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Riflessioni Filosofiche

Riflessioni Filosofiche   a cura di Carlo Vespa   Indice

 

Sulle idee

di Marco Calzoli - Luglio 2020

 

Il termine “idea” deriva da una radice greca che significa “vedere”. Mediante le idee vediamo la realtà: i concetti sono forme che ci permettono di dare un senso a tutto ciò che ci circonda.
Il paradosso di questa concezione è che le idee sono collegate anche alla fantasia e all’assurdo. Da una parte le idee ci servono, dall’altra spesso le idee sono assurde.
Cicerone (De divinatione 2, 58) diceva a ragione che nihil tam absurde dici potest non dicatur ab aliquo philosophorum, “non si può dire niente di talmente assurdo che non sia stato detto da qualche filosofo”.
Già i sofisti affermavano che esistono i “discorsi doppi”. La logica razionale può dire tutto e allo stesso tempo il contrario di tutto. Perché? Perché ogni cosa può essere espressa logicamente. Ogni cosa ha in sé un algoritmo, una procedura di autorealizzazione che la ragione può descrivere.
Una pietra cade nell’acqua: il movimento dall’alto al basso ha un suo senso, è un rapporto matematico. Una pietra risale dall’acqua e vola in cielo: anche questo ha un senso, è un rapporto matematico, dal basso all’alto. Le due situazioni sono entrambe logiche. Ma la prima è vera, la seconda non lo è. La differenza non la fa la idea in sé, ma la percezione.

C’è una logica nel dire che la sofferenza serve, perché tempra lo spirito e ci apre a capire alcune cose. Eschilo (Agamennone 177): “decretò il principio sovrano: patendo conoscere”, pathei mathos. Ma c’è anche una logica nel dire che la sofferenza è da evitare.
Allo stesso modo dire che rubare non è giusto segue una procedura logica: va contro gli interessi delle persone (chi ruba lede il tessuto sociale). Anche dire che rubare è giusto segue una logica per quanto opposta: non rubare va contro gli interessi delle persone (chi ruba non ha lavoro e quindi deve mangiare, se no muore).
In qualche modo fa al caso nostro anche questa riflessione di Arendt (Sulla violenza): “La sostanza stessa dell'azione violenta è governata dalla categoria mezzi-fine, la cui caratteristica principale, se applicata agli affari umani, è sempre stata che il fine corre il pericolo di venire sopraffatto dai mezzi che esso giustifica e che sono necessari per raggiungerlo. Dato che il fine dell'azione umana, a differenza dei prodotti finali della manifattura, non può mai essere previsto in modo attendibile, i mezzi usati per raggiungere degli obiettivi politici il più delle volte risultano più importanti, per il mondo futuro, degli obiettivi perseguiti. Inoltre, mentre i risultati delle azioni degli uomini vanno oltre il controllo dei protagonisti, la violenza ha al suo interno un ulteriore elemento di arbitrio; in nessun caso la fortuna, cioè la buona e la cattiva sorte, svolge un ruolo più decisivo negli affari umani che sul campo di battaglia, e questa ingerenza di ciò che è assolutamente imprevisto non scompare quando la si chiama ‘evento casuale’ e la si trova scientificamente sospetta; né può essere eliminata dalle simulazioni, dagli scenari, dai modelli teorici e simili”.
Le idee spesso tendono a giustificare ogni cosa. È nella loro natura l’ambiguità. È facile seguire logiche cioè idee senza ragione. La ragione è data dalla percezione. Molto spesso le logiche sono opposte e la ragione sta nel mezzo.
È giusto pensare ai dettami della società o solo a sé stessi? È giusto rispettare regole che ci soffocano o pensare solo al piacere personale? Forse la ragione sta nel mezzo. Jung (Due testi di psicologia analitica) scriveva che facciamo del bene alla società se pensiamo a noi stessi: “Alcuni credono alle menzogne della vittoria e della forza vittoriosa, altri confidano nei trattati e nelle leggi, altri ancora sperano nella distruzione dell'ordine esistente. Troppo pochi invece cercano dentro di sé, nel proprio Io, e troppo pochi si domandano se il miglior servizio che si può rendere alla società umana non consista dopo tutto nel cominciare a mettere ordine in se stessi, applicando prima e unicamente alla propria persona e all'interno del proprio Stato il sommovimento dell'ordine esistente, le leggi, le vittorie di cui si va cianciando ad ogni angolo di strada, anziché pretendere di imporle ai propri simili. Il singolo ha bisogno di un rivolgimento, di una scissione interna, di staccarsi da ciò che esiste per rinnovarsi, ma non deve imporre tutto ciò ai suoi simili sotto il manto ipocrita del cristiano amor del prossimo o del senso di responsabilità sociale, e delle belle altre parole con cui copre inconsci bisogni personali di potenza. Riflessione dell'individuo su sé stesso, ritorno alla radice umana, alla propria essenza e alla certezza individuale e sociale della sua natura: questo è il modo per cominciare a guarire dalla cecità che predomina nell'ora attuale”.
Rifacciamoci al discorso di Guidano. Per questo psicologo la razionalità non corrisponde alla realtà ma si è evoluta perché è stata funzionale alla sopravvivenza della specie, quindi rappresenta il modo in cui “siamo costretti” a comportarci a prescindere dalla propria emotività. La razionalità o cognizione ha la funzione di separare l’emotività dalla trama narrativa di una persona ma non equivale alla conoscenza in quanto separa l’emotività e il comportamento non verbale. La conoscenza è costituita da razionalità e emotività. La realtà non è dunque la razionalità ma è l’esperienza, quello che uno prova o sente, per cui la spiegazione spesso è fallace, poiché quello che uno pensa o crede non corrisponde a quello che uno prova o esperisce e quest’ultimo è quello che realmente conosce, di sé e del mondo, la sua trama narrativa.
Prendiamo il fatto della malattia mentale. Su di essa è stato detto di tutto e il contrario di tutto. Secondo Hillman (Re-visione della psicologia), sono tre gli atteggiamenti quasi deliranti che non la considerano così come essa è nella realtà:

  1. Nominalismo: è l’atteggiamento di chi classifica la malattia mentale con una etichetta, negando in questo modo, secondo Hillman, l’esatto contenuto: la malattia mentale non è qualcosa da indicare una volta per tutte, bensì un processo dinamico dalle molte sfaccettature;

  2. Negazione anarchica: è l’atteggiamento di chi definisce la patologia mentale come un modo di stare al mondo, invece per Hillman la malattia esiste veramente;

  3. Negazione trascendente: è l’atteggiamento di chi vede nella malattia qualcosa di positivo, mettendosi al di sopra della malattia, come un guru che insegna a vedere la malattia come un dono da sfruttare, invece per Hillman la malattia è in sé qualcosa di terribile e doloroso, anche se non manca qualche risvolto positivo pur nella tragicità della cosa.

Le stesse concezioni relative a cosa sia il pensiero sono molto variegate. Per alcuni il pensiero altro non è che una aberrazione: la nostra vera natura è intuitiva, quindi il pensiero razionale è una sovrastruttura irreale. E forse anche peccaminosa, la base del peccato originale. Secondo il biografo Gregorio Magno, Benedetto da Norcia andò a Roma da giovane ma rimase sconvolto dal mondo, quindi abbandonò repentinamente gli studi letterari e ogni eccesso per non perdersi e si ritirò a vita monastica. Alcuni invece ritengono che il pensiero razionale sia la massima conquista dell’uomo e della civiltà umana.
Per altri all’inizio il bambino non esiste (Winnicott) perché sa solo soddisfare bisogni fisiologici: nella relazione con la madre il bambino sa che se ha fame il seno gli darà da mangiare; solo quando questa relazione primaria viene lentamente meno, il bambino inizia a pensarla, e in questo modo il suo pensiero si sviluppa.
La coscienza è ciò di cui siamo consapevoli. L’inconscio è ciò che non sappiamo di noi stessi e del mondo che ci circonda. La prima forse si forma dalla rimozione iniziale di alcuni contenuti dell’inconscio, i quali poi si esprimono anche mediante il meccanismo della proiezione. Possiamo odiare un oggetto esterno, per esempio un leader politico, perché facciamo vivere, cioè proiettiamo, su di esso parti negative del nostro inconscio.
La coscienza si eclissa nel sonno, ma anche nell’anestesia. L’anestesia generale nacque nel 1846 quando il dentista statunitense Morton diede pubblica dimostrazione della proprietà dell’etere, addormentando una paziente alla quale estrasse un tumore al collo. Da un recente studio pare che i farmaci anestetici creano una situazione di disordine in alcune zone lipidiche della membrana cellulare del neurone coinvolte nel regolare il traffico attraverso di essa, generando anomalie nella conduzione dell’impulso nervoso tali da far addormentare.
Jung (Mysterium Coniuctionis): “Tutte le proiezioni nascono da un'identificazione inconscia con l'oggetto. Ogni proiezione esiste semplicemente come un dato ovvio e non sottoposto a critica, e solo più tardi essa viene riconosciuta come tale e ritirata.  Tutto ciò che noi oggi designiamo come 'mente' e 'conoscenza' era, nel corso dei millenni e dei secoli precedenti, proiettato nelle cose, e ancor oggi più di una testa pensante attribuisce validità universale alle sue idiosincrasie personali”.
Lo sviluppo psicologico del figlio necessita tanto della figura paterna quanto della figura materna. Il padre non deve essere solo protettivo e maestro, ma anche distruttivo, collerico, castrante, come insegna Guggenbühl-Craig (Il bene del male). Il figlio ha bisogno di entrambi gli aspetti. Per questo, come nota Andolfi, il padre non deve essere un “mammo”, cioè non deve imitare gli aspetti materni, ma essere autenticamente sé stesso.
La madre insegna l’interiorità, il padre insegna gli aspetti sociali della vita. Nella donna il senso morale è meno sociale e più intimistico perché la bambina non si identifica con il padre.  Metà della nostra mente dipende dal padre, l’altra metà dalla madre. Jung diceva poi che nell’inconscio ognuno di noi ha una parte maschile e una parte femminile. Il tipico maschio seduttore fa del male, oltre che alle donne che incontra, anche alla propria parte femminile. Così come la donna che si concede facilmente: con il sesso la donna ricerca l’amore (nell’uomo non è sempre in questo modo), non trovando sempre l’amore nel maschio essa finisce con il depauperare le proprie riserve interiori di felicità.
Secondo una concezione, la madre fornisce al bambino le basi più profonde, invece il padre gli aspetti più raffinati dello psichismo. È fondamentale il primo anno di vita: ciò che il bambino sarà è determinato in parte dallo stato della madre in quel lasso di tempo. Il neonato è tutto ansia e angoscia, quindi si sente tranquillizzato mediante l’abbraccio della madre: questo primo contenitore sarà interiorizzato dal bambino e fornirà la base del suo senso di sicurezza futuro e quindi della capacità di stare al mondo.
Il neonato impara in base agli stimoli esterni. L’allerta è la capacità di passare dalla fase di riposo a quella di attivazione neurologica e psichica per via di uno stimolo. Ha due momenti:

  1. Allerta fasica (parasimpatica), nella quale ci si prepara all’attivazione;

  2. Allerta tonica (simpatica), quando avviene attivazione, vale a dire modificazione del battito cardiaco e orientamento corporeo verso l’oggetto.

Dopo l’allerta tonica avviene immagazzinamento dell’esperienza nella memoria e conseguente apprendimento.
Nelle prime fasi di vita la madre aiuta il bambino a regolare l’emotività e questo avviene mediante determinati stimoli, per esempio il bambino smette di piangere e si tranquillizza. Quando il neonato piange, la madre dà uno stimolo e il bambino smette di piangere, ma non appena lo stimolo cessa il bambino ritorna a piangere: questo significa che il bambino ancora non ha capacità di controllo interno, cosa che si acquisisce in seguito, mediante la interiorizzazione dello stimolo(1).
Uno studio di Ursache e colleghi (2013) dimostra che quanto più il bambino è consolabile mediante l’apporto della madre tanto più dimostra una minore impulsività alla Scuola d’Infanzia.
Un importante studio di Ricard, Lutz, Davidson del 2014 pubblicato su Scientific American rileva che nello stato di riposo o non concentrazione abbiamo attiva una rete neuronale detta DMN, invece nella concentrazione abbiamo attiva la rete detta CEN: il passaggio dalle due reti, cioè dal riposo alla concentrazione, avviene mediante la rete detta SN. Ebbene, oggi sappiamo che il bambino si distrae spesso durante i compiti che svolge perché il suo SN è poco potente rispetto a quello dell’adulto.
Il linguaggio verbale è una funzione complessa, elaborata da vari circuiti a diversa complessità di funzionamento e di sviluppo, e questo sviluppo è supportato dal sistema esecutivo-attentivo. Quando una abilità linguistica è automatizzata, coinvolge a livello minimo il sistema esecutivo-attentivo. Invece quando è più complessa, lo coinvolge maggiormente.
Uno studio ERPs in bambini tra 36-48 mesi dimostra che l’ascolto di frasi regolari, con violazione semantica e violazione sintattica, attiva le stesse aree degli adulti, ma con maggiori latenze e attivazione diffusa. Questo corrobora l’ipotesi per la quale il bambino piccolo ancora non ha sviluppato funzioni linguistiche soddisfacenti, ragion per cui necessita di un maggiore controllo esecutivo-attentivo. L’area di D2 connette l’area di Broca con la corteccia temporale, sembra servire specificatamente strutture linguistiche gerarchiche. Alla nascita non è mielinizzata, quando completa il suo sviluppo i bambini comprendono strutture sintattiche complesse.
Secondo il Modello di Benso il sistema esecutivo-attentivo regola il sistema di controllo delle funzioni cognitive, dal linguaggio verbale al pensiero e al suonare uno strumento musicale. In situazione di routine (attività automatizzata) il controllo è minimo. Quando siamo impegnati in compiti non automatizzati, come programmare una narrazione, il controllo è massimo, per esempio per eliminare gli errori. Il controllo operato da SN crea tempi più lunghi nello svolgimento del compito, al contrario del controllo esercitato da CEN. L’emozione può interferire nel controllo della esecuzione: in una interrogazione il bambino emotivo inizia a ripetere meccanicamente le cose imparate senza controllo, senza apposto personale, in maniera frammentaria.
A parità di capacità cognitiva linguistica, l’emozione accresce la prestazione se è nella norma, ma se è eccessiva la inficia. A livelli moderati di stress e attivazione emotiva, la risposta neuroendocrina (noradrenalina, dopamina) incrementa l’attività sinaptica della corteccia prefrontale: il controllo attentivo e le funzioni esecutive sono elevate. Ma quando il livello neuroendocrino è molto basso o molto elevato, l’attività sinaptica della corteccia prefrontale decresce e le prestazioni ne sono inficiate.
La psicologia non è una scienza. Si tratta di un insieme di teorie, più o meno correlate a scoperte scientifiche, ma che non costituiscono in sé una scienza. Carotenuto nelle sue frequentatissime lezioni universitarie proponeva di studiare attentamente gli autori proposti; poi lo studente avrebbe dovuto scegliere una scuola psicologica specifica, quella con la quale aveva più affinità; in seguito lo studente divenuto studioso avrebbe dovuto riformulare i concetti classici di quella scuola in maniera originale.
È nella natura delle idee essere varie e molto diverse tra di loro. Le concezioni religiose dei popoli antichi sono un susseguirsi di idee molto originali. Nell’antico Egitto la cosmesi degli occhi aveva una funzione apotropaica: serviva a proteggerli dalle malattie.
Il concetto delle divinità nell’antico Egitto era legato strettamente ai nomi e alle funzioni, non come oggi in cui Dio è uno spirito assoluto. Il dio coccodrillo Sobek era il protettore della fertilità perché il nome deriva da un verbo causativo, s.bk, che significa “colui che mette incinta”. Il cielo era visto dagli antichi egiziani come una volta solida retta da quattro pilastri ai lati del mondo, i quali erano sostenuti dal dio Set. Il faraone era considerato dio. Ma perché moriva? Probabilmente gli egiziani avevano un solo dio su tutto l’Egitto, Horus: ogni faraone era la incarnazione terrena di Horus.
Le divinità egiziane derivano spesso dalla preistoria (come Osiride e Horus). Invece Maat compare dalla II Dinastia, quindi si tratta di una pura costruzione teologica, fatta per scopi politici. Maat è non tanto una dea quanto la personificazione della giustizia e dell’ordine cosmico: essi sono mantenuti dal sovrano quale ipostasi terrena del dio Ra. Maat emerge soprattutto in periodi critici politicamente (II, IV, V Dinastia), nei quali il potere centrale aveva problemi di legittimazione per interruzione della discendenza regale. Allora si suppliva alla purezza di lignaggio con il concetto di Maat.
La letteratura mesopotamica è costituita soprattutto da quella sumerica e da quella accadica. Il sumero è una lingua isolata, invece l’accadico una lingua semitica (la lingua semitica di più antica attestazione). Questa letteratura iniziò con i sumeri, una stirpe non semitica della Mesopotamia. La frase sumerica aveva due poli: all’inizio l’agente, alla fine l’azione e in mezzo i complementi. La letteratura sumerica e accadica risente sempre in qualche modo di questo schema sintattico, specie all’inizio. Negli inni religiosi in accadico il proemio è il riflesso dell’agente, invece il corpo elenca l’azione del dio, le sue gesta. Oggi noi siamo abituati a seguire i dettami etici come volontà di Dio. Ma nell’antica Mesopotamia gli dei erano lontani (in accadico rūqu), quindi gli inni dicono che gli uomini non possono sapere cosa sia gradito o meno agli dei. Uno dei testi della letteratura mesopotamica più importanti è l’inno a Šamaš, il dio sole. Quasi tutte le tavolette lo presentano in distici distinti da linee orizzontali. Ha un andamento ritmico degli accenti, carattere comune della versificazione babilonese e assira. Questo dio raggiunge con i suoi raggi ogni regione, quindi controlla e sorveglia ogni cosa.
Nella Bibbia ebraica ba’al, “signore”, è usato sia come nome proprio di una persona sia come titolo di una divinità. Nei testi ebraici di Qumran è usato quasi sempre nel primo senso, fatta eccezione per una sola attestazione (4Q460 9 i 9).  Nella Bibbia ba’al indica gli dei pagani, invece per il Dio di Israele si usa YHWH, ‘Elohim, ‘El. Anticamente gli ebrei avevano concezioni diverse di Dio rispetto ai giorni nostri. ‘Elohim è un plurale ed è nato in quel periodo quando ancora non vi era un solo Dio (monoteismo) ma un dio superiore a tutti gli altri (enoteismo). In un testo di Qumran (11 QpsA 27) è scritto nella riga finale che Davide aveva scritto per Dio 4.050 salmi e canti “per mezzo del dono profetico” (dbr bnbw’h).
Un’altra caratteristica delle idee è che esse, per quanto assurde possano essere o possano sembrare tanto sono diverse tra di loro, hanno una forza straordinaria. Facciamo questo esempio. Oggi per noi è facile prendere un aereo e andare in un paese lontano. Anticamente no: i viaggi, anche i più prossimi, erano pieni di pericoli e incognite. La colonizzazione greca della Magna Grecia e della Sicilia antica fu una impresa eccezionale a quei tempi. Non solo per i pericoli del viaggio ma anche perché in Italia vi erano delle popolazioni autoctone. Le colonie greche divennero tali solo con la fusione tra la civiltà autoctona e l’apporto greco e questo non fu facile, per mille motivi. Di solito l’apporto greco fu maggiore quando le popolazioni autoctone erano più arretrate dei greci (fa eccezione la civiltà degli iapigi, in Puglia: essa era più avanzata di quella greca, quindi le costruzioni greche in Puglia erano non così frequenti come da altre parti). Inoltre non vi fu una sola colonizzazione greca: ma molte ondate e la fusione avvenne in maniera diversificata perché le popolazioni autoctone erano entità autonome e molto diverse tra di loro.
Gli storici ipotizzano che la colonizzazione greca in Italia fosse qualcosa di molto speciale. Oggi noi quando parliamo di “colonia” pensiamo a uno stato sottomesso. Ma anticamente le cose dovevano essere molto diverse. Già di per sé il termine latino colonia non indica “sottomissione” ma “coltivazione” (dal verbo latino colere, “coltivare”). Perché i greci andarono a coltivare quelle terre? Ci viene in aiuto il termine con il quale i greci chiamavano la “colonia”, cioè apoikia, che significa: lontano (apò) da casa (oikia). La colonia doveva essere per i greci una casa lontana dalla casa di origine, ma sempre una casa. La colonia era l’estensione della patria, delle polis greche.
È difficile ricostruire la colonizzazione occidentale fatta dai greci, anche perché le principali fonti storiche dell’evento sono andate perdute (nomi di storici come Antioco, Timeo, Eforo, Ippi) e quelle che ne parlano, come per esempio Erodoto, sono alquanto frammentarie, cioè non narrano sistematicamente la colonizzazione.
In ogni modo pare che queste ondate greche in Italia siano state motivate dall’oracolo di Delfi. A Delfi vi era un santuario panellenico, cioè visitato da tutta la Grecia antica, dedicato al dio Apollo. Sotto il tempio di Apollo, annesso al santuario, vi era un ipogeo nel quale stava la Pizia sopra un tripode, la quale era una donna che sentiva i messaggi del dio. Chi voleva fare una richiesta al dio, andava dalla Pizia in questo tempio. Costui faceva delle abluzioni, pagava una somma, faceva dei sacrifici. Formulava la richiesta alla Pizia, la Pizia sentiva il dio da un pozzo e dava il responso, il quale veniva trascritto dal sacerdote.
Le fonti ci dicono che all’inizio di questa colonizzazione l’oracolo di Delfi inviava le persone ad andare in Italia per stabilire colonie. Lo stesso dio Apollo era conosciuto come arheghetes, “guida” di questi navigatori.
È vero che ci sono varie ipotesi sul ruolo di questo oracolo per la colonizzazione greca della Magna Grecia e della Sicilia antica:

  1. L’oracolo era vero: la Pizia credeva veramente di sentire la voce del dio Apollo e quindi indirizzava i coloni verso l’Italia;

  2. Furbizia dei greci: il clero di Delfi, mosso da interessi che non sappiamo, motivava quelle spedizioni con la scusa dell’oracolo; Delfi era una città internazionale visitata da tutti i greci, quindi poteva collezionare preziose informazioni geografiche e politiche che forse sfruttò per indirizzare i coloni proprio in Italia;

  3. I responsi dell’oracolo vennero dopo la colonizzazione per motivarla come divina agli occhi dei greci.

Quale che sia la verità storica, è sorprendente come qualche responso di un dio possa muovere tutte quelle persone verso un obiettivo comune. È la forza delle idee!

Marco Calzoli


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Marco Calzoli è nato a Todi (PG) il 26.06.1983. Ha conseguito la laurea in Lettere, indirizzo classico, all’Università degli Studi di Perugia nel 2006. Conosce molte lingue antiche e moderne, tra le quali lingue classiche, sanscrito, ittita, lingue semitiche, egiziano antico, cinese. Cultore della psicologia e delle neuroscienze, è esperto in criminologia. Ideatore di un interessante approccio psicologico denominato Dimensione Depressiva (sperimentato per opera di un Istituto di psicologia applicata dell’Umbria nel 2011). Ha dato alle stampe 32 libri di poesie, di filosofia, di psicologia, di scienze umane, di antropologia. Ha pubblicato anche molti articoli. 

NOTE

1) Ma recenti studi (Posner, Rothbart) dimostrano che il neonato non è del tutto privo di autoregolazione. Essa si rivela nei neonati nella intensità della risposta emozionale negativa alle novità. Da forme automatiche di evitamento a comportamenti di autoconsolazione.


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