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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

Alle radici dell'Ermetismo

- Prima parte
di Daniele Mansuino

Gennaio 2024


È lecito, senza dubbio, cercare le origini dell’Ermetismo guardando in alto verso l’Assoluto, con le sue coorti di angeli e galassie lontane; però chi non voglia perdersi nel vuoto può limitarsi al fatto indiscutibile che in un remoto passato - più remoto di quanto oggi si possa immaginare - la scienza ermetica sgorgò, dalla materia, in Egitto.
Ai primordi della civiltà egizia, l’applicazione abituale delle leggi ermetiche alla vita di ogni giorno rende molto difficile agli studiosi la separazione tra il dominio della magia e la realtà fondata su correlazioni di causa-effetto: una distinzione che gli Egizi non pensavano neanche lontanamente di effettuare.
Non è possibile, quindi, individuare presso di loro un’arte magica praticata da specialisti, sul tipo dei maghi itineranti che si incontrano in vari luoghi dell’antichità: ovvero una magia destinata ad evolvere lungo cammini indipendenti dalla scienza e dalla religione.
Invece, un tratto della magia egizia di cui difficilmente si ritrova traccia in altri contesti è il suo scendere dall’alto: infatti, essendo i sacerdoti anche i depositari delle scienze magiche, la magia privata ebbe origine dall’osservazione e dall’imitazione dei rituali di stato che essi praticavano in favore del Faraone e delle classi al potere.
Quest’ultimo era un fenomeno inquadrabile nel normale schema di diffusione delle pratiche magiche, le quali - con il passaggio dei popoli dal nomadismo al sedentarismo - tendevano a trasformarsi da forme sciamaniche in manifestazioni di ritualità religiosa, destinate ad adempiere anche a funzioni di ordine pubblico. Ma non è altrettanto usuale che anche i rituali privati venissero commissionati ai sacerdoti che operavano nei villaggi: in alcuni casi, sono state ritrovate sequenze di statuette o figurine per rituali privati raffiguranti, su piccola scala, quelle in uso nei rituali di stato.
I primi Ermetisti-sacerdoti-maghi erano anche medici, perché magia e medicina erano la stessa cosa, espressa nel termine pbr.t, che designava indifferentemente un incantesimo o una cura medica - spesso quest’ultima fondata sulla legge di analogia, come nel caso dei gusci di struzzo polverizzati da applicare ad una testa rotta - ed erano pbr.t anche certi preparati che oggi definiremmo di magia nera, come la pozione per azzoppare le membra umane.
Non lontano da Luxor è stata rinvenuta una scatola di legno che conteneva il necessaire magico di un sacerdote. La sua superficie esterna era ricoperta da un foglio di gesso bianco, e la figura di uno sciacallo era disegnata con inchiostro nero sul coperchio.
Il contenuto comprendeva: ventitré papiri con incantesimi, penne di giunco, quattro coltelli d’avorio, perle, amuleti, un Ureo di bronzo, fasci di capelli, quattro bambole femminili per promuovere la fecondità, le statuette d’avorio della Dea dei Serpenti Beset, di un mandriano che trasporta un vitello ed altre illustranti le attività quotidiane, pronte per la necessità di un’azione rituale rapida.
Per esempio, la statuetta del mandriano veniva usata nel caso, assai frequente, che si dovesse trasferire una mandria o un gregge al di là di un corso d’acqua; allora il pastore prendeva una bestia sulle spalle, entrava in acqua e le altre lo seguivano. Il sacerdote lo sorvegliava dalla riva, tenendo alta la statuetta, e recitava: Attraversa il canale, scampa alla morte, tieni lontani i coccodrilli! O pastore, fissa il tuo viso sui canneti e il coccodrillo non ne uscirà. Vedrai uscire tanti coccodrilli quanti ne vedresti se fossi cieco; e tuttavia, se ami le tue bestie, vigila, e il coccodrillo non uscirà.
La magia praticata dai sacerdoti era strettamente legata ai miti della creazione, che in Egitto erano numerosi. Per esempio, nella versione che vede il mondo creato da Neith, madre di Ra, la Dea dice: Io elaboro incantesimi per portare alla luce quello che è nel mio corpo, e recito le mie parole in modo che tutto ne venga fuori.
Un’altra forma, più dettagliata, di questo mito include la presenza di Heka, il Dio della Magia, il quale - prima ancora che sorgesse la dualità - venne creato per generare la molteplicità delle forme.
Ma non le creò dal nulla, bensì riproducendo sulla Terra le immagini di ciò che si manifestava all’interno dell’unità primordiale; e questa fu l’origine del ba e del ka, cioè dello spirito e dell’anima.
Il ba si manifesta nell’Unità, poi Heka ne sviluppa l’idea nel ka, e da questa sorgono le forme: il Dio si trasforma in milioni.
La connessione ideologica del potere che genera le forme con quello che preserva dai pericoli e guarisce dalle sofferenze, nonché l’identificazione di questo complesso di memi con il potere sociale, costituisce il meccanismo (un po’ diabolico, se vogliamo) che, abbozzato ai tempi degli Egizi, diede origine alla magia che governa le società umane.
Da un altro punto di vista, la profondità della dimensione metafisica legata alla magia ne fa un tutt’uno inscindibile con le pratiche di trasmutazione interiore, e quindi con la ritualità funeraria praticata dai sacerdoti (ho avuto occasione di osservare in altri articoli come, presso gli Egizi, queste due sfere in apparenza ben distinte della ritualità coincidessero nella pratica).
Tutto il processo di confezionamento delle bende, degli oli, degli amuleti e degli unguenti impiegati nei riti funerari era scandito da formule e riti magico-sacerdotali; e così pure ogni fase della preparazione della mummia, sulla quale vigilava il patrocinio di divinità dal potere risanante, come Horus, Anubi, Isis, Imothep e l’Osiride Sokar.
In quell’epoca primitiva dell’Ermetismo, la legge del sette non era ancora legata ai pianeti e ai colori; il che viene interpretato, da una parte degli esoteristi di oggi, come una conferma che il tracciamento di un tale legame possa essere equiparato ad una deviazione moderna.
Sfugge loro la natura dell’Ermetismo come scienza perennemente in itinere, dall’Alchimia dei fabbri della preistoria all’Ermetismo propriamente detto, al Rosacrucianesimo, alla Massoneria, al Teosofismo, alla new age, eccetera; e sfugge loro la regola, applicabile in primo luogo alle categorie storiche, per cui una nozione del passato non va valutata sul metro della cultura odierna, ma sulla base della cultura che l’ha espressa.
Così, il verde (w:<J) degli Egizi includeva il nostro blu (le acque del Nilo spaziavano dal verde al blu a seconda della stagione), il rosso (dfr.) delle sabbie comprendeva l’arancione, il giallo e il rosa, e così via … sia chiaro, non avevano occhi diversi dai nostri - avevano soltanto una scala cromatica diversa, elaborata (come la nostra) sulla base del paesaggio con cui si ha a che fare; e se la loro classificazione dei colori era diversa da quella di oggi (come erano diverse la botanica, l’anatomia e la zoologia), è incongruo il pretendere di trovare armoniosamente dispiegato nell’Ermetismo egizio il settenario dei colori individuato da Pitagora e sviluppato da Newton.
Non essendoci abbastanza colori, le più antiche formulazioni del settenario erano legate ai Sette Saggi della Vacca Primordiale, che erano anche detti i Sette Nodi o le Sette Parole Creative che hanno dato la Vita al Mondo; ed erano anche le Sette Risposte che Atum dava ai sacerdoti quando lo interpellavano per conto di un defunto (dice un papiro: Le Sette Risposte uscirono dalla sua bocca, e diventarono Sette Dei).
Parecchi esempi della progressiva trasposizione della magia dai rituali di stato alla pratica privata si possono riscontrare nei riti per colpire i nemici o soggiogare i demoni, il cui archetipo si può ritrovare nella battaglia in cui Ra-Osiride abbatte il gigantesco serpente Apep (Apophis in greco), e dopo di lui tutti i malvagi che lo sostengono, nella Settima Ora dell’Amduat (altre versioni di questa battaglia sono presenti nel Libro di Apep, nel Libro dei Morti e nei Testi dei Sarcofagi).
Avveniva dunque che, sotto il patrocinio del potere centrale, esecuzioni del Rituale di Apep - impressionanti per dimensioni e sforzo organizzativo - venissero poste in opera ai confini del paese, nei territori esposti al rischio di attacchi nemici.
Nel rituale di Apep, al praticante (che era talvolta il Faraone in persona) viene ingiunto di distruggere le immagini di Apep e dei propri nemici:

Questo incantesimo è pronunciato su Apep, disegnato su un nuovo papiro con inchiostro fresco e posto all’interno di una bara ... inscrivi per te stesso i nomi di tutti i nemici, maschi e femmine, che il tuo cuore temee i nomi dei loro padri, delle loro madri, dei loro figli, ponili entro una bara, e falli anche in cera, da porre sul fuoco dopo il nome di Apep
e c’erano varie forme possibili di trasposizione analogica del racconto, comprendenti la distruzione di immagini, tavolette, disegni eccetera, ed anche sacrifici di animali che venivano fatti corrispondere a demoni o a nemici.
Così, esistono testimonianze dell’uccisione, in diversi Rituali di Apep, di una capra rossa, di un bue, di varie oche e di quattro pesci. Questi ultimi venivano battezzati con nomi di demoni nemici del Re e del mondo, che erano poi trascritti con inchiostro fresco su foglietti di papiro ed affissi alle bocche dei pesci con cera bollente; le loro vasche venivano disposte presso i quattro portali del Tempio, ed i sacerdoti li estraevano dall’acqua e li uccidevano con i coltelli.
Venivano poi gettati in un fuoco, ad imitazione del rogo di nemici nella fornace dei ramai, perpetrato da Ra-Osiride dopo la vittoria su Apep.
Mentre i pesci arrostivano, venivano lette pagine dal Libro di Apep; infine, i sacerdoti gettavano i loro resti in un canale.
In una variante del Rituale di Apep, detta il Rituale dei Pesci colpiti, è da notare la presenza del numero quattro, legato all’azione magica nella dimensione dei Quattro Elementi, e quindi Numero degli Incantesimi: lo ritroviamo, per esempio, nel Rituale per respingere l’Attacco dei Quattro Nemici i cui Nomi sono scritti sul loro Petto con Inchiostro Fresco, e in vari altri cui accennerò.
È stato scoperto, presso il confine con la Nubia, un piazzale adiacente ad una fortezza, che a suo tempo era adibito alla celebrazione dei rituali di stato; da esso si sono potute desumere varie informazioni sui Rituali di Apep che vi venivano praticati.
Nel più importante di essi veniva scavata una fossa ovale, profonda non più di una settantina di centimetri, dal diametro di circa due metri in superficie e di un metro sul fondo.
In essa venivano collocati cinque recipienti di fango essiccato, simili nell’aspetto a crogioli per la fusione del rame: era la fornace dei ramai, nella quale venivano gettate placche di argilla con incisi i nomi dei nemici, oppure statuette in calcare.
Si pensa che il numero di cinque crogioli corrisponda alle cinque sezioni in cui era abitualmente diviso il testo dei rituali di stato: una per agire contro gli Asiatici, una contro i Nubiani, una contro i Libici, una contro gli Egizi traditori e una contro i demoni.
Nella versione del rituale con le statuette ne venivano usate quattro, che poi venivano sepolte ai punti cardinali, per proteggersi contro i nemici provenienti da ogni direzione.
Va rammentato che la preparazione delle placche, delle statuette e di tutti gli oggetti usati nei riti era rituale a sua volta, da svolgersi sotto determinate condizioni orarie, procedurali, ambientali, planetarie e lunari.
Un’altra versione del Rituale di Apep che veniva praticato in quel piazzale prevedeva un sacrificio umano. Davanti alla fornace dei ramai veniva fatto inginocchiare un prigioniero legato, e di fronte a lui veniva arso un certo numero di statuette di cera, colorate con ocra rossa (si pensa in numero variabile a seconda del risultato che col rito si voleva ottenere); il prigioniero veniva poi decapitato con una lama di selce, e la sua testa veniva arsa nel crogiolo centrale in posizione capovolta. Invece il corpo veniva abbandonato ai margini del piazzale, dopo averlo sommariamente ricoperto di terra.
Può darsi che la sequenza complessiva delle sevizie al prigioniero fosse svolta secondo lo schema, proposto dal Libro dell’Amduat, che veniva rispettato nelle pubbliche esecuzioni dei delinquenti e dei nemici del Faraone: in quei casi la vittima veniva dapprima bruciata viva, e poi la decapitazione, lo smembramento, il ribaltamento e la sepoltura venivano praticate sul cadavere.
Tra i rituali di stato, merita una citazione quello che è, forse, il più antico rituale fondato sul settenario di cui si abbia notizia: il Rituale per ribaltare gli Incantesimi e soggiogare l’Universo.
Di esso ci è giunta la versione che ne veniva praticata per preservare la Casa della Vita, ovvero il locale nel quale i sacerdoti custodivano gli scritti sacri; per metterla in opera, occorrevano un gran numero di statuette di cera e giare.
Le statuette venivano accoltellate con lame di selce, e gettate una dopo l’altra in una delle giare, nella quale veniva inserita anche una scritta di cui non ci è giunto il testo esatto, ma il cui senso era Circonda i Nemici.
Alla giara ci si rivolgeva dicendole: Possa tu avere potere sui ribelli (e questo parlare con gli oggetti, attribuendo loro la vita, è uno dei tratti più caratteristici della magia egiziana), dopodiché veniva fracassata gettandola in una fossa.
Ogni sette giare gettate nella fossa, il mucchio di cocci e statuette veniva sepolto rovesciandoci addosso statuette di fango raffiguranti: animali selvatici (oche in volo, coccodrilli), bestiame mutilato, parti del corpo umano (teste mozzate, piedi, torsi senza arti, occhi, ecc.), barche di canna spezzate, sassi o palle d’argilla di forme particolari (lenticolari, coniche e piatte, forse per evocare i sassi scagliati da Ra-Osiride contro Apep), eccetera.
Tramite questo ciclo veniva colpito uno specifico nemico della Casa della Vita, il cui nome era scritto su papiri contenenti maledizioni, che venivano scagliati nella fossa insieme agli oggetti.
Secondo ogni testimonianza, l’efficacia di questo rituale era enorme; e, se si considera la complessità della sua preparazione e il gran numero di oggetti coinvolti, si può supporre che i sacerdoti della Casa della Vita trascorressero la maggior parte del loro tempo a prepararlo e ripeterlo ciclicamente, al fine di preservare al meglio i preziosi documenti loro affidati.
Anche in altri rituali di stato gli elenchi dei malvagi venivano inseriti entro giare, corredati di iscrizioni del tipo sono destinati al coltello nel giorno della distruzione, e li si chiamerà Nkiw (i Vinti, uno degli epiteti di Apep e dei suoi seguaci); le giare poi, venivano fracassate in corrispondenza di determinate configurazioni astrologiche.
Possiamo considerare come appartenente a questa famiglia quello che è forse il più celebre tra i rituali egizi arcaici giunti fino a noi: il Rituale dei Vasi Rossi, del quale risalta il suo essere un adattamento - per la nobiltà e i funzionari di corte - di una procedura riservata originariamente al Faraone.
L’antichità di questo rituale è veneranda: probabilmente addirittura anteriore all’Antico Regno, sebbene le sue raffigurazioni più antiche risalgano alla Quinta Dinastia, ovvero ai tempi delle mastabe, quando ogni rituale funebre di una persona importante era accompagnato dai ljry.w dfr.w, i Portatori dei (due) Vasi Rossi; la rottura dei Vasi Rossi era, infatti, una delle azioni che il defunto era tenuto a compiere, per cominciare con il piede giusto il suo viaggio verso l’aldilà.
Un elenco di questi atti comprendeva: lavarsi, sedere alla mensa (del dio), metterci le mani sopra, partecipare delle offerte al dio, rompere i Vasi Rossi, versare acqua fredda, purificare le tavole delle offerte, accendere un fuoco e bruciare l’incenso - ed una sequenza simbolica che, probabilmente, li riassumeva tutti, prevedeva le offerte mortuarie, il versamento dell’acqua e il bruciare l’incenso.
In una raffigurazione, è inserita a questo punto anche la rimozione delle orme: ovvero lo spazzamento rituale del locale in cui il rito veniva celebrato.
Va detto che il colore rosso era, per gli Egizi, il colore dei demoni e dei loro sovrani. Erano rosse le statuette di Seth e di Apep destinate ad essere picchiate, legate, calpestate, sputate, pugnalate, bruciate e bollite nell’urina per infrangere i loro ka, e rosso era anche l’inchiostro con cui i loro nomi venivano scritti; e sb dfr-fow, lo Scrivano delle Teste Rosse, era il funzionario addetto a compilare le liste dei nemici del Faraone, il destino dei quali non era migliore di quello delle statuette.
Tra i luoghi nei quali il Rituale dei Vasi Rossi veniva praticato, è senz’altro possibile annoverare il Tempio di Luxor, nel quale veniva eseguito dal Faraone in persona al cospetto di Amon-Ra; ed era probabilmente preceduto da una specifica liturgia dedicata a questo Dio, che includeva il trasporto dei Vasi in lungo e in largo nel Tempio.
Veniva poi consumato un pasto rituale al cospetto dell’Osiride non giustificato, ovvero del defunto - dopodiché, il sacerdote gli mostrava una raffigurazione dell’Occhio di Horus, e gli diceva:

Salve, o Osiride (nome del defunto), questo è l’Occhio di Horus. Prendilo per essere forte, e perché il nemico sia terrorizzato da te! Rompi i Vasi Rossi!
Allora il Faraone, o chiunque fosse incaricato di rappresentare il defunto, doveva colpire i due Vasi con una bastonata (altrove, con una sfera di pietra), frantumandoli contemporaneamente.
Questo gesto si pensava gettasse nel terrore i demoni ed i nemici. Nello stesso esatto momento, nel cortile del Tempio, veniva tagliata la gola ad un toro.
Si pensa che, nell’antichità, questo rituale venisse celebrato in tempo di guerra, probabilmente dopo la conquista di una città nemica: veniva allora portato un prigioniero (preferibilmente, se ce n’era uno tra i prigionieri, un vasaio) al quale venivano, in successione, cavati gli occhi, tagliate le dita, fracassate le ossa a bastonate e cavati i denti.
Dopo di questo, venivano arsi in un falò tutti i remi, i coltelli, gli scudi e gli attrezzi da vasaio trovati in città: soltanto in questo modo si poteva essere certi del buon esito della guerra.
La ragione per cui, tra tutte le vittime sacrificali possibili, una sorte così maligna fosse riservata proprio a un vasaio, risiede nella cosiddetta Profezia del Vasaio, secondo la quale l’Egitto sarebbe finito quando il vasaio del Faraone fosse stato catturato dai nemici, e i suoi vasi rotti: gli Egizi pensavano quindi che analoga sorte sarebbe toccata agli stranieri, se colpiti allo stesso modo.
Ma, a parte questa leggenda, esiste senza dubbio in magia un’analogia - sempre e dovunque presente - tra la fragilità dei vasi e quella della vita umana, a cui va aggiunta la considerazione che la loro onnipresenza ne fa un simbolo della realtà formale: in egizio, il termine III.v significa indifferentemente cose e pentole, più o meno come l’inglese stuff e il tedesco stoff.
Va detto poi che i vasi ridotti in cocci possono essere riparati, o (a seconda di quale terra fossero composti) riciclati per farne nuovi vasi; e questo apre a tutto un simbolismo di morte e rinascita di cui sappiamo poco, ma del quale si trovano tracce in vari riti.
Così, un blocco di maiolica verde veniva fatto a pezzi e buttato in un lago per ripetere l’assassinio di Osiride, anche se non è chiaro in che modo venisse poi ricomposto; probabilmente, con una procedura legata al simbolismo dei Quattro Elementi.
Sono compresi in effetti, tra gli epiteti di Osiride, anche Colui che si nutre di Oro e Maiolica (nella traduzione del Racconto di Horus e Seth secondo Alan Gardiner) e Testa Verde (Papiro Harness); il che allaccia la sua figura al simbolismo della Iniziazione di Elia (vedi gli articoli scritti da me con L. D. C. su questo tema).
A proposito di Seth, un rituale contro di lui prevedeva la realizzazione di una sua figura in cera rossa, acacia o legno, con il suo nome inciso sul petto ed inscritto, su un foglio di papiro nuovo, con inchiostro fresco. La figura veniva poi legata con un tendine di vacca rossa, vi si sputava sopra, si calpestava, si trafiggeva e si tagliava in due.
Un’estensione dei rituali di legamento sono i rituali di accerchiamento; interessanti anche perché il significato dell’accerchiamento è molto più double face rispetto a quello del legamento. Parecchi, infatti, sono i rituali di questa famiglia non volti a nuocere, bensì alla protezione; ed è da essi che ebbe origine quella vera star della magia di ogni tempo che è il cerchio magico, il cui rapporto con il legamento passa in genere inosservato, ma - qualora lo si voglia prendere in considerazione - fa riflettere assai.
Infatti il cerchio magico, con il suo separare in modo invalicabile lo spazio sacro da quanto sta al di fuori, ha in comune con il nodo del legamento (o con una corda avvolta intorno al corpo) la creazione di un blocco energetico. La differenza è che sul blocco ottenuto mediante il cerchio, date le sue dimensioni, è possibile intervenire, potendo scegliere se usare l’energia in esso costretta per il bene o per il male - ed è significativo che esistano, in egizio, due termini diversi per legare-circondare o accerchiare, fol e pl.Jr.
Il cerchio veniva tracciato, con un bastone o un gesto del braccio, intorno al mago stesso, o intorno alla persona che doveva beneficiare del rituale; unito alla recitazione di formule come Possa la protezione della vita essere intorno a me, o Con le mie braccia che ti hanno circondato (pl.Jr) per sempre, veramente sarò la protezione della tua carne, o ancora Questa fiamma ti circondi come tua protezione e amuleto.
Avendo così messo il lettore in sicurezza contro i suoi nemici, gli dò appuntamento al mese prossimo, per riprendere l’enumerazione dei vari sottogeneri della magia egizia.


Seconda parte


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