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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

Massoneria del Marchio e indipendenza

di Giovanni Domma

Luglio 2018

 

Si afferma comunemente che ogni Loggia massonica è sovrana, ovvero completamente indipendente nelle proprie scelte.
In verità, certi teorici della Massoneria confutano questa affermazione, distinguendo tra i vari tipi di ordinamento che governano le strutture massoniche ed affermando che in quelle amministrativamente più verticiste (per esempio il modello in uso presso la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, oppure anche il modello di ispirazione ottocentesca, che considera le Logge Azzurre subordinate all’autorità di questo o quel corpo rituale) di sovranità della Loggia, almeno tecnicamente, non si possa parlare.
Ma si tratta di confutazioni portate avanti sottovoce, in quanto l’idea dell’assoluta libertà della Loggia piace a tutti; ed anzi, molti pensano che dovrebbe essere maggiormente pubblicizzata, per sbugiardare le assurde rappresentazioni profane che vedono nella Massoneria una struttura governata dall’alto (o addirittura dal… terrore!).
Comunque, io non credo che sia il tipo di ordinamento a decidere se una Loggia è veramente sovrana, libera e indipendente: è piuttosto l’atteggiamento mentale dei Fratelli che ne fanno parte.
Con questa affermazione non voglio minimizzare l’importanza del requisito che un’officina, per considerarsi indipendente, debba essere immune da condizionamenti politici, giuridici o amministrativi: è ovvio che soltanto in una situazione di questo genere i Fratelli possono esprimere liberamente giudizi e opinioni. Ma è piuttosto dal punto di vista della libertà psicologica, di solito il più trascurato, che vorrei partire per queste umili riflessioni.
Indipendenza, nell’ordine pratico significa agire senza dipendere dagli altri, ed è senza dubbio una delle condizioni più felici che all’uomo sia concesso di vivere.
Alcuni giustamente la collegano ai concetti di emancipazione e maturità: tutti noi ricordiamo con piacere il momento in cui ci siamo garantiti l’indipendenza economica dalla nostra famiglia di origine, anche perché - almeno nel caso delle persone più fortunate -  ci ha consentito di scoprire un modo più puro di amare i nostri cari, senza più l’ombra della dipendenza e dell’interesse.
Nella vita, l’indipendenza di spirito è una delle qualità più essenziali: per chi ne sia sprovvisto è molto difficile trarre insegnamento dal confronto con gli altri, perché non sarà mai in grado di sviluppare con loro un rapporto sereno.
Se posso citare un esempio personale, quando insieme al compianto Fratello Massimo Vettese avviammo il progetto di introdurre dalla Francia la Massoneria del Marchio, la guida delle operazioni era completamente affidata a lui: perché viveva in Francia, perché parlava francese meglio di me, perché conosceva a menadito la geografia del Marchio e dei suo gradi laterali, mentre io ero ancora un novellino in materia, eccetera. Il fatto di dover dipendere da lui per tutte le decisioni fondamentali mi faceva sentire superfluo, e più di una volta ebbi la tentazione di lasciar perdere tutto.
Ma venne poi il giorno che Massimo, ancora in giovane età, venne a mancare - giorno di dolore insanabile per tutti i Fratelli del Marchio italiano, che non smetteranno mai di sentire la sua mancanza.
Che cosa potevo fare? Mi rimboccai le maniche e mi misi all’opera, sbagliando e facendo pasticci, ed imparando da ogni errore come non ripeterlo più; e adesso che il Marchio è una delle realtà emergenti della Massoneria italiana, guardo indietro e dico a me stesso che malgrado tutto ho fatto un buon lavoro.
Bene, soltanto dopo questa esperienza, forse un poco in ritardo rispetto ai normali tempi della vita, posso dire di aver conquistato la vera e piena indipendenza di spirito: quella che consente di continuare ad avanzare e salire anche - o forse, soprattutto - nei momenti più difficili.
Io credo che in questo il lavoro nel Marchio mi abbia aiutato molto, perché il mito centrale del grado è proprio fondato sul raggiungimento dell’indipendenza di spirito.
Già più volte vi ho fatto cenno su queste pagine, ma per chi non lo conosce lo ricorderò ancora una volta: alla Cava dove vengono preparate le Pietre per l’Edificazione del Tempio, un Compagno ha lavorato una Pietra di forma insolita, che gli sembra molto bella. Ma quando la presenta ai Tre Sovraintendenti costoro, invece di autorizzarlo ad apporre sulla Pietra il suo Marchio, la respingono con sdegno perché è troppo diversa dalle altre; somministrano poi al Compagno una bella lavata di capo, gli ordinano di buttarla tra gli scarti e lo rimandano alla Cava.
Dopodiché, l’Edificazione conoscerà un’improvvisa battuta di arresto perché non si trova la Chiave di Volta per completare un Arco; allora qualcuno si ricorderà di quell’episodio, la Pietra Perduta sarà recuperata ed installata al posto che gli spetta, ed al Fratello che era stato ingiustamente mobbizzato verranno tributati i dovuti onori.
Nell’articolo Riflessioni sul grado di Compagno d’Arte ho accennato, con Daniele Mansuino, a come sembri dalla prima parte del racconto che il Compagno avesse preparato la Chiave di Volta senza essere consapevole di ciò che stava facendo: è stato infatti il Grande Sovraintendente dell’Universo a guidargli la mano, consentendogli di produrre una Pietra che è misteriosamente diversa da tutte le altre, ma al tempo stesso fondamentale perché l’Edificazione del Tempio sia proseguita.
Il fatto che neppure il Compagno si sia reso conto di aver creato un capolavoro risulta chiaramente dal suo incontro con tre Maestri, che - reputandosi migliori degli altri - sono caduti vittima della loro orgogliosa cecità intellettuale; al punto che, trovandosi di fronte alla magnifica Pietra che il Compagno gli presenta, poiché è diversa dalle altre decidono di buttarla via, senza che egli sia in grado di spiccicare due parole in difesa del proprio lavoro!
(“La pietra che i costruttori avevano scartato è diventata pietra angolare” - Salmo 117: 22).
A quanti di noi è già capitato di incontrare, nella Massoneria o nella vita, i Tre Sovraintendenti arroganti? Ahimè, quando un’officina ha la sfortuna di ospitare qualche Fratello così, tutte le virtù massoniche - Sapienza, Bellezza, Forza, Libertà, Uguaglianza, Fratellanza; ma soprattutto il valore dell’Amicizia, che per me è il vino della vita, come dice il noto proverbio chi trova un Amico trova un tesoro - sono già volate via.
In molti casi, l’arroganza sorge come una malintesa risposta all’egoismo che impera nella società. È comprensibile, in un certo senso, che una persona dal carattere inquieto - non il più forte ma il più debole, con una scarsa resistenza alle frustrazioni - senta l’impulso di reagire all’ingiustizia facendo sempre come gli pare, senza tenere in considerazione le opinioni, i desideri e le necessità altrui.
Andrà a finire che ci disinteresseremo del nostro prossimo fino al punto di evitare ogni seria relazione affettiva, perché in essa vedremo solo una forma di dipendenza; e ancora, ci fisseremo esclusivamente sulla nostra realizzazione personale, senza pensare che questo idolo a cui tutto sacrifichiamo potrà forse risplendere di oro e di gioielli, ma ha i piedi di argilla.
Sono sicuro che anche voi, come me, potete ricordare qualche metamorfosi del genere… accaduta a qualche Fratello tornata dopo tornata, sotto i vostri occhi!
Il passo successivo è che il Fratello convertirà la Fratellanza e la disponibilità in torbidi e raffinati metodi per acquistare controllo sugli altri.
Ma voi gli dovrete rispondere: come possiamo amare davvero le persone da cui dipendiamo? Come possiamo sentirci liberi nel momento in cui siamo schiavi? Hai già dimenticato gli insegnamenti fondamentali della nostra Istituzione? L’affetto verso il Fratello può sorgere soltanto quando la Fratellanza è vissuta nel rispetto della libertà e dell’indipendenza di tutti.
E poi, mi raccomando: non accettate mai da persone così dei favori! È giusto che i Fratelli si aiutino tra loro, ma dev’essere una cosa disinteressata e reciproca, non un modo per condizionarvi e rendervi sudditi o dipendenti.
Quindi non fate lo sbaglio di accettare il loro gioco, magari per amor del quieto vivere o perché pensate che compiacerli sia il modo per neutralizzarli: loro non la pensano così! Più vi piegherete, più in segreto vi disprezzeranno.
Questi personaggi pensano che con i metalli possono comprare e fare quello che vogliono (non c’è persona più vuota di chi è piena di sé, e tanto più povera di chi come valore ha soltanto il denaro!).
In quella loro mente vuota, malata di invidia e assetata di potere, pensano che ogni essere umano ha il suo prezzo; e questo, ahimè, potrebbe avere anche una sua verità… ma dimenticano una cosa molto importante: che né la stima, né l’onore, e tantomeno il grande valore dell’Amicizia possono essere comprati.
Posso affermare con cognizione di causa che personaggi di questo genere si incontrano ben di rado nella Massoneria del Marchio; perché ciò che i Fratelli in essa possono trovare è una sorta di terapia dell’anima, che gli consente di conoscersi ed amarsi di più (sia chiaro, non in modo narcisista ma umile: sviluppando cioè quei valori che consentono all’essere umano di rendersi libero… anche da sé stesso).
Perché nessuno può arrogarsi il merito di conoscere verità assolute, ma tutti siamo chiamati ad essere umili di fronte alla nostra ignoranza.
È in questo atteggiamento socratico che l’uomo può trovare la ricompensa al suo agire, e con essa l’onore e la libertà.
Il mito del Marchio ci insegna come l’indipendenza di spirito possa talvolta essere raggiunta solo per mezzo di esperienze negative e traumatiche (nel rituale, il percorso psicologico vissuto dal Compagno è messo in evidenza molto meglio di come io abbia saputo fare in poche parole), e di come l’uomo non possa raggiungerla se non dopo essersi proposto coraggiosamente agli altri, aver interagito con loro, essere stato loro vicino nel bene e nel male: un approccio che, in teoria, abbiamo tutti presente benissimo, ma sappiamo altrettanto bene che praticarlo serenamente è un’altra cosa.
Carissimi, Fratelli, l’indipendenza di spirito è la porta della consapevolezza: una sorta di simbolo del Fuoco Alchemico, che si alimenta in ogni attimo della nostra vita attraverso un rapporto con gli altri ben sorvegliato e bene equilibrato.
Non ci neghiamo agli altri e non ne dipendiamo, e ci comportiamo sempre con la stessa obbiettività nei confronti di tutti: amici o nemici, ricchi o poveri, belli o brutti, intelligenti o stupidi.
Certo, non è vietato alzare il livello della fiamma quando siamo emozionalmente più coinvolti, altrimenti diventeremmo dei robot; però le vampate delle emozioni sprecano carburante, e se il Fuoco si spegne riaccenderlo sarà difficile, perché saremo scontenti di noi stessi e sfiduciati delle nostre capacità.
Invece, se riusciamo a mantenerlo sempre alla giusta temperatura, il Fuoco della Consapevolezza ha un effetto cumulativo. Le scelte che ci sembravano difficili diventano un po' alla volta più facili, perché lo sviluppo dell’intuizione allontana i dubbi più angosciosi, quelli che erano per noi soltanto un inutile spreco di energia; la nostra forza interiore cresce, e la capacità di gestire in modo equilibrato il rapporto con gli altri diventa tutt’uno con la nostra abituale condizione di vita (una condizione sulla quale però non ci dovremo adagiare: perché… l’errore è sempre in agguato, pronto a rammentarci quanto sia sciocco indulgere al compiacimento per i nostri successi, se va a scapito dell’autocritica).
Così, quella particolare forma di trasmutazione interiore che conduce il Massone all’indipendenza di spirito si rivela essere una delle più nobili forme di cui il lavoro sulla nostra Pietra possa adornarsi.
Molte pagine interessanti sono state scritte in proposito: se ne possono trovare parecchie, ad opera di autori inglesi, che collegano questo tipo di lavoro alla meditazione sul mito del Marchio (cosa che io non sapevo ancora quando adottai questo procedimento spontaneamente).
Però, la bella teoria non deve farci dimenticare che il modo giusto per imparare a nuotare è… buttarsi a bagno: saper ascoltare la voce del nostro io interiore, non avere paura dei nostri sogni, lavorare per realizzarli e saper rialzarsi quando si cade.
Nell’ambito della Muratoria Operativa, il Marchio viene considerato un rituale protettivo volto a tutelare dai pericoli dell’individuazione, ovvero dall’orgoglio e dalla presunzione: infatti, per i Maestri del Marchio, viene del tutto naturale incanalare il proprio lavoro con quello degli altri senza rivalità o contrasto, e tutti ne traggono beneficio, gioia e soddisfazione.
Posso affermare, con tutta sincerità, che tutti i Fratelli accostatisi seriamente al Marchio hanno espresso il loro giudizio sul proprio miglioramento interiore con grande soddisfazione: tanto da faticare a credere di essere cambiati tanto radicalmente, sia nel modo di pensare che di agire, e di essere diventati più umili e tolleranti.
Questo ci porta a riflettere; ed a ricordare che, se sapremo lavorare prima su noi stessi e poi verso il nostro prossimo, saremo ben ricompensati con la giusta paga.

 

  Giovanni Domma

 

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