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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


…di lotta e di cura…

liberamente ispirato alla Casa delle donne di Bologna,
Iacobelli editore, 2023

Conversazione con Maria Chiaria Risoldi di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- Aprile 2023


Maria Chiaria Risoldi è nata nel 1953 a Bologna, dove vive e ha lavorato come psicologa psicoterapeuta. Collabora con la Casa delle Donne di Bologna fin dalla sua fondazione. Ha scritto vari saggi e interventi in volume e rivista.

Risoldi, all’inizio scrivi che il racconto dei trenta anni di storia della Casa delle donne di Bologna, dalla nascita nel 1991 fino al 2021, rispetta rigorosamente gli eventi della Casa mentre la voce narrante, Francesca e tutte le figure che compaiono nella storia, le loro vicende, sono frutto della tua fantasia, arricchita dalla tua esperienza professionale di psicoterapeuta e di supervisora. Come mai questa scelta di non raccontare le donne reali che hanno costruito la Casa?
Una delle otto fondatrici della Casa, Anna Pramstrahler, dopo avere letto il mio libro “Cammina leggera”, considerando che all’inizio del 2021 le restrizioni per la pandemia non permettevano festeggiamenti adeguati per il trentesimo anniversario, mi ha chiesto se avevo voglia di scrivere la storia della Casa in forma di romanzo.
Avrei potuto scrivere un romanzo rigorosamente storico, descrivendo le otto fondatrici e anno dopo anno i nuovi arrivi, le tantissime volontarie, le molte nuove operatrici ...mi sono resa conto immediatamente che non era una strada praticabile. Erano troppe ed era impossibile scegliere: chi, perché? Descrivere solo le fondatrici? Non aveva senso. Come avrei potuto raccontare i tanti progetti che erano spuntati anno dopo anno, facendo della Casa delle donne di Bologna un modello di eccellenza, non solo in Italia? Quindi ho deciso che avrei inventato tutte le persone. Ho creato la “nona” socia fondatrice: Francesca Perna. Dopo ho creato la sua famiglia, poi la sua amica del cuore, Barbara e la sua famiglia… a quel punto inventare tutte le altre è stato relativamente semplice. Ovviamente mi sono ispirata alle operatrici reali, prendendo un po’ dall’una e un po’ dall’altra, mischiando più aspetti dei tanti caratteri, descrivendo le emozioni, i conflitti, come me li hanno raccontati e come li ricordavo io.


…di lotta e di cura… Maria Chiaria Risoldi


Nella nota precisi che le opinioni e i giudizi sono soggettivi. Chi scrive ha sempre un portavoce del proprio pensiero e punto di vista nella storia che racconta. Quale preoccupazione ti ha portato a precisare una cosa ovvia?
Hai ragione, non ci ho pensato, mi è venuto e l’ho scritto. I conflitti nei movimenti femministi sono sempre molto delicati. In quegli anni c’erano opinioni divergenti sul tema della violenza contro le donne. Erano molte quelle che volevano aprire anche in Italia i centri antiviolenza, come era accaduto in tanti paesi europei e negli Usa, costruendo case rifugio per le donne in pericolo. Volevano passare dalla teoria ai fatti. Ma erano molte anche quelle contrarie. Io avevo la mia opinione, che rispecchiava quella delle otto fondatrici, che diedero vita nel 1985 a un gruppo di studio sulla violenza con l’intento di aprire un Centro. Francesca, la mia protagonista, è molto critica verso le posizioni contrarie alla costruzione dei Centri e Francesca esprime la mia opinione.

Che strumenti hai usato per creare personaggi di fantasia, che si muovono in un contesto storico così reale?
Per il ventesimo anniversario era stato fatto un volume.
Il libro parte dal 1985 e arriva fino al 2011. Per ogni anno sono segnalati gli eventi che succedono alla Casa, le novità legislative, i convegni, i seminari, le pubblicazioni, i progetti editoriali, le novità politiche locali, nazionali, internazionali, i dati dell’accoglienza, suddivisi in donne italiane e straniere e bambini. Per ogni anno c’è un breve testo scritto dalle operatrici, volontarie e non, che ho utilizzato. Naturalmente a tante ho chiesto anche di raccontarmi aneddoti, ricordi personali, chi aveva tenuto un diario me lo ha fatto leggere. Nelle tante protagoniste del mio libro, molte possono trovare un pezzettino di sé. Ho volutamente descritto in modo che fosse riconoscibile solo una delle otto fondatrici, Maria Grazia Negrini, che ci ha lasciato il 23 ottobre 2021, a settantasette anni. Nel mio testo si chiama Ada. Poi naturalmente ci sono i miei ricordi e la mia esperienza da quando nel 1989 con Daniela Simoncini abbiamo iniziato a fare le supervisioni alle operatrici.

Mi è piaciuta molto Francesca.  Hai creato una figura che trova prima nella lotta, diventando femminista, poi nella cura, partecipando alla costruzione del progetto, l’occasione per la propria rinascita, perché avendo esperienza diretta della violenza familiare, con il suo femminismo e con la sua scelta di studiare medicina per lavorare al Pronto Soccorso, mi pare che sintetizzi il progetto politico culturale della Casa.
Si, la scelta di dare vita a persone immaginarie, questo raccontare la vita intima della protagonista, della sua famiglia, di altre donne, senza nessun limite, come accade appunto nei romanzi, mi ha consentito una grande libertà creativa, che spero renda la lettura avvincente.

Hai detto che facevi le supervisioni. Puoi spiegare che cosa sono
Nel romanzo emergono con chiarezza anche perché prendersi cura delle donne maltrattate, che hanno subito violenze di tutti i generi dai loro mariti, compagni, padri, fratelli per anni senza ribellarsi, non è come fare due chiacchiere. Il pensiero femminista, non tutto, aveva capito che la via per prendersi cura di queste donne non passava per la competenza psicologica, psichiatrica ma per la acquisizione di una consapevolezza politica e culturale della violenza del patriarcato. La relazione tra donne è teorizzata come relazione di lotta e di cura. Le operatrici accolgono le donne senza giudicarle, senza condizionarle, cercando di attivare le loro risorse interiori e aumentare l’autostima. È un lavoro faticoso, difficile, coinvolgente e può costare molto alle operatrici. La supervisione è un contenitore dove condividere e elaborare in gruppo e con una psicoterapeuta esperta le emozioni più difficili.

Attraverso la storia della Casa delle donne il libro consente anche di ripercorrere la vicenda politica di Bologna, che nel 1999 vide l’unica vittoria del centrodestra in Comune, dalla fine della guerra ad oggi.
Proprio così. Quella vittoria aveva molte spiegazioni e molti obiettivi, che non riguardavano la Casa delle donne.  Ma   provarono a fare chiudere la Casa. Il centrodestra non gradiva il lavoro politico culturale contro il maschilismo e il patriarcato svolto dalla Associazione della Casa delle donne per non subire violenza che gestiva la struttura finanziata da Regione, Provincia e Comune. Questo evento lo racconto con molti dettagli. Fu una lezione per la Casa, che iniziò a raccogliere donazioni da privati. Fu necessario anche scrivere un codice etico relativo ai donatori e alle donatrici.

Un pregio del libro è avere reso di facile comprensione il funzionamento di un centro antiviolenza. La maggior parte delle pubblicazioni sulla violenza la raccontano dal punto di vista delle donne vittime di violenza. Tu la racconti dal punto di vista delle operatrici, volontarie o retribuite, spieghi quali e quante motivazioni possono esserci dietro questa scelta, come si cercano I finanziamenti, quanto incida la politica. A questo proposito tu citi cinque donne nella tua nota, con nome e cognome. Perché?
Perché negli anni ottanta a Bologna la alleanza tra il movimento femminista e le donne del Partito Comunista Italiano elette nelle istituzioni, produssero una innovazione politica di alta qualità, la sussidiarietà. Prima nacquero il Centro di ricerca e di documentazione delle donne e la Biblioteca delle donne.  Progettato da un gruppo di donne a fine anni Settanta e poi gestito, dal 1983, in convenzione tra queste (associazione Orlando) e il Comune di Bologna, oggi è uno dei centri di documentazione più importanti nel panorama europeo. Con lo stesso modello fu firmata la convenzione tra l’Associazione Casa delle donne e Comune nel 1989.

In che cosa consiste questa sussidiarietà?
Le istituzioni locali con un finanziamento già stabilito fanno un bando. Descrivono il servizio che una certa struttura deve garantire gratuitamente, con particolare attenzione agli obiettivi da e le Associazioni che intendono concorrere presentano un progetto. Una commissione valuta i progetti e il migliore vince. Viene stipulata una convenzione che può durare un anno o più e può riguardare soldi o strutture. Chi ha vinto gestisce fino alla scadenza senza nessuna interferenza dell’istituzione. È evidente che lo schieramento politico che governa è determinante. Per questo sono molto importanti anche le donazioni di privati. È molto recente la donazione del cachet di Sanremo devoluto da Chiara Ferragni all’Associazione Donne in Rete contro la violenza, di cui la Casa delle donne è socia fondatrice.

Alla fine del tuo libro c’è il racconto di una conferenza stampa dove viene annunciata la nascita di un centro per curare gli uomini violenti anche grazie al sostegno della Casa delle donne. C’è la preoccupazione che possano essere sottratti finanziamenti alle Case delle donne per aprire questo servizio per gli uomini?
Si e no. No, perché un buon funzionamento di questi centri è nell’interesse delle donne. Il nostro obiettivo non è solo sottrarre le donne alla violenza, ma anche fare in modo che gli uomini cessino di considerare le donne una loro proprietà, liberi di picchiare e uccidere. Sì, se ne viene fatto un uso strumentale, come purtroppo accade. Gli uomini denunciati che si rivolgono a questi centri possono avere sconti di pena. Nessuno controlla quanti incontri fanno, che risultati ottengano. Se ci vanno solo per avere sconti di pena, non solo dimostrano di non essere motivati ad un cambiamento, ma ne fanno un uso strumentale. Ci sono parecchi aspetti giuridici da rivedere. Da un punto di vista culturale comunque la creazione di questi centri è un riconoscimento della responsabilità del patriarcato.

Chi speri legga il tuo libro?
Donne che possono riconoscersi in Francesca e in sua madre. Le storie curano e possono stimolare a chiedere un aiuto. Anche uomini ovviamente per prendere coscienza.

Maddalena Vianello scrive nel l’introduzione che “questo non è un libro con lo sguardo ancorato al passato, tutt’altro. Racconta una storia viva, conducendo attraverso la scoperta della costruzione delle origini e della progressiva evoluzione degli strumenti che maneggiamo quotidianamente per fronteggiare il patriarcato e agire la demolizione della violenza di genere. Sarebbe bello se fosse archeologia.” Secondo Vianello la cultura patriarcale non è archeologia e forse si può pensare che lo sia nelle democrazie occidentali più avanzate ma perché lo diventi in tutto il mondo occorrono ancora lunghe battaglie.
In molti casi purtroppo non possiamo affermare che sia archeologia neanche in questa parte del mondo perché il patriarcato è un modello relazionale e anche le donne possono essere patriarcali. Pensiamo alla tendenza estremista di modificare opere d’arte del passato considerate politicamente scorrette. La trovo aberrante. Nulla può modificare il passato. Invece si può e si deve lavorare per cambiare il presente e il futuro. Questo richiede un lavoro accurato e profondo, per conquistare gli uomini e le donne a vivere relazioni consapevoli, libere, non fondate su una logica dominante-dominata. Questo richiede un'educazione al rispetto delle diversità fin da piccole e piccoli, altrimenti non si spezzano le catene della trasmissione psichica transgenerazionale dalla nonna, alla madre, alla figlia e dal nonno, al padre, al figlio come nella vicenda di Francesca.


   Doriano Fasoli


Indice Conversazioni


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