siamo abituati solitamente a pensare di riconoscere le persone più attente alla spiritualità come quelle che tendono a rinnegare il valore dei beni materiali, delle comodità offerte dalla tecnologia, della ricchezza, che tendono a inneggiare al "ritorno alla natura", al "si stava meglio quando si stava peggio", al mito del "buon selvaggio", di chi rinuncia al superfluo e tende moralisticamente a giudicare le persone troppo attaccate a beni materiali ritenuti (in base al proprio metro soggettivo" superflui. Quella mentalità oggi incarnata ad esempio, per intenderci da uno come Mauro Corona (tempo fa il "cantore" poteva essere Celentano...). Ma è davvero così? Spiritualità vuol dire ascetismo? Ho forti dubbi. Non siamo puri spiriti, siamo unità di spirito e materia, anima e corpo, e la coltivazione dei talenti, delle esigenze spirituali, l'arte, la conoscenza, la politica, in generale tutto ciò che non rientra nel vivere intellettuale, è qualcosa che viene reso possibile solo nel momento in cui le esigenze meramente biologiche di pura sopravvivenza sono soddisfatte, quando i bisogni corporei sono tacitati e la mente può con tranquillità dedicarsi ad attività miranti a fini intellettuali. Si può filosofare mentre si ha mal di denti? Si possono scrivere romanzi o dipingere quadri mentre si è assillati dal bisogno economico, dalle difficoltà di trovare da mangiare e bere, avere un tetto sopra la testa? In realtà la vera spiritualità apprezza e ringrazia i beni e le comodità materiali, che consentono di risolvere facilmente i problemi pratici, legati al "sopravvivere", per potersi dedicare in tutta tranquillità all' otium, alla vita contemplativa, alle esigenze spirituali vere e proprie il proprio tempo ed energie. Tutto l'opposto dell'ascetismo, della mortificazione della carne. Per paradossale che possa sembrare il flagellante medioevale che percuoteva con la frusta il suo stesso corpo per mostrare il suo disprezzo per la materia non era meno materialista del fanatico salutista, del tizio che passa giornate intere in palestra per avere una forma fisica perfetta, o del tipo che giudica il valore delle persone per come si vestono, per quanti soldi hanno, dell'apparenza esteriore. Entrambi, in negativo o in positivo che sia, pongono il corpo in primo piano e l'attenzione verso la dimensione spirituale è quasi del tutto rimossa. Ma la spiritualità autentica a mio avviso non può essere né una demonizzazione, né una glorificazione del corpo, ma la coscienza della non risolvibilità completa della realtà e delle esigenze umane (ma in forme diverse, direi, di qualunque esistenza) nel corpo, ma che è nobile godere anche e soprattutto di una scoperta scientifica, del modo in cui un personaggio letterario viene descritto nella sua interiorità, e non solo nel buon sapore del cibo o nell'attrazione erotica nei confronti di un bel corpo. Sta nella coscienza che il corpo non è tutto ma comunque c'è , e non si può far finta che non ci sia, che non di solo pane vive l'uomo, ma senza pane muore. Il corpo continuamente pone delle esigenze che continuano a occupare l'attenzione della mente fintanto che non sono esaudite, che vanno dai bisogni fisiologici primitivi, fame, sete, sonno, ai piaceri dei 5 sensi, e la persona dotata di profondità spiritualità non li reprime, perché per far ciò dovrebbe negare una parte fondamentale della propria vita, ma li asseconda quel che basta per calmare gli istinti legati a tali bisogni e preservare quella condizione di serenità per andare "oltre" a seguire gli "appetiti" dell'intelletto. In definitiva spiritualità non è ascetismo, ma armonia: equilibrio nel concedere al corpo quelle soddisfazioni necessarie a "calmarlo" e indurlo a mettersi efficacemente al servizio del valori spirituali che ogni persona trova come costitutivi della sua anima, e che pone guida del suo agire, senza produrre conflitti. Ecco perché la spiritualità al suo massimo grado è razionalità: attività di dominio di sé, di composizione della molteplicità delle tendenze psichiche un'ordine unitario della personalità, dunque armonia tra le differenze. Ovviamente la preservazione di tale armonia presuppone da parte dell'Io un grande livello di autocoscienza, di conoscenza delle tendenze psichiche per poterle gestirle in modo equilibrato e costruttivo senza lacerazioni, intuizione della propria sensibilità spirituale e anche della propria sensibilità corporea.
Citazione di: davintro il 29 Agosto 2017, 02:14:28 AMPer paradossale che possa sembrare il flagellante medioevale che percuoteva con la frusta il suo stesso corpo per mostrare il suo disprezzo per la materia non era meno materialista del fanatico salutista, del tizio che passa giornate intere in palestra per avere una forma fisica perfetta, o del tipo che giudica il valore delle persone per come si vestono, per quanti soldi hanno, dell'apparenza esteriore. Entrambi, in negativo o in positivo che sia, pongono il corpo in primo piano e l'attenzione verso la dimensione spirituale è quasi del tutto rimossa. Ma la spiritualità autentica a mio avviso non può essere né una demonizzazione, né una glorificazione del corpo, ma la coscienza della non risolvibilità completa della realtà e delle esigenze umane (ma in forme diverse, direi, di qualunque esistenza) nel corpo, ma che è nobile godere anche e soprattutto di una scoperta scientifica, del modo in cui un personaggio letterario viene descritto nella sua interiorità, e non solo nel buon sapore del cibo o nell'attrazione erotica nei confronti di un bel corpo. Sta nella coscienza che il corpo non è tutto ma comunque c'è , e non si può far finta che non ci sia, che non di solo pane vive l'uomo, ma senza pane muore.
Parole sante!
Questa si chiama complementarità corpo-spirito.
...Oppure, si può anche sacrificare la corporalità, se ciò può servire degli ideali superiori. Ma si sacrifica sempre e comunque ciò che si ama, ciò che è prezioso, non ciò che si disprezza.
Citazione di: davintro il 29 Agosto 2017, 02:14:28 AMsiamo abituati solitamente a pensare di riconoscere le persone più attente alla spiritualità come quelle che tendono a rinnegare il valore dei beni materiali, delle comodità offerte dalla tecnologia, della ricchezza, che tendono a inneggiare al "ritorno alla natura", al "si stava meglio quando si stava peggio", al mito del "buon selvaggio", di chi rinuncia al superfluo e tende moralisticamente a giudicare le persone troppo attaccate a beni materiali ritenuti (in base al proprio metro soggettivo" superflui. Quella mentalità oggi incarnata ad esempio, per intenderci da uno come Mauro Corona (tempo fa il "cantore" poteva essere Celentano...). Ma è davvero così? Spiritualità vuol dire ascetismo? Ho forti dubbi. Non siamo puri spiriti, siamo unità di spirito e materia, anima e corpo, e la coltivazione dei talenti, delle esigenze spirituali, l'arte, la conoscenza, la politica, in generale tutto ciò che non rientra nel vivere intellettuale, è qualcosa che viene reso possibile solo nel momento in cui le esigenze meramente biologiche di pura sopravvivenza sono soddisfatte, quando i bisogni corporei sono tacitati e la mente può con tranquillità dedicarsi ad attività miranti a fini intellettuali. Si può filosofare mentre si ha mal di denti? Si possono scrivere romanzi o dipingere quadri mentre si è assillati dal bisogno economico, dalle difficoltà di trovare da mangiare e bere, avere un tetto sopra la testa? In realtà la vera spiritualità apprezza e ringrazia i beni e le comodità materiali, che consentono di risolvere facilmente i problemi pratici, legati al "sopravvivere", per potersi dedicare in tutta tranquillità all' otium, alla vita contemplativa, alle esigenze spirituali vere e proprie il proprio tempo ed energie. Tutto l'opposto dell'ascetismo, della mortificazione della carne. Per paradossale che possa sembrare il flagellante medioevale che percuoteva con la frusta il suo stesso corpo per mostrare il suo disprezzo per la materia non era meno materialista del fanatico salutista, del tizio che passa giornate intere in palestra per avere una forma fisica perfetta, o del tipo che giudica il valore delle persone per come si vestono, per quanti soldi hanno, dell'apparenza esteriore. Entrambi, in negativo o in positivo che sia, pongono il corpo in primo piano e l'attenzione verso la dimensione spirituale è quasi del tutto rimossa. Ma la spiritualità autentica a mio avviso non può essere né una demonizzazione, né una glorificazione del corpo, ma la coscienza della non risolvibilità completa della realtà e delle esigenze umane (ma in forme diverse, direi, di qualunque esistenza) nel corpo, ma che è nobile godere anche e soprattutto di una scoperta scientifica, del modo in cui un personaggio letterario viene descritto nella sua interiorità, e non solo nel buon sapore del cibo o nell'attrazione erotica nei confronti di un bel corpo. Sta nella coscienza che il corpo non è tutto ma comunque c'è , e non si può far finta che non ci sia, che non di solo pane vive l'uomo, ma senza pane muore. Il corpo continuamente pone delle esigenze che continuano a occupare l'attenzione della mente fintanto che non sono esaudite, che vanno dai bisogni fisiologici primitivi, fame, sete, sonno, ai piaceri dei 5 sensi, e la persona dotata di profondità spiritualità non li reprime, perché per far ciò dovrebbe negare una parte fondamentale della propria vita, ma li asseconda quel che basta per calmare gli istinti legati a tali bisogni e preservare quella condizione di serenità per andare "oltre" a seguire gli "appetiti" dell'intelletto. In definitiva spiritualità non è ascetismo, ma armonia: equilibrio nel concedere al corpo quelle soddisfazioni necessarie a "calmarlo" e indurlo a mettersi efficacemente al servizio del valori spirituali che ogni persona trova come costitutivi della sua anima, e che pone guida del suo agire, senza produrre conflitti. Ecco perché la spiritualità al suo massimo grado è razionalità: attività di dominio di sé, di composizione della molteplicità delle tendenze psichiche un'ordine unitario della personalità, dunque armonia tra le differenze. Ovviamente la preservazione di tale armonia presuppone da parte dell'Io un grande livello di autocoscienza, di conoscenza delle tendenze psichiche per poterle gestirle in modo equilibrato e costruttivo senza lacerazioni, intuizione della propria sensibilità spirituale e anche della propria sensibilità corporea.
Friedrich Nietzsche ha scritto le sue opere maggiori e spiritualmente più elevate mentre soffriva di tremendi mal di testa che duravano giorni e a volte settimane e che lo portarono poi alla pazzia; Beethoven ha composto la "Nona" che era già sordo; Chopin soffrì per quasi tutta la vita di una malattia debilitante ed ebbe anche significativi problemi economici; Van Gogh in Provenza era semipazzo, malato, debole, alcolizzato, povero, malnutrito, eppure proprio in questo periodo il suo genio esplose. Penso si possano fare chissà quanti altri esempi di questo tipo, mentre credo siano molto rari quelli in cui qualcuno in perfetta salute, contornato dagli agi e pienamente soddisfatto nelle sue esigenze "corporali", abbia prodotto qualcosa di veramente significativo a livello spirituale. Se Siddharta Gautama non si fosse inoltrato nelle campagne e nei boschi della sua terra ma fosse rimasto a Corte sicuramente avrebbe soddisfatto tutte le sue esigenze materiali, ma non avrebbe potuto esprimere quel che ha espresso a livello spirituale. E un'altra cosa in comune che hanno tutti questi personaggi è la solitudine, a volte prima subita ma poi e molto più spesso cercata ed esaltata, perchè il chiasso intorno distrae e impedisce di guardare dentro se stessi e scoprire appunto lo spirito. Sarà pur vero che senza pane l'uomo non vive, ma il pane non è certo una tavola imbandita quotidianamente con ogni ben di Dio ma quel necessario che permette la mera sopravvivenza fisica. Le esigenze corporali, fra cui vanno annoverate anche quelle "psichiche" come il potere e la fama, sono teoricamente infinite e mai definitivamente soddisfatte, per cui se non ci pensa la natura o il fato a mettere l'uomo in condizioni tali da non poterle perseguire ma, come dici tu, ci vuole "autocoscienza" allora andrà a finire come di questi tempi ove ad una possibilità di soddisfazione delle esigenze corporali mai vista prima nella storia umana fa da contraltare il nulla più totale a livello spirituale.
Citazione di: donquixote il 29 Agosto 2017, 09:23:31 AM
Citazione di: davintro il 29 Agosto 2017, 02:14:28 AMsiamo abituati solitamente a pensare di riconoscere le persone più attente alla spiritualità come quelle che tendono a rinnegare il valore dei beni materiali, delle comodità offerte dalla tecnologia, della ricchezza, che tendono a inneggiare al "ritorno alla natura", al "si stava meglio quando si stava peggio", al mito del "buon selvaggio", di chi rinuncia al superfluo e tende moralisticamente a giudicare le persone troppo attaccate a beni materiali ritenuti (in base al proprio metro soggettivo" superflui. Quella mentalità oggi incarnata ad esempio, per intenderci da uno come Mauro Corona (tempo fa il "cantore" poteva essere Celentano...). Ma è davvero così? Spiritualità vuol dire ascetismo? Ho forti dubbi. Non siamo puri spiriti, siamo unità di spirito e materia, anima e corpo, e la coltivazione dei talenti, delle esigenze spirituali, l'arte, la conoscenza, la politica, in generale tutto ciò che non rientra nel vivere intellettuale, è qualcosa che viene reso possibile solo nel momento in cui le esigenze meramente biologiche di pura sopravvivenza sono soddisfatte, quando i bisogni corporei sono tacitati e la mente può con tranquillità dedicarsi ad attività miranti a fini intellettuali. Si può filosofare mentre si ha mal di denti? Si possono scrivere romanzi o dipingere quadri mentre si è assillati dal bisogno economico, dalle difficoltà di trovare da mangiare e bere, avere un tetto sopra la testa? In realtà la vera spiritualità apprezza e ringrazia i beni e le comodità materiali, che consentono di risolvere facilmente i problemi pratici, legati al "sopravvivere", per potersi dedicare in tutta tranquillità all' otium, alla vita contemplativa, alle esigenze spirituali vere e proprie il proprio tempo ed energie. Tutto l'opposto dell'ascetismo, della mortificazione della carne. Per paradossale che possa sembrare il flagellante medioevale che percuoteva con la frusta il suo stesso corpo per mostrare il suo disprezzo per la materia non era meno materialista del fanatico salutista, del tizio che passa giornate intere in palestra per avere una forma fisica perfetta, o del tipo che giudica il valore delle persone per come si vestono, per quanti soldi hanno, dell'apparenza esteriore. Entrambi, in negativo o in positivo che sia, pongono il corpo in primo piano e l'attenzione verso la dimensione spirituale è quasi del tutto rimossa. Ma la spiritualità autentica a mio avviso non può essere né una demonizzazione, né una glorificazione del corpo, ma la coscienza della non risolvibilità completa della realtà e delle esigenze umane (ma in forme diverse, direi, di qualunque esistenza) nel corpo, ma che è nobile godere anche e soprattutto di una scoperta scientifica, del modo in cui un personaggio letterario viene descritto nella sua interiorità, e non solo nel buon sapore del cibo o nell'attrazione erotica nei confronti di un bel corpo. Sta nella coscienza che il corpo non è tutto ma comunque c'è , e non si può far finta che non ci sia, che non di solo pane vive l'uomo, ma senza pane muore. Il corpo continuamente pone delle esigenze che continuano a occupare l'attenzione della mente fintanto che non sono esaudite, che vanno dai bisogni fisiologici primitivi, fame, sete, sonno, ai piaceri dei 5 sensi, e la persona dotata di profondità spiritualità non li reprime, perché per far ciò dovrebbe negare una parte fondamentale della propria vita, ma li asseconda quel che basta per calmare gli istinti legati a tali bisogni e preservare quella condizione di serenità per andare "oltre" a seguire gli "appetiti" dell'intelletto. In definitiva spiritualità non è ascetismo, ma armonia: equilibrio nel concedere al corpo quelle soddisfazioni necessarie a "calmarlo" e indurlo a mettersi efficacemente al servizio del valori spirituali che ogni persona trova come costitutivi della sua anima, e che pone guida del suo agire, senza produrre conflitti. Ecco perché la spiritualità al suo massimo grado è razionalità: attività di dominio di sé, di composizione della molteplicità delle tendenze psichiche un'ordine unitario della personalità, dunque armonia tra le differenze. Ovviamente la preservazione di tale armonia presuppone da parte dell'Io un grande livello di autocoscienza, di conoscenza delle tendenze psichiche per poterle gestirle in modo equilibrato e costruttivo senza lacerazioni, intuizione della propria sensibilità spirituale e anche della propria sensibilità corporea.
Friedrich Nietzsche ha scritto le sue opere maggiori e spiritualmente più elevate mentre soffriva di tremendi mal di testa che duravano giorni e a volte settimane e che lo portarono poi alla pazzia; Beethoven ha composto la "Nona" che era già sordo; Chopin soffrì per quasi tutta la vita di una malattia debilitante ed ebbe anche significativi problemi economici; Van Gogh in Provenza era semipazzo, malato, debole, alcolizzato, povero, malnutrito, eppure proprio in questo periodo il suo genio esplose. Penso si possano fare chissà quanti altri esempi di questo tipo, mentre credo siano molto rari quelli in cui qualcuno in perfetta salute, contornato dagli agi e pienamente soddisfatto nelle sue esigenze "corporali", abbia prodotto qualcosa di veramente significativo a livello spirituale. Se Siddharta Gautama non si fosse inoltrato nelle campagne e nei boschi della sua terra ma fosse rimasto a Corte sicuramente avrebbe soddisfatto tutte le sue esigenze materiali, ma non avrebbe potuto esprimere quel che ha espresso a livello spirituale. E un'altra cosa in comune che hanno tutti questi personaggi è la solitudine, a volte prima subita ma poi e molto più spesso cercata ed esaltata, perchè il chiasso intorno distrae e impedisce di guardare dentro se stessi e scoprire appunto lo spirito. Sarà pur vero che senza pane l'uomo non vive, ma il pane non è certo una tavola imbandita quotidianamente con ogni ben di Dio ma quel necessario che permette la mera sopravvivenza fisica. Le esigenze corporali, fra cui vanno annoverate anche quelle "psichiche" come il potere e la fama, sono teoricamente infinite e mai definitivamente soddisfatte, per cui se non ci pensa la natura o il fato a mettere l'uomo in condizioni tali da non poterle perseguire ma, come dici tu, ci vuole "autocoscienza" allora andrà a finire come di questi tempi ove ad una possibilità di soddisfazione delle esigenze corporali mai vista prima nella storia umana fa da contraltare il nulla più totale a livello spirituale.
Parole sante!
I desideri del corpo e della mente sono infiniti e mai soddisfatti in modo duraturo. Ti trascinano in continuazione, ora di qua , ora di là.
L'uomo saggio si accontenta del necessario ( del cibo, del vestiario e di un tetto sopra la testa) e nel poco trova il tanto.
Il corpo non va disprezzato, ma neppure idolatrato.
Il suo destino è finire divorato dai vermi.
Adesso vado a darmi un paio di colpi di scudiscio... ;D
P.S. Anch'io, nel mio piccolo, non riesco a scrivere o dipingere nulla di decente se non sono in uno stato di "melanconia creativa", quasi di tristezza esistenziale. Infatti, in quest'ultimo periodo, che mi sta posata sul capo un'insolita allegria, non mi vengono che baggianate... :(
Probabilmente i due terzi dell'arte mondiale non esisterebbero se i loro autori non fossere stati sostanzialmente dei disperati...
P.S.II Il vero ascetismo è vuoto di dispute e di contese. Il vero ascetismo non disprezza il corpo, ma trova felicità nella rinuncia. "Di tutte le felcità possibili, la felicità frutto della rinuncia è la più alta" (Buddha Shakyamuni)
Sono d'accordo, basta pensare all'importanza dello schiavismo nell'antichità per riempire la pancia dei pensatori che poi han fondato l'occidente. E' anche vero come dice Donquixote che i problemi personali spingono le persone a cercare un bene "oltre", le biografie ce ne danno dimostrazioni quasi sistematiche, ma non li ricondurrei cosi inequivocabilmente a questioni di materia. Rimane la banale ma sempre vera locuzione, mens sana in corpore sano, compresa dell'evoluzione dell'interpretativa a cui è stata sottoposta.
SARIPUTRA
II Il vero ascetismo è vuoto di dispute e di contese. Il vero ascetismo non disprezza il corpo, ma trova felicità nella rinuncia. "Di tutte le felcità possibili, la felicità frutto della rinuncia è la più alta" (Buddha Shakyamuni)
CARLO
Messa in questi termini sembra una cosa saggia. Ma se aggiungiamo (come fanno le religioni orientali) che la realtà materiale-corporale è "maya", cioè illusione, invece di considerarla come l'altra polarità del Divino, cadiamo nell'estremismo uguale e contrario all'estremismo materialista che considera "epifenomeno", cioè, irreale la mente e lo spirito, con tutte le conseguenze aberranti che conosciamo.
Quindi, hanno tutta la mia solidarietà gli alchimisti, che rivendicavano l'integrazione della Mater (Materia) ad una Santissima Trinità esclusivamente spirituale-maschile:
https://4.bp.blogspot.com/-DHR0i1nPuB4/U5nEFd6--CI/AAAAAAAAAZE/WMLYH-cPKOg/s1600/Assunzione+1.jpg
Citazione di: donquixote il 29 Agosto 2017, 09:23:31 AM
Friedrich Nietzsche ha scritto le sue opere maggiori e spiritualmente più elevate mentre soffriva di tremendi mal di testa che duravano giorni e a volte settimane e che lo portarono poi alla pazzia; Beethoven ha composto la "Nona" che era già sordo; Chopin soffrì per quasi tutta la vita di una malattia debilitante ed ebbe anche significativi problemi economici; Van Gogh in Provenza era semipazzo, malato, debole, alcolizzato, povero, malnutrito, eppure proprio in questo periodo il suo genio esplose. Penso si possano fare chissà quanti altri esempi di questo tipo, mentre credo siano molto rari quelli in cui qualcuno in perfetta salute, contornato dagli agi e pienamente soddisfatto nelle sue esigenze "corporali", abbia prodotto qualcosa di veramente significativo a livello spirituale. Se Siddharta Gautama non si fosse inoltrato nelle campagne e nei boschi della sua terra ma fosse rimasto a Corte sicuramente avrebbe soddisfatto tutte le sue esigenze materiali, ma non avrebbe potuto esprimere quel che ha espresso a livello spirituale. E un'altra cosa in comune che hanno tutti questi personaggi è la solitudine, a volte prima subita ma poi e molto più spesso cercata ed esaltata, perchè il chiasso intorno distrae e impedisce di guardare dentro se stessi e scoprire appunto lo spirito. Sarà pur vero che senza pane l'uomo non vive, ma il pane non è certo una tavola imbandita quotidianamente con ogni ben di Dio ma quel necessario che permette la mera sopravvivenza fisica. Le esigenze corporali, fra cui vanno annoverate anche quelle "psichiche" come il potere e la fama, sono teoricamente infinite e mai definitivamente soddisfatte, per cui se non ci pensa la natura o il fato a mettere l'uomo in condizioni tali da non poterle perseguire ma, come dici tu, ci vuole "autocoscienza" allora andrà a finire come di questi tempi ove ad una possibilità di soddisfazione delle esigenze corporali mai vista prima nella storia umana fa da contraltare il nulla più totale a livello spirituale.
Ma Nietzsche, Beethoven, Chopin, Van Gogh, Budda furono asceti?
NIetzsche, se non ho inteso male, disprezzava l'ascetismo.
Inoltre perché gli artisti producono opere, oggetti creativi per il committente, per il pubblico? Per spinte, motivi ascetici? Ho forti e ben fondati dubbi in proposito.
Citazione di: baylham il 29 Agosto 2017, 17:53:39 PM
Inoltre perché gli artisti producono opere, oggetti creativi per il committente, per il pubblico? Per spinte, motivi ascetici?
...O per ispirazione dall'Alto?
<<O buono Apollo, a l'ultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l'amato alloro...>> [Dante]
<<O Musa, tu, che (...) su nel cielo, infra i beati cori
hai di stelle immortali aurea corona, tu spira al petto mio
celesti ardori, tu rischiara il mio canto...>> [T. Tasso]
<<Cantami o Diva del pelide Achille l'ira funesta...>> [Omero]
<<Musa, quell'uom di multiforme ingegno dimmi...>> [Omero]
nella mia esperienza personale sono arrivato a pensare che la sofferenza sia qualcosa che avrebbe come la funzione di squarciare un involucro duro (la materia o lo stato grossolano) per aprire un varco che ci consentirebbe di uscirne fuori e prender coscienza della nostra più intima natura (spirituale)
Onestamente e nonostante tutto sento di dire che ne avrei fatto volentieri a meno!
il mio voleva un discorso generale, che lascia certamente un margine di eccezioni, di spiriti magni che hanno potuto trovare nelle privazioni un ambiente favorevole alla loro creatività artistica e intellettuale. Volendo fare una battuta mi verrebbe da dire che se Nietzsche avesse lavorato senza mal di testa avrebbe scritto cose migliori, più lucide e convincenti (non sono un grande estimatore di Nietzsche, pur riconoscendogli spunti geniali, lo considero un pensatore sopravvalutato, che ha ottenuto una visibilità dovuta più che alla validità e rigore logico-argomentativi per la grande brillantezza e l'evocatività della prosa). Il percorso spirituale è sempre personale, si differenzia in base alla personalità individuale, non è mai una "procedura", un metodo standardizzato e omologante, nessuna sorpresa che un Gautama possa aver trovato l'illuminazione nelle privazioni piuttosto che in un lussuoso palazzo. Ma se si vuole individuare una tendenza dominante mi pare di cogliere che almeno per quanto riguarda i fondamenti della cultura occidentale, su cui posso dire qualcosa, i grandi intellettuali, letterati provenivano da famiglie nobili o comunque benestanti, che avevano la possibilità di delegare i compiti inerenti la sopravvivenza ad un gruppo di servitori, potendo così dedicarsi a delle attività "inutili" dal punto di vista della sopravvivenza fisica, ma costruttive dal punto di vista spirituale,cioè culturale. Ecco perché si parlava di "otium", otium nel senso di disimpegno dal "negotium", dagli affari, dal profitto materiale ed economico, in favore della cura dei piaceri dell'anima, dell'intelletto. I grandi intellettuali della classicità erano tali anche perché potevano permetterselo, la loro nobiltà spirituale era data non dalla privazione dei beni materiali, che possedevano in gran misura, ma dal loro non occuparsene in prima persona per potersi dedicarsi ad altro. Se Platone, Leopardi, Cartesio, Mozart avessero dovuto dedicare gran parte del loro tempo ed energia nelle faccende pratiche di casa o negli affari economici avrebbero dovuto dirottarle dai loro studi, riflessioni, esercizi, il loro talento sarebbe stato molto meno sviluppato, e chissà se sarebbero divenuti i campioni della cultura che oggi conosciamo, oppure stando nell'attualità: se oggi nascesse una persona, dal talento musicale per poter essere il nuovo Mozart, anche sorretto da una grande passione per la musica, ma in una famiglia dalle scarse risorse economiche, che ha difficoltà ad iscriverlo al Conservatorio, che per sbarcare il lunario è costretto a svolgere lavori che non hanno nulla a che fare con la musica, che occupano gran parte della sua giornata, cosa resterebbe del tempo per i suoi studi, esercizi, composizioni? In pratica un talento viene sprecato, e il nuovo potenziale Mozart andrebbe perso all'interno di un sistema di ruoli che non lo rappresenta e non gli consente di emergere, oppure, quante persone oggi rimpiangono di non aver studiato lettere o filosofia all'Università pur avendone una forte passione, perché bisognosi per motivi economici di inserirsi in percorsi accademici-professionali molto più vantaggiosi per trovare in breve tempo un lavoro remunerativo come ingegneria o economia e commercio? Molti purtroppo. Insomma, per me la vera spiritualità non è affatto disprezzo per i beni materiali, ma il dedicare alla loro preservazione e al loro utilizzo un tempo della vita limitato, che non impedisca di concentrare una parte se non totale almeno significativa alla coltivazione dei beni spirituali, godere dei beni materiali senza pensare che l'orizzonte delle esigenze esistenziali si fermi lì. Sono d'accordo sulla solitudine intesa come fattore positivo e necessario della vita intellettuale, ma mi pare che questo sia proprio un ulteriore riprova del mio discorso: la solitudine è un bene che non sempre ci si può permettere, quando si è gravati dalle difficoltà e privazioni materiali le persone sono costrette a legarsi, entrare in relazioni con persone che sappiano supportarci nelle necessità primarie, mentre solo quando si ha la serenità di poter con facilità accedere a ciò di cui si ha bisogno si ha la possibilità di concederci momenti di solitudine, autosufficienza, necessari alla riflessione intellettuale e all'ispirazione creativa.
i nostri desideri sono infiniti nel senso generico che finché si vive non si può smettere di desiderare, ma non tutti i desideri si riferiscono a oggetti materiali e ricchezze, non è affatto detto che l'appagamento dei desideri materiali porti a desiderarne altri della stessa natura, bensì il desiderio può orientarsi al soddisfacimento dei beni spirituali, oppure alla preservazione dei beni materiali che si possiedono già. Comunque dal mio punto di vista il problema non è affatto neutralizzare il desiderio, neutralizzazione che renderebbe sterile la vita, staticizzandola, privandola della spinta verso nuove realizzazioni, materiali o spirituali che siano, ma di differenziare quelli materiali e quelli intellettuali fermando l'intensità dei primi ad un livello che non sia talmente elevato da occupare interamente lo spazio della coscienza o portando la persona a confliggere con i secondi. Sono goloso, mi piace la nutella e la mangio ogni tanto e non c'nulla di antispirituale in ciò, ma se la golosità arrivasse ad un livello maniacale tale a spingermi a rubare i vasetti ad altri, allora si creerebbe un conflitto interiore da cui la dimensione spirituale, la mia coscienza morale, ne uscirebbe sconfitta a sovrastata dagli impulsi materiali, ed è questo il materialismo che un'autentica spiritualità dovrebbe condannare, non il godere della nutella in generale
Si può porre la questione in questi termini: il corpo è in grado di far concorrenza ad altre attenzioni umane sia quando sta male che quando sta bene; quando sta male per risolvere il problema dello stare male, quando sta bene perché un ciliegia tira l'altra, cioè ogni piacere ha la capacità di attrarre a sé l'attenzione proprio perché è piacere.
Da un punto di vista naturale non ci sono criteri perché un'attenzione debba valere più di un'altra: in natura le attenzioni si fanno libera concorrenza e vince quella più favorevole alla sopravvivenza in questo mondo.
Io però non sono l'universo naturale, ma solo una sua parte; la mia storia personale non è la storia di tutto l'universo naturale. La mia storia personale mi ha dato una particolare inclinazione a riservare attenzione alla cultura, alle arti, alla spiritualità, e allora gestisco le attenzioni riservate al corpo in modo diverso.
In questo contesto si pone poi anche il confronto con le altre persone, che hanno altre storie e quindi altri modi e criteri per gestire il rapporto tra le attenzioni. Nel fare il confronto, in base a quanto ho detto sopra sull'indifferenza della natura, non ho alcun diritto oggettivo di accusare alcuno di dedicarsi eccessivamente al corpo o di essere troppo egoista; posso solo presentare le mie particolari sensibilità e metterle a confronto con quelle altrui.
Avrei qualche riserva sull'affermazione
Citazione di: davintro il 29 Agosto 2017, 02:14:28 AMEcco perché la spiritualità al suo massimo grado è razionalità
Magari una o certe spiritualità possono ritenere come massimo grado la razionalità, ma la razionalità è solo una minima parte di ciò che nell'uomo può essere chiamato spiritualità. Spiritualità significa vita interiore e la vita interiore non è fatta certo solo di razionalità, né c'è motivo di considerare la razionalità il suo massimo grado.
Anzi, quest'affermazione si può considerare un sintomo di ciò che ho detto sopra sulla concorrenza tra le attenzioni: come il corpo, per benessere o per malessere, è in grado di accentrare su di sé le attenzioni della persona e distrarla da altre componenti che a mio parere ne meriterebbero di più, allo stesso modo la razionalità, nel momento in cui viene usata, è in grado di attrarre, farsi apprezzare, al punto da convincerci che essa sia il massimo della nostra spiritualità. Insomma, anche la razionalità è fatta di ciliegie, di cui una tira l'altra fino a distrarre dalla stima per l'irrazionale, il profondo, l'illogico, l'incontrollato, lo spontaneo.
Questo forum, impostato come "riflessioni" o "Logos" può essere a rischio di iper razionalismo, ma ho visto non rari post impostati come poesie, narrazioni, libere espressioni di emozioni. Su questo poi nasce il problema del rischio di cadere nel superficiale, nella mancanza di qualità: come valutare la qualità di ciò che si pone come irrazionale? Possiamo pensare che un valido aiuto ci venga proprio da una buona gestione del rapporto con il corpo e da una razionalità che sappia ospitare in sé anche l'autocritica.
Se per "ascetismo" si intende disprezzo del mondo fisico, del corpo ecc allora direi che quasi nessun "filosofo"/"maestro spirituale" ecc si può definire asceta.
Discorso diverso se si "rinuncia" ai piaceri dei sensi, all'attaccamento al corpo e al desiderio individuale per progredire nella spiritualità allora molti grandi filosofi, maestri spirituali e alcuni artisti si possono definire asceti.
Su Nietzsche a quanto pare non criticava in toto l'ideale ascetico in fin dei conti: Tutto il mio rispetto per l'ideale ascetico fino a che esso è onesto! fino a che crede a se stesso e non ci esibisce delle farse! Ma non mi piacciono tutte queste cimici azzimate, la cui ambizione è insaziabile nel fiutare l'infinito fino a che l'infinito non sa anch'èsso di cimici; non sopporto i sepolcri imbiancati, che recitano la vita; non mi piacciono gli stanchi e i «logori», che si avvolgono nella saggezza e guardano «obiettivamente»; non sopporto gli agitatori in uniformi da eroi, con la cappa fatata dell'ideale intorno alla loro testa di paglia; non amo gli artisti ambiziosi, che vorrebbero rappresentare l'asceta e il sacerdote e in fondo non sono altro che tragici buffoni (Genealogia della Morale)
Aggiungo questo: la filosofia in genera porta ad una maggiore comprensione delle cose e di sé stessi. Ora l'"ascetismo" filosofico a differenza dell'ascetismo "disonesto"/"per costrizione" nasce dalla realizzazione che una vita "povera e semplice" è migliore di una vita di lussi e fasti. Ad esempio il filosofo può capire che la ricchezza, l'alcol, i vari piaceri mondani ecc finiscono per creare attaccamento (o dipendenza) e avversione (quando magari le eventualità della vita ci costringono a separarci da ciò che ci da piacere). Capito questo l'"asceta" filosofico finisce quanto meno per "moderarsi" (o almeno cercare di farlo), risultando quindi di fatto ascetico.
L'asceta "disonesto" invece condanna il mondo e quindi ironicamente invece di "distaccarsi" si attacca alle cose in modo patologico: le odia. L'asceta "filosofico" riesce ancora ad apprezzare una buona torta, un bel paesaggio, una bella vista ecc ma non ne rimane attaccato e quindi in un certo senso "rinuncia".
Modifica: Mi pento di aver usato termini troppo "buddisti" per fare un discorso generico. Volevo solo far notare che ascetismo e spiritualità in genere vanno d'accordo quando l'ascetismo proviene dalla comprensione.Quello che volevo dire è che in genere l'asceta "filosofo" non disdegna i piaceri della terra. Ma li apprezza in un'altra prospettiva.... non a caso come altri hanno già elencato un po' di ascetismo lo si vede anche negli artisti, nei filosofi ecc oltre che nelle spiritualità più prettamente religiose.
Ecco volevo solo scrivere questo... tutto qua. Non volevo dire che uno deve essere ascetico per essere interessato alla spiritualità.
Citazione di: Apeiron il 31 Agosto 2017, 15:14:13 PMAggiungo questo: la filosofia in genera porta ad una maggiore comprensione delle cose e di sé stessi. Ora l'"ascetismo" filosofico a differenza dell'ascetismo "disonesto"/"per costrizione" nasce dalla realizzazione che una vita "povera e semplice" è migliore di una vita di lussi e fasti. Ad esempio il filosofo può capire che la ricchezza, l'alcol, i vari piaceri mondani ecc finiscono per creare attaccamento (o dipendenza) e avversione (quando magari le eventualità della vita ci costringono a separarci da ciò che ci da piacere). Capito questo l'"asceta" filosofico finisce quanto meno per "moderarsi" (o almeno cercare di farlo), risultando quindi di fatto ascetico. L'asceta "disonesto" invece condanna il mondo e quindi ironicamente invece di "distaccarsi" si attacca alle cose in modo patologico: le odia. L'asceta "filosofico" riesce ancora ad apprezzare una buona torta, un bel paesaggio, una bella vista ecc ma non ne rimane attaccato e quindi in un certo senso "rinuncia".
Quello che ho scritto non mi convince. Chiedo scusa ai moderatori.
Citazione di: Sariputra il 31 Agosto 2017, 16:08:31 PM
Citazione di: Apeiron il 31 Agosto 2017, 15:14:13 PMAggiungo questo: la filosofia in genera porta ad una maggiore comprensione delle cose e di sé stessi. Ora l'"ascetismo" filosofico a differenza dell'ascetismo "disonesto"/"per costrizione" nasce dalla realizzazione che una vita "povera e semplice" è migliore di una vita di lussi e fasti. Ad esempio il filosofo può capire che la ricchezza, l'alcol, i vari piaceri mondani ecc finiscono per creare attaccamento (o dipendenza) e avversione (quando magari le eventualità della vita ci costringono a separarci da ciò che ci da piacere). Capito questo l'"asceta" filosofico finisce quanto meno per "moderarsi" (o almeno cercare di farlo), risultando quindi di fatto ascetico. L'asceta "disonesto" invece condanna il mondo e quindi ironicamente invece di "distaccarsi" si attacca alle cose in modo patologico: le odia. L'asceta "filosofico" riesce ancora ad apprezzare una buona torta, un bel paesaggio, una bella vista ecc ma non ne rimane attaccato e quindi in un certo senso "rinuncia".
Quello che ho scritto non mi convince. Chiedo scusa ai moderatori.
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chapeau! (hat-tip)J4Y
Citazione di: Angelo Cannata il 30 Agosto 2017, 18:28:48 PMSi può porre la questione in questi termini: il corpo è in grado di far concorrenza ad altre attenzioni umane sia quando sta male che quando sta bene; quando sta male per risolvere il problema dello stare male, quando sta bene perché un ciliegia tira l'altra, cioè ogni piacere ha la capacità di attrarre a sé l'attenzione proprio perché è piacere. Da un punto di vista naturale non ci sono criteri perché un'attenzione debba valere più di un'altra: in natura le attenzioni si fanno libera concorrenza e vince quella più favorevole alla sopravvivenza in questo mondo. Io però non sono l'universo naturale, ma solo una sua parte; la mia storia personale non è la storia di tutto l'universo naturale. La mia storia personale mi ha dato una particolare inclinazione a riservare attenzione alla cultura, alle arti, alla spiritualità, e allora gestisco le attenzioni riservate al corpo in modo diverso. In questo contesto si pone poi anche il confronto con le altre persone, che hanno altre storie e quindi altri modi e criteri per gestire il rapporto tra le attenzioni. Nel fare il confronto, in base a quanto ho detto sopra sull'indifferenza della natura, non ho alcun diritto oggettivo di accusare alcuno di dedicarsi eccessivamente al corpo o di essere troppo egoista; posso solo presentare le mie particolari sensibilità e metterle a confronto con quelle altrui. Avrei qualche riserva sull'affermazione Citazione di: davintro il 29 Agosto 2017, 02:14:28 AMEcco perché la spiritualità al suo massimo grado è razionalità
Magari una o certe spiritualità possono ritenere come massimo grado la razionalità, ma la razionalità è solo una minima parte di ciò che nell'uomo può essere chiamato spiritualità. Spiritualità significa vita interiore e la vita interiore non è fatta certo solo di razionalità, né c'è motivo di considerare la razionalità il suo massimo grado. Anzi, quest'affermazione si può considerare un sintomo di ciò che ho detto sopra sulla concorrenza tra le attenzioni: come il corpo, per benessere o per malessere, è in grado di accentrare su di sé le attenzioni della persona e distrarla da altre componenti che a mio parere ne meriterebbero di più, allo stesso modo la razionalità, nel momento in cui viene usata, è in grado di attrarre, farsi apprezzare, al punto da convincerci che essa sia il massimo della nostra spiritualità. Insomma, anche la razionalità è fatta di ciliegie, di cui una tira l'altra fino a distrarre dalla stima per l'irrazionale, il profondo, l'illogico, l'incontrollato, lo spontaneo. Questo forum, impostato come "riflessioni" o "Logos" può essere a rischio di iper razionalismo, ma ho visto non rari post impostati come poesie, narrazioni, libere espressioni di emozioni. Su questo poi nasce il problema del rischio di cadere nel superficiale, nella mancanza di qualità: come valutare la qualità di ciò che si pone come irrazionale? Possiamo pensare che un valido aiuto ci venga proprio da una buona gestione del rapporto con il corpo e da una razionalità che sappia ospitare in sé anche l'autocritica.
certamente la spiritualità è vita interiore che non si riduce alla razionalità, ma è proprio la razionalità quella facoltà che si incarica di permettere al soggetto di assumere un certo livello, sempre finito e imperfetto e provvisorio fintanto che si sta in questo mondo, di dominio di sé, non di cancellare la molteplicità di desideri, di impulsi, di prese di posizioni volontarie, ma di comporle in un'armonia, un'unità che rappresenti il più adeguatamente possibile i valori profondi della nostra personalità, un'armonia nel quale i valori inferiori non siano negati, ma subordinati a quelle superiori senza confliggere con questi ultimi. La perdita di quest' armonia comporterebbe la lacerazione, la dispersione di tale vita interiore, che senza un'ordine, una gerarchia di valori vedrebbe annullata la sua sensibilità morale. Ogni sensibilità morale indica che per ciascuno di noi ci sono delle cose più importanti di altre, e che in caso di conflitto, di bivio esistenziale, quando occorre compiere scelte occorre comprendere bene quali sono le priorità, i valori superiori PER ME più importanti degli altri. Non penso sia la razionalità a giustificare in termini di oggettività una morale personale rispetto a un'altra, ma ha comunque un compito fondamentale, quello di chiarire a me stesso, tramite la riflessione profonda, l'introspezione ,quali sono per me i valori che maggiormente mi rappresentano e dunque quelli che la volontà autentica dovrebbe riconoscere come primari punti di riferimento delle sue scelte. La razionalità dunque approfondisce il senso di interiorità (dunque di spiritualità) della nostra vita, proprio in quanto è ciò attraverso cui l'Io tende criticamente a chiarire sé a se stesso, guardandosi dentro, in profondità, abbandonando i livelli superficiali della sua esistenza, nei quali resterebbe fermo continuando irrazionalmente a essere "sballottato" dal caotico, cioè privo di forma, ordine e unità, corso di impressioni sensibili, che dal mondo esteriore ci colpiscono nell'immediatezza irriflessa
Sono completamente d'accordo con ciò che hai scritto, ma mi rimane il timore che il senso delle tue frasi o di singole parole possa essere frainteso e piegato verso orientamenti che personalmente troverei distorti.
Credo che la tua parola principale che debba salvaguardare il senso di tutto ciò che hai scritto sia "criticamente", il che suppone anche autocritica.
Hai parlato per esempio di armonia. Anche Hitler era senza dubbio un fanatico dell'armonia, solo che per lui armonico significava ariano e disarmonico significava ebreo. Ma non c'è bisogno di chiamare in causa Hitler: ognuno di noi tende a considerare armonico tutto ciò a cui è stato abituato, cosicché disarmonici o estranei vengono a risultare usi, costumi, modi di vivere diversi dal nostro. Possiamo pensare ad esempio come a ciascuno di noi, su questo pianeta, risultino alquanto disarmonici i suoni delle lingue straniere, mentre per ogni essere umano la lingua materna risulta armonicissima. È istintivo trovare disarmonico un colore della pelle diverso dal nostro, che non siamo abituati a prendere in considerazione con frequenza. In tutte queste situazioni mi sembra che ciò che ci possa salvare sia l'attitudine alla critica e all'autocritica.
Lo stesso ragionamento si può fare riguardo all'idea di valori superiori e valori inferiori e riguardo all'idea stessa di razionalità.
A questo punto sorgerebbe un'obiezione, una protesta contro questo fare autocritica, che poi alla fine non è altro che relativismo: questo mio ragionamento che fa autocritica può essere tacciato di pretesa di imporre forzatamente la rinuncia ad ogni certezza. Si tratta della "dittatura del relativismo" di cui parlava papa Ratzinger. Credo che la via per uscire da questa impasse della dittatura sia quella di ammettere che, se di dittatura vogliamo parlare, nell'esistenza umana non è possibile sottrarsi totalmente a qualsiasi dittatura, possiamo solo scegliere a quale dittatura sottometterci. C'è per esempio la dittatura della nostra storia personale: ognuno di noi è condizionato da una sua storia personale e non è possibile esistere umanamente senza tale condizionamento, perché non è possibile esistere come esseri umani in questo pianeta senza avere una storia personale. L'individuazione di valori, idee che trascendono la nostra storia personale può essere usata come dimostrazione della possibilità di tale trascendimento, ma può essere anche tacciata di essere nient'altro che una pretesa di spacciare la propria storia personale come trascendimento, spacciare il proprio particolarismo per universalismo.
In questo contesto proprio un riesame del termine "ascetismo" può essere d'aiuto. Questo termine può essere riscoperto nel suo significato etimologico di un continuo lavorare, forgiare, curare, che sarà anche un continuo autocriticare. Ascetismo ha assunto un senso di fuga dal corpo, da ciò che è materiale, ma ora ci accorgiamo che questa fuga può nascondere la pretesa di fuggire dalla storia, dalla propria particolarità, di cui il corpo è un simbolo estremamente espressivo, per individuare idee universali, che pensiamo di identificare con il mondo dello spirito, che verrebbe a coincidere con il mondo delle idee di Platone, mondo delle idee universali in quanto non condizionate dal nostro corpo. Il problema è che storicamente si è verificato che abbiamo identificato l'idea universale di "uomo" con l'idea di "uomo bianco", "uomo ariano"; le idee di logica e razionalità con le idee di logica e razionalità occidentali, greche. Non abbiamo motivi per pensare che noi oggi siamo meno esposti all'inganno di spacciare per universalismi i condizionamenti della nostra storicità, più di quanto lo furono i nostri antenati.
Tutti i post sono stati veramente ottimi, complimenti a tutti.
Certamente l'ascetismo non è affatto finito, in quanto è ancora ben presente fino alla sfida fisica, nella morale cattolica.
Il punto infatti non è tanto quello del supposto sincretismo tra spirito e corpo, ma in cosa consisterebbe la spiritualità in sè.
Cosa che rimane sempre non detta, a testimonianza del fatto che rimane solo una bella parola nella società dei consumi.
Sulla linea di quanto ho detto riguardo ai condizionamenti storici, in cosa consista la spiritualità va indagato cercandone la storia.
In breve, la parola spiritualità è nata nel cattolicesimo.
Ma la spiritualità come esercizio, esercitazione vitale sul rendere le idee qualcosa di vissuto, viverle come esperienza interiore e non solo come concettualità, è già presente nella filosofia greca: questo ci ha mostrato Pierre Hadot.
Dopo la sua origine cattolica, la parola spiritualità ha subìto un ampliamento dell'uso, includendo in sé non solo l'esperienza religiosa, ma anche qualsiasi cosa che si possa intendere come elemento importante della vita interiore, aspetto della vita interiore che influisce sul senso dell'esistenza.
Quest'ampliamento dell'uso ha conservato in sé la tendenza platonizzante già presente nel cattolicesimo, come fuga dal corpo, cosicché anche i significati secolari, laici, generici del termine hanno continuato a portare con sé un'idea di non corporalità: è comune oggi riscontrare come intendimento di spiritualità "tutto quanto di umano che va oltre il corporeo o non è corporeo".
Quest'intendimento popolare del termine risponde al meccanismo massificatorio di far propagare il peggio: la laicizzazione massificata della parola spiritualità ha preso il peggio di quanto era presente nel suo originale significato cattolico. Infatti la spiritualità cristiana non è solo fuga dal corpo, ma anche valorizzazione di esso e orientamento verso la concretezza, la storia. Questo significato della spiritualità continua a circolare tra le menti che si sforzano di non scivolare nella massificazione.
È possibile riscontrare facilmente in rete la presenza di questa duplicità di significati: se si cerca spiritualità su Google, si troveranno molti siti che la intendono come fuga dal corpo, o esoterismo, o riferimento a realtà metafisiche di cui si pretende di poter determinare non poche caratteristiche. Questo è il senso che la massa ha recepito. Ma in rete si trovano anche la voce spiritualità di Wikipedia e tanti altri siti, di cui è facile notare come intendano la spiritualità in maniera più impegnativa, che valorizza l'umanesimo, le arti, la psicologia, la filosofia, la critica, un intendimento molto diverso da quello dei siti massificati.
Questa è la situazione in cui ci troviamo oggi. A questo punto a me sembra che ognuno non faccia altro che seguire ed eventualmente esplorare, più o meno consapevolmente, la linea massificata oppure quella più impegnata, in base alla formazione con cui la sua storia personale lo ha plasmato.