Il titolo del topic è anche il titolo di un libro dello scrittore e psicologo Thomas Leoncini, autore poco conosciuto.
Sottotitolo: "Liberarsi dalle aspettative altrui e trasformare la fragilità in salvezza".
Leoncini dice che molte persone per non sentirsi escluse, per timore del giudizio degli altri su di loro cercano di essere gradite da tutti. Invece, secondo l'autore, è sbagliato. L'individuo deve essere sé stesso, deve liberarsi dalla dipendenza verso gli altri.
Non bisogna vivere la vita che gli altri vorrebbero per noi e ci rende infelici ma fare ciò che si vuole, senza danneggiare nessuno.
Ciò di cui abbiamo bisogno per stare bene lo troviamo soltanto in noi. E chi ci accetterà per ciò che siamo potrà camminare al nostro fianco.
Un aforisma attribuito allo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung dice che "Chiunque cerchi di adattarsi al gruppo e nello stesso tempo seguire il suo fine individuale, diventa nevrotico. L'incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche; se c'è una qualche reazione, entrambi ne vengono trasformati".
Infatti nella vita tutti abbiamo incontrato persone che ci hanno intimamente lasciato una traccia indelebile, non soltanto coloro che da quell'incontro sono usciti innamorati l'uno dell'altra, ma anche come amico o nemico. Dagli incontri significativi non si esce indenni ma con una scia nell'anima.
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L'autore del libro continua dicendo che piacere agli altri ci fa sentire degni di essere amati !
Ci sono persone che si sentono "normali" solo se ricevono complimenti, il gradimento effimero da chi si ha davanti, e trascorrono la vita a cercare persone che possano in qualche modo confermare quel tratto che li rende tali e involontariamente placano il dubbio costante, ripetitivo, ingombrante di non essere abbastanza. Abbastanza cosa ? Abbastanza tutto: abbastanza capaci, abbastanza attraenti, abbastanza forti, ecc..
In tal caso conviene riconoscere subito il cappio per evitarlo.
Ci sono persone che hanno l'ansia della ricerca di chi possa farle sentire amate, speranzose che ci sia qualcuno in grado di comprenderle e accoglierle. Pensano: "forse sono proprio io ad essere sbagliato, non merito l'amore di nessuno". Questa spirale negativa può indurre pensieri come: "sono quello che mi merito. Gli altri sono felici e hanno tutto, io non ho nulla e mi trovo sempre a cercare qualcosa che nemmeno so bene cosa sia, so solo che mi manca".
E' vero. Ogni persona ha per noi un valore x. Quando la conosciamo siamo indotti a valutarla e po decidere se vale la pena perdere del tempo con lui/lei ?
Questo significa che siamo abituati a mettere noi stessi e le nostre esigenze al centro, ma in modo dipendente dal parere esterno. Siamo individualisti. L'individualismo afferma l'autonomia, il valore preminente dell'individuo e i suoi diritti rispetto alla collettività di cui fa parte.
L'amore per noi stessi è l'energia che ci fa muovere.
Ma come facciamo ad amare noi stessi se non ci conosciamo ? Non possiamo amarci solo perché esistiamo, dice Leoncini, ma dobbiamo cominciare ad amarci perché stiamo mettendo in atto ciò per cui siamo venuti al mondo: diventare noi stessi !
E' necessario comprendere che non dobbiamo amarci perché siamo perfetti, ma perché stiamo diventando ciò che per nostra natura siamo destinati a diventare.
Molte persone scoprono alla fine della loro esistenza che hanno trascorso gli anni a tentare di diventare qualcun altro da loro stesse. Per conformismo ? Per piacere a qualcuno ? Perché la famiglia voleva questo ? Poco importa. Si può solo constatare che è così.
"piacere" oggi è un gesto narcisista, non è un gesto dello stare nella società. Lo dico come parere, ma è irrilevante.
Invitare a disinteressarsi del parere altrui è invitare a una maggiore autoreferenzialità, narcisismo, individualismo.
Invocare un maggiore individualismo come cura al nostro mondo mi sembra fuori tempo massimo.
Negli anni 70 erano oggetto di critica e/o scherno, tra gli altri:
- avere una apparenza anticonvenzionale (vestiti, tatuaggi, capelli...),
- non andare a messa / non mandare i figli all'ora di religione / non ricevere i sacramenti,
- essere gay,
- avere handicap mentali e fisici,
- avere una diversa etnia
- avere una diversa religione,
- abbracciare culture alternative
- In quel tempo, l'individualismo era una cura a un male della società che oggi definiremmo ultraconformista, un male reale e tangibile.
- Quando Montessori inventò il suo metodo al grido di "il bambino rivela se stesso solo quando è lasciato libero di esprimersi" lo fece in un mondo alle soglie del fascismo, in cui le punizioni corporali scolastiche erano legali, in cui la società aveva un male che l'individualismo poteva guarire.
Abbiamo usato l'individualismo per portarci in un posto migliore, e non si può negare quanto bene abbia fatto, ma ora abbiamo il problema opposto.
Non riesco a immaginare un modo in cui il narcisismo collettivo e i problemi sociali di oggi possano venire curati da ulteriore individualismo, e secondo me il pericolo è che se non ci fermiamo per tempo causeremo una sovra-reazione (penso ai cittadini americani che già oggi iniziano ad essere attratti da neointegralismi cristiani e forme di de-pluralizzazione della società che odorano di pulizia etnica).
Ciao Fabriba (Fabri = Fabrizio ?),
da quanto ho letto finora nel libro mi sembra che l'autore non inviti all'individualismo ma voglia incoraggiare le persone insicure, con scarsa autostima, che tendono a voler piacere agli altri per non sentirsi escluse, di essere sé stesse.
Non bisogna vivere la vita che gli altri vorrebbero per noi e ci rende infelici ma fare ciò che si vuole, senza danneggiare nessuno. :)
A 20 anni il non piacere agli altri può provocare sofferenza, disagio. Isolamento.
Più vai avanti, più ti rendi conto, se fai un percorso di crescita personale, di quanto l'unica persona a cui è importante piacere sei tu.
In realtà quello di cui parla Doxa forse non è narcisismo nè individualismo ma una sana individuazione. Lo stesso argomento dell'autore citato è ampiamente affrontato da Winnicott quando parla di falso sè. Il falso sè si manifesta quando per accontentare i nostri oggetti d'amore (di solito i genitori) aderiamo alle loro aspettative, diventando una loro brutta e frustrata copia. Le conseguenze possono essere gravi e di diverso tipo.
La individuazione però non è individualismo, ma una capacità di mediare fra istanze di affermazione del proprio sè e di riconoscimento dell'altro, senza sopraffarlo e riconoscendo la sua connessione con noi. Un mondo di differenti nella reciprocità. È questo un traguardo ambizioso e che può essere implementato culturalmente, favorendo l'autonomia e contemporaneamente la connessione con gli altri. È un lavoro continuo, perché la vita stessa o la cultura in cui siamo immersi ci induce spesso verso un "falso sè" e allora ci pieghiamo alle ragioni dell'altro oppure verso la ricerca della vittoria del "solo uno può vivere", nell'ottica dell'individualismo fine a sé stesso.
L'individualismo non è il male, senza individualismo non vi sarebbe evoluzione sociale, ma l'individualismo può diventare tossico se si dimentica delle connessioni con gli altri. La stessa cosa si può ripetere per il collettivismo.
Questo in generale. Se invece analizziamo l'attuale momento storico-culturale dell'Occidente, allora si deve constatare che è il modello individualistico-narcisista quello dominante, con effetti seri rispetto alla stessa connessione sociale. Effetti che possono comportare anche la disgregazione sociale se continueranno con questa forza simbolica e informativa.
Citazione di: doxa il 15 Ottobre 2025, 19:11:09 PMCiao Fabriba (Fabri = Fabrizio ?),
da quanto ho letto finora nel libro mi sembra che l'autore non inviti all'individualismo ma voglia incoraggiare le persone insicure, con scarsa autostima, che tendono a voler piacere agli altri per non sentirsi escluse, di essere sé stesse.
Non bisogna vivere la vita che gli altri vorrebbero per noi e ci rende infelici ma fare ciò che si vuole, senza danneggiare nessuno. :)
A 20 anni il non piacere agli altri può provocare sofferenza, disagio. Isolamento.
Più vai avanti, più ti rendi conto, se fai un percorso di crescita personale, di quanto l'unica persona a cui è importante piacere sei tu.
Ciao,
capisco dalle tue parole quello che vuole dire l'autore, ma non si può pensare di avere giovani meno interessati al parere degli altri, e che tutto il resto della società rimanga invariato. Quella singola -apparentemente piccola- modifica è un tratto culturale con implicazioni enormi nella società secondo me.
"Non piacere può provocare sofferenza, disagio, isolamento", niente da dire, ma
la soluzione può essere
"sono fatto così, ho il diritto di non piacere" tanto quanto può essere
"perché non piaccio? Se non piaccio a tutti, forse c'è un motivo? Posso migliorare xyz?" La mia percezione del mondo di oggi è che c'è già abbastanza propensione a scegliere la prima strada.
Ultima cosa: secondo me c'è il rischio di confondere -nei giovanissimi- il desiderio narcisistico di prendere abbastanza like, con il desiderio di piacere, che sono due cose correlate, ma ben distinte.
(Questo non perché i giovanissimi siano Il Male, ma sono il prodotto del mondo in cui sono cresciuti. Se non piacciono alcuni loro tratti, al limite si può incolpare chi quel mondo lo ha creato.)
Nessuno nasce sé stesso, ma si diventa sé stessi.
Chi si aspetta l'amore incondizionato dagli altri finirà per sentirsi tradito se dentro di sé non ha saputo costruire il significato simbolico dell'amore e dell'accettazione di sé.
Prima viene sempre il dentro, poi il fuori. Prima dobbiamo collocare i significati, i valori, dopo vanno messi in ordine. Il vero amore non si cerca fuori ma si coltiva interiormente.
Senza l'amore per noi stessi siamo radici senza fiori, sempre in attesa della primavera per coltivare il campo di un altro.
Il disagio e il senso di inadeguatezza rappresentano l'inizio di una richiesta di cambiamento interiore. L'importante è accettare che siamo diversi da ciò che eravamo prima. Qualcosa ci dice che la nostra personalità è pronta al cambiamento.
Uno degli scopi della vita è capire chi siamo, qual è il nostro potenziale e adattarci alla nostra natura nel modo più equilibrato possibile.
Alcuni esperti dicono che quando ci innamoriamo riusciamo a comprendere la parte intima e naturale di noi stessi, perché alla base dell'innamoramento c'è il riconoscimento di sé e ci sentiamo a nostro agio con la persona amata.
Un vero amore e la passione ci permettono di andare oltre la paura del giudizio altrui, al di là del desiderio di piacere a chi abbiamo davanti.
Riconoscendo la persona ideale di cui innamorarsi, il nostro mondo interiore scopre la completezza.
Citazione di: doxa il 15 Ottobre 2025, 21:59:19 PMNessuno nasce sé stesso, ma si diventa sé stessi.
Chi si aspetta l'amore incondizionato dagli altri finirà per sentirsi tradito se dentro di sé non ha saputo costruire il significato simbolico dell'amore e dell'accettazione di sé.
Prima viene sempre il dentro, poi il fuori. Prima dobbiamo collocare i significati, i valori, dopo vanno messi in ordine. Il vero amore non si cerca fuori ma si coltiva interiormente.
Senza l'amore per noi stessi siamo radici senza fiori, sempre in attesa della primavera per coltivare il campo di un altro.
Il disagio e il senso di inadeguatezza rappresentano l'inizio di una richiesta di cambiamento interiore. L'importante è accettare che siamo diversi da ciò che eravamo prima. Qualcosa ci dice che la nostra personalità è pronta al cambiamento.
Uno degli scopi della vita è capire chi siamo, qual è il nostro potenziale e adattarci alla nostra natura nel modo più equilibrato possibile.
Alcuni esperti dicono che quando ci innamoriamo riusciamo a comprendere la parte intima e naturale di noi stessi, perché alla base dell'innamoramento c'è il riconoscimento di sé e ci sentiamo a nostro agio con la persona amata.
Un vero amore e la passione ci permettono di andare oltre la paura del giudizio altrui, al di là del desiderio di piacere a chi abbiamo davanti.
Riconoscendo la persona ideale di cui innamorarsi, il nostro mondo interiore scopre la completezza.
Mi sa che l'abbiamo presa da due angoli completamente diversi: psicologico vs sociologico
Da questo commento mi è chiaro quello che probabilmente doveva essermi chiaro fin da subito: che il libro -o la tua interpretazione del libro (che è l'unica cosa che ho letto)- trattano la questione da un punto di vista psicologico, quindi della persona.
La mia critica era una critica di sociologia, del tutto scentrata quindi.
Qualunque commento mi venga in mente sposta involontariamente l'attenzione dal personale al sociale ("nel mondo di oggi, hai ragione", "la nostra cultura ci impone che" ... ecc), di fondo non penso sia universalmente un buon consiglio: 100 anni fa, o nel giappone di oggi, "fregarsene di quello che pensano" (per brevità) sarebbe un comportamento antisociale.
Siamo in italia nel 2025, posso capire perché una persona con bassa autostima potrebbe beneficiare dal leggere questo libro.
Siccome sono palesemente e patologicamente incapace di discutere in termini psicologici il tema, mi faccio da parte dopo questo commento :D