere nella storia dei microbi un percorso di dominio degli uni sugli altri?
Si, certamente . Ma dovremmo scandalizzarcene? Infatti se escludessimo questo percorso dalla loro storia, non sapremmo come altro raccontarla, se non come collettività chesii da' un verso per resistere ai mutamenti ambientali di verso opposto, e di cui loro poi diventano a loro volta causa.
Che senso ha la loro storia? È una storia di resistenza. Resistere,resistere, resistere.
Il fatto è che se usiamo il termine dominio , un senso tendenzioso glielo abbiamo già dato, a dimostrazione del fatto che tendiamo a dare un senso, anche quando obiettivamente non sembra esservi.
La cosa, trasportata al presente , siccome sembra questo più complesso rispetto ai primi miliardi di esistenza della vita, in questa complessità ci sembra meglio plausibile trovare un senso.
Ma ai fini del trovare un senso, nulla in verità è cambiato.
Mi chiedo quale possa essere il vantaggio che possa acquisire qualunque essere vivente in vita, se poi comunque morirà?
O, in alternativa, quale vantaggio ne hanno tratto i posteri, tutti indiscriminatamente?
Se trascendiamo la morte, shuntando l'individuo, sembra che per stare su questa terra, che non sta, bisogna al pari non stare , tanto che chi per diletto ama andare, sarà destinato a dominare.
Prendi Ipazia ad esempio, che coi suoi giri in bici è un tiranno in erba, oppure in asfalto, secondo come scelga il percorso.😅
Insomma, la storia della vita sulla terra prescinde dagli individui mortali, e quindi il senso non può stare nella loro reciproca sopraffazione, ma semmai negli effetti che questa ha sulla collettività vitale.
Però sono gli individui a cercare un senso, non la collettività, che è priva di coscienza.
Forse, siccome sono gli individui a cercare un senso, potremmo trovarne una parte nella risposta alla seguente domanda: Che ricaduta si avrebbe sulla vita se gli individui smettessero di cercare un senso?
Siccome però nei primi due miliardi di anni i microbi non cercavano alcun senso, perché privi di coscienza, allora la ricerca di senso è la conseguenza di una aumentata complessità che ha incluso la coscienza, quella cosa che non ti fa vivere alla giornata , proiettandoti in continuo in un percorso futuro, dovendo decidere ogni volta che senso prendere...o dare.
Del come possa procedere una collettività in cui ogni individuo scelga un diverso senso lo si può capire dal fatto che la diversità sia funzionale , e che insiste su una base comune a diversi livelli, per i quali si può parlare di specie e di famiglie di viventi.
Di sicuro, se perciò, si cerca di dare un senso a una famiglia o una specie, o una umanità, si troverà solo il senso di una arbitraria convenzione.
Si può parlare solo di senso della vita, che non per questo è più facile da trovare, se non per meglio escludere di trovare un senso in cose come la ricerca di dominio di individui su altri , cosa che pure è vera, ma che allargata alla vita intera cambia completamente prospettiva, e non può certamente ridursi al senso della vita.
L'autentico senso della vita lo può dare solo il singolo, traendolo dalla propria profondità.
Mettendo in gioco se stesso.
Perché quel senso è infatti la direzione in cui vuole andare.
Se non ci è alcun senso l'uomo è perduto. Una direzione vale l'altra.
Forte è allora la tentazione di gettarsi nell'ogni lasciata è persa, oppure di fare lo struzzo pur di non vedere l'orrore.
Ma un senso può pure provenire da "verità" rivelate, a cui ci si aggrappa pur di sfuggire all'angoscia esistenziale.
Come il credere in un Dio.
Ma essendo questa credenza strumentale, ossia non motivata dal semplice puro amore... occorrerà rimettersi alla ricerca dell'autentico senso, che non può trovarsi che in se stessi.
Buon Ognissanti a tutti
Non sono molto d'accordo che il senso si trova in se stessi. Piuttosto lo vedo nella mia relazione con gli altri che mi fa persona. Come sapete il cristianesimo vede l'essere umano non semplicemente come un individuo, "proprietario" di se stesso, ma come una persona che , essendo debitrice dall'altro di quello che è, nella relazione/dono trova la sua completezza e il suo senso. Noi siamo debitori degli altri per quello che siamo: senza l'altro non avremmo imparato a camminare bene, non avremmo imparato a parlare, a pensare in maniera organizzata,ecc. L'idea che siamo individui bastanti a noi stessi è illusoria, una chimera. Quasi sempre la nostra felicità/infelicità dipende dal tipo di relazione che intratteniamo con l'altro (non solo umano.Siamo in relazione con tutto). L'idea dell'uomo che si fa da sé, tipicamente liberista, è miope e ristretta. Piuttosto, il credente , oltre alla relazione con l'altro e con la propria interiorità, aggiunge la relazione con Dio, anch'essa mediata dalla relazione con la "comunità dei credenti". La difficoltà del credente oggi è anche quella dovuta proprio allo sgretolamento del senso di comunità, al distanziamento sociale, al ripiegamento nel contatto virtuale che indebolisce sempre più questo senso di essere debitore dell'altro, della comunità per la propria vita e felicità. La società parcellizzandosi spegne questo senso di appartenenza, se non in virtuali adesioni a social e gruppi che condividono interessi, spesso autoescludenti. La comunità però non è solo condivisione di interessi è anche e soprattutto contatto fisico, presenza. In una comunità autentica ci si annusa uno con l'altro. Il rapporto non viene mediato da un medium digitale, nascosto in un anonimato. La sfida per il futuro penso sarà proprio quella di far convivere una virtualizzazione dei rapporti sociali sempre più spinta, tendente a individualizzare sempre più, funzionale al sistema di potere attuale, e il senso di appartenenza comunitario.
Questo però riguarda, alla fine, il senso della vita di ognuno; ma il significato della storia umana, la storia collettiva, lo posso trovare in me stesso? E' già difficile, se non impossibile, trovare il senso della propria vita personale. Trovare l'altro sembra follia.
Buongiorno a tutti. Ripeto quello che ho già scritto, per replicare ad Alexander. Non credo che serva Dio per superare "l'ideologia individualista". Il marxismo, a livello teorico, professa lo stesso superamento. La differenza fra i due tipi di "comunitarismo" è situato nella preminenza all'educazione in un caso e alla gestione dell'economia nell'altro, come radice di ogni cambiamento possibile. Per ridare fiato al principio della fratellanza si può fare ritorno al "Padre", ma in questo viaggio "a rebour" colgo il fallimento eventuale dell'intera cultura occidentale, il cui segno originale è il divenire storico, il viaggio del cambiamento. Quel segno originale ha dato vita all'ellenismo, alla tradizione giuridica romana, al pensiero scientifico, al capitalismo e all'illuminismo. Il monoteismo in questo viaggio che ci riguarda l'ho sempre considerato un corpo estraneo, proveniente da una cultura asiatica, lontana da quella europea.
Ma è anche vero che quel viaggio occidentale ha creato oggi i presupposti della mancanza di senso e della caduta di quella vicinanza di comunità. Pertanto la domanda è come riuscire a recuperare nella tradizione occidentale il senso della storia, senza dover rassegnarsi alle "vogliuzze" individualiste, da un lato, e neppure a un ritorno ad un Dio paternalistico, che ci rende tutti eterni minorenni, alla mercé di ogni dominio teocratico?
La mia risposta temporanea la sto cercando nei processi culturali, nella capacità della società di trasmettere un modello diverso di convivenza sociale, che dovrebbe avere come riferimenti il pensiero ecologista, quello anticolonialista e femminista insieme alle tracce recuperabili del marxismo, epurato di ogni velleità da "elettrificazione". La domanda che mi pongo, in tempo reale, è: "esiste la possibilità di uno sviluppo equo, magari anche ridotto rispetto a quello odierno, ma che accolga l'idea dello scambio, della tolleranza e della fratellanza. Chi di noi può davvero dire di aver pensato al suo vicino o ad un passante come ad un fratello? E se questo è stato scritto nei Vangeli, non significa necessariamente che bisogna prendere tutto il pacchetto religioso, così come sarebbe errato prendere tutto il pacchetto del marxismo o del liberismo. Nuove forme di pensiero dovrebbero essere liberate in una sorta di neo-illuminismo. E da questo processo vedo la possibilità di trovare un senso alla vita umana, che trascende il singolo individuo, senza per questo diversi trasfigurare in una vita eterna, che detto fra noi, non è altro che una forma distillata e mistica di un feroce individualismo.
Se la vita è un dono, da quando mi è stata donata in poi mi appartiene e ci faccio quello che cavolo mi pare, non necessariamente la apprezzo e rimango con essa e a gioire di essa per tutto il tempo, ma la distruggo, la dimentico, la insudicio, la oblio, la rifiuto immediatamente, la ridono completamente ad altri se voglio, ugualmente la uso selettivamente e in modo proprietario e capriccioso fino a gioirne solo singolarmente e/o ad escludere alcuni altri che non mi siano graditi dal gioirne se voglio, e quindi questo è l'argomento più schiacciante per dimostrare che, anche se la comunità fisicamente mi genera e mi istruisce, la morale è falsa, ovvero il mio interesse personale non necessariamente coincide con quello della comunità, e con quello del Dio che rappresenterebbe l'elemento centrale e unificante della comunità.
La relazione/dono è eterna perché il dono è mio e tale resta, il dono passa da un godimento compositivo dell'essere del donante, a un uso illimitato che ne può fare il beneficiario, uso illimitato che può trasformarsi in nuovo godimento compositivo, se il dono resta presso il beneficiario, o nuovo uso illimitato, se il dono viene ri-donato.
Se invece state sostenendo che la vita sia un dono vincolato al mio dovere individuale di comportarmi bene e al rendere grazia alla comunità che mi ha generato, siate onesti e chiamatelo leasing, prestito, appioppamento, subaffitto, usucapione, come cavolo vi pare, ma per favore non DONO.
Buongiorno Niko
In un dono non c'è vincolo. Se c'è non è più un dono. La madre che insegna a camminare al figlio lo subordina al vincolo dell'essere un domani amata da questi, altrimenti non lo fa? Allo stesso modo, per il credente, Dio dona senza aspettarsi l'amore in cambio, ma perché è nella sua natura farlo. Per questo Gesù parla di Dio come di un Padre (in altre culture anche come di una Madre). Quando ricevo un dono dovrebbe venire spontaneo il desiderio di donare a mia volta, in base alle mie possibilità. Il non farlo di solito si chiama egoismo ( "è mio non lo condivido con nessuno"). Infatti, se non ci fosse l'altro, che doni mai potrei ricevere? E' l'esistenza nella comunità/relazione che permette lo scambio reciproco di doni.
Citazione di: bobmax il 01 Novembre 2021, 09:59:58 AM
L'autentico senso della vita lo può dare solo il singolo, traendolo dalla propria profondità.
Mettendo in gioco se stesso.
Perché quel senso è infatti la direzione in cui vuole andare.
Se non ci è alcun senso l'uomo è perduto. Una direzione vale l'altra.
Forte è allora la tentazione di gettarsi nell'ogni lasciata è persa, oppure di fare lo struzzo pur di non vedere l'orrore.
Ma un senso può pure provenire da "verità" rivelate, a cui ci si aggrappa pur di sfuggire all'angoscia esistenziale.
Come il credere in un Dio.
Ma essendo questa credenza strumentale, ossia non motivata dal semplice puro amore... occorrerà rimettersi alla ricerca dell'autentico senso, che non può trovarsi che in se stessi.
Ben venga il contributo di bobmax che offre un nuovo senso alla ricerca di senso mutuandolo dalla matematica come direzione/verso. La qual cosa ci pone per l'ennesima volta di fronte alla pluralità dei sensi, posto che è dato a ciascuno il
conoscere se stesso e, come esito di tale ricerca, scegliere la sua direzione/verso (la direzione ha due versi, ma solitamente se ne pratica solo uno, in avanti verso l'ignoto, salvo ritirate strategiche che la vita spesso e volentieri dispensa). Concordo che tra tutti i sensi/versi possibili, scegliere quello giusto sia di importanza capitale, talvolta fatale, per cui sottoscrivo il post socratico/buddista di bobmax.
Negli ultimi interventi almeno 4 sensi: se stessi, comunità religiosa, comunità laica, nessuno (che a modo suo è un senso pure lui). Concordo. Io stessa mi immergo in significati/sensi diversi quando ascolto musica, suono, scrivo, leggo, scio, vado in bicicletta, ciaspolo, cammino, mangio,... Una moltitudine di significati emergenti e sensi recepenti così pieni di senso che spesso e volentieri devo scegliere quale di essi ha più senso accogliere. Problema risolto ? direi di sì. A meno che non si intendesse dire:
senza Dio la storia umana è priva di valore/i. Ma allora è tutt'altra questione. Seppur non del tutto. Anche i valori sono assai prolifici. Per quanto più vocati a denominatori comuni dell'etereo significato/senso del mondo e della storia umana.
Citazione di: Jacopus il 01 Novembre 2021, 11:48:52 AM
...trasfigurare in una vita eterna, che detto fra noi, non è altro che una forma distillata e mistica di un feroce individualismo.
È vero, ma è la prima volta che lo vedo scritto nero su bianco.
Per i cristiani questo progetto di individualismo estremo passa attraverso un prossimo, dove per prossimo non si intende il contiguo, quello che segue o precede, il familiare, la tribù, ma gli altri, in senso globale.
Come progetto sociale è geniale, perché da un lato premia l'individualismo incoraggiando a far fruttare i propri talenti, promuovendo la funzione dell'individuo, se una funzione ha, e dall'altro ti obbliga ad essere programmaticamente sociale, e non secondo discontinuo diletto naturale.
Per quanto riguarda invece il tuo invito a prendere il meglio del marxismo, liberalismo ed altro, bisogna tener conto di un fattore incognito con cui iniziamo ad avere a che fare; gli inaspettati effetti del web.
Come sottolinea bene Alexander il pericolo è nella perdita di contatto fisico con il "propriamente detto" prossimo.
Tutto ciò a mio parere depotenzia l'azione individuale la quale crea ricchezza nel confronto col diverso, cui il cristianesimo ti obbliga, mentre la rete asseconda la naturale tendenza ad evitare il diverso.
Mi chiedo come si possa riprodurre un sistema simile facendo a meno di Dio, che scongiuri l'inconcludente populismo promosso dalla rete, che in un sol colpo mortifica l'individuo quanto la collettività globale.
I talebani non fanno a meno di Dio, socializzano molto, e diffidano dell'inconcludente populismo promosso dalla rete così mortificante per tutti. Non so se sia il caso di fare cambio ...
Citazione di: Ipazia il 01 Novembre 2021, 16:54:12 PM
I talebani non fanno a meno di Dio, socializzano molto, e diffidano dell'inconcludente populismo promosso dalla rete così mortificante per tutti. Non so se sia il caso di fare cambio ...
Se ho detto questo allora ritratto😉.
La mia impressione , seppur ancora vaga, è che si profili un nuovo soggetto sociale reso possibile dalla rete.
Club esclusivi di simili, come fosse un solo individuo, ma fatto di tanti.
Un sovranismo non locale. Un superindividuo diffuso.
Credo che il successo del cristianesimo stia nel promuovere il rapporto non tanto col prossimo impropriamente detto, perché non è prossimo nelle convinzioni ne' prossimo di luogo, quindi col prossimo inteso come diverso, rapporto in se' non desiderato, e quindi diversamente non cercato, ma che crea ricchezza, e non solo ne' principalmente in senso spirituale, ma intendo anche e sopratutto materiale.
La rete asseconda invece il desiderio di non avere rapporti con i diversi, creando di fatto superindividui.
Sono in tanti, ma simili, come fosse uno. Sono ovunque e in nessun luogo.
Individuo diffuso che abita il villaggio globale, che non entra in rapporti con gli altri individui, se non in modo esclusivamente conflittuale.
I no- questo e i no- quello.
Per quanto possa non corrispondere ai fatti, la supposta nascita di un nuovo individuo sotto i nostri occhi, come da post precedente, ci suggerisce che ne' l'individuo, ne' una collettività abbiano un senso, se non il senso che li costituisce.
Senso che a noi stessi che lo diamo, può non essere presente, per cui tali soggetti ci appaiono ovvii nel loro essere o nel loro costituirsi.
Ma essi si costituiscono in ragione proprio del senso che noi gli diamo.
Essi non hanno un senso, se non come ciò che li definisce, astraendoli dalla realtà, individuandoli in tal modo.
L'essere non è ciò che è, ma ciò che astraiamo dalla realtà in virtù di un senso dato, ma tanto più appare come ciò che è , quanto più deriva da un senso inconsapevolmente dato in modo condiviso .
Buongiorno Iano
Nello svolgersi degli eventi della storia umana non troviamo infatti un senso che possa essere condiviso, al massimo ce ne possono essere alcuni più condivisibili di altri:il desiderio di dominio , la ricerca del potere, la forza del dio denaro (in senso lato,anche virtuale), la difficoltà di riscatto dei poveri,ecc.
Molti però non condividono nemmeno queste letture parziali, dando interpretazioni e definizioni diverse delle vicende storiche. Per molti la fede in Dio è gioia, per altri una gabbia, per esempio. Per alcuni è giusto che il ricco si gusti i suoi denari senza condividerli, per altri è ingiusto. Anche questo contribuisce al senso di vanità. Queste diverse visioni inconciliabili, in conflitto inevitabile fra loro.
Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare non è mai pieno:raggiunta la loro meta, i fiumi riprendono la loro marcia.Tutte le cose sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.Non si sazia l'occhio di guardare né mai l'orecchio è sazio di udire.Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà;non c'è niente di nuovo sotto il sole.C'è forse qualcosa di cui si possa dire:«Guarda, questa è una novità»?
Il senso si dà («si» impersonale, non riflessivo) a ciò che è intrinsicamente, essenzialmente, privo di senso: se possiamo assegnare un senso a qualcosa (la vita, la storia, etc.) senza timore di venir smentiti dai fatti, senza che tale senso venga falsificato, è perché la condizione di possibilità del dare senso è che non ci sia un senso da scoprire, ma solo uno (o molti) da inventare/attribuire. La possibilità dell'assegnazione di sensi multipli, anche contraddittori ed autoescludenti, ma nondimeno coesistenti, è un non-senso solo assumendo la singola prospettiva di uno dei sensi, tuttavia non c'è, ovviamente, immanenza che possa risolvere la questione di quale sia il senso trascendente e già il chiedersi «quale sia il senso» significa aver dimenticato l'assenza di partenza per entrare nel gioco social-esistenziale dell'assegnazione, del riempimento, della semantizzazione, etc. con attitudine spesso monologica (autoreferenziale), monoteistica (quindi monoculturale) e monosemantica (perché la polisemia è insidia che rende il senso perturbante).
Se si parte dal presupposto che «deve esserci un senso», basterebbe indagare a fondo quel «deve», per svelarci se stiamo parlando di un dover-esserci ontologico o etico o esistenziale o altro; eppure, allargando lo sguardo alla "comunità globale", il passaggio dall'assenza di senso alla poli-semia, al poli-teismo, alla poli-trascendenza è un passo breve, per quanto tenda talvolta a rinnegare retroattivamente il vuoto da cui proviene, altrimenti non potrebbe presentarsi come indagine di un senso credibile.
Affermare che togliendo il garante del senso che abbiamo assegnato alla storia umana (come collettività) essa risulterebbe priva di senso, è praticamente una tautologia (se non si vuole implodere nel senso soggettivistico) ed è anche un modo archéologico per ricordare (forse involontariamente) quanto sia arbitraria l'assegnazione del senso a qualcosa che arbitrario non è, come la storia, la vita umana, etc. se tale assegnazione non fosse arbitraria potremmo costruirci sopra un'"epistemologia del senso" che non ricada nelle circolarità fallaci tipiche dell'autofondazione di alcuni paradigmi, più o meno "spirituali".
La dimensione semantica, la "semantomania", è sicuramente atavico marchio dell'humanitas nella sua lettura del mondo, marchio che dà valore convenzionale e trascendente all'immanente (tanto quanto è convenzionale e "trascendente" il valore della moneta, che pure regola e scandisce gran parte delle dinamiche immanenti umane); tale valore organizza e muove gli individui così come le regole del gioco organizzano e "muovono" i giocatori, tuttavia passare dalla verità (riscontrabile e "sostanziale") del movimento dei giocatori alla "verità" (formale) delle regole del gioco è legittimo solo per chi ha accettato di giocare (ad esempio, ovviamente per un credente cristiano è innegabile che se non ci fosse il dio cristiano la storia non avrebbe un senso cristiano). Chi è fuori dal gioco osserverà invece come altri giochi prevedrebbero altre regole e altri movimenti per i medesimi giocatori (banalizzando all'ennesima potenza: è "vero" che Ronaldo non può toccare la palla con le mani finché gioca a calcio, ma quando Ronaldo gioca a pallavolo con gli amici è "vero" che può toccarla con le mani; allora qual è la "vera" regola per usare la palla? Posta così, decontestualizzata in astratto, la domanda non ha senso, se non si chiarisce di quale gioco stiamo parlando; ugualmente, se non si chiarisce di quale prospettiva di senso stiamo parlando, non sappiamo a quale tautologia possiamo aporeticamente affidarci...).
Buongiorno Phil
Quindi concordi con me che la storia umana non ha alcun senso? cit.:"perché la condizione di possibilità del dare senso è che non ci sia senso da scoprire, ma solo uno (o molti) da inventare/attribuire. "
Tanti sensi soggettivi inventati non fanno un senso condiviso. La domanda si pone sul senso oggettivo della storia, non su quello soggettivo. In mancanza di un senso oggettivo sorge il sentimento di vanità (soggettivo.Perché ovviamente un sentimento non può che essere soggettivo) della storia umana. Sono partito da questo sentimento di vanità che percepisce il personaggio di Calvino. Naturalmente non è detto che tutti lo provino.
Citazione di: bobmax il 01 Novembre 2021, 09:59:58 AM
L'autentico senso della vita lo può dare solo il singolo, traendolo dalla propria profondità.
Mettendo in gioco se stesso.
Perché quel senso è infatti la direzione in cui vuole andare.
Se non ci è alcun senso l'uomo è perduto. Una direzione vale l'altra.
Forte è allora la tentazione di gettarsi nell'ogni lasciata è persa, oppure di fare lo struzzo pur di non vedere l'orrore.
Ma un senso può pure provenire da "verità" rivelate, a cui ci si aggrappa pur di sfuggire all'angoscia esistenziale.
Come il credere in un Dio.
Ma essendo questa credenza strumentale, ossia non motivata dal semplice puro amore... occorrerà rimettersi alla ricerca dell'autentico senso, che non può trovarsi che in se stessi.
Ciao a tutti, continuo da Bobmax il mio pensiero ... occorrerà rimettersi alla ricerca dell'autentico senso, che non può trovarsi che in se stessi... per rivelare infine l'odierno indicibile massimo senso comune razionalizzabile in parole. Solo conoscendo profondamente se stessi si giunge infine a comprendere (almeno razionalmente) l'uguaglianza della razza umana a livello di specie, e non di etnie, nazioni, ideologie etc. E si comprende pure l'uguaglianza dell'individuo ... Vi risparmio commenti sullo stato attuale della comunità scientifica, la quale però dipende dallo stato attuale dell'individuo (che conosce poco se stesso)
Citazione di: daniele22 il 02 Novembre 2021, 17:02:41 PM
Ciao a tutti, continuo da Bobmax il mio pensiero
... occorrerà rimettersi alla ricerca dell'autentico senso, che non può trovarsi che in se stessi... per rivelare infine l'odierno indicibile massimo senso comune razionalizzabile in parole. Solo conoscendo profondamente se stessi si giunge infine a comprendere (almeno razionalmente) l'uguaglianza della razza umana a livello di specie, e non di etnie, nazioni, ideologie etc. E si comprende pure l'uguaglianza dell'individuo ... Vi risparmio commenti sullo stato attuale della comunità scientifica, la quale però dipende dallo stato attuale dell'individuo (che conosce poco se stesso)
A post riletto, devo ammettere che mi sono espresso male (mancano dei termini di riferimento e altre cose). D'altra parte oggi è la festa dei morti. Mi si scusi
Citazione di: Alexander il 02 Novembre 2021, 16:04:42 PM
Quindi concordi con me che la storia umana non ha alcun senso? cit.:"perché la condizione di possibilità del dare senso è che non ci sia senso da scoprire, ma solo uno (o molti) da inventare/attribuire. "
Tanti sensi soggettivi inventati non fanno un senso condiviso. La domanda si pone sul senso oggettivo della storia, non su quello soggettivo. In mancanza di un senso oggettivo sorge il sentimento di vanità (soggettivo.Perché ovviamente un sentimento non può che essere soggettivo) della storia umana.
Un «senso oggettivo» non credo possa esserci, né nella storia né in altro, poiché il senso per sua "natura", è sempre il risultato di un'attribuzione, sia essa soggettiva o collettiva. Possiamo certo dire che ci sono sensi "oggettivi" se visti dall'interno dei rispettivi paradigmi, sebbene, come detto, allargando lo sguardo al loro esterno ci siano altri sensi, altre "(pseudo)oggettività" che quindi rivelano l'assenza di senso come autentico punto di partenza (partendo dal quale sono nate nella storia differenti e divergenti culture, pensieri politici ed estetici, etc.). Il problema del senso credo sia costitutivamente estraneo a quello dell'oggettività (almeno se intesa epistemologicamente), se non per il fatto che "oggettivamente" il senso (inteso genericamente come valore-significato) è un'alterità contingente e astratta rispetto all'oggetto immanente a cui viene riferita/attribuita.
L'esser vana della storia umana è come l'esser vano del moto dei pianeti o l'essere vano di uno scambio di elettroni: può esser sensato definirli «vani» solo se ci si aspettava che dovessero/potessero avere un senso, altrimenti si sta solo applicando una predicazione (quella dell'aver o no «senso») non pertinente (come se dicessi che il codice della strada è anaerobio: non essendo qualcosa di biologicamente vivo, non ha molto senso osservare come quel codice non necessiti di ossigeno... per quanto questa sia a suo modo un'affermazione comunque vera).
Infatti in presenza di un Dio ci si aspetta/va (forse illusoriamente, chi lo sa) che ci potesse essere un senso. In assenza di Dio quel senso non si può trovare. Però non siamo qui di fronte ad una attribuzione di senso oggettivo o meno della storia umana, ma piuttosto sul sentimento di vanità che è non-dicibile, simile ad un sentimento di meraviglia che si può (o no) provare di fronte ad un paesaggio naturale, ecc. Diciamo che improvvisamente si viene colti, inaspettatamente, dal sentimento di vanità, che è un risultato dell'osservare gli eventi, piuttosto che cercare di capirli. Come il sentimento di meraviglia che posso provare di fronte ad un bosco, senza nulla conoscere di botanica. Interpreto in questo senso la citazione di Calvino e che anch'io mi capita di provare.
Citazione di: Alexander il 02 Novembre 2021, 16:04:42 PM
Buongiorno Phil
Quindi concordi con me che la storia umana non ha alcun senso? cit.:"perché la condizione di possibilità del dare senso è che non ci sia senso da scoprire, ma solo uno (o molti) da inventare/attribuire. "
Tanti sensi soggettivi inventati non fanno un senso condiviso. La domanda si pone sul senso oggettivo della storia, non su quello soggettivo. In mancanza di un senso oggettivo sorge il sentimento di vanità (soggettivo.Perché ovviamente un sentimento non può che essere soggettivo) della storia umana. Sono partito da questo sentimento di vanità che percepisce il personaggio di Calvino. Naturalmente non è detto che tutti lo provino.
Possiamo parlare di un senso oggettivo della storia umana perché non possiamo escludere che non vi sia.
In effetti io credo che vi sia, come proverò a dire, anche se ti anticipo già' che deluderò le tue aspettative e non acquieterò il tuo senso di vanità.
Intanto parlarne ha senso solo se l'umanità è qualcosa di oggettivo, e a me non pare che lo sia.
La strada parte in salita, come se volessi subito smentirmi.
Tu allora puoi smentirmi dando una definizione di umanità, ma puoi farlo solo se la accrediti già' in partenza di un senso.
Altri potranno dare altre definizioni cui sono attinenti diversi sensi, come se vi fossero diverse umanità.
Tuttavia, tutti noi condividiamo il fatto che vi sia una sola umanità. Ne parliamo come se fosse una e una sola.
Ciò può avvenire solo attribuendo tutti lo stesso senso, non esprimendolo però, perché non ne abbiamo consapevolezza.
Possiamo condividere ciò che è implicito, ma non ciò che è esplicito, e se ciò che è implicito diventa esplicito allora non è più condiviso. È sufficiente che un solo individuo rifiuti quel senso, ed è certo che avvenga prima o poi.
Ma supponiamo per assurdo che invece non avvenga. Un senso divenuto esplicito viene da tutti condiviso e per sempre.
Anche così non disponiamo ancora di un senso oggettivo, perché l'oggettività non ha a che fare con l'unanimita'..
Quindi un senso anche da tutti condiviso non sarebbe oggettivo.
Se però un tal senso ci fosse risolverebbe almeno un problema.
Quello di capire come mai, pur essendovi diverse possibili umanità, una per ogni senso possibile, noi ne percepiamo una sola.
Quindi, ripetendomi, il senso dell'umanità, e quindi della sua storia, è ciò che la definisce, e che quindi c'è la fa' percepire come tale. Lo possediamo, e lo condividiamo, fin quando non lo esplicitiamo.
Sicuramente ho così deluso le tue aspettative, come premesso.
Ma allora il problema che poni, o ancora meglio che sentì, perché tu provi un senso di vanità, andrebbe meglio così riproposto.
Se provi un senso di vanità, cosa manca al tuo vuoto per riempirlo?
Quali sono le tue aspettative deluse?
Posto che mi sentirei di osservare che tutti possediamo questo senso di vanità, quindi la tua risposata chiarirebbe un problema comune.
Io lo razionalizzerei nel seguente modo.
Il senso di vanità equivale alla coscienza che il soggetto della storia, anche quando fosse oggettivamente definito, sarebbe tale per un solo istante, perché la storia lo muterebbe all'istante dopo.
Il vero problema è che diamo per scontate, senza esplicitarle, tante, troppe ipotesi.
Come ad esempio che l'umanità sia ben definita e che tale definizione abbian eterno valore.
Ma ha senso parlare della storia di ciò che essendo eterno non muta?
Persino un pensatore che sulla vanità della storia umana ha costruito tutta la sua opera intellettuale ritrovava il senso della vita (umana) in una coppa di gelato. Ovvero in un artefatto della storia umana. Anche le vie del senso sono infinite.
Buongiorno Ipazia
Forse allora possiamo dire che trovare il senso della (nostra) vita ci aiuta a non sprofondare in quel sentimento di vanità che la storia umana nel suo complesso può e sa suscitare. Quasi che la mente, dopo averlo provato, cerchi di ritornare alla sue certezze rassicuranti, consuete. Magari si legge un libro edificante o si va su Aforismi.it per vedere l'insegnamento sul senso della (loro) vita dato dai grandi pensatori,scienziati, filosofi o maestri spirituali. E' un po' la tecnica che usiamo quando siamo vecchi e malandati: compensiamo con piccoli piaceri, abitudini che ci consolano. Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno e cerchiamo in ogni modo di rallentarne lo s-vuoto-mento.
Buona giornata.
Vano: vuoto o anche privo di efficacia.
La nostra vita di singoli individui vive quotidianamente di gesti che si spera siano buoni a farci vivere.
Siamo pertanto invasi da un'abitudine mentale che rende spontaneo il vedere una finalità nel gesto che si compie.
Tutti sappiamo però che c'è la morte ad aspettarci, della quale nulla sappiamo.
In questo gravame mortifero, tra l'altro, le nostre produzioni linguistiche affascinanti l'umanità intera si sono rose senza successo ad affrontare vitalmente tale aspetto. Il senso comune della storia umana pertanto, e forse di qui il senso di vanità che si può percepire, risulterebbe dal rendersi conto che le nostre azioni, pur guidate dalla morte, sono finalisticamente rivolte alla vita. A 'sto punto mi chiedo. Perché non finalizzare la morte? Perché mi danno a vivere, anche se ne provo soddisfazione? Se la morte è tappa obbligata della vita tanto vale che mi ammazzi subito e vediamo poi che succede. Ma lo fanno in pochi. Il gelato è buono si sa, e come dice Ipazia le vie del senso sono infinite. Forse, al fine di vedere un senso comune della vita, basterebbe solo accontentarci di avere ben chiaro al punto di saperlo riconoscere in ogni istante che si vive quale possa essere l'attimo in cui si possa pure rischiare la morte. Ma lo fanno in pochi
Buona sera Daniele22
Penso anch'io che nel gesto quotidiano ci sia finalità, cosa che ci viene a mancare quando osserviamo la storia umana nel suo complesso. Il sentimento di vanità è anche un sentimento di morte, come giustamente scrivi. Sentimento che cerchiamo di negare opponendo una quantità di sensi soggettivi che ci confermino, che riempiano di senso questa intuizione fondamentale, metafisica, sempre presente nella coscienza umana di fronte alla vanità, alla storia incapace di liberarci da questo vuoto. Storia che si affanna inutilmente a riempirlo, facendo e poi rifacendo, creando e distruggendo. Il sentimento di vanità può generare anche un desiderio di non essere, di porre fine a questo nell'oblio della morte.Così possono nascere pensieri autodistruttivi, per porre fine all'angoscia della percezione della vanità. Anche a me è capitato di nutrire pensieri simili. In questa angoscia però , sempre, un incontro mi ha preso per i capelli e tirato su. Sempre un essere umano, volto di Dio, mi ha ridato un briciolo di fiducia. Io almeno ho dato questa chiave di lettura a questi incontri, apparentemente senza particolare importanza, che non cambiavano nulla della mia esistenza quotidiana, ma cambiavano la mia visione delle cose. Il Dio-con-noi lo riconoscevo allora nel volto del poveraccio che aiutavo in qualche modo, magari solo a salire le scale, che ringraziava, ringraziava, mentre io non ero capace di ringraziare.
Tornando all'intervento di Phil, se postuliamo che la vita umana e la storia siano realtà oggettive, dedurne un senso dipende dal punto di vista antropologico in cui ci collochiamo e dalla costellazione di valori di questo punto di vista. Da ciò non sfugge neppure il senso parziale del teista e il significato a cui attinge. Sentendo la necessità di un senso comune, l'unica strada possibile è la promozione e condivisione della propria causa/fede con altri umani, verificando nel feedback la fecondità della propria intuizione. Tale processo è trascendentale in senso kantiano e, qualsiasi sia il riscontro, non legittima le pretese di oggettività universale che il titolo della discussione pone. Tale consapevolezza non è riducibile ad una ritirata senile negli aforismi filosofici, ma riguarda chiunque abbia un proprio senso del mondo da comunicare.
Personalmente preferisco radicare il mio senso della realtà nell'immanenza della quale, come dicevano gli antichi, la storia è maestra di vita. Rifuggendo dal corto circuito scopo-senso. Ma lasciando che il senso emerga dagli scopi perseguiti nella storia, tanto realizzati che falliti.
Possedendo memoria e spiccata coscienza, viviamo in tempi estesi, e, con la globalizzazione iniziamo a vivere in ogni luogo. La storia, pur collettiva, diventa quindi, nelle sue diverse interpretazioni, sostanza costitutiva di ogni individuo.
La stessa complessità della storia richiede interpretazioni semplificative, e ciò rimanda a una chiave di lettura, un senso pregiudiziale. Queste interpretazioni diventano a loro volta motori della storia.
Quindi, se come mi pare risulti da questa discussione sia più facile trovare un senso individuale, è poi l'interazione di questi diversi sensi a fare la storia.
Possiamo attribuire alla collettività una memoria, ma non una coscienza, quindi non una intenzionalità guidata da un preciso senso, ma dall'interazione di diversi sensi.
Il senso stesso della collettività sta nella diversità.
Per quello che ne sappiamo non esiste il bene e il male, ma l'efficace e L' inefficace relativi al contingente di una realtà mutevole.
Dietro al disagio che provoca il senso di vanità della storia intravedo l'ineliminabile disagio provocato dal divenire.
Allora Dio viene invocato come ciò che può dare un senso alla storia, come l'emblema di ciò che è , causa del divenire, ma non effetto. Se Dio esiste allora abbiamo la certezza che una realtà pur apparentemente tanto caotica da sembrare inconcludente e priva di meta, pure ha una causa certa e immutabile.
Se certa fissa, immutabile, chiara, contenitore di ogni desiderabile, è la causa, il caos degli effetti non può che essere solo apparente.
Il credente non perciò attinge al senso della storia più di quanto non faccia un non credente, ma è certo che vi sia, e questo lo aiuta a procedere nella storia. Ad acquietare il senso di vanità che tutti, credenti e non credenti provano.
Mi chiedo, se potessimo conoscere l'intero futuro troveremmo allora il senso della storia dell'umanità?
Quello che è certo è che in un lontano futuro non ci sarà alcuna umanità, nel modo in cui oggi la intendiamo.
Al massimo ci saranno esseri viventi che possiamo ad essa fare risalire, e dall'aspetto prevedibilmente ripugnante, se è vero che oggi basta una semplice sfumatura di colore della pelle diversa, per generare tale sentimento.
La domanda quindi può avere un senso se riferita alla vita intera nella sua diversità presente e futura.
Oggi possediamo abbastanza conoscenze della storia della vita passata, ma l'impressione è che se pure vi aggiungessimo la conoscenza della futura non ne caveremmo nulla.
Ma nella misura in cui la conoscenza ci rende diversi , forse potremmo iniziare a correggere il nostro linguaggio rendendo le nostre domande più coerenti con la nostra conoscenza.
In tal senso chiedersi quale sia il senso della storia umana è un quesito che dovrebbe aver perso ormai ogni senso.
Qualunque collettività si voglia considerare , prima non era e poi non sarà, ed è oggi solo in quanto convenzione arbitraria che la astrae dal contesto vitale.
Seppur percepiamo direttamente l'umanità, non dunque come arbitraria costruzione, ciò non certifica la sua esistenza, ma certifica il fatto che la diversità della vita insiste su una base comune, essendo il prodotto di un divenire continuo, seppur con qualche salto di estinzioni di massa.
Non è un caso che chi ipotizza Dio si trovi a fare i conti con l'evoluzione come produttrice di diversità, evocatrice di caos ,la quale alla lunga rende vana ogni possibile astrazione di una collettività dal "tutto vivente".
Il destino di ogni astrazione è segnato, e a volerla dire tutta, la vita stessa è una astrazione.
Ogni astrazione ha solo il senso di coincidere con se stessa, in quanto arbitraria, e a ciò non sfugge nemmeno l'umanità, se non la vita intera.
Citazione di: iano il 03 Novembre 2021, 21:22:54 PM
Mi chiedo, se potessimo conoscere l'intero futuro troveremmo allora il senso della storia dell'umanità?
Quello che è certo è che in un lontano futuro non ci sarà alcuna umanità, nel modo in cui oggi la intendiamo.
Al massimo ci saranno esseri viventi che possiamo ad essa fare risalire, e dall'aspetto prevedibilmente ripugnante, se è vero che oggi basta una semplice sfumatura di colore della pelle diversa, per generare tale sentimento.
La domanda quindi può avere un senso se riferita alla vita intera nella sua diversità presente e futura.
Oggi possediamo abbastanza conoscenze della storia della vita passata, ma l'impressione è che se pure vi aggiungessimo la conoscenza della futura non ne caveremmo nulla.
Ma nella misura in cui la conoscenza ci rende diversi , forse potremmo iniziare a correggere il nostro linguaggio rendendo le nostre domande più coerenti con la nostra conoscenza.
In tal senso chiedersi quale sia il senso della storia umana è un quesito che dovrebbe aver perso ormai ogni senso.
Non ne sarei così convinta. Qui si tocca un punto cruciale della storia umana, introdotto da Bobmax, ovvero il senso nel senso di verso. Se è pur vero che la storia è maestra di vita, la sensibilità umana è più attirata dal futuro che dal passato e ne ha ben donde: il passato è immutabile ed a prova di qualsiasi fantasia, il futuro no. Ed infatti il punto di forza di qualsiasi costrutto ideologico sta nel futuro, nell'escatologia non falsificabile, salvo quando il futuro non sarà più tale. Ma per chi scommette sull'eterno la partita è facile e vinta in partenza.
Questo dato ce lo consegna pure la storia passata che mostra la capacità di signoreggiarla dei profeti, fondatori di religioni e imperi materiali e ideologici. Nel carisma dei profeti si intravvede il senso della storia umana, sempre pronta a concedersi a chi lascia intendere di padroneggiare il futuro. Arte che i millantatori prestati alla politica e alla persuasione hanno affinato tecnoscientificamente fino al dettaglio più insignificante e al delirio più delirante. Rivolto al cielo o alla terra, poco cambia, fino a sorprenderci per la sua capacità di affossare imperi millenari, militari e ideologici, come fossero fuscelli.
I profeti sono il fuoco, l'epicentro, di una coscienza collettiva pronta a grandi balzi nella storia dell'umanità che, come la natura, i salti li fa.
Che il balzo abbia esiti tragicomici appartiene pure al senso della storia umana, trascendentalmente sovraccarica direi, più che vuota.
Buon pomeriggio.
Come mi sembra abbia detto Ipazia, per vedere il senso della storia umana bisognerebbe vederlo contraddistinto dal precedente stato in cui ci si trovava. Il linguaggio consapevole dovrebbe tracciare una linea di demarcazione. Cos'ha prodotto nella storia fino ad oggi l'uso di tal linguaggio consapevole (almeno per quel che riguarda i massimi sistemi)?
Percorrendo l'unica via possibile indicata sempre da Ipazia, a mio giudizio, il senso della storia umana è questo: dalla notte dei tempi si è prodotta a livello mondiale una tesi: Dio. Si è poi prodotta un'antitesi: niente Dio. Sempre a mio giudizio, ad oggi mancherebbe la sintesi, che in qualche misura dovrebbe render conto delle due produzioni precedenti
Oppure anche, senza tesi ed antitesi, scendendo un po' più in basso e guardando la storia umana in relazione ai comportamenti, si potrebbe parlare della costante presenza del capro espiatorio. Se ne potrà mai uscire?
Il capro espiatorio (sia esso animale, umano, concettuale o spirituale) è uno degli ingranaggi messi in moto dalla dinamica del senso (una volta che questa sia innescata, innesco tramite mano/mente umana che dimostra ulteriormente come tale dinamica non sia una necessità trascendentale "oggettiva"): che cosa espia il capro? Una colpa. Di chi? Non sua. Come? Tramite un'investitura/attribuzione di... senso, appunto. Il senso del sacrificio del capro è assegnato dal sacrificante (nel caso di Cristo si ha coincidenza fra sacrificante e sacrificato, ma è un'altra storia), di per sé il capro non ha colpa (né la sua morte naturale avrebbe un senso), ma alla sua morte indotta viene assegnato un senso convenzionalmente (seppur ritualmente e nessun rito si autopresenta come mera convezione), senso che chiaramente esula dall'immanenza del perire della vittima sacri-ficale (fatta sacra, non nata sacra né necessariamente sacra; siamo sempre nell'attribuzione umana di un senso trascendente ad un'immanenza priva di senso innato).
La stessa dinamica semantica di attribuzione soteriologica può essere applicata sociologicamente, esistenzialmente, etc. la caccia al colpevole si ripiega spesso in una inconsapevole caccia al capro espiatorio, soprattutto quando c'è di mezzo sofferenza o morte a cui sentiamo il bisogno di dover (v. sopra) attribuire un senso, poiché l'insensatezza ha in sé l'ombra di un'insensibilità in cui magari non ritroviamo la nostra visione del mondo (l'attuale situazione sanitaria fornisce abbondanti esempi di come la ricerca del capro espiatorio faccia spesso, metaforicamente, affilare le spade e le lingue mentre si socchiudono gli occhi di fronte ai fatti oggettivi; è solo un esempio e non voglio deviare il discorso, per quanto sia facile prevedere che ognuno ci vedrà il senso che vorrà vederci, decidendo chi è il capro espiatorio di quale colpa, assegnando i ruoli tramite la suddetta "investitura apotropaica").
Secondo me, non è sufficiente constatare come spetti al singolo ricercare in se stesso il senso della vita.
Occorre pure considerare quale sia il motivo che lo sospinge alla ricerca.
Perché la ricerca non può che avvenire in perfetta solitudine, in quanto a nessuna "verità" ci si può aggrappare, se non a se stessi.
Ma cosa avvia la ricerca?
Perché il ritenere che sia una autonoma scelta incondizionata è questo sì un non senso!
Di modo che mi metto in ricerca perché sollecitato dall'altro.
E l'altro è qualsiasi ente che non sia me stesso.
Così come non nasce in me alcuna nuova idea che non sia sollecitata da ciò che è fuori da me, allo stesso modo il senso della mia esistenza diventa necessario proprio a causa del mondo in cui sono immerso.
È il mondo che mi richiede di dargli un senso!
E nel rispondere a questa richiesta decido chi sono.
O meglio... decido di essere o non essere.
Filtrare il senso attraverso il capro espiatorio significa inoltrarsi nel campo del simbolico che è nutrimento comune della sensibilità umana e dilaga dalla religione all'ideologia alla scienza.
E pensavo dondolato dal vagone
"Cara amica il tempo prende, il tempo dà
Noi corriamo sempre in una direzione
Ma qual sia e che senso abbia chi lo sa
Restano i sogni senza tempo
Le impressioni di un momento
Le luci nel buio di case intraviste da un treno
Siamo qualcosa che non resta
Frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno"
F.Guccini - Incontro
Considerando l'intervento di Phil, quel che vorrei proporre sarebbe che per ricercare il senso della storia umana si dovrebbe considerare, come suggerisce Bobmax, da dove provenga l'esigenza di darne un senso.
Al di là delle simbologie del capro espiatorio, resta il fatto che in presenza del Dio giudaico il capro (innocente) si carica delle colpe della comunità liberandola delle sue colpe (non dimentichiamo cmq che la comunità di allora era già fornita del braccio secolare della giustizia verso i malfattori). Venendo meno la presenza di Dio, sempre più la comunità si spoglia della colpa attribuitagli a suo tempo da Dio. Lo fa ergendosi essa stessa ad autorità senza colpa (sostituendosi cioè a Dio). L'autorità viene così ad esercitarsi da chi detiene potere trasferendo la colpa tutta sulle spalle dell'individuo che contrasta in qualche misura l'autorità. Rispondendo forse a Bobmax, il senso della storia umana nella sua globalità proverrebbe dal sentimento individuale (ciascuno a sua misura) e al tempo stesso collettivo, individuandosi in un sentimento di mancanza di giustizia nel mondo. Personalmente mi sono rassegnato a tale status e navigo per altre vie, anche se ancora chiacchiero di queste cose immaginando donchisciottescamente che le chiacchiere possano non esser vane a cambiare tale situazione
Citazione di: daniele22 il 05 Novembre 2021, 11:00:06 AM
Considerando l'intervento di Phil, quel che vorrei proporre sarebbe che per ricercare il senso della storia umana si dovrebbe considerare, come suggerisce Bobmax, da dove provenga l'esigenza di darne un senso.
Insisto sul fatto che ciò che ci fa' percepire le cose come tali e' il senso che gli diamo.
Non sempre però abbiamo presente a noi stessi il senso che diamo alle cose, e solo ciò giustifica chiedersi quale sia il loro senso.
Il senso della storia dell'umanità è quello di essere una astrazione da una storia più grande, che è quella della vita.
Se noi consideriamo l'insieme di tutti gli esseri viventi non è ovvio che esso possa suddividersi in sottoinsiemi secondo precisi criteri. Il senso di ogni sottoinsieme , specie, famiglia etc..., è quel criterio che li determina, che equivale ad un senso.
Se noi ci chiediamo qual'e' il senso della storia di qualcosa che abbiamo estratto da qualcosa di più grande che la contiene, stiamo ammettendo che abbia un senso parlare di una storia che sta dentro una storia più grande.
Se ciò ha un senso, questo gli deriva dall'attrazione fatta.
Chiediamoci allora perché abbiamo astratto l'umanità dal contesto della vita, cosa in se' lecita quanto arbitraria?
Sul perché di quella "estrazione" si basa il senso della storia di ciò che è stato astratto.
Ma che senso ha chiedersi il senso di una storia che sta dentro una storia più grande?
L'unico senso è quello di semplificare e rendere fruibile la storia, che non può dirsi un senso vano.
Di vano c'è solo il provare a montare su una storia oggettiva su nulla di oggettivo.
Di vano c'è solo il credere nell'oggettivita' di ciò che arbitrariamente abbiamo costruito.
Vano, ma non privo di significato e di conseguenze.
Le condizioni in cui versa il nostro pianeta ci suggeriscono di allargare la platea di viventi dei quali cercare un senso della storia.
Si può fare,,essendo una operazione arbitraria, e si deve fare in quanto più utile ai tempi e alle emergenze che viviamo.
Riferirsi alla storia esclusiva dell'umanità, una storia dentro una storia, non ha più un senso attuale.
Invece di crogiolarci dentro ad un masochistico senso di vanità, è giunto il momento di allargare se non il senso, il soggetto di cui considerare la storia e l'eventuale suo senso.
Se si accetta che la ricerca del senso la conduce il singolo, nella sua assoluta solitudine, e allo stesso tempo questa stessa ricerca è motivata dall'altro, occorrerebbe allora indagare cosa significhino per davvero "io" e "l'altro".
Cioè comprendere come si possa discriminare il me stesso dall'altro.
Ma non è proprio la richiesta di senso a determinare cosa è l'altro e cosa sono io?
Perché l'altro è colui che chiede e io sono colui a cui è rivolta la richiesta.
Potremmo allora chiederci: Vi è qualcuno, qualcosa che, per il fatto stesso di esistere, non ci rivolga una richiesta di senso?
Perché a ben guardare questa richiesta non proviene solo da ogni essere umano, dalla sua storia, dalla storia dell'umanità, ma pure da ogni altra entità del mondo, e pure da ogni pensiero, emozione, sentimento, di cui sono consapevole.
Insomma, tutto ciò di cui sono cosciente rivolge a me una muta domanda di senso!
Questo senso che mi viene richiesto è una mia presa di posizione, un sì o un no. Ossia se ciò che c'è vada bene così com'è, oppure no.
Una responsabilità immane, che mi sospinge nella mia profondità alla ricerca di me stesso.
Daniele22, con la morte di Dio il mondo che ci interroga, che richiede un senso, non ha più alcun filtro, alcun alibi.
Non vi è più un Dio tra me e il mondo.
E la responsabilità è allora solo mia.
Un peso difficile da sopportare, perché proprio io mi ritrovo ad essere il capro espiatorio.
Allora forte è la tentazione di rassegnarsi al "così va il mondo..."
Citazione di: bobmax il 05 Novembre 2021, 14:39:18 PM
Se si accetta che la ricerca del senso la conduce il singolo, nella sua assoluta solitudine, e allo stesso tempo questa stessa ricerca è motivata dall'altro, occorrerebbe allora indagare cosa significhino per davvero "io" e "l'altro".
Cioè comprendere come si possa discriminare il me stesso dall'altro.
Ma non è proprio la richiesta di senso a determinare cosa è l'altro e cosa sono io?
Perché l'altro è colui che chiede e io sono colui a cui è rivolta la richiesta.
Potremmo allora chiederci: Vi è qualcuno, qualcosa che, per il fatto stesso di esistere, non ci rivolga una richiesta di senso?
Perché a ben guardare questa richiesta non proviene solo da ogni essere umano, dalla sua storia, dalla storia dell'umanità, ma pure da ogni altra entità del mondo, e pure da ogni pensiero, emozione, sentimento, di cui sono consapevole.
Questo è il nocciolo della questione.
Chi sono io e chi è l'altro. Il processo d'individuazione che genera l'individuo, come ciò che arbitrariamente e funzionalmente può astrarsi da un tutto, e ciò che ne rimane , come altro.
Sarebbe un discorso logico quanto banale, se non fosse per l'inghippo che la coscienza sembra pretendere un soggetto non arbitrario, in quanto è quel soggetto a produrre astrazioni, a qualificarsi come io, in modo apparentemente oggettivo, senza se e senza ma.
Comprendere cosa sia ciò che comprende sembra essere impossibile.
Qualcosa però si può dire.
La coscienza non è essenziale alla vita, e certamente non è tutto.
Non tutto passa per la coscienza, e la mia impressione è che la richiesta di senso nasca da quel sommerso inconscio, come tentativo di una sua esplicitazione.
È una ricerca di senso sommersa dentro noi, chiunque siamo noi, quella che sembra più ovvio cercare, perché prossima.
Ma, paradossalmente, man mano che acquisiamo conoscenze, il soggetto che astrarre e conosce, diventa sempre più sfumato dentro una storia più grande di lui dove sembra vacillare la certa distinzione fra lui e l'altro, come fosse una arbitraria costruzione.
In tal senso, caro Bobmax, tempo fa' ti invitavo a considerare che non occorre ricongiungersi all'uno, perché non c'è ne siamo mai divisi, se non per pura convenzione., e oggi io credo siamo chiamati a ridefinire questa convenzione in nome della salvezza del pianeta.
Dio è morto se quel Dio era fatto a nostra immagine.
Ma come si dice a Roma?
Morto un Dio se ne fa' un altro.😇
È forse è proprio arrivato il momento di rifarlo.
Dio è ciò che certifica l'io e questo io insieme all'altro vanno ridefiniti, perché si può fare, ed è arrivato il momento di farlo.
Credo che il trucco consista nel credere ma senza affezionarsi troppo a ciò cui si crede. Una via di mezzo fra il dubbio e la certezza, se di nessuno dei due possiamo far senza.
Si può dubitare di qualsiasi cosa, ma a condizione che vi sia qualcosa di cui dubitare, e nulla ha un senso che non si può cambiare.
Buongiorno a tutti
Quando parliamo di umanità diventa difficile dubitare della sua esistenza.Anzi, viviamo proprio in un periodo inflazionato dal termine: salvare l'umanità, l'umanità del sentire,essere umanitari, crimini contro l'u.,ecc. E' un concetto che ha forza storica,di cambiamento epocale. Dobbiamo tutti sacrificarci per "dare un futuro" all'umanità, dicono scienziati e politici che viaggiano in jet privati. C'è un'etica/interesse potente sottostante il termine. E' l'interesse di quanti sono sottoposti alle limitazioni della natura umana.
Per "storia umana" intendevo implicitamente la storia naturale nel suo rapporto con l'uomo. O meglio: del rapporto dell'umanità con essa. La storia umana non può infatti astrarsi da quella naturale. Gli eventi naturali influiscono pesantemente sulla storia umana: cataclismi, pestilenze, pandemie, ecc. cambiano il corso della storia dell'uomo. Si operano mutamenti tecnologici, visioni esistenziali diverse si impongono. La storia stessa dei diritti , come vediamo in questo periodo, cambia, cerca di adattarsi,sovrapporsi agli eventi naturali. Quando affermo perentoriamente che "senza Dio la storia umana è priva di senso" considero anche questo adattamento che è intrinsecamente storia dell'uomo. L'affermazione però riguarda questa storia che ci interpella in quanto umani. Trovare il senso della vita naturale in assoluto (universale) è ancora più arduo: trasformazione, sopravvivenza, legge del più forte, del più adattabile,ecc. Anche qui, osservandola, dovremmo alla fine convenire che "senza Dio la storia naturale è priva di senso".La mia storia biologica è priva di senso; infatti siamo solo noi umani, a quel che ne sappiamo, che possiamo affibbiare alla (nostra) natura un qualche senso relativo, soggettivo, che sia cioè oltre i suoi meccanismi di funzionamento.
Concordo con Daniele22 sul fatto che il sentimento a riguardo l'ingiustizia, da sempre presente, costituente stesso della storia umana, è uno dei più forti "esaltatori" del senso di vanità che si può provare osservandola.
Sì, Iano, non ce ne siamo mai divisi.
Tuttavia l'Uno coincide con il Nulla.
Di modo che non mi posso aggrappare all'Uno.
L'Uno è l'abisso in cui posso trovare la pace del Bene così come il Nulla assoluto.
Tutto dipende da cosa mi viene incontro e dal mio sguardo.
Perché l'altro può far riempire il mondo di significato oppure svuotarlo d'ogni senso.
Quando in me non vi è amore, quando l'altro non lo suscita e rimango indifferente, ecco l'orrore.
Se viceversa l'amore fluisce da me senza sforzo alcuno, se l'altro è riconosciuto come l'amato, ecco la beatitudine.
Citazione di: Freedom il 31 Ottobre 2021, 12:05:48 PM
Citazione di: Alexander il 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM
Uso il termine senso nell'accezione di significato. La storia umana , e quindi la storia personale di ognuno di noi, non appare priva di significato in assenza di Dio?
E' talmente ovvio che non necessita una gran discussione.
Infatti l'ateo attribuisce debolezza, fragilità, fuga dalla realtà al credente. Perché quest'ultimo non accetta l'assenza di significato che deriva dalla vita così come ci appare. Oddio, qualcuno si esercita in improbabili dimostrazioni di significato/i laddove, viceversa, è del tutto evidente l'assenza di esso/i.
E' per questo che l'ateo, non sempre ma spesso, afferma (o più elegantemente pensa tra sé e sé) che egli è più forte, più oggettivo, più aderente alla realtà insomma.....superiore.
Chissà, magari è anche vero.
P.S.
Ho usato la parola credente senza specificare in quale Dio. Perché se è certamente vero che esistono delle differenze nei vari credo è altrettanto vero che esistono anche delle similitudini. Come nel caso di specie e cioè che il credere in qualunque Dio dà un significato alla propria vita.
Nel dipanarsi della discussione rilevo che, forse, ho capito male il quesito iniziale. L'ho inteso come esistenziale e dunque sinonimo della antica e decisiva domanda dell'uomo: "perché esisto"?
A prescindere da ogni costruzione intellettuale o fantasia, l'umanità è un dato storico-evolutivo reale essendo gli umani animali sociali che il processo evolutivo ha allacciato intimamente, aggiungendo al vincolo naturale quello tecnologico/culturale.
Da questo doppio legame nessuno sfugge e il massimo che può fare è proporre una propria declinazione metafisica, ideologica e ideale, comprensiva pure del concetto/sensazione di vanità.
Con riferimento all'ultimo post di Alexander non riesco ancora a capire perchè con Dio la storia umana avrebbe senso ? E' chiaro che un senso artificioso, posticcio, ce l'avrebbe; ma ne varrebbe la pena ? Aumenterebbe la qualità sensibile dell'umano o lo ridurrebbe ad una marionetta in un teatrino preconfezionato ? Come non bastassero i burattinai del Capitale !
Salve Freedom. Citandoti : "Nel dipanarsi della discussione rilevo che, forse, ho capito male il quesito iniziale. L'ho inteso come esistenziale e dunque sinonimo della antica e decisiva domanda dell'uomo: "perché esisto"?".
Secondo me ci hai indovinato però piuttosto alla lontana. La antica e decisiva domanda non è quella che tu citi (domanda troppo particolaristica, autocontemplativa, egoistica.........) ma piuttosto, rimandando anche ad antico "topic" qui ospitato.....................la sua versione filosofica ed impersonale (e per i non filosofi.....immensamente più ridicola), cioè "ma perchè esiste l'umanità anzichè il nulla ?". Saluti.
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2021, 08:58:44 AM
Con riferimento all'ultimo post di Alexander non riesco ancora a capire perchè con Dio la storia umana avrebbe senso ? E' chiaro che un senso artificioso, posticcio, ce l'avrebbe; ma ne varrebbe la pena ? Aumenterebbe la qualità sensibile dell'umano o lo ridurrebbe ad una marionetta in un teatrino preconfezionato ? Come non bastassero i burattinai del Capitale !
Io credo che si intenda il divenire stesso come mancante di senso, di modo che un Dio che tutto può e tutto fa', seppur immerso nel divenire , resta pur sempre se stesso, ha cioè il senso dell'essere. Egli pur diviene , ma non muta.
Il suo senso rimane dunque nel suo essere, ciò che a noi non è dato, se non cercando di aggregarsi a lui sperando di condividere la sua sorte alla fine.
La nostra ricerca di senso è una espressione mascherata di disagio "esistenziale" dunque.
Nessun possibile senso in effetti ci acquieterebbe, perché il divenire mette in crisi l'essere come cio' che è , essendo unico portatore di senso, al di là di qualunque verso prenda.
Come si risolve la questione?
Non affermando che l'umanità esiste in quanto ha una storia, ma viene raccontata una storia fra tante che la reclama come soggetto . Una storia non univoca, ma solo una possibile storia.
L'essere è ciò che si astrae da una delle tante possibili storie .
Non ha una storia, ma è una storia.
Noi siamo esseri viventi dotati di coscienza, ma anche no.
Dunque sbagliamo a caratterizzarci come esseri coscienti, perché parimenti non lo siamo.
Di qualunque cosa parliamo dovremmo cercare l'origine in una parte o nell'altra di noi, considerando che non si possono mischiare senza precauzione alcuna cose che dalle diverse parti si originano.
L'essere in quanto tale non ha origine cosciente, razionale.
Ciò dovrebbe essere evidente. La storia dell'essere invece si, in quanto successione di fatti verificabili o a cui si può risalire.
Possiamo dire della storia dell'essere, ma non dell'essere, se non che è ciò che è, che equivale appunto ad ammettere di non poter dire nulla.
È chiaro che questo essere di cui non possiamo dire entra in antitesi con la sua storia, di cui possiamo dire.
Ma l'essere non sembra aver bisogno di una storia per essere giustificato.
Esso trova senso è giustificazione in se stesso, e la sua storia appare come una complicazione , un di più, ai fine del suo senso.
Cercare il senso, la giustificazione dell'essere nella sua storia significa ammettere contraddittoriamente che in essa esso possa trovare giustificazione, significato.
L'unico modo di di risolvere la contraddizione è Dio, come ipotesi di un divenire che non intacchi l'essenza dell'essere.
Il dissidio si risolve quindi in un divenire ciclico, che parte da Dio e torna a Dio, come non si fosse mai mosso, negando nei fatti gli effetti del divenire.
La percezione dell'essere è inconscia, ma conscia è la constatazione del suo divenire.
Non si possono mettere insieme l'essere e la sua storia senza precauzioni, senza ritrovarsi poi davanti a paradossi che sfocino in un senso di vanità.
Dietro l'origine dell'essere vi è una storia ignota, e la storia dell'essere è la continuazione nota di quella storia. La storia quindi non ha un senso se non quello di generare e rigenerare in continuazione l'essere.
Da ogni possibile storia si può estrarre un soggetto, l'essere.
L'essere è il senso che diamo alla storia.
Infatti quando rileviamo vanità nella storia dell'essere, non perciò concludiamo che ciò destituisca l'essere da quel che è .
Ma in effetti, quando ci chiediamo il senso della storia dell'essere, ci stiamo invece chiedendo da dove esso salti fuori.
La scienza ci da' esempi del come l'essere salti fuori dall'applicazione cosciente del suo metodo, e questo essere certamente e' se siamo poi in grado di manipolarlo in laboratorio, per quanto fantasmagorico, apparentemente privo di solida concretezza, come un fotone o una funzione d'onda.
È come se un metodo concreto generasse fantasmi concretamente trattabili, mentre il metodo ignoto della percezione generasse un concreto essere, che però non si sa da dove salti fuori.
Siccome non si sa' da dove salti fuori non possiamo altrimenti giustificarlo che come ciò che è, ma dietro vi è sempre una storia, anche se noi non la conosciamo.
Cercare il senso della storia è come mettere il carro davanti ai buoi.
Riassumendo, se l'essere è ciò che è in quanto tale allora esso possiede in se' il suo senso e la sua giustificazione. Quindi perché poi andiamo a cercare il senso della sua storia, come giustificazione aggiuntiva? Se teniamo fermo che l'essere è ciò che è il tentativo è superfluo quanto vano.
Se invece insistiamo nel cercare un senso, allora stiamo cercando un senso diverso dall'essere in quanto tale.
Il credente trova senso in Dio in quanto prototipo perfetto di essere, motore primo che nulla muove.
Esso entra nel fiume del divenire ma ne esce sempre asciutto., come non vi fosse entrato.
Gli altri esseri sono imperfetti in quanto tali , perché non si salvano dal divenire, come se non fossero in quanto tali.
Così si professano a immagine di Dio nel tentativo di avere salvo il proprio essere.
Cercano la salvezza nel negare il divenire, di cui sono invece figli.
Nel dire ciò io non voglio apparire più furbo di un credente, in quanto non credo esistano i non credenti , ma esistono quelli che sanno in cosa credono e quelli che non lo sanno, e io credo di sapere che esista il divenire da cui si possono trarre tante storie e da ogni storia un essere che gli da' un senso.
Io credo che la storia generi l'essere.
Altri che l'essere generi la storia.
Il significato di un essere non può stare nell'essere stesso. Il significato di una porta non sta nell'essere porta, ma nel chiudere o aprire un locale. Il semplice fatto di esistere non conferisce alcun significato a ciò che esiste, se non in una relazione con altro da sé. La storia umana la possiamo immaginare quindi come la somma delle relazioni tra gli esseri umani e di questi con la natura da cui traggono l'esistenza. Il sentimento di vanità della storia diventa quindi il sentimento di vanità provato davanti a questa relazione.Come posso dimostrare che il senso di una porta è quello di aprire o chiudere un vano, dovrei poter trovare il significato della storia umana, ossia per qual motivo essa esiste.Io semplicemente sostengo che questo significato, in assenza di un autore, non si trova.
Citazione di: Alexander il 07 Novembre 2021, 18:16:01 PM
Il significato di un essere non può stare nell'essere stesso. Il significato di una porta non sta nell'essere porta, ma nel chiudere o aprire un locale. Il semplice fatto di esistere non conferisce alcun significato a ciò che esiste, se non in una relazione con altro da sé. La storia umana la possiamo immaginare quindi come la somma delle relazioni tra gli esseri umani e di questi con la natura da cui traggono l'esistenza. Il sentimento di vanità della storia diventa quindi il sentimento di vanità provato davanti a questa relazione.Come posso dimostrare che il senso di una porta è quello di aprire o chiudere un vano, dovrei poter trovare il significato della storia umana, ossia per qual motivo essa esiste.Io semplicemente sostengo che questo significato, in assenza di un autore, non si trova.
Così si scomoda surrettiziamente il
significato, ponendo invece una questione antecedente: la
causalità. La causalità ha il brutto vizio di richiedere una dimostrazione e già ai tempi del Bonaparte l'ipotesi Dio non era più necessaria, soppiantata dalla natura che già allora signi-ficava gli eventi in maniera più plausibile e razionale, in alternativa alle troppe contraddizioni di un Architetto decisamente maldestro e indimostrabile.
Citazione di: Alexander il 07 Novembre 2021, 18:16:01 PM
Il significato di un essere non può stare nell'essere stesso. Il significato di una porta non sta nell'essere porta, ma nel chiudere o aprire un locale. Il semplice fatto di esistere non conferisce alcun significato a ciò che esiste, se non in una relazione con altro da sé. La storia umana la possiamo immaginare quindi come la somma delle relazioni tra gli esseri umani e di questi con la natura da cui traggono l'esistenza. Il sentimento di vanità della storia diventa quindi il sentimento di vanità provato davanti a questa relazione.Come posso dimostrare che il senso di una porta è quello di aprire o chiudere un vano, dovrei poter trovare il significato della storia umana, ossia per qual motivo essa esiste.Io semplicemente sostengo che questo significato, in assenza di un autore, non si trova.
Concordo che il significato di un essere non può stare nell'essere stesso, ma credo sia ciò che si intenda quando si dice che l'essere è in quanto tale, cosa che ha me non ha mai soddisfatto.
Però se lo si dice, avendo basato su ciò quasi la filosofia intera, un motivo non banale dietro a questo dire deve esserci,, e il motivo secondo me è che non conosciamo il percorso per il quale si è costituito l'essere.
A dimostrazione di ciò, pur percependo l'essere, altro non siamo in grado di dire.
Quindi lo diamo per ovvio, evidente, non discutibile, che sono altri modi di dire che è ciò che è.
Non solo in filosofia, ma nella vita di ogni giorno noi ci basiamo su ciò a cui possiamo solo limitarci a dare un nome, o indicare, senza altro poter specificare di significativo, che non appaia come arbitrario.
Quando il percorso per il quale si costituisce l'essere è invece noto, come avviene applicando il metodo scientifico, allora su di esso abbiamo molto da dire.
Ma, paradossalmente , mentre l'essere del primo tipo ci appare concreto, quello del secondo mostra tutto il suo carattere sfuggente, cioè non concreto, cioè astratto. Ma di fatto ciò non toglie che possiamo manipolare un tipo di essere quanto l'altro, sia che lo si tocchi con mano che con la mente.
E tutto ciò senza scomodare le eventuali funzioni dell'essere, di qualunque tipo sia, le quali, essendo varie ed eventuali , nonché imprevedibili a priori, non possono sostituirsi al suo significato.
Ho voluto declinare nel precedente post, l'essere in due tipi usando come discrimine la coscienza, quindi ciò che di esso possiamo dire e ciò che non sappiamo dire.
Noi però siamo in grado di manipolare entrambi i tipi, indipendentemente quindi da cosa possiamo dire sulla loro essenza.
La coscienza quindi non gioca un ruolo da primo attore, ma è un attore fra tanti.
Però, quando giungiamo alla conclusione della vanità dell'essere, giudicandolo attraverso la sua storia, stiamo ammettendo che sia l'unico attore.
Tutto sarebbe vano, se tutto passasse per la coscienza.
Cioè tutto è vano, per quel che ne sappiamo.
Ma vanità è un sottoprodotto della coscienza, e la coscienza non ci esaurisce.
Ma di fatto noi pensiamo che lo faccia, sbagliando.
I progressi nella storia dell'umanità, della quale stessa stiamo indagando il senso, coincidono con le nostre fughe eccentriche. Ogni volta che prendiamo coscienza del centro in cui ci siamo rifugiati, lo critichiamo e ci decentriamo.
Ma morto un centro se ne fa' un altro, e così via a progredire.
Un modo per dare non un significato alla storia, ma una accelerata, sarebbe quello di non aspettare che questi centri si palesino, andandoli a cercare.
Il centro in cui siamo oggi rifugiati è la coscienza, produttrice di vane sensazioni, fra l'altro.
La coscienza non ci esaurisce , quindi la nostra storia, intesa come suo esclusivo prodotto, non può dare un senso esauriente, che non si accompagni al minimo a vanità, per quella parte che manca...all'esaurimento totale😂
L'esistere è relazione.
Nessuna relazione, nessuna esistenza.
Di modo che il significato di ogni esistente è tutto nelle relazioni che fan sí che, appunto, esista.
L'esistente è perciò le sue stesse relazioni con altri esistenti.
Al punto... che ciò di cui si ha davvero contezza sono sempre e soltanto relazioni.
L'esistente è immaginato esserci "dietro" le sue relazioni, ma solo in quanto necessaria sintesi razionale. Non perché sia qualcos'altro rispetto alle sue stesse relazioni. Che infatti lo esauriscono totalmente.
Se viceversa cerchiamo di prescindere dagli esistenti, che sappiamo in loro stessi inconsistenti, per concentrarci sulle infinite relazioni di cui siamo spettatori, allora potremmo chiederci quale senso abbiano.
Ma ecco che la domanda subito rimanda a noi stessi.
Perché siamo proprio noi a dover decidere che senso abbia questo mondo!
E poiché il senso è la Verità, e l'Essere è esser Vero... nel inoltrarci alla ricerca del senso noi non facciamo che ritornare a noi stessi.
@Bobmax
Una tipica relazione in matematica è la seguente:
Se è vero questo allora si dimostra che è vero quello.
Che può riassumersi con , questo è quello pari sono, cui si può superfluamente aggiungere, che se questo è vero allora è vero quello, non aggiungendo la verità di quello nulla alla verità di questo, che essendo solo ipotetica non è alcuna verità.
Ora, se è vero che la matematica sembra essere l'ultimo rifugio sicuro per la verità, allora la verità è messa male.
Essa fa' parte di quelle cose che percepiamo ma di cui non sappiamo dire.
Resta da capire quanto la verità, superflua nel formulare una ipotesi, non lo sia nel formulare una fede, che è una ipotesi che si afferma senza condizioni.
La ricerca di verità però è il vero o millantato motore della storia umana, e del fatto che goda oggi di poca salute lo dimostra il fatto che nessuno qui l'ha indicata come senso di quella storia.
Direi che la verità è vera, quanto è vero Dio, al fine di questa discussione.
Comunque condivido mettere al centro le relazioni, se non si pretende che ogni relazione appaia.
Citazione di: Alexander il 07 Novembre 2021, 18:16:01 PMCome posso dimostrare che il senso di una porta è quello di aprire o chiudere un vano, dovrei poter trovare il significato della storia umana, ossia per qual motivo essa esiste.Io semplicemente sostengo che questo significato, in assenza di un autore, non si trova.
Sulla scia di quanto scritto in precedenza, direi che non lo si trova e inoltre non c'è modo di attribuirlo soggettivamente senza (poter) essere consapevoli che si tratta di un'attribuzione convenzionale, non di un rilevamento "oggettivo" di un nesso storia/senso. Le ricadute di tale aporia del senso (che non è essenzialmente "sensato" ma non può confessare di non esserlo) comporta che vacillino le fondamenta, sebbene non le costruzioni, di tutte le sotto-attribuzioni di senso. Ad esempio, in altro topic, ci si chiede come gestire l'inquinamento, concentrandosi/decentrandosi sul futuro (il cosa/come fare per...); tuttavia, non solo giocando con le parole, il senso del futuro non è forse il futuro del senso? Detto in soldoni: se non c'è un senso nella storia come (e perché) progettare il futuro dell'umanità? La retorica del "dover lasciare un mondo migliore ai nostri figli" o il "non uccidere la natura" sono
comandamenti che si basano su un senso ritenuto forte (almeno a parole, nelle prassi economiche altri sensi si dimostrano ben più predominanti), sono i
dogmi di una visione della vita (piuttosto condivisa, ma sappiamo che la condivisione non comporta affatto "oggettività") che presuppone comunque un (meta)senso, altrimenti tali imperativi non avrebbero a loro volta un senso derivato (l'impegno per lasciare alle generazioni future un mondo con meno Co2 ha senso solo se ha senso fare il possibile per la proliferazione dell'umanità, che ha senso solo se si ritiene che ciò sia un bene, dovere morale o altro, che ha senso solo se si
crede in tale bene/morale/altro, etc.).
Pur sapendo che la morte (se non l'estinzione) fa parte della vita, etc. si fa fatica, esistenzialmente, ad accettare che la propria specie, in virtù della sua vantata intelligenza, abbia prodotto strumenti e dinamiche sociali che ne stanno minacciando la sussistenza (con ironica tensione verso il suicidio/eutanasia); minaccia che comunque non è imminente per le generazioni attuali quindi, se non ci fosse un "senso del futuro" come "futuro del senso", per dirlo bruscamente (come non si dovrebbe fare) in fondo non si porrebbe nemmeno il problema del "futuro anteriore". Se si fosse coerenti con una visione "semanticamente" povera di valori "universali", ereditati sommessamente dalle religioni, ovvero se non si considerasse davvero l'uomo come "affittuario della vigna" o come "creatura che non deve estinguersi perché Dio l'ha creata per vivere e moltiplicarsi", se si considerasse che l'istinto di sopravvivenza e uno di quegli istinti che riguarda l'individuo (e solo divinizzando/umanizzando la natura lo si estende alla Specie elevata ad Essere vivente), il senso del futuro sarebbe più scialbo e risveglierebbe meno impegno ecologico e sociale, nella consapevolezza (non fatalistica, ma storico-scientifica) che se e quando non sarà possibile adattarsi evolvendosi accadrà ciò che è sempre accaduto in natura (il che, con riferimento a quanto osserva
InVerno nell'altro topic, non significa essere bramosi di morte o di apocalissi, ma soltanto essere consapevoli di dinamiche sovra-umane senza che il "senso" di tali dinamiche sia che tanto vale distruggere tutto o andarsi ad impiccare, come ben raffigurato dalla nota storiella del monaco caparbiamente aggrappato al caduco ramo sopra le tigri, intento a gustarsi la fragola che ha trovato vicino al medesimo ramo: suggerire al monaco di buttarsi perché ormai tutto è perduto significherebbe non aver capito quanto gli piacciano le fragole...).
In un orizzonte senza un dio, l'uomo dà un senso alla sua presenza nel mondo assecondando i propri istinti (sopravvivenza, riproduzione, etc.) sublimandoli in discorsi di senso che, toccando le corde biologiche comuni a tutti gli umani, risuonano ragionevoli in tutte le culture; eppure, proprio come per l'etica, il campo d'applicazione di un concetto/senso non dovrebbe essere (a rigor di logica) il suo fondamento, e se accade tale coincidenza si è in un circolo vizioso (in cui quel senso si autofonda, si autodimostra, etc. come da
petitio principii, fallacia naturalistica e altre amene circolarità meta-fisiche e teologiche), autoreferenzialità che non ha solidità epistemica "oggettiva", ma è nondimeno avvertita socialmente come una necessità strutturale (e strutturante), almeno allo stato attuale della generica prospettiva umana nella sua estensione più trasversale e interculturale. Siamo dunque tutti sulla stessa barca/pianeta rassicurandoci a vicenda che la sua rotta abbia come minimo
un senso (ma davvero le orbite planetarie hanno un senso?), sebbene in pratica, proprio come ciascuno può attribuire un "senso personalizzato" alla sua permanenza, ci si può anche render conto che a tutti i sensi (salvo appunto la
fede in un'indimostrabile divinità, che allarga il discorso oltre l'immanenza) manca, inevitabilmente e strutturalmente, un solido aggancio
fondante con la realtà (a prescindere dalle conseguenze
a posteriori del senso); sebbene le narrazioni storiche di cui siamo autori, credendo di esserne solo protagonisti, hanno il
senso "merito" di farci sentire... sensati.
P.s.
Posto questo messaggio qui e non nell'altro topic sull'inquinamento perché mi interessa mettere l'accento sulle dinamiche del senso (e sulle sue ricadute nell'esempio proposto), per cercare di descriverle piuttosto che prescrivere quali siano i valori da tener ben saldi o le azioni da compiere per sostenere il senso (o i sensi) che finora si è assegnato alla storia umana.
Il senso della storia umana è l'EVOLUZIONE della specie umana. Esistono ed io ne sono convinto mondi molto meno civili del nostro ed altri evolutissimi (dal punto di visto morale e tecnologico), per cui noi uomini siamo sulla Terra per crescere in consapevolezza, per evolvere nella tecnologia e nel sapere, per crescere nell'amore per gli altri e per la natura, per combattere per i diritti umani ed impegnarci a creare un Pianeta migliore. L'autocoscienza è il grande dono che ci è stato dato proprio per crescere ed evolvere. Poi le persone più evolute continueranno la loro evoluzione incarnandosi in pianeti più civili, mentre resteranno sulla Terra coloro che ancora hanno da imparare, ma si potrà giungere al punto in cui l'umanità nel suo complesso sarà pronta ad evolvere e a trasformare la Terra in un pianeta migliore, oppure sulla Terra potranno rimanere solo in gran parte i soggetti meno evoluti ed in quel caso il pianeta regredirà. Infatti gli "alieni" provenienti dai pianeti meno civili continuano ad incarnarsi sulla Terra (perché devono migliorare anche loro), ma questi alieni purtroppo mantengono basso il livello di evoluzione del pianeta, e se prevalgono loro allora rischiamo di restare fermi o di regredire. Le persone che sono egoiste, crudeli, sadiche, che non rispettano il pianeta e vivono nella materialità senza spiritualità alcuna, insensibili ed avide, sono secondo me anime che provengono da mondi molto meno civili del nostro, mondi in cui è normale la violenza dell'uomo sui suoi simili, e quindi devono incarnarsi qui sulla Terra per imparare ed evolvere, ma nello stesso tempo influenzano anche negativamente gli altri, quindi sono un freno per l'evoluzione stessa.
Evoluzione della specie umana in che senso ? Secondo quali fondamenti valoriali ? Dotati di quale livello di oggettività (almeno antropologica senza scomodare l'assoluto) in grado di superare il relativismo ben posto da Phil ?
Premessa. Sono gli atti a creare il senso e non il senso a creare gli atti. Nel momento in cui però sono in grado di pensare e scrivere questo, il senso diventa una costruzione culturale. Immettere segnali di senso che indicano come virtuoso amputare le gambe dei nigeriani, produrrà un aumento delle amputazioni. Le religioni fanno parte di questo campo culturale che produce senso, ma per rendere il discorso eccezionalmente forte, indicano il loro discorso di senso l'unico valido, al di fuori del quale non esistono alternative di verità. Le religioni fanno parte quindi della cultura umana e in quanto ad altruismo e crudeltà, mediamente, possono competere anche con altri tipi di cultura non strettamente religiosi. Detto questo varrebbe la pena soffermarsi su altri due aspetti interessanti. Da un lato la plasticità del nostro apparato cerebrale, con il quale è possibile apprendere e regolarsi in modi molto diversi fra di loro, legittimando da qualche parte il cannibalismo e da qualche altra il suicidio di massa. Prendendo il discorso da qui, non scampiamo al relativismo più assoluto che ci sia.
Dall'altro varrebbe la pena di indagare se esiste davvero una filosofia della storia che indichi uno sviluppo, una trama nella storia dell'uomo, nell'accezione classica delle "magnifiche sorti e progressive", oppure se la
storia dell'uomo è semplicemente il ripetersi sotto forme cangianti del dominio dell'uomo sull'uomo. Anche se così fosse, però, la filosofia ci insegna a prendere una posizione e a cercare una soluzione etica. Io vedo il senso dell'umanità in questa ricerca etica, nello sforzo collettivo nel cercare la giustizia, in modo imperfetto, parziale, formale, assurdo. Ma solo in questa trasmissione del codice "giustizia" è possibile trovare un senso che vada oltre le religioni e stabilisca una direzione universale per l'umanità, nel qui ed ora, di una specie mortale ed effimera. Il problema ovviamente è ora definire cosa è giusto e cosa non lo è. Ma risolvere il problema affidandosi ad una entità sovraumana è tanto semplice quanto poco interessante, in vista di una storia che si dipana e procede e che procederà anche senza di noi.
La storia, naturale o umana, è per definizione, coi suoi atti, una fabbrica instancabile di signi-ficati. Semmai la questione del "senso" riguarda il recettore; la sua sensibilità verso quei segni in senso biologico e culturale.
Ma se vogliamo estendere il senso della storia umana verso il limite semantico della causalità, efficiente e, soprattutto, finale (che scopo ha tutto ciò ?), mettere "giustizia" al posto di "evoluzione" non ci permette comunque di superare lo scoglio relativista.
Bisogna inoltrarsi nel terreno dei valori. Solo essi possono dare senso/significato all'etica nelle sue diverse declinazioni. Ma è noto trattarsi di terreno minato e conteso.
La storia umana non si svolge sotto il segno del dominio, ma sotto quello della continenza e dell'auto-dominio, per questo è la storia di una decadenza.
Decadenza relativa quanto meno da uno stato vitale energeticamente superiore.
Gerarchie illusivamente infinite hanno serpeggiato presso la folla umana, a cui tutti si sono sottomessi con la segreta speranza di dominare, col risultato che la stragrande maggioranza degli esseri umani non ha avuto da dominare altro che il proprio stesso corpo.
Autoosservazione, disciplina e i valori che la rendono possibile.
E la più infima minoranza che ha potuto dominare in maniera realmente extracorporea/extra personale, ha sparso un tale terrore che, in modo istantaneo, è sparita dall'ordine dell'umano e del discorso.
Quando la finitezza della gerarchia si è mostrata, era già troppo tardi.
Il mondo è un gran brutto posto secondo il concetto di "bene" per come esso è nella maggior parte delle etiche umane, perché nel mondo quando si nasce e si vive si sceglie, tra dominare se stessi e dominare gli altri.
Naturalmente non ci sono assoluti, ma le due opzioni e polarità tendenzialmente si escludono a vicenda.
Ma non ditelo al piccolo uomo dell'autocoscienza, che ha il mito del buon re, che domina se stesso e con ciò si rende degno di dominare gli altri.
Non siamo esseri razionali, ma lo siamo anche, e forse come non mai dovremmo sforzarci di esserlo.
Non perché il nostro senso sia da ricercare nella ragione , ma perché come non mai abbiamo bisogno di usarla.
In che modo?
Semplicemente sciogliendo le briglie che la incatenano.
Sgombrando il campo da ciò che ne ostacola il libero esercizio.
Il chiedersi il senso della storia dell'umanità è già un indizio di quanto ci piace non vedere quello che è sotto i nostri occhi.
Sappiamo bene, anzi benissimo, che non possiamo isolare il nostro destino da quello della vita intera sul pianeta.
Non è arrivato dunque il momento di smetterla di piangerci addosso?
Di porre un freno, almeno momentaneo per via dell'emergenza in corso, alla nostra emotività?
Emotività che fra l'altro, ha generato post di insolita profondità in questa discussione.
Eppure io ho l'impressione, che, per quanto ci sforziamo sinceramente, non siamo ancora del tutto sinceri con noi stessi.
Se invece di chiederci il senso della storia dell'umanità, ci chiediamo il senso della storia della vita, non facilitiamo con ciò la risposta, ma almeno rendiamo più mirati e congruenti i nostri sforzi.
Ammettiamolo, il tema di questa nella discussione è mal posto.
Indica che abbiamo serie difficoltà a sentirci parte intima, come altro razionalmente non possiamo non considerarci, di qualcosa di più grande di noi.
Se non è facile trovare un senso, non è, almeno in teoria, difficile sgombrare il campo dagli ostacoli che questa ricerca incontra.
Non so' perché ve lo racconto, ma ieri sono andato a controllare i danni per una alluvione a una mia proprietà.
Ho trovato un gattino nero malconcio, ma che evidentemente aveva lottato contro Medicane, uscendone vivo.
Era così disperato da realizzare che io, possibile predatore, ero comunque la sua unica speranza di sopravvivenza.
L'ho rifocillato. Poi si è steso al sole e mi è parso felice , e , che vi devo dire, mi è parso di vederci un senso.
Un bel senso, e non ho sentito il bisogno di approfondire , di farmi altre domande.
Mi sono goduto quel momento di comunione fra esseri viventi che quando vogliono sanno come fare a comunicare e a capirsi nel reciproco rispetto.
È vero. Io avrei potuto essere un predatore, come predatore è lui.
È vero, ci sbraniamo a vicenda , ma anche no.
Ci sono lati negativi e positivi, o almeno questo senso che noi gli diamo.
Ma sono i lati a contorno della vita, non dell'umanità.
Non c'è un senso. Siamo noi a dare un senso .
Noi stessi siamo accumuli di senso condivisi quanto dimenticati.
VANITA'
D'improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido stupore
dell'immensità
E l'uomo
curvato
sull'acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un'ombra
Cullata e
piano
franta
(G.Ungaretti 1917)
In questa splendida e famosa poesia Ungaretti descrive due momenti: il sentimento di limpido stupore per l'immensità della vita, pur vista sopra le macerie della storia umana, e in quello stesso stupore il vedersi come un'ombra. L'uomo, che si c rede e opera come fosse al centro del mondo, è colto e sorpreso dalla vanità che sorge da tutte quelle macerie. Curvato sull'acqua, metafora della vita che scorre, è quasi sconvolto e turbato .Dall'acqua l'uomo viene quasi cullato, come irretito dalla vita, ma nello stesso tempo spezzato.
Come viene narrata, sembra che la soluzione migliore per tutti sia "gustarsi" la vita, l'attimo, sull'esempio del monaco. Se non che anche questo è un invito implicito a darsi un senso. Non tutti infatti provano quel tipo di piacere, del tutto soggettivo. E da un piacere soggettivo non può darsi un senso oggettivo. Se quindi troviamo nella storia umana solo significati soggettivi o relativi non possiamo sfuggire al sentimento (soggettivo) di vanità verso di essa. Però, non è che questo sentimento sia legato anche ad un senso di superbia umana? Vano ha pure come significato inutile, inconsistente, più apparenza che sostanza. Dio era visto come antidoto a questa tipica superbia umana. La superbia potrebbe farmi intendere che, siccome io, essere superbo e credente in me stesso, non trovo un senso, allora necessariamente non c'è. La superbia potrebbe indurmi in errore e farmi credere addirittura di essere l'unico , benché inconsistente, autore e attore della storia. E' una domanda da porsi. Sono disposto ad accettare il fatto che forse sono dominato dalla mia superbia?O il mio desiderio/bisogno di dominio tende ad escludere l'ipotesi, nascondendomi dietro una falsa mitezza?
Se il senso fa parte del divenire, il nostro legame con il divenire è anche il nostro legame col senso, quantomeno rappresentato dalla possibilità di anticiparlo o di sopravvivergli, se si trova banale una visione presentista delle cose.
L'evento x del senso, sta pur sempre tra gli altri eventi a,b,c... e poi y,z, della storia.
Proprio perché il senso è effimero, sarà comunque anch'esso travolto dagli eventi e non è lo stato ultimo dell'universo, anche la nostra posizione relativa ed esso non ha un'importanza assoluta.
Il "senso" qualsiasi cosa sia, non riesco proprio a immaginarlo come un'apocalisse, semmai come un dispiegamento molto particolare, difficilmente ripetibile o estremo delle forze e delle possibilità che già "da sempre e per sempre" ci sono in gioco nella natura o nella storia.
A questo mondo e in questa storia noi viviamo, per dire, e, se pur non ci capiamo niente del senso, col nostro stesso vivere entriamo in una rete di nessi causali ed effettuali che prima o poi porta al senso; magra, ma non del tutto nulla, consolazione.
se invece si vuole supporre che il senso non faccia parte del divenire, passo perché siamo propriamente in una metafisica o in una religione, e io ritengo di avere ottimi motivi anche empirici ed esistenziali per non credere a nulla di simile.
Il riferimento al piacere, come ad esempio l'aneddoto poco sopra riportato del monaco che mangia le fragole pur essendo assediato dalle tigri, piuttosto che schiudere a una visione edonista o gaudente della vita, appunto innesta il senso sull'immanenza: il senso è quantitativamente il punto di massimo piacere/pienezza, circondato dall'immensità di una sua minorità ad esso omogenea, quindi esso è qualitativamente integrato con tutto il resto, del divenire e degli eventi, consustanziale e compositivo; si può essere da meno del senso, o oltre, il senso, senza essere con ciò completamente esclusi, dal senso.
Il paragone con un orgasmo, oltreché con quello di magiare le fragole anche se si è assediati dalle tigri, funziona benissimo.
La superbia/hybris funziona poco e male con i contemporanei che già al tempo di Leopardi mandavano in soffitta le "magnifiche e prograssive sorti" profane in compagnia al "migliore dei mondi possibili" divino. Oggi sappiamo che il senso della storia umana è fatto di sopraffazioni in nome di Dio e dell'uomo superiore, mentre infedeli e inferiori se la sono sempre passata male. Almeno questo l'abbiamo imparato.
Tramontate le illusioni divine e terrene non è che sia tramontato anche il bisogno di dare un senso alla storia umana, collettiva e individuale, passata e presente, e la saggezza filosofica ha coniato i suoi bignami di sopravvivenza, validi da sempre, a prescindere dai numi celesti e terrestri, che articolerei con un opinabile, ma sensato, ordine logico nei seguenti comandamenti:
1) γνῶθι σεαυτόν, gnōthi seautón, conosci te stesso. Già introdotto da bobmax, fondativo di ogni esperienza sensibile. Quando il gattino smette di inseguire la sua coda dimostra di aver recepito la differenza tra io e non io. Vale anche per gli umani che poi devono confrontarsi con un'etologia più complessa in cui la consapevolezza della misura dei propri mezzi è il salvacondotto verso il successo esistenziale e sociale.
2) carpe diem. Nel regno dell'umano in divenire, l'incontro con la fortuna/caso è spesso accidentale ed è virtù saperne trarre il massimo beneficio. Virtù superiore è imparare a signoreggiare la fortuna/caso come sa fare ogni artista con la sua arte.
3) primum, non nocere. E' la regola che presiede il senso della cura. Di se stessi, degli altri umani e del mondo che li ospita.
Elenco non esaustivo di precetti empirici già in grado di dare un senso all'agire umano individuale e collettivo.
La ricerca dei fondamenti, in assenza di una narrazione teologica finalistica, dicono teisti e scettici, è insensata. Io non ne sarei così certa. Se vogliamo dare contenuti alla giustizia di Jacopus e all'evoluzione di Socrate78 dobbiamo pure sporcarci le mani con la macchia umana. Per la prima mi viene in mente Rousseau (Tutti gli uomini nascono uguali ...) e per la seconda l'Ulisse di Dante (nati non fuste a viver come bruti ...). Per finire nella "fallacia naturalistica" della fede nella terra di Nietzsche. Insomma di senso ce n'è: ottimo e abbondante. Per chi ne abbia sensibilità.
La soluzione potrebbe essere non quella di resuscitare Dio, ma di desacralizzare l'uomo, visto che i due soggetti li si racconta come contigui.
Più in generale desacralizzare l'individuo.
L'essere vivente è un meccanismo che si riproduce trasformando energia in modo sostenibile.
A questo meccanismo ben descritto dalla teoria evoluzionistica occorre aggiungere la coscienza la quale produce tecnologia. Essendo questa fisicamente separata da noi, intesi come individui definiti entro una forma geometrica chiusa, tendiamo a demonizzarla, essendo stata sacralizzata quella forma.
Perché si possa considerare questo demone ubiquo e diffuso ancora naturale, come altro non potrebbe essere, occorre appunto desacralizzare l'individuo, il quale svolge una funzione fondamentale , senza bisogno però di pensare che perciò l'universo giri intorno a lui.
Non a caso la religione cristiana non è volta propriamente a salvare l'umanità, ma le anime individuali, le quali ovviamente non stanno dentro le nostre automobili e dentro ai nostri computer,
Diversamente dagli egizi antichi non ci faremo seppellire con essi, e anzi temiamo che siano essi a seppellirci.
Credo che una chance di salvezza stia invece nell'accettazione di se', come individuo diffuso, o più in generale come individuo che, in quanto svolge una funzione, possa essere funzionalmente ridefinito.
Se noi ammettiamo di essere quella tecnica, e vogliamo salvarci, dobbiamo salvarci interi , ma non come forma chiusa, ma funzionalmente aperta .
Ci salviamo se salviamo la tecnica e quindi con la tecnica.
Questa è la strada presa dalla nostra naturalissima evoluzione, la quale involontariamente prova ad esaudire un nostro sogno ricorrente, quello di preservare la nostra forma individuale chiusa, così in terra come in cielo.
Non sarà più possibile infatti che i virus selezionino un gruppo di umani resistenti che solotrasmetta il suo DNA adattato, salvando le apparenze di forma, eludendo apparentemente i meccanismi evolutivi che ci cambiano i connotati, a meno che in futuro, come prevedibile, sia la stessa tecnica a modificare il DNA, invece di usare un meno sostenibile vaccino annuale.
C'è difficoltà ad accettare tutto ciò come naturale, e questo non aiuta a trovare una soluzione.
Non possiamo salvarci ne' come umanità, ne' come individui , se non ci accettiamo per quello che siamo, se non sappiamo nemmeno chi dobbiamo salvare.
L'aver desacralizzato Dio è stato solo il primo passo.
Magari avrò usato un linguaggio brusco, ma non certo per amore di scandalo.
Se c'è un problema serio non è autocensurando il proprio pensiero che lo si risolve.
Se si vuole resuscitare Dio posso essere pure d'accordo, però in diversa forma, che tenga conto dell'evoluzione individuale , specie quella umana, nella misura in cui ad esso individuo lo pensiamo legato.
Anche le religioni si evolvono, vivaddio !😊😇
E infatti non si può negare che la religione cattolica i suoi passi li abbia fatti in tal senso e continuerà a farli, ma con tempi che somigliano davvero a quelli evolutivi se non propriamente biblici, ma noi il problema lo abbiamo adesso.
È oggi, non domani che dobbiamo invertire il senso per salvarci dal dirupo.
Perché un senso una volta c'era, e anche un Dio.
Lo abbiamo già fatto, e lo possiamo rifare.
Ben venga un Dio che ci salvi, ma che non si sbagli, e salvi noi, per quello che siamo davvero, e non per quel che si dice in giro.
Ma certo, queste cose lui le saprà anche meglio di noi.
Nessuno ci conosce bene come lui.
Abbiamo trovato un senso una volta. Possiamo trovarne un altro ancora.
Buon mercoledì in generale. Ipazia dice :"La storia, naturale o umana, è per definizione, coi suoi atti, una fabbrica instancabile di signi-ficati. Semmai la questione del "senso" riguarda il recettore; la sua sensibilità verso quei segni in senso biologico e culturale.".
Poi dice che bisogna addentrarci nel terreno dei valori ... assai minato e conteso.
Giusto. Chiedo però: questi valori, quotidianamente espressi in termini razionali dalla specie umana, sono ultraumani, oppure sono un'invenzione di una presunta libera mente umana?
Io opto per la prima, ma mi sembra che non tutti siano d'accordo
Penso che la macchi(n)a umana possa trovare solo nella "fallacia naturalistica", depurata di qualche fallacia di troppo, il suo senso e i suoi valori.
Citazione di: daniele22 il 10 Novembre 2021, 23:06:15 PM
Buon mercoledì in generale. Ipazia dice :"La storia, naturale o umana, è per definizione, coi suoi atti, una fabbrica instancabile di signi-ficati. Semmai la questione del "senso" riguarda il recettore; la sua sensibilità verso quei segni in senso biologico e culturale.".
Poi dice che bisogna addentrarci nel terreno dei valori ... assai minato e conteso.
Giusto. Chiedo però: questi valori, quotidianamente espressi in termini razionali dalla specie umana, sono ultraumani, oppure sono un'invenzione di una presunta libera mente umana?
Io opto per la prima, ma mi sembra che non tutti siano d'accordo
Dipende da cosa intendi per ultraumano. Infatti se ti riferisci al l'individuo umano, ultraumana è l'umanità. E la libera mente umana a chi la riferisci? Non all'individuo umano mi pare?
Potremmo provare a, stilare una classifica del senso:
1. Senso assoluto.
2. Senso relativo condiviso , ma ignoto.
3. Senso relativo noto, ma non condiviso.
Non mi pare se ne possano dare altri.
Il primo caso riguarda un senso indipendente da noi, ma ogni individuo che lo trovi non potrà dimostrarlo. Un senso assoluto se esiste non sarà mai condiviso.
Idem per il caso 3.
L'unico senso che ha un senso è quello del caso 2.
È quel senso ignoto ma che possiamo intuire essere quello che fa' di ogni uomo parte dell'umanità.
Non è una adesione a libera scelta. Non si è uomini per scelta . Non si aderisce ad un senso, ma lo si eredita, e non serve discuterlo, quindi non occorre conoscerlo.
Si tratta di un senso relativo, ma condiviso.
Non è proibito cercarlo, anzi è naturale cercarlo.
Ma cercandolo lo si muta.
Un senso unico assoluto è un non senso.
Infatti se esso esistesse, basterebbe a se stesso.
Dunque, perché dovrebbe incarnarsi?
Ciò che incarnato lo è in tanti possibili sensi alternativi.
Ma è anche mutevole e quindi sempre alla ricerca di un senso.
Un individuo ha certamente un suo senso.
È la condivisione stessa di senso a farne, di tanti esseri viventi potenzialmente indipendenti, uno.
Non è la similitudine di forma esteriore a fare di tanti individui una umanità, ma la forma interna, che non appare, il senso dell'umanità, che si riflette poi nella forma umana individuale.
Quel senso è dentro di noi, e alcuni lo chiamano Dio.
Ciao Iano e a tutti, me infelice per aver scelto il termine ultraumano. In realtà intendevo qualcosa di estensibile ad altre specie viventi. Si perdoni l'ignoranza. La domanda che ponevo quindi può anche essere idiota (se i cosiddetti valori sono radicati nella vita, oppure se sono pura invenzione umana), ma a volte si scoprono cose che non sai. Essendo per la prima ipotesi, prima di depurare qualche fallacia di troppo come suggerisce Ipazia (cosa che può sembrare peraltro di buonsenso allo stato attuale delle cose), vorrei almeno sapere se a vostro giudizio c'è qualcosa nel fenomeno della vita in generale (e di cosa si tratta) che fondi, produca, emani, tutti i discorsi degli individui della specie umana sui valori, sulla vanità e sul senso della vita, con o senza Dio
Altrove ho definito la (sua) vita il valore assoluto incontrovertibile di ogni vivente. No life, no party. Valore materiale su cui fondare saldamente il valore etico ed una sensibilità coerente.
A questa "fallacia naturalistica" sono particolarmente affezionata e la uso come scudo contro gli strali relativisti. Avendo al contempo consapevolezza che tale convinzione va depurata dai riduzionismi naturalistici tipici dello scientismo e del darwinismo sociale. Così come di ottimismi d'antan a base di Orologiai e Architetti.
Mamma natura crea e impone la materia, ma spetta ai viventi gestirla al meglio delle loro possibilità. Che, nel caso dell'etologia umana, includono anche la politica e la tecnoscienza, ulteriori fabbriche di segni materiali e problematiche etico-spirituali. Ovvero di significati.
Traendo spunto da quanto proviene dalla discussione sull'autolimitazione della vita in natura aggiungerei un quarto passo al mio elenco di significati immanenti:
4) mors tua vita mea
Messa così è un po' bruttina, ma se mamma natura non la avesse posta noi umani non esisteremmo nemmeno perchè tutte le risorse del pianeta sarebbero state consumate dalla prima specie immortale, capace di riprodursi, che fosse comparsa. La morte è il passaggio obbligato per lasciare spazio e risorse a nuova vita. E ciò significa che la morte, ben lungi dall'essere il disvalore assoluto, è per l'insieme dei viventi, umani compresi, un tassello indispensabile della vita. Essa non necessita di alcun edulcoramento sovrannaturale, ma va accettata filosoficamente con
5) amor fati.
La natura stessa, con l'indebolimento delle funzioni vitali e degli stimoli esistenziali, rende meno doloroso il passaggio.
Citazione di: Ipazia il 11 Novembre 2021, 21:45:06 PM
Altrove ho definito la (sua) vita il valore assoluto incontrovertibile di ogni vivente. No life, no party. Valore materiale su cui fondare saldamente il valore etico ed una sensibilità coerente.
A questa "fallacia naturalistica" sono particolarmente affezionata e la uso come scudo contro gli strali relativisti. Avendo al contempo consapevolezza che tale convinzione va depurata dai riduzionismi naturalistici tipici dello scientismo e del darwinismo sociale. Così come di ottimismi d'antan a base di Orologiai e Architetti.
Mamma natura crea e impone la materia, ma spetta ai viventi gestirla al meglio delle loro possibilità. Che, nel caso dell'etologia umana, includono anche la politica e la tecnoscienza, ulteriori fabbriche di segni materiali e problematiche etico-spirituali. Ovvero di significati.
Va bene Ipazia, ma rispetto a che? Vorrei cioè aggiungere: dov'è, o qual è la relazione tramite la quale si mette di fatto in scena l'importanza della "propria vita"? Rispetto a cosa noi proclamiamo il valore incontrovertibile della nostra propria vita? Infine, a cosa si riferiscono gli individui delle altre specie per proclamare il valore della propria vita?
Essere...o Non essere. Questo è il (primo) problema, il fondamento di tutti i significati possibili. Inclusi i metafisici: l'essere è, il non essere non è.
Il vivente coincide con la sua vita, senza la quale ogni significato annichilisce. Non è un valore da porre, ma dato. Ogni vivente è colui che è. Anche nel caso non ne abbia coscienza.
Nella ricerca di senso Dio sta come la x in una equazione algebrica , il valore ignoto da trovare.
In sostanza abbiamo dato un nome, assegnato un simbolo, a ciò che cerchiamo .
Sembrerebbe poco, per non dire niente. Parliamo di un simbolo che sta per ciò che non conosciamo.
Quale progresso sarebbe questo nella ricerca di un senso, avergli assegnato un simbolo ?
Oggi associamo l'algebra all'uso di simboli, x, y, z, a, b, c....che stanno al posto di numeri.
Sembra strano, ma giungere ad usare questi simboli è stato un percorso lungo e tortuoso.
Si può fare algebra anche senza usare quei simboli, è così si faceva prima , finché non c'è ne siamo inventati l'uso, ma con molta , molta difficoltà, come se ciò che fosse ignoto non potessero essere nominato.
L'uso dei simboli non solo ha reso il calcolo algebrico più agevole , ma ci ha aiutato a dare un sguardo di insieme sulle equazioni, permettendoci di catalogarle, generalizzandole, e facendo progredire la materia, mentre prima ogni problema algebrico faceva storia a se'
Guarda la coincidenza, Dio è anche detto l'innominabile, è ciò sembra un indizio di un percorso lungo e tortuoso che ha portato a dargli un nome.
Si pensava non fosse nominabile. O meglio, non si pensava proprio , e al suo posto si usavano tortuosi giri di parole, esattamente come si faceva in algebra prima di usare i simboli.
La ricerca di senso oggi ha dunque la sua x.
Manca l'equazione.
Qual'e' dunque l'equazione giusta?
Qualunque sia l'equazione giusta, se mai pure vi incappassimo per caso, dovrebbe apparirci in modo evidente come quella giusta, perché non sembra che la logica possa venirci in soccorso in tal senso.
Secondo logica una equazione vale l'altra. Non ce ne è una più equazione delle altre.
Cioè, qualunque possibile senso vale l'altro.
Quindi una ricerca di senso parrebbe insensata.
La x sta per un numero, non ha un valore assoluto, perché dipende dall'equazione in cui lo mettiamo.
Poi non sempre l'equazione sembra avere una soluzione, e a volte si riesce anche a dimostrare che non l'ha.
Questa sembrerebbe una buona notizia, perché significa che, se anche non riusciremo a trovare l'equazione giusta, possiamo almeno escludere quelle sbagliate, cioè quelle che non hanno soluzione.
I matematici invece in quei casi li mettono in atto un gioco di magia.
Se si dimostra che la x non sta per alcun numero, allora i matematici si inventano numeri nuovi, e magicamente ogni equazione così ammette soluzione.
I matematici non si pongono limiti nella ricerca di senso, perché quando sembrano essere giunti a un limite creano un ponte che va' oltre quel limite. Quindi nella ricerca di senso progrediscono.
Dopo questa scorribanda fra numeri , incognite e innominabili, proviamo a trarre una conclusione.
Quando pensate ai numeri avete ben chiaro a cosa pensate, perché ne cogliete il senso in modo immediato.
Nonostante ciò esistono interi trattati di matematica che provano a spiegarvi cosa siano i numeri,
che provano a mediare fra i numeri e il loro senso, cosa di cui voi non sentite alcun bisogno.
Ma i matematici potrebbero dimostrarvi che siete intorto.
Infatti essi sono capaci di inventare nuovi numeri, che non essendoci prima, voi non potevate pensare.
Ma allora a che numeri pensavate quando pensavate ai numeri?
Come facevate a cogliere in modo immediato ciò che invece è frutto di una costruzione intellettuale?
Se non vi piacciono i numeri passiamo alle parole.
Quando pensate alle parole avete ben chiaro a cosa pensate, perché ne cogliete il senso in modo immediato.
Mediante quelle parole voi cercate un senso da cogliere in modo immediato, sperando che una combinazione fortunata di parole un giorno vi appaia come tale.
Ma nuove parole nascono col tempo, e altre muoiono.
Come possiamo pensare che in una tale mutevole caduca varietà possa risiedere un senso assoluto ?
Se non abbiamo ancora trovato il senso è perché non abbiamo ancora inventato le parole giuste?
Ma una volta inventate quelle parole allora che senso sarebbe un senso inventato?
Oppure quelle parole già' le possediamo, e abbiamo da trovare solo la loro giusta combinazione?
Non esiste un linguaggio assoluto, dunque non vi sarà mai un senso definitivo da assemblare con esse,
Il senso e la verità sono innominabili, seppur vi diamo un nome.
Ma a cosa serve dunque la ricerca di un senso?
Se prendiamo ad esempio il lavoro dei matematici serve a creare sempre nuovi sensi, di cui, strano a dirsi, i fisici svolte si appropriano per creare nuovi mondi in cui vivere ed agire, o meglio per descrivere in modi sempre diversi sempre lo stesso mondo.
Lo si fa' dunque inventando nuovi numeri e nuove parole per dirlo, e il senso del mondo ha lo stesso senso di queste invenzioni.
Ciò che prima non c'era descrive in modo sempre nuovo ciò che è lì da sempre.
Ciò che da sempre coincide col suo incognito e indicibile senso.
Il mondo è sempre lo stesso, ma cambia la nostra interazione con esso, secondo il senso nuovo che ogni volta gli diamo. Nuovo perché nuove sono le parole che usiamo quando facciamo filosofia, o numeri nuovi quando facciamo scienza.
Numeri che prima non esistevano , ma che nascono per dare senso a una equazione, la quale a volte si presta a una nuova descrizione del mondo , come se fosse nuovo, ma nuova e' solo la nostra interazione con essa.
Il nostro agire il nostro fare.
Un fare e un agire che sembra volto avanti a una ricerca di un senso che non si riesce mai a vedere, e non si riesce a vedere non perché sempre muta, come pure è, e perciò sfugge, ma perché sta sempre dietro a quell'andare.
Come dice Ipazia, il mondo non ha un senso, il mondo è, ma se noi lo possiamo vedere , se noi ne possiamo parlare, aggiungo io, è perché gli abbiamo già dato un senso, senza saperlo.
Se ci sembra logico, inevitabile, ovvio che il mondo debba avere un senso, è perché in effetti un senso ce l'ha, ed è quello che gli abbiamo dato noi, senza sparere di averglielo dato, ed è per questo che ancora lo cerchiamo, e cercandolo troviamo sempre nuovi sensi che ci fanno vedere lo stesso mondo in modi sempre nuovi.
Riassumendo, ci chiediamo che senso ha il mondo secondo come lo vediamo nel suo sviluppo storico, ma se questa storia possiamo descrivere secondo come la vediamo, è perché gli abbiamo già dato un senso, di cui non siamo coscienti.
Ciò è possibile perché non siamo fatti di sola coscienza.
La scienza ci conferma inoltre che ciò è possibile, proponendoci nuovi modi di vedere il mondo, secondo nuovi sensi possibili che gli diamo, alternativi, ma non meno efficaci., e possiamo dare nuovi sensi perché nuove sono le parole che usiamo.
Parole che non hanno un senso in se', ma il senso che gli diamo avendole inventate noi.
Se il senso ha a che fare con le parole, e queste sono inventate, non c'è alcun senso da trarre che già non sia stato dato, salvo essercene dimenticati. Cerchiamo ciò che già abbiamo, ma non sappiamo di avere.
Buon sabato a tutti
Credo possa essere fuorviante parlare di senso assoluto riguardo la storia umana, che è essenzialmente una catena di eventi. Per questo ,nel post introduttivo, parlavo di un Autore che tiene le fila di uno svolgersi di questi eventi apparentemente insensato, o "riempito" di sensi soggettivi, condivisi (ma non da tutti) per un periodo di tempo, in continuo mutamento, come scrive Iano. Naturalmente serve un autore che sia NELLA storia, non certo uno che la lascia svolgere senza alcun interesse in essa. Un noumeno non ha alcun significato per la storia umana. Il narratore deve essere presente nel raccontare. Non è un libro che si acquista, si legge e si ripone nello scaffale. I sensi relativi io li vedo come le domande che il piccolo ascoltatore continua a rivolgere al narratore della storia. E sono le domande esistenziali che ci poniamo, che non sono semplicemente legate ad uno stato di necessità biologica, come sostiene Ipazia. Noi interroghiamo gli eventi della storia e cerchiamo in essi un senso. L'ebreo che vedeva lunghe fila di donne e bambini nudi in attesa di essere gasati e bruciati nei forni, chiedeva all'Autore il senso di quello che vedeva. La domanda è rivolta agli eventi, a qualcosa di concreto, non di astratto, da inventarsi volta per volta sulla base di "mode" culturali o sullo stato di conoscenza scientifica del momento. C'è il senso dei mezzi umani e il senso degli eventi creati dall'umanità. Negli eventi storici possiamo leggere sì un senso relativo all'economia, alla storia sociale o militare degli stati, in un dato periodo, ma quando cerchiamo la visione d'insieme ecco sorgere il sentimento di vanità, proprio perché il senso relativo non è in grado di presentare alla nostra domanda esistenziale una qualsiasi giustificazione che non sia una lettura soggettiva, una fantasia sui fatti. C'è quasi una similitudine con il sogno: come nel sogno le cose sembrano avere un senso, che però trovi assurdo al momento del risveglio, così gli eventi umani, la lunga catena di fatti storici che si susseguono apparentemente senza fine, allo sguardo esistenziale fanno esclamare:"Ma che senso ha tutto questo?".
La Storia è l'unica scienza, insieme alla Medicina in cui il soggetto coincide con l'oggetto di studio. Studio la storia, ma ne faccio anche parte. Così che l'eventuale, insondabile Autore, mi sta raccontando anche la mia stessa storia. Oppure faccio parte del suo sogno.
Citazione di: daniele22 il 12 Novembre 2021, 22:34:42 PM
Va bene Ipazia, ma rispetto a che? Vorrei cioè aggiungere: dov'è, o qual è la relazione tramite la quale si mette di fatto in scena l'importanza della "propria vita"?
La soluzione teologica è la più semplice ed è la prima che ha dato senso alla vita umana rendendo soddisfazione al bisogno di giustizia fino a quella meravigliosa enciclopedia dei delitti e delle pene che è la Commedia dantesca. Commedia, appunto. Cui si contrappone l'altrettanto scenografica
tragedia dei sacrifici umani, penitenze ed espiazioni. Ma tutto ciò è favola piuttosto che enigma. Mentre, imperturbabile, la realtà propone commedie e tragedie riconducibili alla loro matrice naturale, generatrice di senso.
CitazioneRispetto a cosa noi proclamiamo il valore incontrovertibile della nostra propria vita?
No life, no party.
CitazioneInfine, a cosa si riferiscono gli individui delle altre specie per proclamare il valore della propria vita?
Alle leggi naturali, istinti e pulsioni, che noi condividiamo con ogni essere prodotto dall'evoluzione, in stretta correlazione e simbiosi. Indipendentemente dal fatto che di ciò siano coscienti. Anzi, meno lo sono più il test "multicieco" riesce, e fornisce prove della validità dalla tesi fondativa: Natura sive Deus.
Da cui, la coscienza, per chi - umano o no - ce l'abbia, trae i valori, elaborandoli in senso etico. Sciogliendone provvisoriamente, per via dialettica, gli enigmi e le contraddizioni.
@Alexander
Il tuo ragionamento sposta tutta la questione sul soggettivo, mentre io cerco qualcosa di più oggettivo, verificabile e falsificabile, per cogliere un significato nella vicenda evolutiva umana denominata Storia.
Se restiamo nel soggettivo il senso emerge dal piacere, dalla gratificazione ideologica e ideale, dalla predisposizione, versatilità e talento individuale. Tutte cose sacrosante, ma non generalizzabili in formulazioni oggettive quanto l'influenza dell'economia e del classismo nella storia umana.
Continuando nel soggettivo personale, io trovo assai noiosa e dal senso scaduto una storia di cui si sa già la/il fine. Una storia dove l'unica variazione possibile sul tema è una competizione meritocratica verso i favori dell'Altissimo denominata "santità". Altri troveranno il loro rassicurante senso in ciò. Ma ho la sensazione che la storia umana pretenda un senso più consistente.
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2021, 10:34:37 AM
@Alexander
Il tuo ragionamento sposta tutta la questione sul soggettivo, mentre io cerco qualcosa di più oggettivo, verificabile e falsificabile, per cogliere un significato nella vicenda evolutiva umana denominata Storia.
Se restiamo nel soggettivo il senso emerge dal piacere, dalla gratificazione ideologica e ideale, dalla predisposizione, versatilità e talento individuale. Tutte cose sacrosante, ma non generalizzabili in formulazioni oggettive quanto l'influenza dell'economia e del classismo nella storia umana.
Continuando nel soggettivo personale, io trovo assai noiosa e dal senso scaduto una storia di cui si sa già la/il fine. Una storia dove l'unica variazione possibile sul tema è una competizione meritocratica verso i favori dell'Altissimo denominata "santità". Altri troveranno il loro rassicurante senso in ciò. Ma ho la sensazione che la storia umana pretenda un senso più consistente.
Alexander insiste sull'analogia dell'autore del libro che lui legge , che ha sicuramente un fine/ una fine, in quanto è già stato scritto , ma la cui fine lui non conosce, e che lui quindi non si annoia a leggere, e anzi è curioso di sapere come va' a finire, rassicurato dal fatto che la sua lettura presumibilmente non sarà vana perché che la su curiosità non andrà delusa. Quindi immagino ci voglia dire che se la vita reale là si potesse leggere come un libro, lui la vivrebbe con l stessa letizia che può provare leggendo un libro.
Lui potrebbe anche non capire che senso l'autore abbia voluto dare al libro, ma si sente rassicurato dal solo fatto che un senso vi sia, e per esservi deve esserci un autore che glielo ha dato.
Dunque lui di fatto effettua una equivalenza autore=senso, ma è a lui allo stesso tempo evidente che questo autore non possa essere lui stesso.
In sostanza non gli interessa al limite conoscere il senso, ma si accontenta di sapere che ci sia, e perché vi sia la sua
vita non può essere un libro che lui stesso scrive. Leggendo il libro della sua vita gli sembra volte di giungere vicino al senso, ma senza mai giungervi davvero.
Il senso dunque coincide con un autore, che non è però un autore fra tanti.
Se il senso è nel libro e il libro è la vita finito il libro, se noto diviene il senso, si chiude il libro, mentre se non lo si acchiappa si riapre il libro e lo si legge ancora, ed ogni volta sembra nuovo come se vi scorgesse un senso nuovo, così la vita continua.
Insomma quello che Alexander vuole esporci è un paradosso esistenziale che ci accomuna tutti, condizionando i più o meno.
È un mistero il perché per goderci la vita abbiamo bisogno di sapere che vi è un senso la cui conoscenza c'è ne toglierebbe il piacere stesso.
Perché in effetti ci contentiamo di sapere che c'è, senza pretendere di conoscerlo, e anzi rassicurati dal fatto che non lo conosceremo mai. Nessuno ci toglierà mai il piacere della lettura raccontandoci il finale, ma sotto sotto continuiamo a chiederci se la scelta fatta in libreria sia stata davvero felice.
Per esorcizzare tale eventualità ci affidiamo ad "autori autorevoli" , ma poi alla fine siamo costretti ad mettere che il nostro vero libro del cuore , di ignoto autore , lo abbiamo trovato per caso.
M non è che al fine Alexander voleva fare solo un elogia della lettura?😅
Sembra che voglia dirci che la vita sarebbe più bella se fosse come un libro che si legge, come se il senso fosse un piacere in se'.
Alcune mie considerazioni su amor fati e mors tua vita mea in risposta a Ipazia, ma anche in generale:
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La morte relativizza gli orrori, la vanità e l'erranza, appunto, di tutta l'esistenza, quindi non è solo dalla morte dell'altro che possiamo trarre giovamento come ego e sussistenza individuale, direi piuttosto che ci sovviene l'innocenza e l'auto-assoluzione dell'effimero -che può riguardarci come nostro effimero valoriale e comportamentale- laddove comprendiamo che l'effimero è un fatto essenziale e un attributo necessitato di molte cose grazie alla realtà della morte.
Voglio dire, non aver agito e sentito spesso in termini di eternità o comunque di durata molto superiore alla vita umana individuale, aver fatto molte cose che secondo l'etica e la morale in cui abbiamo vissuto, (che siano morali familiste, lavoriste, religiose, comunitariste o produttiviste) sono sbagliate, può invece sembrarci giusto, ribaltando il punto di vista e considerando che secondo verità non siamo eterni, e nemmeno eccedenti la nostra singola vita.
Effimero e necessità si legano inscindibilmente davanti alla morte, e necessità è innocenza, disvelamento di ogni meccanismo sacrificale che ne impedisce l'azione, falsa imputazione di tutte le colpe o quasi.
Anche da un punto di vista fondamentalista di chi odierebbe di per sé la relativizzazione dei valori (intendo valori dell'etica o del punto di viste in cui è cresciuto, o che ha scelto, o nel migliore dei casi in cui si è evoluto), la relativizzazione dei disvalori può essere da questo stesso soggetto benevola e benedetta, e la morte consolatrice e de-eternizzante svolge giusto appunto questa funzione, quindi il "fare" spazio della morte a nuove realtà e risorse, comincia ben prima della morte del corpo nello "spazio" interiore di un certo tipo di individuo che della morte non ha paura.
Insomma relativizzazione degli orrori e dei vuoti dell'esistenza conseguente alla morte e alla -laicissima- prospettiva di morte, intesa come relativizzazione dei disvalori, delle colpe e delle crudeltà proprie e altrui, di quello che si è nel tempo imparato a odiare e di quello che in generale non si ama, a beneficio di un possibile sovrappiù di amore.
Morte è libertà, la morte è stata a lungo pensata come libertà, perché immortalità sarebbe esplorazione e convivenza con tutte le combinazioni e possibilità di realizzazione date nel tempo infinito dell'universo o spazio in cui si sarebbe immortali e di cui si sarebbe parte, quindi uno stato in cui la -residuale- libertà di scelta resterebbe al limite la libertà sull'ordine di successione nel quale fare tutte le proprie non libere e predeterminate scelte.
Solo il mortale invece, può fare una scelta escludendo definitivamente, appunto mortalmente, le miriadi di altre scelte che non fa.
La morte correttamente intesa è il terzo corno del duro dilemma umano se sia preferibile il dolore alla morte o la morte al dolore.
Esistono appunto i meccanismi di autospegnimento della coscienza in presenza di troppo dolore o di affievolimento degli istinti vitalistici e volontaristici in prossimità della morte, quindi la morte è il troppo del dolore e il dolore è il troppo poco della morte, secondo misura del tempo e del luogo in cui "si deve" morire: ad esempio, Epicuro non se lo chiede più se sia preferibile la morte al dolore o il dolore alla morte, semplicemente sa che ogni dolore prima o poi o passa o induce alla morte del corpo, quindi ogni dolore ha un destino di doppia trasfigurazione ad esso possibile o nel piacere (suo opposto) o nella morte, quindi nessun dolore va assunto e vissuto come se fosse eterno, con la reazione spropositata, ed isterica, e surrogativamente consolatoria in favole ed illusioni, che si avrebbe davanti alla prospettiva di un dolore eterno.
L'amor fati però secondo me è oltre la fiducia epicurea nello spegnimento della coscienza in presenza di eccessivo dolore o nell'affievolimento degli istinti in prossimità dell'inevitabile morte, né è fede nella libertà e nella connessione dell'innocenza con l'effimero che dalla morte può derivare; l'amor fati è solo quando si comprende che l'esistenza con tutto il suo dolore non è né redenta, né consolata, né relativizzata dalla morte, quindi è un pensiero che contempla l'eterno ritorno dell'uguale, o quantomeno il fatto che la vita sia atopica, acronica e genericamente possibile come conseguenza delle leggi di natura.
Accettando l'amor fati,
Il dolore sperimentabile in vita trasfigura solo nella gioia, non più nella gioia-o-nella-morte come termini di una tautologia, legando l'uomo alla sua massima responsabilità possibile prima di trasfigurare a sua volta; in questo senso il passato, con tutta la sua sofferenza, è stato, oggetto di volontà, perché in generale preferito alla morte; si torna al dilemma, e lo si scioglie nel senso che il dolore è preferibile alla morte.
Si può fare della morte un disvalore, un puro suggello/nulla, perché non si fa, della vita un valore: si esiste nelle considerazioni e nelle possibilità relative alla qualità della vita, si ha una posizione relativa corrispondente alla nostra vita in una vita più grande, che non è solo nostra. L'oblio diviene un fatto attivo, non più oblio della coscienza, ma oblio nella coscienza, meccanismo per riguadagnare ulteriormente il passato alla disponibilità della volontà infuturandolo. E il senso dell'attimo presente è il non poter ri-volere immediatamente il passato, ma solo dopo mediazione che possa comprendere anche il valore dell'oblio come effetto a distanza della creazione, non essere attaccati alla vita come nominazione e sopravvivenza.
Il Libro da leggere c'è, più affascinante e misterioso di tutti i Libri Unici partoriti dalla supponenza umana che pose il logos nell'archè di tutto, mentre è solo l'inizio, certamente venerabile e gravido di significati, della storia della specie intelligente di un piccolo pianeta, in un piccolo sistema solare, in una galassia tra le tante di un grande universo che ha scritto quel Libro.
Chissà quando qualcuno parlò per la prima volta di "storia umana", dando così un minimo di esistenza a tale cosa.
Rispondo invece alla domanda che avevo lasciato in sospeso nell'ultimo intervento. Diversamente da Ipazia la prendo da un altro lato cercando di tener unite specie umana e altre specie: Ciò che darebbe valore alla propria vita deriverebbe dalla relazione che ogni individuo intrattiene, provandola sulla propria pelle e psiche (laddove vi sia), con la sensazione di bene e di male. All'interno di tale relazione può succedere di tutto, ma anche nulla. Si darebbe però, nel caso umano, grazie proprio alla nostra ragione spesso zoppa in taluni casi, che tale relazione possa rivelarsi distorta al punto di indurci ad una malattia mentale inconsapevole (tanti sarebbero gli ammalati da non distinguersi essendo la malattia divenuta norma).
Saremmo dunque ammalati?
Sì, se è vero che ci stiamo quasi ammazzando pensando fino a ieri di aver vissuto correttamente, senza quindi renderci conto che i nostri comportamenti ci stessero portando a punti quasi catastrofici.
Sì, siamo ammalati se l'uso durevole di psicofarmaci o droghe di vario tipo fosse abbastanza elevato tra gli umani come sembra essere.
Sì, siamo ancora ammalati se non ci rendiamo conto che coi nostri comportamenti (mi riferisco soprattutto a vari tipi di escalation che pervadono le nostre pratiche umane) stiamo travalicando in dismisura (e lo facciamo da mo') proprio quella relazione succitata che fonderebbe il valore incontrovertibile della "propria vita". Detta relazione, in modo più consono e più simile alle altre specie, dovrebbe manifestarsi naturalmente più contenuta. Dico questo alla faccia di certe tesi sull'evoluzione che proclamano una visione distorta della sopravvivenza di una specie, e, all'interno di questa, di un individuo. E' dunque la ragione a dar senso e a guidarci in questa avventura umana? Bei risultati! E senza guardarci tanto in giro basta guardare il nostro forum, dove il novantasei per cento delle volte le persone abbandonano i topic più per stanchezza che per esser giunti ad ampia condivisione, o netta separazione. Questi sono i risultati del nostro ragionare. Ma noi (del forum) siamo forse più scarsi in materia di pensiero di Draghi, o di Biden, o di chi altri? Da qui forse, il senso di vanità che a volte può pervarderci. Vanità letta quindi non come mancanza di senso, o inefficacia, bensì come mancanza di senno. Opinione naturalmente personale
Buona domenica a tutti
Mancanza di senno e mancanza di senso sono un tutt'uno, come ipotizza Daniele22? Sembra anche a me che ci sia una forte relazione. In effetti, non è proprio la mancanza di ragionevolezza nei comportamenti umani, e quindi nella nostra storia, a farci scuotere la testa, osservandola, e quindi prorompere nella domanda che è alla base di questo topic:"Ma che senso (significato) ha tutto questo?". Spesso, quasi sempre, anche i comportamenti e le azioni che sembrano ragionevoli diventano poi ideologici, irrazionali, portati a perdere il loro senso che pure pareva esserci nelle decisioni iniziali. Una follia protratta nel tempo sembra diventare ragionevolezza, destino, addirittura una necessità. Pensiamo al consumismo che da 60 anni domina la società, ne indirizza le scelte, i piani di studio scolastici, l'attesa di un futuro "buono in sé" a prescindere.
In questa tensione tra ragione che diventa follia, e follia che si veste di razionalità, il credente in un Autore, cioè il soggetto che vive un tempo d'attesa avendo preso per buono un messaggio di speranza, che forse arriva perfino a illudersi che la sua vita sia meno angosciosa in virtù di quel messaggio, certamente non sa come saranno i famosi "Cieli nuovi e Terra nuova". Saranno forse proprio la fine di questa mancanza di senno? Un cielo nuovo si vede spesso all'alba, dopo un risveglio. Sarà questo il significato? Ha ragione Iano, il futuro è incerto e da scoprire sia per il credente che per il non credente, e il credente spesso si innamora dell'idea che si è fatto dell'autore, del libro acquistato in libreria, sperando di aver fatto la scelta giusta. Ma in fondo è così per tutti. Nessuno conosce tutti gli esiti delle proprie scelte.
Si può anche rovesciare il tema: senza la storia umana Dio è privo di senso, come non esiste un autore senza il suo prodotto. Autore e prodotto che sono in parte elementi del caso e quindi senza alcun senso predefinito.
Comunque la condizione esistenziale di Dio, se esistesse, cosa che logicamente non credo affatto, sarebbe simile a quella dell'uomo.
Corollario, il futuro è certo come il passato, quindi esiste un senso, una storia da scrivere. Ma la scrittura non dipende dall'uomo o da Dio, li trascende.
Salve daniele22. Citandoti : "E senza guardarci tanto in giro basta guardare il nostro forum, dove il novantasei per cento delle volte le persone abbandonano i topic più per stanchezza che per esser giunti ad ampia condivisione, o netta separazione. Questi sono i risultati del nostro ragionare".
Pensavi che il nostro ragionare, dentro e fuori il Forum, conducesse alla conversione di coloro che la pensano diversamente da chi sta in quel certo momento scrivendo.........oppure che giungesse a dimostrare ferreamente delle VERITA'.........oppure che ci insegnasse a non compiere degli errori.........?
Il nostro ragionare serve solo a creare la nostra visione del mondo, senza poter cambiare nulla del mondo che osserviamo. Infatti il sito si chiama RIFLESSIONI, mentre il mondo viene cambiato dalle AZIONI.
Pensi che il nostro futuro dipenda solo dalle riflessioni intime dei "Potenti" ?
Dipende invece dalle loro DECISIONI, le quali consistono nell'esito dello scontro-incontro della loro personale visione del mondo con le dinamiche di forza, materia e potere che li circondano. Saluti.
Viator. Invece tu pensi che le decisioni si prendano senza prima pensare, senza avere modelli teorici, ad esperienze memorizzate, a circuiti comportamentali. Fare e riflettere, teoria e prassi sono inscindibilmente collegati.
Rispetto alla considerazione di Daniele. Anch'io spesso ho avuto la sua stessa impressione, come se qui, come in molti altri luoghi social e virtuali occorra dimostrare chi ce l'ha più lungo e di fronte alle discussioni si rischia spesso di finire in caciara, senza alcun arricchimento reciproco. Ma occorre anche distinguere. Non tutti sono uguali. Tu ad esempio difficilmente dici " hai ragione", oppure " grazie per la spiegazione", oppure dire: "si su questo punto hai ragione ma cerca di vederla anche dal mio punto di vista". Altri utenti hanno un approccio molto diverso e quindi il dialogo può diventare una danza dalla quale ciascuno può trarre un insegnamento o lo stimolo per approfondire un argomento.
Penso che nel confronto diretto, fra amici, mentre si discute in osteria, o in casa o in qualunque altro posto, la discussione non diventa mai così polarizzata, perché si riconosce l'amico, che non è solo l'avversario dell'attuale polemica ma anche una persona, unica e con cui si sono condivise esperienze e sogni e pranzi e partite di calcetto. Nelle stanze virtuali gli "altri" sono molto simili "all'inferno" sartriano di quanto non siano nella realtà. Se ci pensassimo come amici, questo desiderio di aver sempre e comunque ragione forse non sarebbe così impellente, da parte di tutti noi.
Spostandosi la discussione verso l'irrazionalità della storia umana, inviterei a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Tizio quel che è di Tizio. Dubito che Tizio smaniasse per andare a morire nella selva di Teutoburgo e Efisio agognasse tanto per la conquista dei quattro sassi del Carso.
Chiamare a correo l'intero genere umano per una storia che è sempre stata scritta da oligarchi e loro servitori lungo complesse trame di dominio, è profondamente falsificante.
La stessa evoluzione scientifica è stata sempre diretta dalle classi dominanti che l'hanno indirizzata non a fantasiose "magnifiche sorti e progressive" dell'intera umanità, bensì della propria classe.
Semmai bisognerebbe chiedersi: com'è possibile che pochi abbiano sottomesso molti ? La storia dell'arte di dominio è lunga come la storia umana e il logos, con le sue appendici culturali e religiose, è parte essenziale di tale storia, legittimando e santificando la trasmissione di eredità da una generazione di dominanti all'altra, fenomeno assente in natura, con esclusione dei buoni geni trasmessi, però da riconfermare sul campo senza sconto alcuno.
La storia millenaria di dominazione dell'uomo sull'uomo ci ha portato ad una situazione aberrante in cui i costi economici, sociali e ambientali, delle scelte di governo non sono pagati da chi ha attivamente prodotto il danno, ma da chi lo subisce essendone coinvolto in una passività coatta.
C'è, per quanto perfida, razionalità in questa storia, da parte di chi ha sempre soggiornato all'apice della piramide sociale. Pensare di fare un forfait di senso tra chi sta al vertice e chi sta alla base della piramide non ha alcun senso.
Salve jacopus. Citandoti : "Non tutti sono uguali. Tu ad esempio difficilmente dici " hai ragione", oppure " grazie per la spiegazione", oppure dire: "si su questo punto hai ragione ma cerca di vederla anche dal mio punto di vista". Altri utenti hanno un approccio molto diverso e quindi il dialogo può diventare una danza dalla quale ciascuno può trarre un insegnamento o lo stimolo per approfondire un argomento".
Infatti, circa l'atteggiamento che mi attribuisci, hai ragione. Tendo ad essere esageratamente apodittico.
La spiegazione, indipendentemente dal fatto che tu od altri la comprendiate e/o l'accettiate, consiste nel fatto (ahi, ahi, ahi !!, gravissimo dal punto di vista di quasi tutti) che io non cerco affatto il confronto con altri punti di vista ma.................ad EVENTUALE supporto di quanto affermo io cerco di non addurre le opinioni mie (che esistono e sono soggettivissime) oppure le opinioni di altri (magari anche illustrissimi, ma anch'esse soggettivissime !).
Ad EVENTUALE SUPPORTO io vorrei chiamare non le parti, ma ciò che sta fuori e sopra le parti, se si crede che esista : LA LOGICA. Per questa ragione abbastanza spesso io - quasi sempre inascoltato - chiedo di replicarmi in via logica e non ideologica, pregiudiziale, convenzionale, dottrinaria, fideistica, idealistica, sentimentale, umorale.
Naturalmente nessuno è obbligato a conoscere o a condividere l'esistenza di una qualsiasi logica (la quale logica non sarà mai assoluta, ma semplicemente estranea alle psiche di coloro che stiano discutendo di un argomento).
La logica altro non è che l'espressione formale del RAZIOCINIO, cioè della funzione mentale per eccellenza.
Se poi l'interlocutore nega che logica e raziocinio siano funzioni mentali, oppure che le menti non esistano, oppure che esistono ma - dialetticamente - devono restarsene subordinate ad una psiche, a dei sentimenti oppure ad uno spirito.........beh, si conferma che ciascuno si contenta di ciò in cui gli piace credere. Saluti
A me Ipazia , sembra che non abbia senso il contrario. Non lo dico nel mio interesse, perché sono di indole pacifica e non competitivo per natura.
Perché nella storia degli ominidi noi abbiamo prevalso e gli atri si sono estinti?
Per il motivo che fra quelli che competono per le stesse risorse condividendo la stessa nicchia ecologica alla fine ne resta sempre uno solo. Nel nostro caso la specie sapiens.
È una ingiustizia questa?
Si, ma solo nella misura in cui ci si affeziona troppo a quella che è una convenzione, la convenzione che definisce un specie, e lo stesso può direi per ogni individuo per quanto più difficile da percepire come risultato di una convenzione.
Ne sarebbe comunque un caso limite.
Ma sarebbe ragionevole immaginare ogni cosiddetto essere vivente come un agglomerato di esseri viventi in competizione reciproca pure essi in relativo equilibrio instabile.
A turno questi esseri prevalgono , ma è sempre una vittoria di Pirro se non si ristabilisce poi un nuovo equilibrio destinato ancora ad essere messo in discussione.
Ciò significa essere sottoposti all'evoluzione.
Allora è l'evoluzione ad essere ingiusta con ogni essere vivente, ma lei non è colpevole in quanto impersonale.
Qualunque convenzione che definisca un qualunque accrocchio di viventi può avere un senso, che è comunque sempre relativo . Credo sarebbe un buon esercizio sforzarci a vederci noi come tali, sebbene ci percepiamo in ben altro modo.
Allora vedremmo la questione del bene e del male in altro modo.
Dividere il mondo in buoni e cattivi dovrebbe essere uno sport che trovo sorprendente ancora si pratichi.
Noi qui ci chiediamo quel sia il senso della storia di un essere, di un accrocchio , l'umanità, che è convenzionale.
L'intero consesso dei viventi non si può suddividere in altro modo che non sia convenzionale, anche quando la convenzione non si stata frutto di cosciente scelta.
Ora, se così non si facesse, ditemi voi come sarebbe possibile diversamente raccontare una storia di questo consesso.
Sono certo che non riuscirete ad immaginarlo.
Se uno crea un personaggio di fantasia , perche' gli serve per raccontare una storia, e poi si chiede quale il senso della storia di quel personaggio, la su domanda ha senso solo se non ha coscienza di averlo creato lui il personaggio.
Ma noi che lo sappiamo che è stato lui stesso a creare il personaggio, sappiamo anche quale risposta darà alla sua domanda: no, non ha alcun senso.
Citazione di: viator il 14 Novembre 2021, 16:26:21 PM
Salve jacopus. Citandoti : "Non tutti sono uguali. Tu ad esempio difficilmente dici " hai ragione", oppure " grazie per la spiegazione", oppure dire: "si su questo punto hai ragione ma cerca di vederla anche dal mio punto di vista". Altri utenti hanno un approccio molto diverso e quindi il dialogo può diventare una danza dalla quale ciascuno può trarre un insegnamento o lo stimolo per approfondire un argomento".
Infatti, circa l'atteggiamento che mi attribuisci, hai ragione. Tendo ad essere esageratamente apodittico.
La spiegazione, indipendentemente dal fatto che tu od altri la comprendiate e/o l'accettiate, consiste nel fatto (ahi, ahi, ahi !!, gravissimo dal punto di vista di quasi tutti) che io non cerco affatto il confronto con altri punti di vista ma.................ad EVENTUALE supporto di quanto affermo io cerco di non addurre le opinioni mie (che esistono e sono soggettivissime) oppure le opinioni di altri (magari anche illustrissimi, ma anch'esse soggettivissime !).
Ad EVENTUALE SUPPORTO io vorrei chiamare non le parti, ma ciò che sta fuori e sopra le parti, se si crede che esista : LA LOGICA. Per questa ragione abbastanza spesso io - quasi sempre inascoltato - chiedo di replicarmi in via logica e non ideologica, pregiudiziale, convenzionale, dottrinaria, fideistica, idealistica, sentimentale, umorale.
Naturalmente nessuno è obbligato a conoscere o a condividere l'esistenza di una qualsiasi logica (la quale logica non sarà mai assoluta, ma semplicemente estranea alle psiche di coloro che stiano discutendo di un argomento).
La logica altro non è che l'espressione formale del RAZIOCINIO, cioè della funzione mentale per eccellenza.
Se poi l'interlocutore nega che logica e raziocinio siano funzioni mentali, oppure che le menti non esistano, oppure che esistono ma - dialetticamente - devono restarsene subordinate ad una psiche, a dei sentimenti oppure ad uno spirito.........beh, si conferma che ciascuno si contenta di ciò in cui gli piace credere. Saluti
Il tuo ragionamento, a proposito di applicazione della logica non fa' un pecca.
Mi rimane solo un dubbio.
Se tu estrai un solo rigo da un lungo post per criticarlo, significa che il restante post tu lo approvi?
Allora facciamo così. Senza dover commentare punto per punto, cosa che diventa stucchevole e difficilmente replicabile, estrai un esempio cattivo e poi uno buono ogni volta.
O a turno uno buono, e un altra volta uno cattivo da poter stare in media statistica.😅
Non credo comunque che ci si possa astenere dall'essere ostaggio dei propri pregiudizi.
La differenza sta solo in quanta consapevolezza ne abbiamo, e tu mi pare ne abbia ben poca e per questo la tua interazione nel forum appare particolarmente asimmetrica.
Che si possa risolvere tutto con la sola logica è una illusione. La logica infatti richiede qualcosa cui applicarsi, e ciò a cui si applica non ha sostanza logica, ma pregiudiziale.
Il pregiudizio in se' non è cosa negativa, ma anzi necessaria, negativa è la non coscienza di esso, tanto che tutto appaia logica senza altra necessaria aggiunta.
Se tu dici ad esempio che due più due fa' quattro per logica, due però è un pregiudizio.
È se tu mi dimostri che dico il falso, perché uno più uno fa' due, rimane però che uno è un pregiudizio.
La logica ha sempre un punto di partenza illogico, che però non è sempre a noi presente.
Credo che la funzione principale della filosofia sia di esplicitare questi punti.
Non basta sapere di non sapere.
Bisogna sapere di non sapere di non sapere.😅🙏
La storia umana non è divisa in buoni e cattivi, ma in dominanti e dominati. È una storia classista che ha separato il senso e gratificazione del vivere in base all'appartenenza di classe e agli obblighi e privilegi connessi.
Questo è un dato di fatto a prescindere da ogni giudizio morale. Se non si parte da questo dato storico oggettivo è impossibile discutere di senso della storia umana collettivamente intesa. Si possono esternare le proprie sensazioni soggettive, ma non è questo la domanda implicita nel titolo della discussione.
Citazione di: Ipazia il 14 Novembre 2021, 17:08:11 PM
La storia umana non è divisa in buoni e cattivi, ma in dominanti e dominati. È una storia classista che ha separato il senso e gratificazione del vivere in base all'appartenenza di classe e agli obblighi e privilegi connessi.
Questo è un dato di fatto a prescindere da ogni giudizio morale. Se non si parte da questo dato storico oggettivo è impossibile discutere di senso della storia umana collettivamente intesa. Si possono esternare le proprie sensazioni soggettive, ma non è questo la domanda implicita nel titolo della discussione.
La risposta a questo post sta già nel mio precedente in tua risposta.
Aggiungo solo che dominanti e dominati sono sempre uomini, per cui cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia.
E che storia sarebbe questa, se vale la proprietà commutativa fra gli uomini?
È vero quello che dici, se non ci inventiamo uomini dominanti e uomini dominati che storia potremmo raccontare?
Ma è proprio questo il punto.
Una storia obiettiva , basata sui fatti, là si può raccontare solo se si individuano i personaggi della storia, che però sono sempre fittizi, cioè convenzionali.
Se dividi gli uomini in due classi racconti una storia.
Se li dividi in tre ne racconti un altra.
Gli uomini stessi sono il risultato di una arbitraria divisione degli messeri viventi.
Qual'e' allora la storia sensata se le divisioni possibili, e le relative storie, non hanno limite?
Se però tu credi che esista una divisione sensata allora poi la storia ha lo stesso senso dato a quella divisione.
Personalmente non mi sento parte di alcuna classe ne' di altro, neanche in via momentanea, figuriamoci poi in via ereditaria.
Queste divisioni hanno fatto la storia, ma credo sia arrivato il momento di riscriverla.
Una storia dell'umanità come convenzionale parte dagli esseri viventi, che , dividili come vuoi, sono tutti sulla stessa arca. Dividici come vuoi , ma restiamo tuttti minolli.😅
Salve iano. Citandoti : "Se tu estrai un solo rigo da un lungo post per criticarlo, significa che il restante post tu lo approvi?".
Estraendo un solo rigo e commentandolo/criticandolo........io divento dialetticamente responsabile di ciò che replico, non certo di tutto ciò da cui mi sono astenuto dal fare. Secondo te, chi scrive fa le regole e chi replica è obbligato a rispettare le regole dialettiche (magari quelle da te indicate) dettate da chi ha scritto ?.
Poi quindi : "Che si possa risolvere tutto con la sola logica è una illusione. La logica infatti richiede qualcosa cui applicarsi, e ciò a cui si applica non ha sostanza logica, ma pregiudiziale".
Con la logica non si risolve proprio nulla. Le soluzioni si trovano coi fatti, non con le parole.
Ovviamente, se la logica funzionasse basandosi su sè stessa, ci sarebbe un piccolo problema tautologico.
La sostanza cui si applica la logica è sì il pregiudizio, ma non quello intellettuale.........bensì quello esperienziale (ciò che i sensi ci hanno insegnato risultare consequenziale).
Infine, circa il DUE, esso, per l'appunto, non è affatto un pregiudizio intellettuale, bensì la LOGICA conseguenza esperienziale del fatto che DUE PIATTI DI SPAGHETTI CI RENDONO ASSAI PIU' SAZI DI UNO SOLO. Saluti.
Mi spiace per te iano, ma la storiografia c'azzecca poco coi giochi matematici e la proprietà commutativa non si applica quando sono in gioco ruoli di classe, che non sono neppure loro giochi di ruolo, ma cose terribilmente serie. Il cui senso viene inscritto nel corpo e nell'anima dei partecipanti e non è intercambiabile una volta che la storia è stata raccontata vissuta.
Citazione di: viator il 14 Novembre 2021, 18:22:14 PM
La sostanza cui si applica la logica è sì il pregiudizio, ma non quello intellettuale.........bensì quello esperienziale (ciò che i sensi ci hanno insegnato risultare consequenziale).
È appunto ciò che intendo per pregiudizio inconsapevole, pregiudizio senza il quale i sensi stessi non avrebbero efficacia, a conferma del suo essere necessario.
I sensi non insegnano nulla.
Non devo spiegarti io come rispondere ai post, ci mancherebbe.
Ma alla lunga mi è parso di rilevare nel tuo modo di rispondere una asimmetria che nasce da qualche pregiudizio di cui ti invito a prendere consapevolezza.
Pregiudizio non rivolto a me soltanto, perché di esserti antipatico me ne farei una ragione, essendo sentimento naturale da non colpevolizzare, ma rivolto a tutti.
Non è un gran problema. Il tuo contributo rimane essenziale a questo forum.
Allora ti chiedo scusa anticipata se, come trascurabile conseguenza, ogni tanto ti ci manderò'.
Ora che già lo sai la nostra amicizia sarà' ancora più salda.
Con stima. Iano.
P.S.:
E poi, diciamolo, il tuo essere eccentrico, in senso contributivo positivo al forum, è anche frutto di questa tua asimmetria pregiudiziale, che puoi provare a portare fuori se vuoi, o tenertela dentro come un tarlo, perché , per quel poco che traspare, somiglia proprio a un tuo tarlo.
Lo dico senza malevolenza.
Citazione di: Ipazia il 14 Novembre 2021, 18:28:08 PM
Mi spiace per te iano, ma la storiografia c'azzecca poco coi giochi matematici e la proprietà commutativa non si applica quando sono in gioco ruoli di classe, che non sono neppure loro giochi di ruolo, ma cose terribilmente serie. Il cui senso viene inscritto nel corpo e nell'anima dei partecipanti e non è intercambiabile una volta che la storia è stata raccontata vissuta.
Mettiamo pure che la mia generica ignoranza, e in particolare della storia, pregiudichi il valore del mio parere. Anzi è certo.Però mi pare che la proprietà commutativa ci azzecchi proprio, perché è un concetto generale che può applicarsi ovunque. Nel nostro caso poi il risultato sembra una magia, perché commutando termini che sono uomini, rimangono sempre uomini, come se non si fosse commutato nulla.
Naturalmente nella storia recito sempre una parte , ma mi commuto anche nelle altre.
Provo a immedesimarmi.
Provo a chiedermi, se fossi io il padrone come mi comporterei?
E provo a rispondere onestamente, e se non la risposta, onestà e' la domanda.
Il padrone si comporta così perché è un padrone o perché è un uomo?
Perché è un uomo, mi pare onesto rispondere.
Salve iano. Citandoti : "Non è un gran problema. Il tuo contributo rimane essenziale a questo forum.
Allora ti chiedo scusa anticipata se, come trascurabile conseguenza, ogni tanto ti ci manderò'.
Ora che già lo sai la nostra amicizia sarà' ancora più salda".
Grazie e bravo. Con affetto da Viator.
Il problema del dominio e della violenza dell'uomo sull'uomo è uno degli ingredienti fondamentali che contribuiscono al senso di vanità della storia. Mi sembra che ne abbiamo già parlato . Infatti,sembrerebbe così assurda la storia umana, se invece di una narrazione infinita di atti di forza, di soprusi, di violenze (violenza è anche imporre a tutti un certo modello economico che favorisca nettamente qualcuno) fosse la storia di una specie che cerca laboriosamente di sopravvivere in una natura spesso molto ostile? Che concordemente si raduna e prende decisioni che non escludano nessuno? E proprio perché questa ci sembra solo utopia, disperando così che in definitiva, anche per il futuro, le cose possano cambiare, che il sentimento di vanità emerge dallo sguardo che si posa sulle vicende umane. Vanità di quello che è stato e vanità di quello che sarà. Possiamo aumentare a dismisura la nostra conoscenza, ma se non cambiano le dinamiche di sopraffazione, sarà una conoscenza che servirà soprattutto a garantire altre forme di dominio. E il lettore che confida nell'autore del libro, mestamente, deve riconoscere che anche gli stessi credenti, nel corso della storia, si sono fatti spessissimo strumenti di sopraffazione e dominio, cosa ancora più grave, perché chiamati al contrario ad essere testimoni di fratellanza. E anche questa è vanità.
Entrambe le opzioni, sfruttamento e solidarietà, sono presenti nella storia umana e la loro dialettica trovo sia carica di senso e non precluda aspettative salvifiche per il futuro dell'umanità, al pari delle escatologie religiose. In entrambi i casi le forze maligne non sono da sottovalutare, ma darle per vincenti a prescindere (in assenza di un Deus ex machina), significa chiudere la Storia con un senso di vanità precostituito indimostrabile.
Se c'è un senso trasparente nella storia umana, esso consiste proprio nella ricerca del superamento di condizioni ereditate, istituzionalmente consolidate, di sfruttamento e oppressione. Non osteggiate efficacemente nemmeno dalle "religioni dell'amore", come storia insegna.
Salve. Ma l'umanità rifiuta di darsi l'amore (correttamente inteso come l'includere e/o l'essere inclusi) quale senso della propria esistenza individuale o collettiva.Tutto, nella soria umana, indica la sua pervicace volontà di ergersi e di spadroneggiare su ogni altra specie e sull'intero mondo fisico. Quindi il senso del nostro esistere come specie è soltanto espresso dalla volontà di dominio. Saluti.
@Alexander
Più o meno la penso come Ipazia.
Tu vedi bene, ma vedi solo una parte della storia e in via definitiva.
Succede a tutti, così che a turno ci sorprendiamo di tanta malvagità piuttosto che di tanta disinteressata solidarietà. La costante e' che restiamo sempre sorpresi perché possediamo sempre un punto di vista parziale che può essere cambiato, ma che non abbraccia mai l'intera storia.
La volontà di dominio funziona, ovvero ha senso, solo se la neghiamo ai dominati (se ne accorse pure Nietzsche e ci ricamò la sua poco convincente metapolitica). Altrimenti siamo nella "contraddizione che nol consente".
E' ovvio che non si possa avere una visione onnicomprensiva della storia. Si fa previsione sul futuro guardando come va il presente e come è andato il passato. Se la legge di causa effetto ha un suo senso non c'è da aspettarsi un gran cambiamento, purtroppo. Almeno non nei paradigmi sostanziali (dominio, volontà di controllo,ecc.) Ma spero di essere solo un gran pessimista. Quel che mi secca è se, alla fine, dovesse avere ragione Viator, quando afferma che non c'è nulla di cui stupirsi e sgomentarsi, e che "il senso del nostro esistere come specie è soltanto espresso dalla volontà di dominio".
Buon martedì, questo post è senz'altro per tutti, ma voglio dedicarlo in particolare a quel gran simpaticone di Viator. Vado pertanto a citare un finale di pensiero che hai esposto a Jacopus ... "Se poi l'interlocutore nega che logica e raziocinio siano funzioni mentali, oppure che le menti non esistano, oppure che esistono ma - dialetticamente - devono restarsene subordinate ad una psiche, a dei sentimenti oppure ad uno spirito.........beh, si conferma che ciascuno si contenta di ciò in cui gli piace credere."
Sentendomi indirettamente chiamato in causa, penso che la ragione sia l'unico mezzo che si abbia per cercare di comporre i nostri dissidi. Tu ti affidi ai sensi per delineare i fatti, mentre io mi affido alla sensazione, fermo restando che i sensi debbano validarla.
Ti faccio ora un esempio di quello a cui "io credo", consapevole che la mia credenza sia subordinata alla mia sensibilità: Quando stai vivendo all'interno di una scena, i sensi assorbono una quantità di informazioni incomparabilmente più grande di quello che tu ritagli dalla scena e chiami fatto. E' vero che tu ritagli un fatto, ma forse altri ritagliano altri fatti da quella medesima scena, escludendo il tuo o mettendolo in secondo piano, oppure anche, ritagliano lo stesso fatto che vedi tu, ma se divergono dal modo in cui lo esponi, lo accentuano in modo razionalmente diverso, grazie al fatto che un fatto non puoi esaminarlo estrapolato dall'ambiente in cui si è prodotto.
Proseguendo, è a mio giudizio spontaneo che un organismo (ciascuno secondo le proprie facoltà) memorizzi le conseguenze e le cause che hanno prodotto il fatto. Nel caso umano però, vattela a sapere dove ciascun individuo riesca spaziando nel tempo passato ad individuare cause plausibili (sempre assecondando la propria sensibilità) ed eventuali effetti in previsione, generando grande pòlemos nel riconoscere quantitativi di veridicità delle varie cause ed effetti messi sul piatto per un determinato fatto. Siccome a mio giudizio questa faccenda sarebbe insanabile data una certa mancanza di oggettività del reale, compito della ragione umana (ragione che funziona benissimo per quel che gli compete) è quello di rendersene conto e, solo successivamente, ricercare razionalmente soluzioni
Salve daniele22. Sono imbarazzato nel replicarti poichè non so se sarai d'accordo sulle mia seguente definizione.Se tu non fossi d'accordo con essa, sarebbe perfettamente inutile continuare a dialogare.
"Sensazione" (credo tu intendessi parlare di senzazione INTERIORE) : "stato d'animo (o condizione psichica) generati dall'ingresso nel nostro animo (per chi lo chiama così) o nella nostra psiche (per chi chiama l'anima in tal modo) di segnali provenienti dall' esterno (le situazioni esterne al nostro corpo) o previamente esistenti in noi, ma comunque aggregati ed elaborati dal nostro spirito (per chi lo chiama così) o dalla nostra memoria psichica non consapevole (per chi la chiama così).
Ovvio le che sensazioni sono del tutto differenziabili e personalissime, essendo il frutto della nostra interpretazione emozionale alla luce dell'intero il nostro vissuto.
Il raziocinio non è basato sulle sensazioni, ma sul nostro patrimonio esperienziale di PERCEZIONI SENSORIALI dirette e gestite dalla nostra memoria consapevole (anche se per te, credo, la differenza tra sensazioni e percezioni sarà solo un sofisma).
Le sensazioni fanno parte delle emozioni e dei sentimenti (realtà a te tanto care)........le percezioni della esperienza vivibile e vissuta. ED IL RAZIOCINIO E' BASATO SULL'ANALISI DELLE PERCEZIONI, NON DELLE EMOZIONI.
Per questa ragione le sensazioni sono volatili e così difficilmente comunicabili e descrivibili mentre - ad esempio - la percezione di un calcio tra i denti è di identica ed universale interpretazione al di lè di ogni filosofia, sensibilià, fede religiosa.....................................Saluti.
Citazione di: Ipazia il 14 Novembre 2021, 15:52:34 PM
Spostandosi la discussione verso l'irrazionalità della storia umana, inviterei a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Tizio quel che è di Tizio. Dubito che Tizio smaniasse per andare a morire nella selva di Teutoburgo e Efisio agognasse tanto per la conquista dei quattro sassi del Carso.
Chiamare a correo l'intero genere umano per una storia che è sempre stata scritta da oligarchi e loro servitori lungo complesse trame di dominio, è profondamente falsificante.
La stessa evoluzione scientifica è stata sempre diretta dalle classi dominanti che l'hanno indirizzata non a fantasiose "magnifiche sorti e progressive" dell'intera umanità, bensì della propria classe.
Semmai bisognerebbe chiedersi: com'è possibile che pochi abbiano sottomesso molti ? La storia dell'arte di dominio è lunga come la storia umana e il logos, con le sue appendici culturali e religiose, è parte essenziale di tale storia, legittimando e santificando la trasmissione di eredità da una generazione di dominanti all'altra, fenomeno assente in natura, con esclusione dei buoni geni trasmessi, però da riconfermare sul campo senza sconto alcuno.
La storia millenaria di dominazione dell'uomo sull'uomo ci ha portato ad una situazione aberrante in cui i costi economici, sociali e ambientali, delle scelte di governo non sono pagati da chi ha attivamente prodotto il danno, ma da chi lo subisce essendone coinvolto in una passività coatta.
C'è, per quanto perfida, razionalità in questa storia, da parte di chi ha sempre soggiornato all'apice della piramide sociale. Pensare di fare un forfait di senso tra chi sta al vertice e chi sta alla base della piramide non ha alcun senso.
E' vero quel che dici che bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. Sono i Cesari a fare i danni maggiori. Però, a mio giudizio, un po' di correità c'è, e il motivo della mia opinione al riguardo deve ricercarsi sulla domanda che ti fai "Com'è possibile che pochi abbiano sottomesso molti?" Sapessi quante volte mi son chiesto la stessa cosa. Beh, di sicuro ricorderai quando le br o prima linea gambizzavano i capireparto. Non penso che colpissero a caso, e in quelle dinamiche andrebbe ricercata la risposta. Sono poi d'accordo che possa esserci della perfida razionalità in chi soggiorna nelle alte sfere e gestisce cose che riguardano molti, ma queste sono illazioni che andrebbero pure supportate da indizi di una certa rilevanza
I pochi hanno sottomesso i molti attraverso un millenario processo ereditario di concentrazione di potere, diritti di proprietà e risorse, sostenuto da apparati militari e ideologico-religiosi. Conflitti tra bande e stati armati in cui chi soccombeva veniva ridotto in schiavitù realizzando così quella prima stratificazione di classe di fronte a cui nemmeno un Aristotele batteva ciglio. Il diritto alla sopraffazione del perdente, tanto in campo militare che economico, ha accompagnato la storia umana orientando il suo orizzonte di senso verso la legittimità giuridica dell'ineguaglianza. Processo ideologico ancora molto attivo su una base economica, evolutasi in finanza, di accaparramento di risorse ed espropriazione dei vincenti sui perdenti.
Qualcuno la vedrebbe di sicuro diversa da te. Per quel che mi riguarda sottoscrivo la tua veduta. Tra l'altro mi piace molto l'immagine "Il diritto alla sopraffazione del perdente". Come dire: era già stato sopraffatto, era necessario andare oltre? Il culto al dominio permanente, ideologia dell'egoismo ... lo svuotamento delle energie vitali dei perdenti fino a mantenerli in una specie di vivarella. Una volta però si diceva almeno boikot Jaffa ... ma la Palestina era distante. Come mai oggi i perdenti non dicono boikot amazon, o facebook, o la macchina nuova ogni quattro o cinque anni etc.etc.? Perché la gente non posa penna o martello? In fondo, oggi non ti sparano mica addosso. Questa è la complicità del perdente di cui parlo, complicità che si esprime a livelli minimi se vuoi, ma non per questo si può escluderla come fondamentale all'alimentazione del regime vigente
Certo che il perdente va sopraffatto perchè senza catene sono pochi gli schiavi che rimangono tali. Nelle contese umane il perdente perde pure se stesso, in toto o parzialmente. Il catename dei sottomessi moderni ha una componente immateriale ideologica (giuridica e propagandistica) che sommata al "panem et circenses" rende la sua sopraffazione la più efficace, microchirurgica, a memoria umana. Evoluzione.
Citazione di: Ipazia il 17 Novembre 2021, 18:01:13 PM
Certo che il perdente va sopraffatto perchè senza catene sono pochi gli schiavi che rimangono tali. Nelle contese umane il perdente perde pure se stesso, in toto o parzialmente. Il catename dei sottomessi moderni ha una componente immateriale ideologica (giuridica e propagandistica) che sommata al "panem et circenses" rende la sua sopraffazione la più efficace, microchirurgica, a memoria umana. Evoluzione.
Ipazia, perdona, ma non capisco in modo chiaro cosa intendi con "componente ideologica (giuridica e propagandistica)"
Per la parte giuridica dell'ideologia intendo il sedimento secolare di giurisprudenza a tutela, pure armata, degli sfruttatori di altri umani ed espropriatori di beni comuni essenziali. Per la parte propagandistica intendo il mainstream di politicanti, esperti, cortigiani, nani e ballerine occupati nella lobotomia full time no stop dei popoli.
Ho capito. Concordo, forse è solo perché sono un uomo che percepisco una complicità
La sindrome di Stoccolma c'è. Anche per le donne che si avvelenano l'esistenza in rapporti sbagliati. Ma è sindrome indotta dallo strapotere materiale e ideologico del boia.
Sì, se così fosse. Ma mi riferivo più che altro al rapporto che vi è tra il maschio ed il coraggio. Nell'immaginario collettivo, per varie ragioni, il coraggio è prevalentemente associato alla virilità. Sarebbe punto di debolezza soprattutto per il maschio un'espressione del tipo "non lo faccio .. ho paura". Il maschio concede alla femmina l'aver paura senza che la dignità di questa ne venga più di tanto scalfita. Naturalmente, dall'alto della sua superbia, non si cura nemmeno di interpellare la femmina in proposito. Ma il coraggio non si esprime solo attraverso funamboliche piroette mentali o corporee che siano, ma si può esprimere anche dicendo no. Il prezzo può esser carissimo per un singolo o per pochi, ma non per una nutrita schiera di individui. Le persone non sono lobotomizzate del tutto, percepiscono malessere, ma non riescono ancora a razionalizzarlo in modo soddisfacente. Questa è la complicità forse prettamente maschile che io imputo nel processo di sostentamento del sistema
Io però mica l'ho ancora capito il senso della storia umana senza un Dio al quale chiederlo.
Non ho nemmeno capito come non si possa riconoscere che nell'uomo, in tutti gli uomini c'è una percentuale (variabile a seconda dei soggetti) di bene e male. Spesso, per vederli con chiarezza, è necessario si creino determinate condizioni però, credo che ognuno di noi, nel corso della propria vita, abbia visto all'opera questi principi nel proprio animo. O no?
Oggi a Malta, un uomo in stato di confusione mentale minacciava di buttarsi da un muraglione alto 30 metri. Mentre la polizia cercava di farlo desistere, la folla radunatasi sotto lo incitava, con schifoso cinismo, a gettarsi, con frasi come: "Buttati! Che figura ci fai adesso se non ti butti?"; "Sbrigati, che dobbiamo tornare al lavoro" ecc.
Tantissimi erano con il braccio in alto, puntando lo smartphone, a immortalare la sofferenza altrui.
Alla fine non si è buttato, per fortuna. Il governatore della Campania ha affermato che, contro coloro che sono restii a vaccinarsi contro il sars-cov2, bisognerebbe usare il napalm, come dire che sarebbero da eliminare fisicamente. Lo stesso governatore che ha saltato la fila e sgomitando è andato a vaccinarsi per primo. In questa disumanità la pietas piange ormai. Dio dov'è? Si chiede il credente. Continua a chiederselo da molto tempo. Ogni volta che vede ingiustizia, morte, sopraffazione e dominio uno sull'altro. Per il credente il sentimento della vanità della storia può essere ancora più penoso che per il non credente che in fondo, seppur sperando in un miglioramento, alla fine non si aspetta granché dalla vicenda umana. Moltissimi anzi si aspettano che il caos alla fine c'inghiotta tutti e si vestono di una maschera cinica, senza più una speranza.
E sì, Freedom, neanche io ho ancora capito il senso della storia umana senza un autore a cui rivolgersi.
Cercare risposta al senso della storia umana in un dio che è la personificazione del senso della storia umana secondo una particolare visione del mondo umana che ha codificato il suo senso del bene e del male è un circolo vizioso, una tautologia antropo-logica.
Un dialogo allo specchio, prendendo per vero ed altro da noi quello che lo specchio riflette. Letteralmente ed etimologicamente è una speculazione.
Salve alexander. Citandoti : "Dio dov'è? Si chiede il credente. Continua a chiederselo da molto tempo. Ogni volta che vede ingiustizia, morte, sopraffazione e dominio uno sull'altro. Per il credente il sentimento della vanità della storia può essere ancora più penoso che per il non credente che in fondo, seppur sperando in un miglioramento, alla fine non si aspetta granché dalla vicenda umana".
Scondo me Dio c'è ma ha interessi assai diversi dai nostri, visto che ci considera - giustamente - solo delle minuscole pedine all'interno del suo Gioco. Io non ho mai capito il perchè Dio (quello dei filosofi, non quello delle sacrestie) dovrebbe muoversi e commuoversi di fronte alle nostre piccole (per lui) vicende, con tutto quello cui ha da badare e con cui trattenersi all'interno del mondo,cioè di sè stesso. Saluti.
Se vi fosse un senso a cosa servirebbe?
Esso certamente guiderebbe le nostre scelte.
La sua mancanza però non ci impedisce di fare scelte.
Senza scomodare il bene e il male facciamo previsioni a breve scadenza, o studiamo strategie su scadenza più lunga, fino a parlare di un senso da dare a tutte le nostre azioni a seguire, cioè a dare un senso alla nostra vita.
Diamo quindi nomi diversi alla stessa cosa relativamente alla sua estensione temporale.
Non si può fare ameno quindi di darsi un senso, così come non si può fare a meno di fare una previsione, quando usiamo consapevolezza.
Più si allunga il tempo che interessa la previsione, più andiamo indietro a richiamare dalla memoria l'esperienza pregressa, fino a cercare un senso nella nostra storia intera, e al limite un'etica che trascende l'esperienza specifica e la storia del singolo.
La vita per essere non sembra avere stretta necessità di ciò , ma ciò fa' parte comunque della vita .
Avere un senso significa mantenere una rotta fissa in un lungo viaggio senza farsi fuorviare dalle esperienze contingenti, considerate come non significative.
Le nostre azioni consapevoli si svolgono quindi su diverse scale temporali.
Una vita intera ha bisogno di un senso per essere consapevolmente vissuta.
Che sia una previsione, una strategia, un senso, o allungando ancora i tempi all'infinito, un Dio , non cambia la sostanza.
Non c'è un senso certo, perché non è possibile fare certe previsioni, se non a breve scadenza, come nella scienza, che però non valgono un senso, perché non prevedono la storia intera.
Comunque facciamo sempre previsioni e cerchiamo di dare un senso alla vita.
Ma forse la domanda interessante è, in che modo la ricerca di senso influenza la vita?
Non è la vita a richiedere un senso, ma è la ricerca di senso a farsi vita, colmando continuamente il vuoto futuro.
Senso è il nome che diamo a una previsione da cui si astragga la scadenza, rendendola vana.
La realtà però ha sempre una scadenza, ed è un altra storia.
Citazione di: iano il 20 Novembre 2021, 04:41:29 AM
Senso è il nome che diamo a una previsione da cui si astragga la scadenza, rendendola vana.
Direi di no rispetto alla vanità - della previsione e/o della scadenza - perché il senso è un prodotto, non un risultato. Un prodotto che si autolegittima e realizza nel momento in cui produce.
CitazioneLa realtà però ha sempre una scadenza, ed è un'altra storia.
Come insegna Epicuro, quando c'è la scadenza noi non ci siamo e finché ci siamo non c'è la scadenza.
Citazione di: Alexander il 19 Novembre 2021, 21:06:19 PM
Oggi a Malta, un uomo in stato di confusione mentale minacciava di buttarsi da un muraglione alto 30 metri. Mentre la polizia cercava di farlo desistere, la folla radunatasi sotto lo incitava, con schifoso cinismo, a gettarsi, con frasi come: "Buttati! Che figura ci fai adesso se non ti butti?"; "Sbrigati, che dobbiamo tornare al lavoro" ecc.
Tantissimi erano con il braccio in alto, puntando lo smartphone, a immortalare la sofferenza altrui.
Alla fine non si è buttato, per fortuna. Il governatore della Campania ha affermato che, contro coloro che sono restii a vaccinarsi contro il sars-cov2, bisognerebbe usare il napalm, come dire che sarebbero da eliminare fisicamente. Lo stesso governatore che ha saltato la fila e sgomitando è andato a vaccinarsi per primo. In questa disumanità la pietas piange ormai. Dio dov'è? Si chiede il credente. Continua a chiederselo da molto tempo. Ogni volta che vede ingiustizia, morte, sopraffazione e dominio uno sull'altro. Per il credente il sentimento della vanità della storia può essere ancora più penoso che per il non credente che in fondo, seppur sperando in un miglioramento, alla fine non si aspetta granché dalla vicenda umana. Moltissimi anzi si aspettano che il caos alla fine c'inghiotta tutti e si vestono di una maschera cinica, senza più una speranza.
E sì, Freedom, neanche io ho ancora capito il senso della storia umana senza un autore a cui rivolgersi.
Beh, se ti sfugge il significato di questi due eventi senza la presenza di un senso macroscopico alle vicende umane, posso umilmente suggerire che si tratta di un tuo cruccio personale? Perchè a me, e penso a molti altri, pare abbastanza chiaro... In ogni caso non posso fare a meno di farti notare che conciliare la presenza del male in un libro scritto da un autore onnipotente del bene, è esattamente la missione logica che i "vignaioli" falliscono da almeno duemila anni.. e forse anche la ragione principale per cui la maggior parte non gli crede più.
La religione cristiana non ha il compito di risolvere il problema del male, quindi i suoi autentici vignaioli non hanno mai fallito.
Semmai è la fede opposta, la religione secolare dell'ateismo, ad arrogarsi la capacità di spiegare definitivamente l'uomo e il suo destino doloroso, cosa che ha cercato di fare prima con le illusioni di illuminismo e marxismo, poi, cedendo all'evidenza del presente, con l'accettazione del nichilismo, e quindi nell'ammissione di un'antropologia basata sulla volontà di potenza e sulla trasformazione tecnica (al servizio del delirio di onnipotenza).
La religione cristiana si basa sull'idea della Caduta e della realtà del peccato nella storia.
Il credente, per potersi orientare nel proprio tempo, deve resistere alle forme contemporanee dell'eresia di Pelagio: non tanto nel senso di dare importanza alla grazia, ma nel senso di escludere autonomia alla condotta umana. Autonomia che implicherebbe un giudizio indipendente sulle trasformazioni della civiltà rispetto alla ricerca di Dio, un giudizio quindi autonomo, concentrato solo sull'effetto, prevedibilmente all'inizio esaltato dalla retorica del progresso poi, preso atto dell'inumanità della maggior parte delle suddette trasformazioni, soprattutto spaventato e, colmo dei colmi, dopo il secolare sbeffeggiamento delle tradizioni religiose, alla disperata ricerca di una spiritualità che possa salvare...
Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2021, 07:37:39 AM
Citazione di: iano il 20 Novembre 2021, 04:41:29 AM
Senso è il nome che diamo a una previsione da cui si astragga la scadenza, rendendola vana.
Direi di no rispetto alla vanità - della previsione e/o della scadenza - perché il senso è un prodotto, non un risultato. Un prodotto che si autolegittima e realizza nel momento in cui produce.
CitazioneLa realtà però ha sempre una scadenza, ed è un'altra storia.
Come insegna Epicuro, quando c'è la scadenza noi non ci siamo e finché ci siamo non c'è la scadenza.
Giusta la prima precisazione.
Attraverso la produzione di senso da ricercare nella storia il passato non cessa mai di essere causa ben al di la' del ristretto paradigma deterministico.
La storia stessa è un prodotto degli individui dalla quale gli individui a posteriori si possono astrarre, estraendone un senso che si fa' causa.
Si prova ad estrarre un senso dalla vita, astraendo la breve storia individuale, come dai fatti materiali si prova ad estrarre leggi astraendo il caso.
Se la ricerca di senso fa' tacito riferimento, come credo, alla storia e al destino del singolo individuo, allora non se ne può trarre che un senso di vanità . Il destino del singolo individuo è la morte, così come ci si aspetta che si arresti ogni dado lanciato.
Il senso riferito al singolo ,traendolo da una storia che si accartoccia su se stessa, non può che risultare dunque vano.
L'effetto delle azioni libere individuali , nella misura in cui possono assimilarsi al caso, rendono il senso vitale contiguo alla legge naturale, come ciò che si può astrarre dai contingenti fatti.
Gli oggetti della storia della vita si evolvono in base a un senso, come quelli materiali in base a una legge.
Senso e legge sono astrazioni di astrazioni.
Astrazioni di secondo grado che risentono della consistenza della astrazione primaria da cui derivano.
Maggior consistenza, o minor vanità, sembrano possedere i fatti naturali, perché più consistente sembra essere l'astrazione primaria da cui derivano.
Paradossalmente la ricerca spirituale di un senso assoluto tenderebbe a ricondurre la storia della vita a quella materiale, con le sue certezze, come se ciò fosse bene, e laddove l'operazione fallisce si intravede il male.
Le pretese certezze a cui si giunge ereditano però sempre l'arbitrarietà della primaria astrazione da cui derivano.
Dalla pretesa che le prime siano assolute deriva il senso di vanità, quando le seconde vengono messe alla prova dei fatti.
A me sembra più ragionevole, piuttosto che dare al senso la consistenza di una legge, dare alla legge la consistenza dl un senso.
La ricerca di un senso assoluto nella vita poggia sul fatto che si crede se ne abbia un esempio nel campo materiale.
Si cerca un assoluto in un campo perché si crede che esempi di assoluti vi siano in altri campi, e perciò sembra sensato farlo, secondo la perfetta logica degli opposti, per cui non vi sarebbe spiritualità senza materia.
Ma, se essi nascono insieme, se si originano dalla stessa astrazione, allora condividono la stessa consistenza.
La maggior consistenza che si attribuisce ai fatti naturali, intesi come puramente materiali, sembra risiedere nella rilevata uguaglianza dei soggetti coinvolti, che si presentano identici, se non per differenze spazio temporali che li rendono soggetti di una storia.
Ma poi si vede che più se ne scoprono di questi soggetti e più il loro essere individuale non sembra giungere a fine.
Non si finisce di scoprire particelle materiali sempre diverse, se le si cerca.
Se invece non le si cerca cio' che appare e' uniforme, e a ciò che è uniforme, ripresentandosi uguale, si attribuisce un senso, impossibile da attribuire a ciò che mai si ripete uguale, e quando ciò non sembra accadere ci sembra esser male , esser vano.
La ricchezza, la diversità, non sono facili da amministrare, e quando se ne perde il controllo ogni azione diventa vana e subentra il caos, e ciò è male, così che a volte ci sembra illuderci di riprendere il controllo, ritrovare un senso, negando la diversità.
Cosa appare più vano ad un essere cosciente se non la dispersione di senso che leghi in una relazione di causa ed effetto i fatti tutti, al di la' del contingente presente e del particolare luogo?
Il senso lo si può perdere per lo stesso motivo per cui lo si può trovare.
Citazione di: Alexander il 19 Novembre 2021, 21:06:19 PM
In questa disumanità la pietas piange ormai. Dio dov'è? Si chiede il credente. Continua a chiederselo da molto tempo. Ogni volta che vede ingiustizia, morte, sopraffazione e dominio uno sull'altro. Per il credente il sentimento della vanità della storia può essere ancora più penoso che per il non credente che in fondo, seppur sperando in un miglioramento, alla fine non si aspetta granché dalla vicenda umana. Moltissimi anzi si aspettano che il caos alla fine c'inghiotta tutti e si vestono di una maschera cinica, senza più una speranza.
Dio, se c'è, è nel suo unico posto possibile (senza volerne limitare l'eventuale onnipotenza), ovvero fuori dalla storia; anche quando si manifesta storicamente o, nel cristianesimo, "carnalmente", si tratta di un suo ingresso nella storia che non condensa esaustivamente la sua trascendenza, per questo si parla di trinità o di altre intermediazioni che rendono possibile un punto di contatto fra dio e storia, ma mai una sua completa partecipazione (guardare al "male" e chiedersi dov'è dio è il primo passo per dare un senso all'esistenza di un "dio liberale", che a sua volta dà un senso alla storia umana, in quanto rincuorante giudice che punirà il male, ma in un "posto" oltre la storia e oltre l'umana conoscenza). A prescindere dal fatto se il suo gesto creativo abbia dato inizio o meno alla storia, in quanto dio, non può che essere sovrastorico, o meglio, astorico, un'alterità rispetto alla storia, pur non essendone totalmente estraneo (v. religioni
rivelate), proprio come il senso è un'alterità rispetto a ciò di cui è senso, pur non essendone totalmente avulso (v. dinamiche semantiche, più o meno metaforicamente intese).
Di sensi (della storia, della vita, etc.) ce ne sono (e ce ne potranno essere) sempre in abbondanza proprio perché la dinamica dell'assegnazione del senso presuppone che di fondamenti autentici ("oggettivi" si diceva) del senso non ce ne siano; in virtù dell'assenza, o meglio, del vuoto fondamentale di partenza è possibile riempiere di senso la vita individuale o quella di tutto il genere umano, senza alcun timore di smentita e confutazione (come dicevo alcuni post addietro). La riflessione potrebbe fare fenomenologicamente un passo indietro, per quanto perturbante, per indagare la presunta
necessità del dare un senso, prima di chiedersi
quale è il senso più condivisibile, più funzionale, etc. Tale necessità, come (di)mostrato anche da questa discussione, vede spesso credenti e non-credenti nella stessa barca, intenti a
dover dare un senso (ciascuno nelle sue "possibilità prospettiche") alla storia, alla vita, etc. poiché entrambe le fazioni condividono la medesima eredità e, talvolta, la medesima velleità metafisico-semantica; a prescindere che pongano alla base della comune "necessità semantica" una divinità o la natura o la giustizia o una fallacia o altro. La matrice della narrazione che ha per oggetto il senso della vita, della storia, etc. ha precise origini genealogiche (teo-logiche), indagando criticamente le quali si ha ulteriore conferma di quanto si tratti di una retorica senza dubbio utile individualmente e socialmente consolidante, sebbene, appunto, dal fondamento vuoto (e sappiamo che sul vuoto e sull'assenza si possono costruire "castelli aerosi" che sfidano i secoli e muovono le moltitudini). In pratica è come avere un secchio vuoto, riempirlo di sabbia e poi affermare che il "giusto riempimento" di quel secchio è la sabbia, che "quel secchio è fatto per essere riempito di sabbia", come se non lo si potesse riempire anche di sassi, acqua o altro. Ci è stato insegnato che sarebbe un
peccato se il secchio restasse vuoto, quindi
deve essere pireno; eppure, curiosamente, in oriente alcuni hanno osservato il contrario, ovvero che il "senso" del secchio è nel suo esser essenzialmente vuoto (che è come dire, quasi con un
koan, che il senso della vita è la sua assenza di senso). Sicuramente è sintomatica la tendenza, comune a credenti e non, a considerare una consapevolezza negativa, che svuota e disincanta, come qualcosa da sovvertire in pienezza (v. il
dover combattere lo spauracchio del nichilismo), seppur tale pienezza risulti consapevolmente e deliberatamente posticcia e spuria.
Se abbiamo rilevato che la dinamica del senso si mostra decostruttrice di un senso della storia, più che sua costruttrice, davvero ascoltando le antiche sirene interiori consideriamo la ripresa di una ricerca del senso come un "superamento" della suddetta consapevolezza "oggettiva"? L'
horror vacui interiore e il sognante
aut-aut fra Senso metafisico e caos, ci spingono a riempire ciò che si è scoperto essere vuoto, ma con quale credibilità (ci) riproponiamo d'aver fiducia (se non fede) in un "pieno" che sappiamo essere un ologramma? La vanità, in entrambi i sensi, di questo gesto è a suo modo una dissonanza cognitiva, quasi una schizofrenia fra ciò che si sa e ciò che si vuole (solo avendo desiderato un senso per la storia, la realizzazione della sua assenza "oggettiva" può produrre vanità). Detto altrimenti: la vanità è tale solo se si parte dall'aspettativa di senso (la cui delusione ha poi per elegia il senso di vanità di cui al primo post), mentre se si guarda al senso come a qualcosa di non pertinente alla vita (v. esempio di moto pianeti o codice della strada anaerobio), non ne può derivare né senso di vanità né, tantomeno, il "dovere" di assegnarne uno
a posteriori per poi eleggerlo a guida del proprio agire (che è un po' come scegliere di legare alla propria schiena il famoso bastone con appesa la carota e, al contempo, lamentarsi di quanto essa sia sfuggente pur vantandosi di averla individuata come "doveroso" punto di riferimento). Certo, se così non fosse, se non fossimo affamati di senso, non saremmo "animali semantici", non ci sarebbero (state) "grandi narrazioni", non saremmo eredi di una storia culturale basata su valori e assoluti, etc. eppure, a scanso di ogni "innatismo", scommetterei che da qualche parte, nel mondo, c'è ancora una popolazione in cui l'espressione «senso della storia» è un non-senso, o magari non ha nemmeno nelle sua lingua le parole per formulare tale espressione; questa popolazione, che magari venera un vulcano e ha paura del buio, vede la "realtà del senso" e il "senso della realtà" meno oggettivamente di quanto riusciamo a fare noi, con tutte le nostre sontuose impalcature
teoretiche affianco ai nostri acceleratori di particelle, oppure un certo "privitivismo filosofico" è anche salvaguardia dall'impaludarsi in alcuni falsi problemi?
@Phill.
Dici bene.
Il senso di vanità deriva da una aspettativa delusa, la presenza della quale, aggiungo io, è connaturata ad un essere cosciente.
Attraverso l'estrazione di un senso dalla storia noi interagiamo indirettamente con la realtà, la quale non sembra avere un limite di complessità, se non quello che noi riusciamo a porvi, pena la mancata interazione.
La ricerca di un senso sembra somigliare, nella sua arbitrarietà, alla ricerca di limiti fittizi che rendano la realtà gestibile.
Rileviamo il male laddove non riusciamo a imporre questi limiti arbitrari , riscontrando una situazione caotica, cioè una complessità che appare irriducibile e quindi incontrollabile, priva di senso nella misura in cui non siamo riusciti a darglielo, laddove riuscirci è di importanza vitale. il senso è connaturato alla vita se si ammette che non esistono esseri se non coscienti, seppur in diverso grado. Senza non vi è interazione con la realtà, quindi non vi è vita .
Anche il privitivista filosofico dà un senso/significato al mondo che lo circonda essendo pure lui un animale semantico che dalle tracce/segno sul terreno deriva il significato di una preda o predatore nelle vicinanze.
L'assenza di senso è assenza di vita, l'eccesso è un falso problema. La verità sta nel mezzo, in tutti i sensi.
"Una spiritualità che possa salvare" non può che trarre origine dalla terra e dalla "fallacia" naturalistica. Non certo dalla superbia idolatrante una divinità ad immagine e somiglianza di un mammifero terrestre.
Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2021, 14:13:15 PM
Anche il privitivista filosofico dà un senso/significato al mondo che lo circonda essendo pure lui un animale semantico che dalle tracce/segno sul terreno deriva il significato di una preda o predatore nelle vicinanze.
L'assenza di senso è assenza di vita, l'eccesso è un falso problema. La verità sta nel mezzo, in tutti i sensi.
Alla fine questa lunga discussione , a differenza di tante altre andate apparentemente a vuoto, sembra aver trovato un senso.😅
Possiamo intendere Dio al limite come ciò che , siccome possiamo considerare, ci sembra avere un senso. Esso appare come la mancanza di un limite, che però è l'esagerazione del concetto di un limite, che siccome si può porre, allora indefinitamente si può spostare, in una progressione di senso che vale una evoluzione vitale.
Credo che l'assimilazione del senso alla vita sia una perfetta conclusione.
@Ipazia
Il presunto "primitivista filosofico" dà un senso/significato a ciò per cui è pertinente (una traccia animale o altro) non ad una condizione che può averne infiniti ed infalsificabili (la vita) o ad un concetto (la storia); è la differenza cruciale fra un vero problema (cacciare, difendersi, etc.) ed un falso problema (che senso ha la vita, la storia, etc.?). Venerare il vulcano implica un Senso solo agli occhi dell'antropologo che usa a priori il senso come categoria, agli occhi dell'indigeno magari è solo una questione di presenza di una divinità ostile (che noi definiremmo ingenua).
Il dogma che l'assenza di senso sia assenza di vita, che sia "necessaria" una spiritualità, che ci sia possibilità di salvezza (redenzione, etc.) e che persino una fallacia sia un buon fondamento, sono altri sintomi della fede nel suddetto aut-aut fra Senso e caos, ataviche declinazioni dell'avversione per la "consapevolezza negativa" (v. la fame di pienezza per cui il secchio deve essere pieno e se non lo è un peccato; spesso si resta comunque figli della propria cultura locale, anche quando si rinnegano alcuni tratti dell'imprinting...).
Citazione di: Kobayashi il 20 Novembre 2021, 09:43:19 AM
La religione cristiana non ha il compito di risolvere il problema del male, quindi i suoi autentici vignaioli non hanno mai fallito.
Semmai è la fede opposta, la religione secolare dell'ateismo, ad arrogarsi la capacità di spiegare definitivamente l'uomo e il suo destino doloroso, cosa che ha cercato di fare prima con le illusioni di illuminismo e marxismo, poi, cedendo all'evidenza del presente, con l'accettazione del nichilismo, e quindi nell'ammissione di un'antropologia basata sulla volontà di potenza e sulla trasformazione tecnica (al servizio del delirio di onnipotenza).
La religione cristiana si basa sull'idea della Caduta e della realtà del peccato nella storia.
Il credente, per potersi orientare nel proprio tempo, deve resistere alle forme contemporanee dell'eresia di Pelagio: non tanto nel senso di dare importanza alla grazia, ma nel senso di escludere autonomia alla condotta umana. Autonomia che implicherebbe un giudizio indipendente sulle trasformazioni della civiltà rispetto alla ricerca di Dio, un giudizio quindi autonomo, concentrato solo sull'effetto, prevedibilmente all'inizio esaltato dalla retorica del progresso poi, preso atto dell'inumanità della maggior parte delle suddette trasformazioni, soprattutto spaventato e, colmo dei colmi, dopo il secolare sbeffeggiamento delle tradizioni religiose, alla disperata ricerca di una spiritualità che possa salvare...
Una delle cose che mi lascia sempre basito e perplesso, è il fatto che coloro i quali che tendono ad avvocare l'idea del valore salvifico della religione, sfruttano sovente la lettura storica positivista, che in teoria dovrebbe andargli indigesta, e contrappongono il medioevo "ora et labora" alla "modernità materialistica" etc.. sono avvenuti più progressi tecnologici in cinquant'anni di medioevo "ora et labora" di quanti ne siano avvenuti in cinquecento di impero romano, ma l'idea che questi poveracci dell'
età oscura fossero così assorti in preghiera e consolati dal senso della storia da non curarsi delle vicende "materiali" è dura a morire, peccato sia un invenzione di quelli che la religione l'avrebbero cancellata con la gomma se avessero potuto. Serve parecchio "senso dell'autonomia" e "materialismo" per massacrarsi incessantemente per anni e anni e anni per qualche spicciolo o qualche acro di terra, come facevano gli uomini quando erano tutti, almeno sulla carta, cristiani, e osservati costantamente dal dittatore celeste, limitati nella loro hybris, tanto da sterminare continenti, devastare terre, stuprare in corsa e giocare in borsa..Sono certo che per loro, il male non fosse un problema, così come per una persona deformata non è un problema l'assenza di specchi.
Citazione di: Freedom il 19 Novembre 2021, 17:56:39 PM
Io però mica l'ho ancora capito il senso della storia umana senza un Dio al quale chiederlo.
Non ho nemmeno capito come non si possa riconoscere che nell'uomo, in tutti gli uomini c'è una percentuale (variabile a seconda dei soggetti) di bene e male. Spesso, per vederli con chiarezza, è necessario si creino determinate condizioni però, credo che ognuno di noi, nel corso della propria vita, abbia visto all'opera questi principi nel proprio animo. O no?
Non solo questi princìpi si vedono all'opera nel nostro animo, si può pure constatare come il bene e il male non siano neppure contrapposti.
Non vi è un bene e un male dentro di me che si contrappongono. Perché a ben guardare uno non è l'opposto dell'altro. In quanto sono incommensurabili l'un l'altro.
Sono su piani differenti.
Di modo che, nonostante sia data per scontata, non vi è in realtà nessuna lotta tra il bene e il male.
Perché non vi è un bene che cerca di imporsi sul male.
Sono solo io, che non sono il bene, a ritrovarmi ad avere a che fare con il male.
E il male esiste, proprio in quanto mi interroga: "E adesso?"
Mentre il bene... è semplicemente un puro nulla.
Il male è ciò che non dovrebbe essere in me, ma c'è.
Viceversa il bene è semplicemente l'assenza del male, e si manifesta come un nulla.
Un nulla che mi fa essere.
Invece, il male, non mi fa essere.
Buona domenica a tutti
Sembrerebbe così che, alla fine della discussione, siamo tornati al punto iniziale, e cioè che è proprio così la storia umana: priva di significato. Abbiamo diversi sensi da dare soggettivamente alla vita o ad un particolare evento della vicenda umana, ma non un senso "oggettivo". Si vorrebbe anche che l'uomo alla fine "sopprimesse" in sé questo sentimento, che direi quasi estetico nella sua purezza, di volerne trovare una chiave di lettura. Accettare che il secchio è vuoto e trovare pace in questa vacuità di senso. Ci sarebbe da chiedersi se la ricerca di un senso della storia, sia un deposito culturale o una necessità naturale dell'uomo. Io propendo per la seconda ipotesi. Tra l'altro se cerchiamo di non trovare un senso esplicito al corso degli eventi, gli eventi stessi ci impongono un senso implicito, come stiamo vedendo in questi due ultimi anni. Mai come ora si è parlato, per esempio, di "senso civico" da rispettare, di responsabilità sociale. E così stiamo già iniziando a riempire il famoso secchio vuoto di contenuti imposti culturalmente. Ma possiamo trovare un'infinità di sensi che si tenta di imporci, con lo sfondo del film della storia intesa come " progresso dell'umanità". Pensiamo a tutta la narrazione catastrofista green. L'urgenza di "salvare" l'umanità. La "lotta eroica" contro un patogeno che riempie di orgoglio,ecc. Sono tutti significati soggettivi, non importa quanto condivisi, che s'impongono come oggettivi. Una lettura teologica laica, si potrebbe quasi dire. In fondo c'è sempre un vitello d'oro da adorare. Si può arrivare ad adorare anche il secchio vuoto, e vederlo dorato.
Citazione di: InVerno il 20 Novembre 2021, 19:20:11 PM
Una delle cose che mi lascia sempre basito e perplesso, è il fatto che coloro i quali che tendono ad avvocare l'idea del valore salvifico della religione, sfruttano sovente la lettura storica positivista, che in teoria dovrebbe andargli indigesta, e contrappongono il medioevo "ora et labora" alla "modernità materialistica" etc.. sono avvenuti più progressi tecnologici in cinquant'anni di medioevo "ora et labora" di quanti ne siano avvenuti in cinquecento di impero romano, ma l'idea che questi poveracci dell'età oscura fossero così assorti in preghiera e consolati dal senso della storia da non curarsi delle vicende "materiali" è dura a morire, peccato sia un invenzione di quelli che la religione l'avrebbero cancellata con la gomma se avessero potuto. Serve parecchio "senso dell'autonomia" e "materialismo" per massacrarsi incessantemente per anni e anni e anni per qualche spicciolo o qualche acro di terra, come facevano gli uomini quando erano tutti, almeno sulla carta, cristiani, e osservati costantamente dal dittatore celeste, limitati nella loro hybris, tanto da sterminare continenti, devastare terre, stuprare in corsa e giocare in borsa..Sono certo che per loro, il male non fosse un problema, così come per una persona deformata non è un problema l'assenza di specchi.
Vediamo se ho capito: rispondi ad una critica della secolarizzazione con il luogo comune del credente ingenuo che idealizza un medioevo di preghiere e ascesi mai esistito. Ma io non ho mai nemmeno pensato di contrapporre alla modernità un medioevo spirituale.
Poi fai notare che siccome nel medioevo si massacravano allora il tema della non autonomia della morale rispetto alla ricerca di Dio è confutato dalla realtà... Tema che io avevo proposto invece per il credente disorientato di oggi descritto da Alexander. Infine concludi con una battuta che determina confusione nella questione della differenza nell'approccio al male, ovvero come problema o come mistero.
Che dire... Meglio chiuderla qua.
Citazione di: Phil il 20 Novembre 2021, 14:53:50 PM
@Ipazia
Il presunto "primitivista filosofico" dà un senso/significato a ciò per cui è pertinente (una traccia animale o altro) non ad una condizione che può averne infiniti ed infalsificabili (la vita) o ad un concetto (la storia); è la differenza cruciale fra un vero problema (cacciare, difendersi, etc.) ed un falso problema (che senso ha la vita, la storia, etc.?). Venerare il vulcano implica un Senso solo agli occhi dell'antropologo che usa a priori il senso come categoria, agli occhi dell'indigeno magari è solo una questione di presenza di una divinità ostile (che noi definiremmo ingenua).
"Privitivista" mi piaceva di più, perchè è uno stadio precedente a "primitivista". Venerare un vulcano invece è già "primitivista": una prima adulterazione (il mondo dietro il mondo) del segno
vulcano che erutta che procederà sul piano inclinato della "decrepitezza filosofica" e ideologica col suo corollario crescente di sacrifici umani. La vita è difficilmente infalsificabile visto che è falsificata dalla morte. "Senso", chi ha iniziato la discussione, lo intende come "signi-ficato", che produce una sensazione in chi è sensibile, completando il corollario semantico con la sua sfumatura trascendentale del "senso" che tutto racchiude. Da cui la "vanità", per chi non coglie altri significati, in assenza dei suoi.
CitazioneIl dogma che l'assenza di senso sia assenza di vita,
Non è più tale se consideriamo che l'assenza di vita è pure, oltre a tante altre assenze, assenza di senso.
Citazioneche sia "necessaria" una spiritualità,
Non so se è necessaria, ma anche la sfera psichica ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Gli orientali la chiamarano atman, gli occidentali nous. Difficile immaginare una "filosofia senza spirito".
Citazioneche ci sia possibilità di salvezza (redenzione, etc.)
Qui posso pure concordare. L'unica salvezza possibile è trovare un modus vivendi sereno con "l'essere per la morte", come insegna Epicuro. Godendo in pienezza , come altrettanto insegna, "l'essere
per la in vita", nel "secchio" Lebenswelt.
Citazionee che persino una fallacia sia un buon fondamento,
E' una fallacia per gli scettici, ma carica di senso per i portatori di "secchi".
Citazionesono altri sintomi della fede nel suddetto aut-aut fra Senso e caos, ataviche declinazioni dell'avversione per la "consapevolezza negativa" (v. la fame di pienezza per cui il secchio deve essere pieno e se non lo è un peccato;
Il secchio nasce contenitore. Il secchio vuoto è un nonsenso filosofico. Coerenza vorrebbe che, a questo punto, si rinunciasse pure al secchio, invece di portarlo a spasso vuoto (pesa pure da vuoto).
Citazionespesso si resta comunque figli della propria cultura locale, anche quando si rinnegano alcuni tratti dell'imprinting...).
Questo sempre. E vale pure per scettici e relativisti. Anche più obbligati, nella pratica quotidiana, a rinnegare alcuni tratti dell'autoimprinting, portando a spasso secchi vuoti. Una cultura meno locale e più saggia consiglierebbe di mettere nel secchio solo lo stretto indispensabile richiesto dalla "fallacia" naturalistica. Un secchio leggero, ma ragionevolmente funzionante. In rapporto dialettico con la "consapevolezza negativa", sotto lo sguardo benevolo di Guglielmo da Ockham.
@Alexander e @Ipazia
Per tirare le fila del mio discorso occorre coniugare la storiella del monaco alla metafora del secchio, ma sempre alla luce della constatazione, non a caso premessa alla questione del secchio, che il dover assegnare un senso alla storia, alla vita, etc. costituisce «una retorica senza dubbio utile individualmente e socialmente consolidante» (autocit.) e che «se così non fosse, se non fossimo affamati di senso, non saremmo "animali semantici", non ci sarebbero (state) "grandi narrazioni", non saremmo eredi di una storia culturale basata su valori e assoluti, etc.» (autocit.). Lungi da me dunque suggerire (come già accennato, mi interessa descrivere non prescrivere) contemplazioni di secchi dorati o l'abbandono dei secchi (infatti il monaco appeso non abbandona il ramo, non si lascia cadere, né tantomeno lo venera), bensì, come detto, è proprio in virtù della originaria vuotezza del secchio che ognuno può riempirlo come vuole (o anche non riempirlo). La conseguenza è che il chiedersi quale sia il senso è, per me, un falso problema, perché il senso è inevitabilmente quello che noi, più o meno consapevolmente, mettiamo nel secchio, non ce n'è uno già (im)posto dentro, da dover decifrare o scoprire.
Se poi slittiamo dal senso inteso esistenzialmente, al senso come scopo/fine, sino ad arrivare al senso come oggetto della pulsione dell'istinto (attaccamento alla vita, etc.), ovviamente usciamo dalle dinamiche filosofiche-teologiche (in cui ha senso parlare di dio, come da titolo del topic) per entrare in altri orizzonti (o in altri secchi-matrioska, per quanto la dinamica dell'assegnazione del senso resti sempre la medesima, se non la si confonde con l'"assegnazione" dell'istinto, l'"assegnazione" dell'imprinting culturale, etc.).
Citazione di: Alexander il 21 Novembre 2021, 09:29:13 AM
Buona domenica a tutti
Tra l'altro se cerchiamo di non trovare un senso esplicito al corso degli eventi, gli eventi stessi ci impongono un senso implicito
I dati che riceviamo attraverso i sensi si trasformano in sensazioni, eventi, solo se vengono interpretati e non c'è un modo univoco per farlo. Dentro ad ogni tipo di interpretazione è già implicito un senso , un pregiudizio, a noi ignoto, se condiviso.
Non potremmo interagire con la realtà, se non secondo un senso arbitrario, quanto prestabilito, quanto ignoto, se condiviso.
Nella ricerca scientifica invece questo senso è noto, esplicito, quindi in genere non condiviso, ma condivisibile.
Noi non vediamo i quark, ma in "un certo senso" è come se li vedessimo, se condividiamo la teoria dei quark.
In generale ogni volta che abbracciamo un nuovo senso stiamo sperimentando un nuovo modo di vedere il mondo.
Uno ci vuole sempre comunque.Senza saremmo ciechi.
Quando il senso è ignoto è condiviso, e questa condivisione ci fa' umani.
Quando invece è esplicito, siccome criticabile, non è in genere condiviso.
La storia del covid ci insegna che tanto più siamo informati, tanto meno concordiamo.
Quando eravamo non informati ci vaccinavamo tutti.
Il senso di avere tanti sensi è che essi possono confrontarsi creando ricchezza di soluzioni possibili ad ogni problema contingente, anche se la loro stessa gestione e' problematica.
La storia del covid ci dice che non siamo ancora preparati a gestire un surplus di informazione, perché questa se non debitamente elaborata non porta a nulla, e si può elaborare solo scegliendo un senso.
Se vi fosse un solo senso da trarre dalla storia sarebbe una storia monolitica, uguale sempre a se stessa, da qualunque prospettiva là si giudichi.
Ogni individuo così la vedrebbe allo stesso modo, tanto che la presenza di diversi individui sarebbe difficile da giustificare. Quantomeno sarebbe economicamente insostenibile.
Ne basterebbe uno, magari eterno, magari Dio.
Un solo Dio e un solo senso da trarre dalla storia, perché non vi è storia.
Una bella noia immagino. Io non vorrei essere al posto suo.
E tu?
Ci avrà' creati perché si annoiava?
Citazione di: Phil il 21 Novembre 2021, 12:47:37 PM
@Alexander e @Ipazia
Per tirare le fila del mio discorso occorre coniugare la storiella del monaco alla metafora del secchio, ma sempre alla luce della constatazione, non a caso premessa alla questione del secchio, che il dover assegnare un senso alla storia, alla vita, etc. costituisce «una retorica senza dubbio utile individualmente e socialmente consolidante» (autocit.) e che «se così non fosse, se non fossimo affamati di senso, non saremmo "animali semantici", non ci sarebbero (state) "grandi narrazioni", non saremmo eredi di una storia culturale basata su valori e assoluti, etc.» (autocit.).
Si riprende l'argomento di Hume su essere e dover essere, mentre qui la questione è l'essere del segno che la storia ci lascia. Questione ermeneutica, non etica. L'assoluto sta nelle
res gestae non modificabili, eterne, della storia umana, cui non rimane ai posteri che indagare il signi-ficato. Cosi come lo scienziato interpreta i segni che il suo strumento d'indagine gli presenta. Ed è più bravo colui che da quei segni trae le deduzioni più corrette sulla natura del
secchio fenomeno.
CitazioneLungi da me dunque suggerire (come già accennato, mi interessa descrivere non prescrivere) contemplazioni di secchi dorati o l'abbandono dei secchi (infatti il monaco appeso non abbandona il ramo, non si lascia cadere, né tantomeno lo venera), bensì, come detto, è proprio in virtù della originaria vuotezza del secchio che ognuno può riempirlo come vuole (o anche non riempirlo). La conseguenza è che il chiedersi quale sia il senso è, per me, un falso problema, perché il senso è inevitabilmente quello che noi, più o meno consapevolmente, mettiamo nel secchio, non ce n'è uno già (im)posto dentro, da dover decifrare o scoprire.
La storia umana è un secchio ben pieno in cui c'è molto da decifrare o scoprire, traendone significati a buon rendere attuale e futuro, dotati, si spera, di (buon)senso.
CitazioneSe poi slittiamo dal senso inteso esistenzialmente, al senso come scopo/fine, sino ad arrivare al senso come oggetto della pulsione dell'istinto (attaccamento alla vita, etc.), ovviamente usciamo dalle dinamiche filosofiche-teologiche (in cui ha senso parlare di dio, come da titolo del topic) per entrare in altri orizzonti (o in altri secchi-matrioska, per quanto la dinamica dell'assegnazione del senso resti sempre la medesima, se non la si confonde con l'"assegnazione" dell'istinto, l'"assegnazione" dell'imprinting culturale, etc.).
Concordo e sopra ne avevo già accennato. Investire il segno, con una sua storia oggettiva e fissata per sempre, di uno scopo finale "per noi", implica uno slittamento dall'ermeneutica all'etica che non attiene al contenuto di quel secchio, ma ai contenuti/contributi che vi si vogliono aggiungere nel prosieguo della storia. Sul cui senso conclamato saranno i posteri a giudicare. Così come noi possiamo giudicare i segni della storia passata.
@Ipazia
L'"oggettività" dei fatti storici (per quanto è possibile saperne a posteriori) non comporta la necessità dell'esistenza di un loro senso (almeno se si esclude quel Garante Trascendente a cui è intitolato il topic e che può, essendo esterno e "tangente" la storia, giustificarne il senso). Solo accettando il dogma culturale teoretico che i fatti storici debbano avere un senso (v. escatologia, etc.), si pone il problema di quale senso essi abbiano (avuto), di quale sia il senso più "correttamente dedotto" dalla storia, etc. Il trarre significati dalla storia non ha senso, poiché il senso/significato (fuori da ogni possibile metafora) è sempre in origine un'attribuzione, non una deduzione/induzione. Dalla storia si possono (es)trarre indubbiamente insegnamenti, esempi, scopi, moventi, dinamiche sociali, etc. ma il suo «senso», inteso come esistenziale, spirituale, etc. è solo negli occhi di chi guarda la storia, non nella storia stessa; altrimenti avremmo a che fare con un'oggettività, dunque un'epistemologia non un'ermeneutica (e, a seguire, un'etica ed un'estetica).
Totalmente diverso è il caso dello scienziato che studia e interpreta i fenomeni: il metodo scientifico, non scopre né assegna un senso esistenziale, spirituale, etc. la ricerca scientifica si occupa di rapporti causali, di quantificazioni, di interazioni, etc. non di sensi metafisici (attenzione a "non fare di tutti i sensi un fascio" per amor di metafora); non a caso la scienza produce teorie e spiegazioni falsificabili, ben ancorate al reale, non "sensi" da rimandare ai posteri o che diano un valore alla condizione dell'esistere o allo svolgersi della storia.
Ben vengano quindi le attribuzioni di senso storico-esistenziale (presenti, passate e future), ma con la consapevolezza ("negativa") che non si scopre, né si (es)trae, né si deduce nulla di oggettivo; piuttosto si (ri)trova nel secchio solo quello che ci si mette (se proprio ci si sente in dovere di metterci qualcosa) o che ci ha già (pre)messo una certa tradizione che ci ha preceduto (come da titolo del topic e da sezione del forum).
Citazione di: Phil il 21 Novembre 2021, 18:19:04 PM
@Ipazia
L'"oggettività" dei fatti storici (per quanto è possibile saperne a posteriori) non comporta la necessità dell'esistenza di un loro senso (almeno se si esclude quel Garante Trascendente a cui è intitolato il topic e che può, essendo esterno e "tangente" la storia, giustificarne il senso). Solo accettando il dogma culturale teoretico che i fatti storici debbano avere un senso (v. escatologia, etc.), si pone il problema di quale senso essi abbiano (avuto), di quale sia il senso più "correttamente dedotto" dalla storia, etc. Il trarre significati dalla storia non ha senso, poiché il senso/significato (fuori da ogni possibile metafora) è sempre in origine un'attribuzione, non una deduzione/induzione. Dalla storia si possono (es)trarre indubbiamente insegnamenti, esempi, scopi, moventi, dinamiche sociali, etc. ma il suo «senso», inteso come esistenziale, spirituale, etc. è solo negli occhi di chi guarda la storia, non nella storia stessa; altrimenti avremmo a che fare con un'oggettività, dunque un'epistemologia non un'ermeneutica (e, a seguire, un'etica ed un'estetica).
Totalmente diverso è il caso dello scienziato che studia e interpreta i fenomeni: il metodo scientifico, non scopre né assegna un senso esistenziale, spirituale, etc. la ricerca scientifica si occupa di rapporti causali, di quantificazioni, di interazioni, etc. non di sensi metafisici (attenzione a "non fare di tutti i sensi un fascio" per amor di metafora); non a caso la scienza produce teorie e spiegazioni falsificabili, ben ancorate al reale, non "sensi" da rimandare ai posteri o che diano un valore alla condizione dell'esistere o allo svolgersi della storia.
Non concordo. Le scienze umane, da quelle storico-umanistiche alla psicologia, mirano alla stessa oggettività scientifica delle scienze naturali; dalla loro ricerca sui segni delle vicende umane derivano significati correlati ai fatti a prescindere da ogni senso inteso finalisticamente...
CitazioneBen vengano quindi le attribuzioni di senso storico-esistenziale (presenti, passate e future), ma con la consapevolezza ("negativa") che non si scopre, né si (es)trae, né si deduce nulla di oggettivo; piuttosto si (ri)trova nel secchio solo quello che ci si mette (se proprio ci si sente in dovere di metterci qualcosa) o che ci ha già (pre)messo una certa tradizione che ci ha preceduto (come da titolo del topic e da sezione del forum).
...oggettività che permette di evitare la fallacia di rimuovere arbitrariamente dai suoi fondamenti l'agire umano, e il senso di tale agire mettendo, come suol dirsi, il (secchio, senso,) carro davanti ai buoi.
Per la nostra testa, a qualsiasi fatto che notiamo (che di fatto diviene storico) diamo implicitamente un senso (a meno che non si tratti di fatti routinari). Credere il contrario significherebbe per me ammettere l'oggettività del reale (ammetto infatti solo l'intersoggettività, ma questo è un altro discorso).
Premesso ciò mi chiedo quale possa essere individualmente il nostro senso per la vita se non quello di vivere decentemente?
La risposta alla domanda si esplicita nelle nostre pratiche quando diamo un senso ai nostri gesti, sia rivolgendoci ai prossimi 5 minuti come ai prossimi 5 anni. Ognuno lo fa in modi diversi (sia assecondando Dio che senza assecondarlo). Da ultimo viene il senso della vita che si rivolge ai problemi esistenziali (c'è chi ha più interessi materiali e chi meno materiali). Vi sono insomma delle sfere temporali sotto l'occhio delle quali noi rivolgiamo il senso dei nostri gesti. Per quel che ne so io, l'ultima viene spesso un po' bistrattata se non messa a margine.
Ma sempre per quel che ne so io, ancora quest'ultima, nelle gesta a lei dedicata (mosse da religioni o ideologie), è solo un amplificazione spontanea del gesto di senso rivolto ai 5 minuti o ai 5 anni.
Dopodiché, la sommatoria dell'agire di ciascun individuo del pianeta, col concorso di queste sfere d'azione, produce quel che vediamo, tutto in corso d'opera, sia la nostra vita individuale che la storia umana, quest'ultima per chi se ne interessa
@ Daniele 22
In effetti, il senso inteso come una previsione a lunga scadenza, che al limite diventa infinita, mi sembra che ne giustifichi sufficientemente il parlarne.
Siccome coscienti facciamo previsioni (a che servirebbe sennò la coscienza) le quali non hanno un limite temporali predefinito, e in relazione al diverso limiti considerati diamo un diverso nome alla previsione, che al limite diventa un senso.
Prendendo a prestito la terminologia matematica la storia è una serie infinita di eventi che può convergere a qualcosa di definito , finito o infinito, come a nulla, come è possibile dimostrare.
Lo si può dimostrare perché, pur essendo infiniti i termini, ciò non impedisce ai matematici di trattarli, perché sebbene essi non possano attingere a tutti i termini, non ve ne è alcuno a cui essi non possano attingere, come se i termini fossero tutti attuali.
Nel caso della storia umana, o in generale la storia di una specie animale, manca questa surrogata attualità .
Una serie matematica ha un senso che risiede nella sua definizione, ma ciò non garantisce che essa vada a parare in qualcosa di definito, esistendo la possibilità che vada a parare a nulla.
Per analogia quindi il fatto che la storia umana possa avere un senso non ci garantisce che vada a parare da qualche parte di preciso.
Per non parlare della imprecisione con cui può individuarsi il soggetto della storia, diversamente da come può farsi in matematica, essendo il suo soggetto puramente ipotetico.
Quando parliamo di storia dell'umanità ammettiamo che un soggetto ipotetico abbia un preciso corrispettivo reale.
Come è possibile ciò?
È possibile perché noi non ipotizziamo la umanità, ma la percepiamo, e solo successivamente proviamo a darne una definizione, rendendoci conto però che non è possibile farlo con precisione, cioè che non vi è un preciso corrispettivo reale.
La percezione richiede una elaborazione di dati, e in questa elaborazione risiede già un senso.
L'umanità è tale solo secondo un preciso senso, che abbiamo, ma che non è a noi del tutto presente , e che possiamo provare a ricavare a posteriori.
È un senso funzionale, non assoluto
Quindi stiamo parlando della storia di qualcosa di non perfettamente precisabile, ma che noi comunque proviamo a precisare assegnandogli un senso. Se cambia il senso cambia il soggetto della storia.
Che senso ha quindi chiedersi il senso della storia?
Ha senso se cioè equivale non alla possibilità di trovare un senso, ma semplicemente a cercarlo, con l'avvertenza che quando ci sembrerà di aver trovato il senso della storia di un soggetto, il soggetto è già cambiato.
Il soggetto in effetti, al di là del relativo modo di individuarlo ,non è mai uguale a se stesso se ha una storia.
Ma chi è allora veramente questo soggetto, se non ben definibile.
È come facciamo a raccontarne la storia.
Possiamo raccontarla solo forzandone il senso.
È paradossale chiedersi il senso della storia di qualcosa che se fosse ben definito non avrebbe una storia, perché può avere una storia solo se non ben definibile.
Questo, diversamente da quel che ne pensa Ipazia, vale anche per la ricerca scientifica.
Detto ciò sembra impossibile raccontare una possibile storia di alcunché.
Rimane l'evidenza però che siamo capaci di raccontare storie, e che attraverso queste , che sia letteratura o che sia scienza, ci interfacciamo con la realtà .
Non si tratta di storie a lieto fine, ne del suo contrario. È già tanto che ci siano storie, e se vi sono è perché vi è un senso, uno per ogni possibile storia.
L'essere non è tale in quanto tale, ma è tale in un certo senso, senso che quando viene condiviso perché non criticabile, e non criticabile perché a noi non presente, ci appare allora come tale.
Ma che vi sia un senso dietro l'essere lo intuiamo evidentemente, se poi lo andiamo a cercare, e questa ricerca è ciò che lo fa mutare, perché appena lo si trova lo si critica.
Se lo cerchiamo questo senso un motivo pure ci sarà.
Ipazia non pensa che la scienza sia depositaria della verità, nè che l'oggettività dei suoi responsi sia sinonimo di verità assoluta. Ipazia pensa che tanto le scienze umane che quelle naturali possono usare le stesse metodologie epistemologiche per interrogare la realtà. Il responso in entrambi i casi è falsificabile (fino a prova contraria) e quindi in progress.
Citazione di: Ipazia il 22 Novembre 2021, 22:08:05 PM
Ipazia non pensa che la scienza sia depositaria della verità, nè che l'oggettività dei suoi responsi sia sinonimo di verità assoluta. Ipazia pensa che tanto le scienze umane che quelle naturali possono usare le stesse metodologie epistemologiche per interrogare la realtà. Il responso in entrambi i casi è falsificabile (fino a prova contraria) e quindi in progress.
In effetti condivido.
Ma col senno di poi toglierei quel "vero fino a prova contraria" che ha contraddistinto fino a qui la visione filosofica della scienza. Proporrei di dare per certa la prova contraria ( questione di tempo) di modo che non si debba neanche più scomodare la verità.
Distinguerei fra ciò che è noto, quindi criticabile, e che prima o poi certamente lo sarà.
Noto come ciò che criticamente nasce e criticamente muore.
È fra ciò che essendo ignoto, può apparire, quando appare, solo come evidenza, quindi non criticabile, non falsificabile.
Si può anche negare l'evidenza , ma senza buoni motivi per farlo come non c'è alcun buon motivo logico per sostenerla.
In sostanza proporrei di sostituirà a una verità una certezza, perché comunque un punto di partenza da cui sviluppare la logica ci vuole, così come non può svilupparsi la vita se non a partire da un senso.
Tutto sommato non è assurdo cercare il senso della storia, ma il credere che la storia non sia fatta di tante storie.
Significativo è che quando pensiamo alla possibilità che non vi sia una storia unica dobbiamo immaginarci mondi paralleli.
6) Mater (Natura) semper certa, Pater (Dio) numquam.
Il senso, inteso come ragione, ratio, va cercato e fondato laddove è ragionevolmente certo e condivisibile.
Buongiorno a tutti
La storia umana è fatta di tante storie, però il sentimento della vanità di essa non riguarda la singola storia, ma l'insieme. Come osservando un formicaio scosso vediamo le singole formiche agitarsi e correre, chi di qua chi di là, chi sopra chi sotto, chi all'interno chi all'esterno, ecc. così le innumerevoli storie umane, scosse dalla necessità e dal desiderio, s'intrecciano fra loro. C'è chi avanza e chi indietreggia, chi spinge per il cambiamento e chi tenta di resistergli, chi sale sulla testa dell'altro e chi si sottomette, e su tutto questo agitarsi si posa lo sguardo estetico del poeta, dell'uomo riflessivo, che viene preso , fermo in quell'istante, da una specie di senso di vuoto che si prova a volte dopo aver bevuto un po' troppo e aver ballato con una stupenda fanciulla, che però osservata attentamente si rivela essere la morte. Non è un sentimento che persiste, è un attimo fuggevole, così che anche l'esteta della vita poi si trova nuovamente travolto da essa, spinto via dalla corrente della necessità e del desiderio, quasi confortato dall'esserne travolto. Se infatti , osservando il singolo evento, sembra di scorgerne il senso, di comprendere il significato, ecco che invece l'insieme è come una voragine dove le vicende umane precipitano. Per un attimo resistono ancora delle vestigia, poi spariscono anch'esse.
Forse questo sentimento è al confine del sacro, forse è già dentro al sacro. A volte una conversione nasce proprio da questa specie di spaesamento che si prova nell'osservare la vanità dell'insieme. E' uno sguardo trascendente sulla storia? Che trascende cioè il contingente, il significato relativo, o è solo l'ennesimo desiderio? Eppure c'è e mi azzardo a dire che basta "fermarsi" veramente, smettere di ballare continuamente, e questo sentimento appare a tutti, è là. Però è vero che non tutti sanno smettere per un attimo di danzare. E' raro vedere una formica che, seppure scossa, se ne resti immobile, mentre attorno tutte le altre impazziscono.
7) extra scientia nulla salus
È il senso distopico del mondo prevalente da quando la Scienza ha preso il posto di Dio nell'immaginario umano. 7 come le piaghe d'Egitto.
Citazione di: Ipazia il 22 Novembre 2021, 22:08:05 PM
tanto le scienze umane che quelle naturali possono usare le stesse metodologie epistemologiche per interrogare la realtà. Il responso in entrambi i casi è falsificabile (fino a prova contraria) e quindi in progress.
Se il
focus del discorso-topic è sul "senso" (spiritual)esistenziale della storia (e/o della vita), bisogna osservare che le scienze umane che si occupano di tal "senso" (non linguistico, ma metaforico) non rientrano fra quelle falsificabili (tenendo sempre ben ferma la distinzione fra storio
grafia e filo
sofia della storia).
(Es)Semplificando: se Tizio dice che il senso della vita umana è guadagnarsi il paradiso vivendo religiosamente, Caio sostiene che il senso della vita è godere il più possibile sfruttando tutto ciò che si incontra (persone e risorse), Sempronio afferma che il senso della vita è un'invecchiare sobrio e moderato senza indulgere in speculazioni astruse (e ci sarebbe anche Philonio che suggerisce che il "senso della vita/storia" è un falso problema, ma lasciamolo perdere), come
falsificare le loro
incompatibili (ipo)tesi di senso?
Falsificare, chiaramente, non significa partire da differenti valori per svalutare quelli altrui (svalutare non è confutare), altrimenti non sarebbe una prassi che rientra nel paradigma scientifico.
Le scienze umane si occupano di ricerche con metodi obiettivi in cui si individuano cause ed effetti. Le cose da te postate sono opinioni, doxa, e come tali non rientrano nella ricerca se non come sintomatiche di cause da analizzare nel rapporto tra fondamenti e ideologia. Per dirla marxianamente: tra struttura e sovrastruttura.
Il "senso", inteso spiritualmente, ha un corrispettivo "laico" nella psiche, indagabile con strumenti razionali. Lo spirito non va arbitrariamente a farfalle.
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2021, 14:52:38 PM
Il "senso", inteso spiritualmente, ha un corrispettivo "laico" nella psiche, indagabile con strumenti razionali.
Direi che nel nostro discorso, eventualmente, il senso sta alla psiche come il significato sta alla sintassi (dunque due piani ben differenti). Comunque, la storia umana, non avendo un'unica psiche, non ha allora un unico "senso", quindi le
doxa individuali di Tizio & co. restano l'unica forma di assegnazione di senso che sia sensata (dal "
de gustibus" al "
de pshichibus"?).
Per inciso, dubito che il succitato Marx approverebbe il binomio "senso (della storia)" e psiche, andando dunque ad aggiungersi con Tizio & co. alla schiera di coloro che non fanno dell'esistenzialismo un mero psicologismo.
Da considerare inoltre che la psiche "costruisce e proietta" un senso (v.
imprinting), non lo "scopre" dopo speculativa e sperimentale ricerca, quindi ritorniamo al "senso" che è negli occhi (e nella psiche) di chi guarda, non nell'oggetto guardato, senza falsificazioni ed oggettività che possano dirimere(/redimere)
quale sia il "vero" senso della storia e/o della vita, fuori dal soggettivismo (psicologico, esistenziale o altro).
Abbandonando il campo del "senso della storia", concludiamo almeno che il "senso della vita" è l'avere un psiche con annessi complessi e funzioni? Possibile, ma non abbastanza da falsificare ciò che ancora affermano Tizio & co. (e così magari si scopre che il "senso della storia/vita" è tutta una questione di
doxa e che l'epistemologia non è applicabile all'esistenzialismo, che la psicologia è descrittiva e non "spiritualmente semantica", etc.).
Il senso della storia per Marx era sovrastrutturale rispetto alla struttura sociale all'origine dell'imprinting; più complesso che per le oche, ma non al punto di poterci librare in cieli arbitrari, ciascuno con la sua autocefala doxa. Ancor meno arbitrario quando il senso della storia si confronta, nella pratica/vita quotidiana, con le leggi naturali. Ovvero con lo sfondo che determina tutti i "significati", e tutte le "sintassi", sensati.
Se psiche e doxa fossero così arbitrarie, che senso avrebbero le scienze della psiche ?
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2021, 23:16:14 PM
Se psiche e doxa fossero così arbitrarie, che senso avrebbero le scienze della psiche ?
La
doxa è arbitraria per definizione, fermo restando che «arbitrario» non significa totalmente casuale o insensato (e nel caso delle
doxa sul "senso della vita", se Tizio & co. non temono falsificazione allora siamo fuori da ogni scienza). La psiche non è arbitraria(?), ma ognuno ha indubbiamente la sua e le scienze della psiche, quando sono chiamate ad applicarsi in concreto, non possono esimersi dallo studiare il caso particolare del "paziente", il
suo orizzonte di senso
individuale (a dimostrazione di come accostare "senso della storia umana" a psiche non sia una mossa felice, mentre se accostiamo psiche a "senso della vita", pur confondendo i piani del discorso, ci si incaglia nel soggettivismo e nella
doxa, che la psicologia può certamente indagare, ma pur sempre ragionando per casi individuali, poiché la
doxa/"senso della vita" di Tizio non sono quelli di Caio).
Marx direbbe che ad omologare doxa e visione del mondo di tizio, caio e sempronio ci pensano le condizioni materiali della loro esistenza e le elaborazioni ideologiche imposte. Ennesima verifica di ciò si è avuta con la covidemia, per la gioia di chi si diletti di sociologia e psicologia di massa.
Nell'orizzonte ideologico di senso ci sta pure la scienza. Allo stato attuale della cui falsificabilità, il bigbang se la gioca alla pari col creazionismo teistico, marziani e sospensione di giudizio. Per cui concluderei che la storia, con o senza Dio, è piena di senso prodotto instancabilmente dalla psiche umana che trasforma ogni segno in significato, costruendoci sopra delle teorie che oltrepassano gli orizzonti falsificabili di senso, divenuti episteme: pur sempre provvisoria, ma fondamento di senso della vita e dell'evoluzione umana più consistente di altre soluzioni ideologiche.
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 08:33:58 AM
ad omologare doxa e visione del mondo di tizio, caio e sempronio ci pensano le condizioni materiali della loro esistenza e le elaborazioni ideologiche imposte. Ennesima verifica di ciò si è avuta con la covidemia, per la gioia di chi si diletti di sociologia e psicologia di massa.
Nella realtà non avviene alcuna omologazione fra le
doxa/"visioni del mondo" di Tizio, Caio e Sempronio: Tizio continua a
comportarsi (non solo a ragionare) secondo i dettami della sua religione, Caio continua a gestire
pragmaticamente la sua vita secondo criteri utilitaristici individuali, Sempronio continua a
praticare comportamenti volti all'equilibrio esistenziale ponderato (e Philonio continua ad
agire senza nemmeno porsi la questione del senso della storia/vita).
La questione Covid (di)mostra proprio come siano possibili differenti assegnazioni di "senso" al medesimo fenomeno, molteplicità di posizioni che, a ben vedere, sono anche più sfaccettate della radicale (bi)polarizzazione fra sì/no vaccino, sì/no green pass, etc.
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 09:52:59 AM
Nell'orizzonte ideologico di senso ci sta pure la scienza. Allo stato attuale della cui falsificabilità, il bigbang se la gioca alla pari col creazionismo teistico, marziani e sospensione di giudizio.
La sospensione di giudizio è su un altro piano rispetto a big bang, marziani e divinità, etc. che sono
oggetto di giudizio: c'è il piano in cui si afferma o si sospende il giudizio (ad es. si può sospendere il giudizio sui marziani o affermare un giudizio sulla loro esistenza) e c'è il piano, derivato dall'altro, in cui ci sono i
contenuti del giudizio (marziani, big bang, divinità, etc.) affermato o sospeso.
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 09:52:59 AM
Per cui concluderei che la storia, con o senza Dio, è piena di senso prodotto instancabilmente dalla psiche umana che trasforma ogni segno in significato, costruendoci sopra delle teorie che oltrepassano gli orizzonti falsificabili di senso, divenuti episteme: pur sempre provvisoria, ma fondamento di senso della vita e dell'evoluzione umana più consistente di altre soluzioni ideologiche.
Concordo sulla psiche (individuale) che produce (se «as
segnare» proprio non piace) instancabilmente senso «costruendoci sopra delle teorie che oltrepassano gli orizzonti falsificabili»(cit.), ma non condivido la successiva contraddizione (sempre se non ho frainteso) per cui gli orizzonti falsificabili (quelli dell'
episteme, non quelli del "senso" attribuito dalla psiche, v. l'infalsificabilità di Tizio & co.) diventano fondamento di senso della vita: se è la psiche a
produrre instancabilmente senso costruendo teorie, è essa il fondamento del senso, non le teorie falsificabili della scienza, che in quanto tali sono il fondamento della
conoscenza del mondo, non del suo "senso" psico-esistenziale (è ovvio che per poter dare un senso alla vita, la vita debba esserci, ma il senso che le assegniamo è, come dici poco sopra,
prodotto dalla psiche individuale, è un senso proiettato sul mondo, "applicato" al mondo, non ontologicamente fondato in esso; altrimenti, sarebbe un "senso" a sua volta falsificabile e invece, come dimostrano quei tre... etc.).
A scanso di equivoci linguistici, provo a spiegare come intendo il fondamento: se un marziano (un computer o altro ente non dotato di psiche) iniziasse a studiare il mondo, suppongo scoprirebbe prima o poi le leggi fisiche che sono fondate sul mondo (magari userebbe un'altra matematica per descrivere i rapporti causali e le interazioni, ma non potrebbe un giorno non rilevarli); quello che invece non potrebbe mai scoprire, è ciò che non è fondato sul mondo (suo oggetto di studio), ma su altro. Se il marziano iniziasse invece a studiare la psiche umana, prima o poi si imbatterebbe in qualcosa di simile a ciò che noi chiamiamo metaforicamente "senso" (che egli magari chiamerebbe e classificherebbe diversamente); essendo tale "senso" fondato nella psiche, gli risulterebbe individuabile e riscontrabile come movente di alcune scelte, causa di alcune emozioni, etc. (tranne se il marziano si ritrovasse come cavia quel pedante di Philonio, che lo ammonirebbe di non usare troppe metafore
teoretiche e chiamare «scopi» gli scopi, «valori» i valori, «speranze» le speranze, etc. lasciando il «senso» alla linguistica).
Leggendo gli ultimi post, mi vien da dire che se volessimo trovare un senso per la vita si dovrebbe prendere atto del fatto che da quelle doxa citate da Phil (ricordo anche Ipazia: "Nell'orizzonte ideologico di senso ci sta pure la scienza. Allo stato attuale della cui falsificabilità, il bigbang se la gioca alla pari col creazionismo teistico, marziani e sospensione di giudizio.") si produce di fatto la nostra storia individuale e umana. Quindi, se è vero che l'idea di Dio non è falsificabile in quanto dogmatica, resta pur sempre un fatto che la scienza non possa falsificare le doxa di tizio caio sempronio e philonio. Tutto ciò giustifica per intero un comportamento senza fallo alcuno per la propria opinione.
Volevo poi fare una considerazione sulla produzione delle doxa di carattere esistenziale, tenendo presente che di fatto dovrebbe essere un problema di fondo a generarle. Ebbene, secondo voi, i contenuti di tali opinioni non potrebbero essere innescati da una deriva dei nostri comportamenti pregressi di fronte alla realtà (dalla tenera età alla tarda adolescenza, età presumibile in cui l'orizzonte delle nostre attenzioni si rivolge a tematiche esistenziali)? Sarebbe cioè mera opinione il pensare che si abbia la tendenza a costruirci delle teorie che giustifichino il proprio "senso della vita o della storia" sulla base degli individuali pregressi comportamentali? In questo caso bisognerebbe rilevare che i vari "sensi", opinioni, sarebbero viziate ab ovo non avendo mai subito di sicuro un'autocritica in precedenza. Quanto saremmo disposti semmai a riaggiustarli, dato pure che questo accadrebbe quando passiamo dallo stato di reclute a quello di effettivi nel mondo degli adulti? Io ho la sensazione che le doxa si riaggiusterebbero se non vi fosse il gravio del mondo del lavoro così com'è attualmente
@Phil
Indubbiamente gli orizzonti di senso e visioni del mondo di paron Tizio differiscono da quelli del suo servo Caio. Ma entrambi sono socialmente determinati e lì stanno (af)fondati. Insieme ai loro scopi, valori, speranze e sensibilità. Rivelati con impietosa trasparenza pure dalla covidemia. Sempre nei margini ristretti delle possibilità, mentali ed esistenziali, "assegnate" dal sistema (naturale e sociale).
La sospensione di giudizio è una soluzione epistemologica al pari delle altre, anche se si pone su un piano più cautelativo che va dalla saggezza del sapiente all'ignavia del non vedente.
L'episteme produce senso (senza assegnarlo) per la dialettica (o retroazione, se preferisci) circolare che si instaura tra teoria e prassi. L'affermarsi dell'universo copernicano non ha cambiato solo il cielo dei navigatori, ma pure quello dei filosofi. Insieme agli orizzonti di senso di tutti gli umani, fino a disarticolare verità sacre millenarie e aprire scenari, pure di senso, inediti.
@daniele22
L'infalsificabilità di un dio e l'infalsificabilità di alcune doxa sono forse i due estremi che racchiudono il campo del "senso" esistenziale: da un lato il Senso sommamente assoluto (sovrastorico, trascendente, etc.), dall'altro la "semantica" soggettivistica, contingente e potenzialmente mutevole. Su tale mutevolezza: concordo che non sia facile, in età adulta, mettere in questione le proprie doxa, perché ciò richiederebbe tempo ed energie mentali (e magari strumenti "da adulti", come la filosofia) che non sempre sono a disposizione. Lo dimostra la tendenza alla semplificazione, alla polarizzazione (come accennato prima), alla resistenza al cambiamento di prospettiva, la pulsione ad identificarsi con un "noi che la pensiamo così", etc. abbandonata la famiglia originaria, che dà regole e protezione, anche da adulti cerchiamo "clan", "branchi" e fazioni che ci diano regole e protezione a patto di condividerne i principi e l'identificazione; esattamente il contrario della situazione di rischio (esistenziale, psicologico, sociale, etc.) che richiederebbe una doxa esposta a continua autocritica (è più agevole "difendere" la propria prospettiva dall'interno piuttosto che collaborare a "collaudarla" con chi è all'esterno; d'altronde il comfort psicologico è un'esigenza, e lo dico senza sarcasmo alcuno, per cui una continua autoanalisi è un gioco che potrebbe non valere la candela, soprattutto se ci si incaglia in falsi problemi...).
@Ipazia
Per evitare di deviare troppo il discorso (covid, Marx, epochè, etc.), faccio solo notare che l'episteme produce conoscenza, conoscenza a cui poi viene assegnato un "senso" (psicologico, esistenziale, etc.); senza questo passaggio intermedio (quel «poi»), epistemologia ed ermeneutica diventano pericolosamente sinonimi (il fatto che dopo Copernico siano serenamente continuate le riflessioni teologiche, siano nate correnti come la neoscolastica/neotomismo, ci siano stati autori come Severino ed altri, spiega bene, e in concreto, la differenza fra epistemologia/ermeneutica e produrre-conoscenza/assegnare-"senso").
Citazione di: Phil il 24 Novembre 2021, 18:48:58 PM
@Ipazia
Per evitare di deviare troppo il discorso (covid, Marx, epochè, etc.), faccio solo notare che l'episteme produce conoscenza, conoscenza a cui poi viene assegnato un "senso" (psicologico, esistenziale, etc.); senza questo passaggio intermedio (quel «poi»), epistemologia ed ermeneutica diventano pericolosamente sinonimi (il fatto che dopo Copernico siano serenamente continuate le riflessioni teologiche, siano nate correnti come la neoscolastica/neotomismo, ci siano stati autori come Severino ed altri, spiega bene, e in concreto, la differenza fra epistemologia/ermeneutica e produrre-conoscenza/assegnare-"senso").
Ma non è più stesso mondo. Quando cambia il "senso comune" anche le elite intellettuali finiscono col prenderne atto e pure il
significato degli antichi testi sapienziali (religiosi o profani) cambia: da senso attuale a senso antiquario, da episteme a reperto storico. Salvo riprendere quota quando il nuovo senso comune comincia a tradire le attese e mostrare le sue prime crepe.
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 19:42:28 PM
pure il significato degli antichi testi sapienziali (religiosi o profani) cambia: da senso attuale a senso antiquario, da episteme a reperto storico.
L'onestà intellettuale mi spinge a spezzare una lancia in favore di quello che non è comunque il mio "partito": che i testi antichi religiosi siano forieri di un «senso antiquario» è una tua
doxa (mutuata da Nietzsche?), che tuttavia viene fattualmente falsificata dai miliardi (non è esagerazione) di credenti che ci vedono un senso attuale (grazie ad alcune strategie esegetiche che propendono per l'interpretazione metaforica, confermando il monito di chi, senza fare nomi, vede nella metaforizzazione di alcuni concetti un gesto esegetico tanto potente quanto delicato). Questa falsificazione su scala planetaria dimostra una volta di più come l'attribuzione di un "senso esistenziale" individuale non sia falsificabile dall'altrui
doxa e che dunque l'epistemologia, per quanta quota abbia preso nei secoli, non sia oggi concorrente competitiva nel medesimo campo dell'ermeneutica (e della religione), quello del "senso".
D'altronde, come si diceva qualche post addietro «Falsificare, chiaramente, non significa partire da differenti valori per svalutare quelli altrui (svalutare non è confutare), altrimenti non sarebbe una prassi che rientra nel paradigma scientifico»(autocit.), per cui la tua
doxa sull'"antiquariato" del senso delle religioni diventa falsificabile (e non falsificante) nel momento in cui non è una
doxa che afferma un senso, bensì che nega (o quantomeno sminuisce, se non ho frainteso) il senso alla
doxa altrui, definendolo «antiquario» mentre, a riparo da ogni smentita, chi ci crede (ti) dimostra, con il suo solo crederci, che è invece ben attuale (anche fosse l'ultimo credente rimasto sul pianeta).
Diventa antiquariato sul piano epistemologico, arrendendosi al nuovo padrone che spiega l'universo senza l'ipotesi Dio. Soprattutto quando si richiedono cure specialistiche un tempo perseguite preferibilmente per intercessione divina.
Rimane attuale sul piano della fede. Ovvero laddove la doxa ha possibilità di senso. Col supporto della politica laddove la casta teocratica è sufficientemente potente. Casta che è la prima a ricorrere alle cure del medico alla bisogna. Un doppio binario che prima della rivoluzione illuministica, che ha rivoluzionato pure il senso del mondo, era impensabile.
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 22:37:07 PM
Un doppio binario che prima della rivoluzione illuministica, che ha rivoluzionato pure il senso del mondo, era impensabile.
Solo una puntigliosa osservazione: in realtà il doppio binario
techné/
theos, scienza/religione, conoscenza/"senso", etc. è vecchio almeno quanto Ippocrate, se non quanto l'addomesticamento del fuoco; comunque è esattamente la distinzione binaria che intendevo sottolineare.
Solo una contropuntigliosa osservazione. Non espungerei radicalmente il "senso" dalla nuova divinità ibrida. Il doppio binario contiene pure gli scambi. Sempre più frequenti in prossimità delle stazioni dove conoscenza e mitologia cambiano treno e si scambiano di posto.
Una nuova pietra d'inciampo nella costituzione della mia personale tavola della legge relativa al senso dell'avventura umana (fondativamente intesa):
8)Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.
Citazione di: Phil il 24 Novembre 2021, 18:48:58 PM
@daniele22
L'infalsificabilità di un dio e l'infalsificabilità di alcune doxa sono forse i due estremi che racchiudono il campo del "senso" esistenziale: da un lato il Senso sommamente assoluto (sovrastorico, trascendente, etc.), dall'altro la "semantica" soggettivistica, contingente e potenzialmente mutevole. Su tale mutevolezza: concordo che non sia facile, in età adulta, mettere in questione le proprie doxa, perché ciò richiederebbe tempo ed energie mentali (e magari strumenti "da adulti", come la filosofia) che non sempre sono a disposizione. Lo dimostra la tendenza alla semplificazione, alla polarizzazione (come accennato prima), alla resistenza al cambiamento di prospettiva, la pulsione ad identificarsi con un "noi che la pensiamo così", etc. abbandonata la famiglia originaria, che dà regole e protezione, anche da adulti cerchiamo "clan", "branchi" e fazioni che ci diano regole e protezione a patto di condividerne i principi e l'identificazione; esattamente il contrario della situazione di rischio (esistenziale, psicologico, sociale, etc.) che richiederebbe una doxa esposta a continua autocritica (è più agevole "difendere" la propria prospettiva dall'interno piuttosto che collaborare a "collaudarla" con chi è all'esterno; d'altronde il comfort psicologico è un'esigenza, e lo dico senza sarcasmo alcuno, per cui una continua autoanalisi è un gioco che potrebbe non valere la candela, soprattutto se ci si incaglia in falsi problemi...).
Forse mi hai frainteso. Non intendevo mettere in questione le proprie opinioni nel senso di doverle negare. Se nemmeno la scienza (l'episteme) può falsificarle, come potremmo deciderle sulla base di opinioni che si trovano deficitarie di una solida base d'appoggio. Intendevo in realtà di riaggiustarle, di ridimensionarle, alla luce del fatto che nel transito dall'adolescenza all'essere adulto cambia prepotentemente il tema principale delle nostre attenzioni. Vi sarebbe cioè qualcosa di inaudito alla nostra esperienza giovanile che interviene in campo nel passaggio dal mondo del gioco e dello studio al mondo del lavoro. Perché prepotentemente e pure inaudito? Perché verrebbe a cambiare di gran lunga il valore del premiato rispetto a quello dello squalificato, o del premiato minormente, soprattutto in termini spirituali e materiali. Vi sarebbe cioè a mio avviso un sovradimensionamento di questi due carichi che, pur traendo origine in natura, peserebbero in modo poco naturale (naturale, ma patologico secondo il mio punto di vista) permanentemente nelle nostre vite. Naturalmente quelli che stanno nel mondo di sotto possiedono una maggiore sensibilità a rilevare questo status di opprimente sudditanza. Non che quelli che stanno di sopra ne siano avulsi, ma questa è altra storia.
Pertanto, ognuno si tenga pure la propria opinione maturatasi in seno alla propria storia, ma contiamoci almeno in parlamento. Dico ... Spetta alla sinistra cogliere la voce che non vede, o che non vuole sentire (opto per la seconda). Ci vorrebbe cioè un movimento con almeno un valore, oltre a quello della propria vita, che determini per le persone che lo condividono la messa in atto di una politica trasparente agli occhi di quelle stesse persone. Una politica cioè volta chiaramente a quel valore. Ovvio che l'economia debba riferirsi a quel valore e altrettanto ovvio che si possa pagare dazio, in cambio però di qualcosa d'altro
Buondì a tutti
Riprendo una riflessione apparsa in alcuni post che sostiene: se ci fosse un unico significato, certo ed evidente, della storia umana questa finirebbe per perdere il suo appeal. Tanti significati/sensi soggettivi invece l'arricchiscono, la rendono imprevedibile. Ognuno di noi può cercare il SUO senso all'interno di questa vanità oggettiva di significato. Potremmo quasi dire che i lavoratori dell'ipotetica vigna troverebbero maggior piacere sapendo che non lavorano in vista della vendemmia, ma per il proprio piacere personale , con nessun altro obiettivo se non quello di "realizzarsi" in quello che stanno facendo. All'apparenza sembrerebbe quasi un vantaggio. Consideriamo però la visione opposta:se i lavoratori della vigna del padrone lavorano in vista della vendemmia, la loro fatica non è vana, in quanto finalizzata al raggiungimento di un risultato. Naturalmente la vendemmia non potrà essere un evento freddo, anonimo, puramente "tecnico", ma invece dovrà essere una FESTA. In ogni caso qualcosa di "buono". In Genesi appare l'idea del sabato, cioè del momento in cui ci si ferma e si vede che le cose fatte sono buone, e si GIOISCE di questo . Così il lavoratore che partecipa alla festa della vendemmia realizza che la sua fatica è stata buona, benfatta (BENE fatta-costituita di bene).Il faticare dell'individuo NELLA storia, nel suo svolgersi, non sarà più in balìa di un umore soggettivo, di un'incertezza di senso, di un sentirsi abbandonati in una vigna priva di padrone, costantemente in lotta con infestanti e uccelli ladri, senza che mai possa vedersi una fine a questa lotta, senza l'evento finale, l'epilogo dela storia:la vendemmia. Se però c'è un padrone/Autore che dà un significato a questa fatica, seppure strano, dal comportamento apparentemente incomprensibile, che fa arrabbiare i lavoratori, che si sentono ingiustamente presi in giro, la fatica stessa diviene fonte di gioia. La fatica acquista un senso. Il significato di una cosa non può stare nella cosa stessa. Il significato della fatica di vivere non può dimorare nella vita stessa, che è solo condizione. La vigna da sola non può fornire un senso , in mancanza della vendemmia finale. La storia umana, in mancanza di una "vendemmia" come gioioso epilogo, mi appare quindi proprio come quella vigna sterile, che non produrrà mai, in definitiva, un SABATO.
Citazione di: Alexander il 26 Novembre 2021, 09:24:06 AM
Buondì a tutti
Riprendo una riflessione apparsa in alcuni post che sostiene: se ci fosse un unico significato, certo ed evidente, della storia umana questa finirebbe per perdere il suo appeal. Tanti significati/sensi soggettivi invece l'arricchiscono, la rendono imprevedibile. Ognuno di noi può cercare il SUO senso all'interno di questa vanità oggettiva di significato. Potremmo quasi dire che i lavoratori dell'ipotetica vigna troverebbero maggior piacere sapendo che non lavorano in vista della vendemmia, ma per il proprio piacere personale , con nessun altro obiettivo se non quello di "realizzarsi" in quello che stanno facendo. All'apparenza sembrerebbe quasi un vantaggio. Consideriamo però la visione opposta:se i lavoratori della vigna del padrone lavorano in vista della vendemmia, la loro fatica non è vana, in quanto finalizzata al raggiungimento di un risultato. Naturalmente la vendemmia non potrà essere un evento freddo, anonimo, puramente "tecnico", ma invece dovrà essere una FESTA. In ogni caso qualcosa di "buono". In Genesi appare l'idea del sabato, cioè del momento in cui ci si ferma e si vede che le cose fatte sono buone, e si GIOISCE di questo . Così il lavoratore che partecipa alla festa della vendemmia realizza che la sua fatica è stata buona, benfatta (BENE fatta-costituita di bene).Il faticare dell'individuo NELLA storia, nel suo svolgersi, non sarà più in balìa di un umore soggettivo, di un'incertezza di senso, di un sentirsi abbandonati in una vigna priva di padrone, costantemente in lotta con infestanti e uccelli ladri, senza che mai possa vedersi una fine a questa lotta, senza l'evento finale, l'epilogo dela storia:la vendemmia. Se però c'è un padrone/Autore che dà un significato a questa fatica, seppure strano, dal comportamento apparentemente incomprensibile, che fa arrabbiare i lavoratori, che si sentono ingiustamente presi in giro, la fatica stessa diviene fonte di gioia. La fatica acquista un senso. Il significato di una cosa non può stare nella cosa stessa. Il significato della fatica di vivere non può dimorare nella vita stessa, che è solo condizione. La vigna da sola non può fornire un senso , in mancanza della vendemmia finale. La storia umana, in mancanza di una "vendemmia" come gioioso epilogo, mi appare quindi proprio come quella vigna sterile, che non produrrà mai, in definitiva, un SABATO.
Buondì Alexander. Essendo uno che non si pone più di tanto il problema dell'esistenza di Dio, facendo riferimento ad una "rivelazione", penso che se Dio dovesse manifestarsi, cercando anche di ridurre gli accesi antagonismi tra atei e credenti, lo farebbe tramite una persona che fosse in grado di lanciare un messaggio ecumenico. E' la persona, o Dio che agisce tramite la persona? Boh! Nel nostro passato occidentale, conosco un solo messaggio ecumenico ... tolomeo copernico . Ecumenico occidentale però, giacché non tutti i popoli della terra la pensavano allo stesso modo. Vi erano pure anche altre astro-logie.
Tu vorresti giustamente un Autore ... Trova quella persona e avrai trovato Dio, sia per il credente che per l'ateo, senza quella persona Dio resta oscuro, sempre sia per il credente che per l'ateo. Tieni pur conto che c'è sempre un ribelle che vende cara la pelle
@ Ciao Alexander.
Bel post il tuo.
Ma tu parli di vigne e vignaioli come se non fossero prodotti di un percorso che non abbia una meta definita.
Usi la vigna come metafora di qualcosa di altro che però non c'è.
C'è solo la vigna adesso e domani al suo posto potrebbe esserci altro, e quindi nessuna di queste cose può prendersi a metafora di mete definitive, a meno che non si creda che esse non siano il risultato di un percorso , ma siano state create per restare sostanzialmente tali.
Se è vero che la vigna, sempre la stessa vigna, sia stata creata per dare l'uva, sempre la stessa uva, allora che la dia.
Ma noi cosa c'entriamo in questo?
Siamo quelli che mangiamo l'uva?
Bene, allora mangiamola.
Ma cosa c'entra allora il dover lavorare la vigna?
In sostanza tu credi che non abbia senso il divenire se non va' a parare da nessuna parte di preciso.
Ma se c'è un posto preciso dove stare che senso ha andarci. È sufficiente starci.
In effetti quello che ci dice la Bibbia è che noi ci stavamo, ma c'è ne siamo allontanati e adesso il senso del nostro percorso è quello di un ritorno. Non vedo che senso ci potrebbe essere in ciò, in questo Dio.
Se questo ritorno si dovesse compiere il premio sarà tornare ad essere esattamente quel che eravamo.
Lo stesso risultato avremmo ottenuto se non ci fossimo mai allontanati.
La metà che tu, ma sotto sotto tutti agogniamo , è restare noi stessi in eterno.
Una meta che si raggiunge stando fermi.
Quindi non è tanto il fatto che una vita con tanti sensi sia noiosa .
È il fatto, che diversamente non sarebbe vita.
Una vita che rimane identica a se stessa in eterno, cioè Dio, non è una vita.
Dio può fare quel che vuole, ma nulla di quello che fa' lo muta, quindi che senso ha il suo fare.
È un fare che va' a parare in qualcosa di preciso che è tornare al punto di partenza, come se non ci si fosse mai mossi. Che senso dovremmo trarre da ciò?
Un cambiare per non cambiare nulla infatti che senso ha?
Il senso che si trova alla fine del percorso è lo stesso che stava al suo inizio. Dio.
E l'unica cosa priva di senso è ciò che sta in mezzo, il percorso.
Infatti tornare al punto di partenza equivale a stare. A nessun percorso.
Ma il dilemma del divenire che tanto ci tortura, dove il "ci" sta per un soggetto stabile, non volatile, è stato risolto dai fisici che descrivono il divenire mediante leggi di conservazione.
Il divenire si ha per il mutare di un tipo di energia in un altro, conservandosi l'energia totale.
Se l'energia iniziale e' uno, alla fine della trasformazione troviamo sempre uno.
Il senso non è da cercare nell'uno immutabile quindi, ma nella trasformazione per la quale la vigna non è mai uguale a se stessa, pur essendo quota di qualcosa che non muta.
Lo stesso dicasi per i vignaioli che sono quel "ci", e questo bisogna dire è davvero un mistero.
Il mistero è che tutto ciò ammetta una storia, come se in questo mutamento vi fosse un punto fisso, immutabile,esterno alla storia, che possa quindi raccontarla.
Il paradosso è che la storia non può fare parte della storia. Come può il divenire raccontare il divenire?
Deve esserci sempre un ente esterno fisso che la osservi e che la giustifichi.
Questo ipotetico Dio non da' un senso alla storia, ma la rende possibile.
Perché ci sia una storia deve esserci qualcuno che la racconti.
Dio ci racconta la storia, ma non è lui il senso della storia.
Ci da' i segni, ma non potrebbe farlo se fosse un segno.
Il mondo è uno e contiene tutte le sue possibili rappresentazioni , nessuna delle quali quindi gli corrisponde.
Solo così si può svelare il mistero.
Ogni contraddizione, ogni paradosso, ogni ricerca impossibile, nasce dal credere che vi sia "una storia del mondo" che ne contenga il senso essendo vero il contrario.
L'errore, l'illusione, consiste nel credere che per quanto la storia non sia del tutto oggettiva, là si possa sempre perfezionare, e rimane comunque "la storia".
Ma la vera storia può raccontarla solo chi ne è fuori, un ipotetico Dio.
I fisici stessi hanno compreso che i limiti oggettivi delle teorie fisiche sono i fisici stessi, il non essere essi fuori della storia.
@Alexander
Ciascuno è la sua vigna che è la sua vita. Alla fine il sabato arriva sempre e sarà gioioso o disperato secondo quello che ciascuno avrà vendemmiato. "... e un ridere rauco, e ricordi tanti, e nemmeno un rimpianto."
Per Iano e tutti
Ma Dio è anche il dio del divenire. Il divenire non si oppone a Dio, essendo creato in continuazione. Non penso nemmeno alla "vendemmia" come una specie di ritorno all'Eden, essendo un compimento di tutte le cose. La vigna è ovviamente una metafora dell'esistenza NELLA storia del credente, che presta la sua opera per la costruzione del Regno. Dio non crea per necessità o desiderio, cosa che implicherebbe una mancanza in lui, ma crea perché creare è essenzialmente la sua natura. Non c'è uno scopo nel creare, che implicherebbe sempre un desiderio di evitare qualche cosa e di ottenerne un'altra, cioè una limitazione e una imperfezione e neppure, come sostengono alcune scuole teistiche, al "gioco divino" che significherebbe una specie di noia o insoddisfazione. Nemmeno si può affermare che crea per mostrare la sua onnipotenza: questa ostentazione cosa potrebbe aggiungere alla sua gloria? Invece l'"impulso" alla creazione costituisce la sua propria essenziale natura. In "Apocalisse" c'è questa intuizione in Giovanni che gli fa scrivere: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". Quindi è al contrario di quella fissità che paventi. E' piuttosto un eterno creare "cose nuove". E' il dio della novità, si potrebbe dire. Se tutte le cose sono nuove in Dio, è nuovo anche l'uomo, chiamato cioè continuamente a rinnovarsi. Nel suo rinnovarsi in Dio l'uomo dovrebbe rinnovare anche la storia. Naturalmente rinnovarsi in Dio, significa rinnovarsi nell'amore, perché creare è anche un atto d'amore.
@Ciao Alexander.
Per raccontare una storia ci vuole un autore esterno ad essa, che da essa non venga intaccato, e Dio è un perfetto esempio di ciò, nonché unico esempio. È, al minimo, questa esemplificazione.
È ciò che ,rimanendo fisso, racconta un divenire. Non esistono altri esempi di ciò al di fuori di lui, e se lui non dovesse esistere resterebbe l'esemplificazione di ciò che è impossibile, stare fuori dalla storia che si racconta.
Se Dio, in quanto tale, da' un senso alla storia, allora il senso è fuori della storia, e non è quindi da cercare dentro alla storia.
Per come la vedo io Dio è anche l'unico esempio credibile, se vi si crede, di ciò che è , cioè dell'essere in quanto tale, di cui ogni altro essere è un surrogato.
Il paradosso delle storie è che raccontano un divenire a partire da soggetti che possiedono però una fissità.
Le teorie fisiche sono possibili racconti solo se includono al loro interno delle costanti oltre alle variabili.
Se queste costanti nella realtà non esistessero, al fine di poter raccontare una storia, bisognerebbe inventarle, e io non escludo che le cose vadano così come risultato dell'impossibilità del narratore di stare fuori dalla storia.
Ma ci sono due modi di inventarsi le cose, una consapevole e l'altra no.
Il risultato di una invenzione inconsapevole è l'essere in quanto tale.
Laddove vi è l'essere vi è questa invenzione, e di esso altro non si può dire che è, se non fosse che non lo diciamo per suscitare risa, ma perché altro non possiamo davvero dire, perché inconsapevoli del modo in cui si origini.
Se l'essere corrispondesse davvero alla realtà dovremmo ammettere che essa è un paradossale miscuglio di ciò che muta e di ciò che non muta e ogni storia sarebbe la storia del mutamento di ciò che non può mutare.
Dunque tutto si rinnova in Dio, ma per restare sempre uguale.
Se qui parliamo della storia dell'uomo il soggetto deve restare uguale a se stesso nel suo mutamento, sennò di chi staremmo raccontando la storia?
Non possiamo cambiare in continuazione il soggetto della storia in ragione del suo mutamento, perché sennò' di chi staremmo raccontando davvero la storia?
Dio è un perfetto esempio di ciò che agendo, avendo quindi una possibile storia, resta uguale, e perciò è possibile raccontare la sua storia.
Siccome però siamo noi i veri autori della storia, Dio ci serve per spostare altrove l'imbarazzante paradosso che noi siamo, in quanto soggetti che mutano senza mutare nel corso della storia.
Siamo in quanto siamo i necessari soggetti immutabili di una storia che in quanto tale descrive un divenire.
Per quanto riguarda l'amore a me pare sia ciò che ricuce quel che abbiamo arbitrariamente diviso per inventarci i soggetti di una storia, i cosiddetti individui.
È come se non potessimo relazionarci con la realtà se non inventandoci qualcosa di arbitrario , il quale però raggiunge lo scopro solo quando entra in funzione una conseguente contropartita, che annulli i potenziali effetti a senso unico della nostra arbitrarietà col suo contrario.
Ciò significa che ai fini di rapportarci con la realtà, esistono gli individui, ma solo a condizione che vi sia un amore che li "ricucia insieme".
Questo si esemplifica dicendo che Dio è amore, cioè è, ma non in modo incondizionato, ma a condizione che sia amore.
Infatti a un Dio che non fosse amore che altro senso potresti dare?
Non esiste un essere slegato dalla sua funzione.
Quindi non può esservi un senso nella storia se astraiamo il narratore, che poi mi pare infine sia quel che tu stesso affermi.
L'ultimo post di Alexander mi riporta ad una osservazione di Phil sul fatto che il segno si as-segna. Per me che vado in cerca dell'oggettività del segno e del suo successivo essere posto, il fatto che sia assegnato è motivo di riflessione. Nel post di Alexander io vedo una
assegnazione forte di senso al segno che è condivisa e posta da tutta la tradizione teista fin da quando poneva gli dei sull'Olimpo o in un vulcano. Phil dice che tale assegnazione può essere confutata ma non falsificata. Io penso che quando si fa un'affermazione di tipo ontologico la falsificazione sia sempre possibile e i temerari che si avventurarono sull'Olimpo e non li trovarono non si limitarono a confutare l'esistenza degli dei. Da allora il teismo si è fatto più scaltro e per via metafisica ha assegnato alla divinità luoghi iperuranici difficilmente falsificabili con l'esperimento empirico, ma la metafisica ci ha offerto pure livelli di confutazione assai prossimi alla falsificazione. Il rasoio di Ockham ad esempio, e al seguito lo sviluppo del razionalismo filosofico e naturalistico.
Sul post di Alexander, perchè la vigna e non la latomia o la miniera ? Un bias rosato mica poco. Perchè un contro-eden
omnium contra omnes, quale la natura con adamantina evidenza cartesiana consegna alla nostra esperienza empirica ? Hai voglia a dire che la creazione è un atto d'amore. Anche la creazione della bomba atomica ?
Penso che anche nell'assegnazione di un senso al segno un armamentario di base razionale sia opportuno, e su questo ha ragione viator. Il dogma relativista
"ogne scarrafone è bell' a mamma soja" è stato confutato, al limite della falsificazione, non appena gli umani hanno potuto decidere chi procreare e chi no.
Su tempo e divenire, posto il pensiero di un filosofo professionale, Diego Fusaro, che di seguito ha approfondito l'argomento nell'opera ultima "Essere senza tempo".
Il tempo di cui parla Fusaro è
tempo antropologico da non confondersi col
tempo fisico e decisamente più interessante dal punto di vista filosofico. L'unità di misura del tempo antropologico è la vita umana, che lo distingue dal suo multiplo, il
tempo storico. Anche in fisica il
tempo assoluto galileiano non è il
tempo relativistico einsteiniano, per giungere a "il tempo non esiste" di correnti della fisica teorica più attuale.
@Ipazia.
Direi che può essere falsificato solo ciò che può essere arbitrariamente posto, quindi ciò che già nasce come fittizio, ma non sempre la falsificazione è immediata come la cancellazione di un segno , perché non sempre si ha la consapevolezza dell'assegnazione fatta.
Una assegnazione fatta in modo inconsapevole non può essere consapevolmente cancellata se non si riesce a risalire alla sua origine, perché le assegnazioni le ereditiamo culturalmente e/o geneticamente e quindi le possediamo anche senza possedere la consapevolezza della loro nascita. La scienza ammette falsificazione delle sue teorie nella misura in cui siamo noi a costruirle, e non oltre per cui le sue basi nascoste rimangono metafisiche.
Essa infatti assume arbitrariamente che la verità stia nei fatti, e ciò è condivisibile, ma non falsificabile.
Per una teoria che muore un altra nasce, e ciò si esemplifica con infelice espressione, dicendo che una teoria è vera fino a prova contraria., ma la prova contraria è sempre un altra teoria, e ciò garantisce che nel suo complesso la scienza non può essere falsificata, cancellata come un semplice segno.
Se così non fosse come si potrebbe giustificare la sua presunta tensione alla verità?
Il suo confondersi a volte con la religione?
Ma allora in cosa si distinguono?
Direi in un diverso modo di interpretare i fatti.
Per una è sufficiente l'interpretazione che dei fatti da' un profeta ispirato.
L'altra invece ci impegna tutti a produrre segni.
Ma, a parte questo, nessuna dice la verità, perché la verità è per definizione sottesa ciò che si cerca, dunque ciò che non sappiamo.
Può esistere una verità da raggiungere solo se il percorso della conoscenza è già segnato, se c'è un senso da seguire.
Ma l'unica realtà è quella del percorso il quale solo e' possibile se a partire da un segno già esistente e infalsificabile,
ma solo perché ignoto.
Se la filosofia ha un compito è quello di esplicitare questi sensi nascosti, per falsificarli , con la consapevolezza che ciò è possibile fare solo sostituendo un senso nascosto con un altro.
Citazione di: Ipazia il 28 Novembre 2021, 16:48:46 PM
Nel post di Alexander io vedo una assegnazione forte di senso al segno che è condivisa e posta da tutta la tradizione teista fin da quando poneva gli dei sull'Olimpo o in un vulcano. Phil dice che tale assegnazione può essere confutata ma non falsificata. Io penso che quando si fa un'affermazione di tipo ontologico la falsificazione sia sempre possibile e i temerari che si avventurarono sull'Olimpo e non li trovarono non si limitarono a confutare l'esistenza degli dei. Da allora il teismo si è fatto più scaltro e per via metafisica ha assegnato alla divinità luoghi iperuranici difficilmente falsificabili con l'esperimento empirico, ma la metafisica ci ha offerto pure livelli di confutazione assai prossimi alla falsificazione. Il rasoio di Ockham ad esempio, e al seguito lo sviluppo del razionalismo filosofico e naturalistico.
Un'affermazione ontica (empirica) può essere sempre, almeno in teoria, falsificata; una ontologica non sempre (v. "prova" onto
logica di Dio, di fatto infalsificabile, se se ne accettano gli assiomi); una "semantica" mai, non essendo l'assegnazione di "senso" un'operazione
fondata sull'oggetto, ma sull'"attribuzione mentale" dell'assegnante (sempre se teniamo a fuoco la differenza fra fondarsi su qualcosa ed "elaborare" qualcosa, v. sopra).
Non a caso, andare a sbirciare sull'Olimpo e non trovare dèi (seppur «l'assenza di prove non è prova dell'assenza», come sa bene chi trova qualcosa solo cercandolo una seconda volta nel medesimo posto), falsifica l'esistenza
locale di quegli dèi (come hai osservato, basta "traslocarli" dove non si può controllare, magari giustificandosi che la prima residenza fosse solo una metafora), tuttavia non falsifica il loro "senso". Ugualmente, il rasoio di Ockham e il razionalismo non falsificano, e nemmeno confutano, nulla di "semantico" (ovvero di esistenzial-spirituale): il primo, proprio riconoscendo l'infalsificabilità di alcuni concetti, li etichetta come "non necessari" (è dunque semmai un'
epoché, non una falsificazione
d'esistenza); il secondo, per definizione, non si occupa di ciò che è "semantico" e infalsificabile (e non occuparsene non significa confutarlo né falsificarlo; ritorniamo dunque alla differenza fondamentale fra ermeneutica ed epistemologia, scienza ed esistenzialismo, etc. al di là delle possibili confusioni che può fare chi le interpreta, restano "essenzialmente" distinte).
Citazione di: iano il 28 Novembre 2021, 19:16:01 PM@Ipazia.
Direi che può essere falsificato solo ciò che può essere arbitrariamente posto, quindi ciò che già nasce come fittizio, ma non sempre la falsificazione è immediata come la cancellazione di un segno , perché non sempre si ha la consapevolezza dell'assegnazione fatta.
Una assegnazione fatta in modo inconsapevole non può essere consapevolmente cancellata se non si riesce a risalire alla sua origine, perché le assegnazioni le ereditiamo culturalmente e/o geneticamente e quindi le possediamo anche senza possedere la consapevolezza della loro nascita.
Potrei appoggiarlo. E renderebbe più sfumata la differenza tra falsificazione e confutazione, epistemologia ed ermeneutica.
CitazioneLa scienza ammette falsificazione delle sue teorie nella misura in cui siamo noi a costruirle, e non oltre per cui le sue basi nascoste rimangono metafisiche.
Essa infatti assume arbitrariamente che la verità stia nei fatti, e ciò è condivisibile, ma non falsificabile.
Per una teoria che muore un altra nasce, e ciò si esemplifica con infelice espressione, dicendo che una teoria è vera fino a prova contraria., ma la prova contraria è sempre un altra teoria, e ciò garantisce che nel suo complesso la scienza non può essere falsificata, cancellata come un semplice segno.
Se la fede nel fatto è l'irrinunciabile fondamento metafisico della scienza, va pure riconosciuto il fatto che senza fatti non si batte un chiodo in natura. Posso pure accettare che tutto abbia un fondamento metafisico, compresa la scienza, che gli antichi sagacemente chiamarono "filosofia naturale". Ma con ciò abbiamo solo spostato il problema: se la specificità antropologica è essere animale metafisico, rimane aperta la questione di quale sia la metafisica migliore in termini di senso (significato+direzione) che giustifica pure la tensione:
CitazioneSe così non fosse come si potrebbe giustificare la sua presunta tensione alla verità?
CitazioneIl suo confondersi a volte con la religione?
Ma allora in cosa si distinguono?
Direi in un diverso modo di interpretare i fatti.
Per una è sufficiente l'interpretazione che dei fatti da' un profeta ispirato.
L'altra invece ci impegna tutti a produrre segni.
La contiguità tra le due la vedrei più in termini di potere che di verità. La religione cercando la verità diventa atea e perde il potere. La scienza, sostituendola al potere, perde la sua tensione ideale verso la verità. Oggi abbiamo esempi eclatanti, a base di inquisitori ed eretici, più nella scienza che nelle religioni quiescenti. Quelle ancora in sella sono, al contrario, virulente come la scienza feticizzata. Insomma, potere, non verità. Infatti:
CitazioneMa, a parte questo, nessuna dice la verità, perché la verità è per definizione sottesa ciò che si cerca, dunque ciò che non sappiamo.
Può esistere una verità da raggiungere solo se il percorso della conoscenza è già segnato, se c'è un senso da seguire.
Ma l'unica realtà è quella del percorso il quale solo e' possibile se a partire da un segno già esistente e infalsificabile,
ma solo perché ignoto.
Solo gli eretici, perennemente in lotta con poteri e immaginari prestabiliti, ci salveranno ...
CitazioneSe la filosofia ha un compito è quello di esplicitare questi sensi nascosti, per falsificarli , con la consapevolezza che ciò è possibile fare solo sostituendo un senso nascosto con un altro.
...non facendo sconti ai sensi nascosti e avendo pure la brechtiana consapevolezza che se tu sei una guida, lo devi al fatto che hai dubitato delle guide che comandavano il pensiero prima di te.
@ Ciao Ipazia.
Solo un appunto su potere e scienza.
Io credo che la scienza sia l'agire dell'umanità, e quando questo ha luogo, nel bene e nel male, mostra perciò un potere non paragonabile a quello relativo all'agire del singolo individuo.
L'agire dell'umanità ha luogo quando gli individui condividono "una verità ", ma in effetti non occorre alcuna verità, perché è sufficiente che concordino su un senso comune da dare all'azione.
Certamente nell'azione voi chimici condividete un senso comune su cui tutti concordate, tuttavia una pur unanime concordia rimane sempre soggetta al dubbio, e il dubbio è nemico dell'azione.
Quindi , sebbene l'esercizio del dubbio sia cosa buona e giusta, vi è un tempo per il dubbio e uno per l'azione.
Questo secondo tempo chiamiamolo pure "tempo di scoperta della presunta verità " che potrà essere confutata, ma in un altro tempo distinto.
In effetti però, fuori da questa esigenza psico-pratica non vi è alcuna verità .
Se dobbiamo basarci sui fatti, questi ci dicono che non vi sono verità che nel tempo non siano state confutate, salvo quelle inconfutabili perché le possediamo senza averne consapevolezza, e il fatto che questa sequenza di confutazione tendano per approssimazione alla verità è una illazione non basata sui fatti.
È una illazione che ha i suoi pro e i suoi contro, ma si può affermare quanto negare a piacere.
Ognuno di noi possiede le evidenze di cui sopra dicevo, il che comporta una condivisione di fatto, priva di alcun accordo necessario ed esente da ogni dubbio possibile nemico dell'azione.. Qui la verità, semmai gli si possano attribuire diverse sfumature, si presenta nella sua forma più pura, quella dell'evidenza, ciò che a causa della sua ovvietà non richiede che si dica nulla, ma la verità è che , se una verità esiste, è che nulla possiamo dire come ci ha suggerito S.Agostino, ed è cosa ben diversa.
Nella mia campagna contro la verità sono ben consapevole di smontare comunque una macchina di ricerca naturale ben oliata. Ma a me in effetti interessa solo oliare il meccanismo delle confutazioni che si susseguono in serie, necessariamente, ma con farraginosità ed esagerate inerzie.
Chissà' poi se faccio bene, ma a tal proposito mi sembra significativo il comportamento di Gauss, il quale avendo messo nero su bianco le geometrie non euclidee, decise di non pubblicarle , per non darle in pasto ai beoti subendone l'ostracismo.
I beoti siamo tutti noi, ovviamente , e a me scoccia un po' questa consapevolezza.
Siamo noi che ci beviamo le verità, e che poi le cambiamo pure, ma non senza prima averne fatto una questione di stato o di religione.
È questi stati e queste religioni racchiudono un po' il senso che in questa discussione andiamo cercando , e vi è in effetti più di un senso, perché fra individuo e umanità non vi è in mezzo il vuoto.
Possiamo distinguere però diverse umanità, diverse per cultura e credo, seppur in modo arbitrario , e questa arbitrarietà io credo andrebbe proiettata perfino sul l'apparentemente intoccabile e indivisibile individuo, quale noi ci percepiamo in modo inconfutabile, ma solo perché non possiamo "confutarci".
Noi siamo una di quelle cose che noi condividiamo, senza sapere perché.
Anche se non lo conosciamo, noi siamo noi in base a un preciso senso.
Nel momento in cui trovassimo quel senso non saremmo più noi, perché una volta noto il senso esso diverrebbe soggetto al dubbio e conseguente confutazione.
Ma che il senso secondo il quale percepiamo la nostra individualità inizi a mostrare le sue crepe lo si evince dalle diverse problematicità che mi sembrano ormai argomento di cronaca .
Fra questi argomenti quello a me più caro è il rifiuto della tecnologia come cosa altra da noi, perché non riusciamo a percepirla come nostra parte .
La additiamo come causa di alienazione, e sicuramente non si può che sentirsi alienati quando rifiutiamo di percepire una parte di noi, o se si preferisce, manchiamo di ridefinire la nostra individualità.
Non è facile ridefinire ciò che ci è ignoto, ma prima o poi ciò che è ignoto inizia a mostrarsi .
A tal proposito mi chiedo, restando alla cronaca ,se gran parte del lavoro per produrre i vaccini è fatto dalla intelligenza artificiale, e se noi rifiutiamo l'intelligenza artificiale come disumana, allora perciò rifiutiamo il vaccino?
Sarà un caso, ma prima di ciò i vaccini non venivano rifiutati.
Però ammetto, è solo un vago indizio, che vale solo come possibile esempio.
Ma il fatto è che in questo strano e imprevisto caso del vaccino nessuno riesce a trovarci un senso, come se lo avessimo smarrito , come se si stesse avverando l'apocalittico regno della confutazione.
Citazione di: iano il 30 Novembre 2021, 01:38:04 AM
Anche se non lo conosciamo, noi siamo noi in base a un preciso senso.
Nel momento in cui trovassimo quel senso non saremmo più noi, perché una volta noto il senso esso diverrebbe soggetto al dubbio e conseguente confutazione.
Ma che il senso secondo il quale percepiamo la nostra individualità inizi a mostrare le sue crepe lo si evince dalle diverse problematicità che mi sembrano ormai argomento di cronaca .
Fra questi argomenti quello a me più caro è il rifiuto della tecnologia come cosa altra da noi, perché non riusciamo a percepirla come nostra parte .
La additiamo come causa di alienazione, e sicuramente non si può che sentirsi alienati quando rifiutiamo di percepire una parte di noi, o se si preferisce, manchiamo di ridefinire la nostra individualità.
Non è facile ridefinire ciò che ci è ignoto, ma prima o poi ciò che è ignoto inizia a mostrarsi .
A tal proposito mi chiedo, restando alla cronaca ,se gran parte del lavoro per produrre i vaccini è fatto dalla intelligenza artificiale, e se noi rifiutiamo l'intelligenza artificiale come disumana, allora perciò rifiutiamo il vaccino?
Sarà un caso, ma prima di ciò i vaccini non venivano rifiutati.
Però ammetto, è solo un vago indizio, che vale solo come possibile esempio.
Ma il fatto è che in questo strano e imprevisto caso del vaccino nessuno riesce a trovarci un senso, come se lo avessimo smarrito , come se si stesse avverando l'apocalittico regno della confutazione.
Bravo iano, contrariamente ad altri tuoi post che non riesco del tutto a seguire, questo mi sembra molto chiaro.
Nella prima parte del tuo intervento immagino che tu voglia dire che una volta conquistata una certezza (verità per te) questa divenga una nuova base sulla quale tu puoi muoverti e che comunque produrrà nuova incertezza (c'è ancora bisogno di una verità da raggiungere) . Trasponendo ad una collettività il discorso, noto come sia in uso dire che l'unione fa la forza, ma ciò che fa emergere un'Unione (in linea teorica – ovvero fintanto che le malefedi non intervergano anch'esse a comporla) dovrebbe essere una comune verità. Essendo poi che l'Unione si manifesta con una prassi, nel momento in cui detta Unione trovi una critica nella prassi, se la critica è ben posta potrebbe indebolirla (ovvero indebolire la verità che la tiene in piedi) quanto più tale critica fosse via via più condivisa. La domanda a questo punto diventa: Cos è che si critica? Ciò che sta all'interno dell'unione (discorsi sulle prassi da mettere in atto), oppure il fondamento dell'unione?
Io penso che allo stato attuale sia in corso d'opera una critica inconsapevole al fondamento dell'Unione.
Dopodiché parli di crepe nel nostro senso di percepire e porti ad esempio il rifiuto della tecnologia come cosa che percepiamo "altra" da noi. Ingrandisco l'osservazione facendo notare che percepiamo tutto come "altro" da noi, anche la nostra terra. Termini poi il periodo dicendo che prima o poi ciò che è ignoto comincia a mostrarsi.
Giusto.
Poi concludi con una domanda. In risposta, sarebbe ragionevole pensare che tutti acclamino al vaccino, se le cose in seno all'Unione fossero percepite in modo omogeneo. Per quel che mi riguarda non so dare giudizi sull'intelligenza artificiale (non la conosco). Forse non mi è chiaro quel che vuoi dire poi sul senso del vaccino, ma provo a dare la mia versione. Per come la vedo io la causa del senso smarrito di cui parli sta proprio nella parentesi che ho aperto dopo aver parlato di ciò che fa emergere un'Unione. Infatti dicevo : in linea teorica, ovvero fintanto che non intervenga pure la malafede tra coloro che vanno a comporla. Mi sembra fosse sant'Agostino che diceva che uno mente quando pensa una cosa e fa qualcosa di diverso, quindi la malafede può cambiare veste a seconda che si tratti di contraddizioni più o meno inconsapevoli, oppure nel caso di mettere in atto una truffa. Quanto infine può pesare la presenza della falsità degli individui nel disorientare il nostro senso smarrito? Quanto pesa questa maschera che ci portiamo sempre appresso nell'ostacolare la visione chiara di un nuovo orizzonte collettivo? Ciao
@iano
La scienza vera, non politicamente corretta, non si regge sul (con)senso ma sulla sperimentazione i cui punti di forza sono la predittività e la riproducibilità. La falsificazione nella scienza fondamentale (quella dei principi e delle teorie) si verifica quando cambiano i paradigmi in seguito a scoperte epocali. Ma generalmente non vengono coinvolte le scienze empiriche, se non riducendo il loro campo di validità. Il principio di Archimede resta eternamente infalsificato nel sistema fisico terrestre. Così come la meccanica Galileiana. Una scienza matura come la chimica continua a funzionare perfettamente con gli stessi principi individuati nei secoli della rivoluzione scientifica che ne ha perfezionato i paradigmi.
La debolezza della scienza covidemica, politicamente ed economicamente corretta, non è dovuta al rifiuto della tecnica e dell'intelligenza artificiale, ma al fatto che non mantiene quanto promette ed è costretta a manipolare continuamente i suoi protocolli terapeutici e la bioetica per non affondare.
Ciao Daniele.
Nessuno conosce l'intelligenza artificiale, così come nessuno conosce la propria intelligenza , perché anche se una è programmata e l'altra no, nessuno può dire dove vanno mai a parare.
Paradossalmente però si rifiuta l'intelligenza artificiale per il motivo che non la controlliamo, come se controllassimo la nostra, ma invece è proprio questo il motivo per assimilarla alla nostra.
Ci comportiamo sempre come se ciò di cui parliamo fosse a noi del tutto presente, e consideriamo ciò che esiste come se l'esistenza non avesse mille sfumature, pensando di poterle condensare tutte nella definizione dell'essere come ciò che è.
Che ognuno di noi finga , indossi cioè una maschera, è spiacevole quanto banale.
Meno banale è che tutti fingiamo allo stesso modo, quando succede.
Siamo uniti da ciò che essendo ignoto condividiamo, ma anche da ciò che pur essendo noto tutti rimuoviamo.
Le religioni si dice che siano basate su un credo, che però può leggerei anche come l'insieme delle cose che riteniamo opportuno ignorare.
Citazione di: Ipazia il 30 Novembre 2021, 22:49:03 PM
@iano
La scienza vera, non politicamente corretta, non si regge sul (con)senso ma sulla sperimentazione i cui punti di forza sono la predittività e la riproducibilità. La falsificazione nella scienza fondamentale (quella dei principi e delle teorie) si verifica quando cambiano i paradigmi in seguito a scoperte epocali. Ma generalmente non vengono coinvolte le scienze empiriche, se non riducendo il loro campo di validità. Il principio di Archimede resta eternamente infalsificato nel sistema fisico terrestre. Così come la meccanica Galileiana. Una scienza matura come la chimica continua a funzionare perfettamente con gli stessi principi individuati nei secoli della rivoluzione scientifica che ne ha perfezionato i paradigmi.
La debolezza della scienza covidemica, politicamente ed economicamente corretta, non è dovuta al rifiuto della tecnica e dell'intelligenza artificiale, ma al fatto che non mantiene quanto promette ed è costretta a manipolare continuamente i suoi protocolli terapeutici e la bioetica per non affondare.
Ciao Ipazia.
Credo che l'unico discrimine sia l'uso della coscienza che ci permette di fare in modo diverso ciò che diversamente si può comunque fare, come ci insegna la ricerca naturale.
Sicuramente man mano che la scienza procede aumenta la sua predittivita', ma tutto quello che possiamo dire è che l'efficacia dei paradigmi scientifici riguarda esclusivamente la nostra interazione con la realtà, cioè il progredire del nostro agire, e non la realtà. Se la scienza si basa sui fatti, i fatti possono produrre solo altri fatti.
Dietro ogni azione vi è un senso perché senza non esisterebbe un individuo agente, quindi è un senso che cambia con la sua individuazione. Una azione per essere tale richiede una coerenza di fondo. Una costanza che duri almeno il tempo dell'azione.
Noi ci chiediamo il senso del nostro agire, ma per poterlo trovare dobbiamo prima rilevare le nostre azioni isolandole dal continuo vissuto. Ma come facciamo a isolarle?
Privilegiando un senso, quindi in modo pregiudiziale.
Il fatto di possedere una coscienza non ci salva dall'essere parte del continuo flusso naturale, quindi di esso dovremmo chiederci il senso , ciò che solo noi possiamo fare , seppur con la complicazione di esserne parte.
Possiamo aumentare la complicazione chiedendoci il senso della storia di chi racconta una storia, che può avere un senso però solo se è un altro a raccontarla in una possibile regressione infinita che si blocca solo quando si trova un narratore fuori da ogni storia. Ma nessun narratore può raccontare una storia se non dandovi un senso predeterminato che la distingua dal continuo naturale.
Se affermiamo che senza Dio non vi è un senso, stiamo affermando che Dio ha creato il mondo secondo un suo preciso senso, come fa' qualsiasi narratore.
Dio da' un senso in quanto creatore della storia.
Ma se una storia ha un senso predeterminato come possiamo pensare dimostrarlo a storia ancora in corso?
Se esistesse solo un mondo inanimato potremmo ancora chiederci il senso della storia?
Col solo senno di poi ovviamente si, e potremmo individuare quel senso nelle leggi naturali.
Ma potremmo allora chiederci perché quelle leggi e non altre?
Per trovarvi un senso assoluto dovrebbero apparirci come necessarie, e tali non ci appaiono.
La domanda è quindi perché noi ci aspettiamo che ci appaiono tali e tali invece non ci appaiono?
Sotto sotto siamo convinti che quando troveremo la formulazione definitiva delle leggi lo sapremo perché solo allora ci apparirà la loro necessità, come se una combinazione di simboli , ciò che sono leggi, non ne valesse un altra, e qualunque formulazione di senso è una combinazione di simboli.
Cosa ci fa' pensare davvero che una combinazione di simboli non valga un altra senza scadere nel pensiero magico?
È evidente che una combinazione di simboli valga l'altra e quindi con essi non possiamo comporre il senso che cerchiamo, ma solo una storia.
Nella misura in cui ciò che cerchiamo ha a che fare coi simboli e con la logica simbolica nuotiamo dentro un oceano tautologico senza vedere approdo.
La vera domanda allora è come fa' questa oceanica tautologia a farci sentire poi coi piedi per terra?
Perché è coi piedi ben piantati per terra che lamentiamo la nostra vanità.
Potremmo lamentare la nostra vanità se davvero fossimo vani?
Ma quel "fossimo" è una declinazione di un tempo del verbo essere ( non chiedetemi quale) , quindi possiamo essere vani solo a condizione di essere , se non fosse che già l'essere è inclusivo di senso.
In che modo dunque si insinua la vanità in noi se già siamo?
Possiamo trovare un senso nella storia di ciò che essendo non necessiterebbe di divenire?
Ecco allora che troviamo un senso solo in Dio, colui che è, al di la' del divenire.
Il solo senso possibile per noi è nell'essere, ma vale la pena considerare anche il suo contrario.
Che nulla vi è senza un senso, o meglio che nulla può rilevarsi come esistente se non secondo un preciso senso, senza cadere nell'errore che per poterne fare uso occorra necessariamente conoscerlo.
Ci lamentiamo perché disperiamo di poterlo conoscere, o che peggio ancora non vi sia, ma ciò non esclude non solo che possiamo possederlo, ma che ne facciamo pure uso e che con maggior certezza lo usiamo quanto meno lo conosciamo , essendo esente dal dubbio della ragione.
L'essere è in quanto tale, ma tale possiamo rilevarlo solo in base a un preciso senso, senza il quale esso non appare e forse neppure è.
L'essere coincide col suo senso che non sempre appare, e che in ragione di ciò appare in diverso grado.
Anche le idee ci appaiono in un certo senso, che non è lo stesso senso in cui ci appaiono i quark, che è ancora diverso dal grado con cui ci appaiono le palle da biliardo, ma tutti sono , ognuno col suo senso che tanto più è nascosto tanto più c'è li fai li fa' apparire come tali.
La definizione di essere in quanto tale non è dunque esaustiva.
Non la applicheremmo infatti ad una idea o alla particella di Dio, di cui pure non neghiamo l'esistenza.
La realtà è il luogo delle cose che sono di fronte ad un osservatore che le esperisce. Il cucciolo dello gnu appena partorito si rizza in piedi e cerca le tette materne. Lo fa a prescindere da ogni metafisica. Questa è la realtà ed il fondamento di ogni senso possibile, i cui fatti che lo alimentano sono tali nel contesto/sistema che li rende possibili. Laddove, per dirla metafisicamente, l'essere è e il non essere non è.
Anche le tartarughe quando escono dalla sabbia sanno dove andare ad incontrare l'acqua del mare. Partendo da lì, la realtà, anche se non si è esseri umani, sta in primo luogo dentro il nostro essere individui ed è cosa individuale in quanto selezionata in corso di vivere. Selezionata dalle nostre pulsioni, emozioni, sensazioni, passioni, paure, fobìe etc. etc. Però non si può comprendere tutta la realtà. Se non fossimo così antropocentrati, io mi levo fuori dal circolo, la cosa sembrerebbe quasi autoevidente. La realtà parallela, quella che sta fuori di noi e di cui cerchiamo di farci immagine confrontadoci col nostro simile, quella che esperiamo individualmente, spesso accidentalmente, e che accertiamo con una metodologia che sembra essere della stessa natura del metodo scientifico, quella infine di cui parliamo spesso senza capirci, arriverebbe con un attimo di ritardo temporale rispetto a quella interna, tanto che in questo ritardo andrebbe poi a costituirsi verbalmente e mentalmente la sua non oggettività. Sembra quasi un paso doble!