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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


Freud e la psicoanalisi: una passione indomata

Conversazione con Nelly Cappelli
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- Maggio 2023


Nelly Cappelli è dottore in Filosofia, Psicologa, Psicoanalista Membro Ordinario con Funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana e dell'I.P.A.
Svolge la libera professione come psicoanalista e psicoterapeuta di adulti e adolescenti.
Autrice di Motivi freudiani: Opere e concetti, Borla, Roma, 2014, ha pubblicato numerosi saggi e articoli su riviste specializzate italiane e estere. Curatrice dei volumi: Freud S. Psicopatologia della vita quotidiana, BUR, Milano, 2010, recentemente ripubblicato; Freud S. Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio, BUR, Milano, 2010 e Freud S. Io, la psicoanalisi, BUR, Milano, 2011.
È stata redattrice della Rivista di psicoanalisi e di Psiche. Rivista di cultura psicoanalitica.
È appena uscito Freud e la psicoanalisi: una passione indomata, Alpes, Roma, 2023.


Dottoressa Cappelli, quando è nata l’idea di questo libro, “Freud e la psicoanalisi: una passione indomata” (pubblicato in questi giorni da Alpes)? Da quale urgenza?

Mossa soprattutto dalla clinica, direi che, quasi quotidianamente, indugio su qualche scritto di psicoanalisi e spesso, molto spesso, finisco col tornare al testo freudiano.
Già, anni fa, avevo scritto un volume su Freud: Motivi freudiani, con l’intenzione di illustrarne i basilari. Dopo quella pubblicazione, giorno dopo giorno, si sono accumulate, organizzate, nuove osservazioni, domande, intuizioni, stimolate anche dalla lettura di altri autori che si sono cimentati con il testo freudiano.
Ogni volta che si rilegge un’opera di Freud si scoprono elementi o idee che alle letture precedenti erano sfuggite, oppure che, al momento, sembravano acquisite, poi ci si accorge che erano state dimenticate - suppongo, rimosse -.  Non solo la storia della psicoanalisi ripercorre le vie dell’inconscio e, in dati periodi, o a ondate, alcuni temi vengono scissi, rimossi, pervertiti, smorzati; anche la lettura di Freud sembra avere lo stesso destino.
D’altra parte, sono consapevole del fatto che ogni operazione di “lettura” dell’opera freudiana non si possa pensare come “pura” e che comporti un certo grado di interpretazione personale del testo. Ho cercato di non cadere nelle trappole della “elaborazione secondaria “, dei processi secondari, che rispondono all’esigenza di coerentizzare, unificare, rendere comprensibile un’opera, col rischio di attutirne la portata rivoluzionaria e dirompente e occultarne le contraddizioni intrinseche.
Lentamente, il desiderio è diventato determinazione a scrivere di nuovo su Freud… è una passione indomata.


Freud e la psicoanalisi: una passione indomata


Come si può considerare nel suo complesso l’opera freudiana?
Riguardo allo psichico, il testo freudiano è quello più ampio, più ricco, più complesso e articolato di cui tuttora disponiamo.  Questo non significa che la concettualizzazione non possa essere ampliata, che non ammetta, o addirittura richieda, aggiunte, integrazioni, nuove articolazioni. Anzi, fu Freud stesso a indicare questa via: revisionò, modificò anche in modo sostanziale, riformulò non solo le idee, ma portò aggiunte, concrete, ai suoi scritti. L’opera che ci ha lasciato è un’opera aperta e stratificata. Anche le “difficoltà”, le “problematiche” rappresentano uno stimolo a formulare nuove domande, sono generative di percorsi di pensiero nuovi.

Quali sono i “motivi” ancora molto attuali del pensiero freudiano?
C’è un quantum di attualità intrinseco, se così posso dire, nel discorso freudiano: senza i fondamenti, non si edifica nulla. Se vogliamo andare avanti, dobbiamo tornare indietro.  Anche autori che, di fatto, hanno ideato una propria metapsicologia, dotata di paradigmi e di un lessico peculiare: penso, per esempio, a M. Klein, a Bion - si potrebbe dire anche Winnicott - a Kohut e altri, hanno inevitabilmente dovuto misurarsi con Freud.
La sua domanda mi interroga molto. Posso provare a risponderle anche su un piano diverso, cercando di individuare alcuni punti - sarebbero innumerevoli - sui quali Freud viene tacciato di essere antiquato, obsoleto, per cercare di mostrare che è vero il contrario, almeno a mio avviso.
Intanto, se leggiamo con cura le sue parole, vediamo che, già nel 1925 e nel 1938, aveva accennato a patologie che oggi definiamo: “al limite”. Mostra di aver intuito che vi siano patologie non strutturate (come invece lo sono la nevrosi, la psicosi e, la perversione); queste situazioni di sofferenza non strutturata corrispondono a quelle che oggi definiamo casi borderline. Freud non sviluppò queste idee, che restarono presagi di ampliamenti futuri della teoria.  Come sappiamo, nel tempo, la psicoanalisi ha dovuto consentirsi la possibilità di estendere il proprio campo, per affrontare i problemi teorici e tecnici posti dall’esigenza di curare pazienti non nevrotici.
Anche nel Progetto (1895)troviamo passi in cui sembra che Freud descriva, senza saperlo, quei casi di psicofobia che incontriamo in alcuni pazienti, oggi. Dice che, quando il processo di pensiero si scontra con un’immagine mnestica ancora indomata (sembrerebbe non rappresentabile o non traducibile in rappresentanza ideativa) «si formano segni di qualità di essa, spesso di ordine sensoriale, insieme a sensazioni spiacevoli e inclinazioni alla scarica, la cui combinazione caratterizza un particolare affetto, e il decorso di pensiero è allora interrotto» (Freud, 1895, O.S.F.2, 258). Il fragile Io teme, insomma, di poter essere sopraffatto, travolto, e blocca l’attività stessa del pensare… in nuce c’è il pensiero del negativo.
Un’altra critica che viene posta a Freud è quella, risaputa, di aver creato un modello intrapsichico solipsistico. Ora, quando Freud parla dei primi movimenti psichici, simula ciò che può accadere nella mente del bambino: si tratta di una fictio. Ovviamente, sa bene che il neonato è hilflos e che ha concretamente bisogno dell’”Individuo soccorritore”.
Ulteriore riprova: se pensiamo a Costruzioni nell’analisi (1937), vediamo bene quale ruolo assuma l’oggetto, ossia quale compito spetti all’analista, quando il paziente è incapace di ricordare, o non può arrivare a una rappresentanza psichica o ideativa. Quando Freud parla del bambino come “perverso polimorfo” pensa alla componente autoerotica, narcisistica. E non sbaglia. Nel secondo tempo della maturazione sessuale, ecco che l’oggetto acquisterà nuovo significato, come se venisse scoperto. Se seguiamo questa linea, arriviamo al ruolo che l’oggetto assume in Lutto e melanconia (1915-17), per non parlare di Inibizione, sintomo e angoscia (1925).
Freud riconosce, inoltre, il ruolo svolto dalla società, dalla cultura, dall’ambiente, dalla storia, come vediamo, per esempio, in Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), nel Disagio della civiltà (1929), nei Tre saggi sull’uomo Mosè e la religione monoteistica (1934-38), solo per citare alcune opere, tra le più note.
Un altro elemento, poi mi fermo. Freud era più psicoanalista o più psicoterapeuta? Il quesito, che ho trattato nelle pagine del libro, se lo pone Freud stesso.  Anche Pontalis se lo chiede, constatando lo sconcerto, la delusione di Freud, quando deve ammettere che alcuni pazienti non vogliono saperne di guarire, che vedono lo “stare meglio” come qualcosa da temere: nel Freud che deve riconoscere, in alcune analisi, il ruolo di un’incoercibile coazione a ripetere, del masochismo e della reazione terapeutica negativa. In altre parole: la potenza della pulsione di morte. Allora, Pontalis conclude che, forse, Freud mirava a che i suoi pazienti stessero meglio, non voleva solo “analizzarli”…
Sarà anche rimasto deluso, Freud, ma non si è fermato e, per quanto Derrida ne “interpreti” l’incedere come zoppicante, procede. A indagare come l’organismo voglia «dirigersi verso la morte per la propria via» (Freud, 1920, O.S.F.9, 225).

Tra i post-freudiani, chi, secondo lei, ha colto meglio il suo spirito?
Sicuramente André Green, che assume, nel suo insieme, l’impianto teorico freudiano, facendolo lavorare con l’esperienza clinica acquisita con casi che Freud non riteneva adatti all’analisi, e ampliando la teoria anche alla luce di quanto appreso da Bion, Winnicott e Lacan.
Green è un autore ricchissimo e non pretendo certo di sintetizzarne il pensiero. Però posso accennare ad alcuni punti di contatto con Freud.
Anche per Green, come per Freud, non tutto ciò che accade in analisi è transfert; però, tutto ciò che ci parla, in analisi, è transfert, che è il vero motore della cura.
Nel concetto unitario di transfert che Green propone, convergono due aspetti: transfert sul discorso e transfert sull’oggetto. Il discorso è una elaborazione interna del soggetto indirizzata a sé stesso ed equivale al lavoro del sogno, nell'inconscio. Avendo, Green, esplicitato l’inscindibile legame tra soggetto e oggetto (non si può concettualizzare l’uno a prescindere dall’altro), a cosa giunge? Dice che è vero che la psiche, ripetutamente, continuamente, tenta di far ritorno a sé stessa, ma che l’analisi è un ritorno a sé che avviene passando attraverso l’oggetto, l’analista (transfert sull’oggetto). È proprio per questo che il “ritorno” può essere foriero di trasformazioni. Il transfert sull’oggetto travalica il linguaggio, non può essere contenuto dal processo di verbalizzazione. Ed ecco qui ricomparire l’attenzione di Green verso l’affetto (nel senso dell’Affekt freudiano). Forse, compaiono sullo sfondo anche quei ricordi indomati, di cui parlava Freud.
La sua domanda mi fa anche riflettere su una affinità “personologica”: anche Green è stato un grande e raffinato metodologo, dotato di una straordinaria competenza nell’individuare/creare le connessioni tra teoria e clinica. Poi, la vasta cultura, la curiosità intellettuale; immagino anche un “grande temperamento”: spiriti indipendenti, non addomesticabili.

Quali, tra le opere di Freud, ritiene personalmente la più significativa?
Come psicoanalista, credo che il Compendio sia l’opera più preziosa. Quella che amo di più, però, è Al di là del principio di piacere: opera sofferta, necessaria e che rivela molto dell’animo umano.

Dove va oggi la Psicoanalisi?
Ci sono più psicoanalisi, più vertici teorici, che partono da assunti diversi, privilegiano aspetti diversi e mettono a fuoco componenti diverse della vita psichica…
Detto questo, la psicoanalisi che amo è nel parterre e nel souterrain dell’edificio, come scrisse Freud a Binswanger, nel 1936: da lì, può comunicare con le altre discipline e gli altri saperi. La psicoanalisi è forte del suo Metodo: fa lavorare insieme la clinica, che è estremamente complessa e la teoria, un’astrazione, che permette di avere un’idea di quello che all’inizio non è evidente.


Alta marea bassa marea


Lei si è provata di recente in una traduzione di brevi racconti di Pontalis, raccolti in un volume intitolato “Alta marea bassa marea” (edito sempre per Alpes). Quali temi tocca? Vuole parlarne?
Oh sì certo. Sono entusiasta di questo libro che prevede anche un seguito: l’editore Alpes ha reso possibile la realizzazione di un progetto che coltivavo da tempo, cioè la traduzione dei racconti di Jean-Bertrand Pontalis, quelli ancora inediti in italiano. Il volume appena uscito è stato tradotto a “quattro mani”, da Barbara Serrati e da me. Per i successivi, ci stiamo organizzando in un ristretto gruppo. Diciamo che abbiamo cominciato dall’ultimo, o meglio dall’ultima raccolta che l’autore diede alle stampe. Di cosa parla? Della vita, degli amori, dei disamori, dei lutti, degli incantesimi, delle occasioni mancate e di quelle vissute appieno. Pontalis doveva essere un tipo speciale: ti sembra che parli di altri, poi senti qualcosa: a volte, un tuffo al cuore, altre, come un battito d’ali e capisci che parla di te.


   Doriano Fasoli


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