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Leopardi e il canto popolare

di Domenico Caruso - Novembre 2023

 

“Il passero solitario” di Giacomo Leopardi (1798/1837) rappresenta il ritratto giovanile del poeta di Recanati:

“Ohimè quanto somiglia
al tuo costume il mio!”.

L’analogia con il passero è fondata sulla solitudine. Allo stesso modo del volatile che canta isolato, “pensoso” e “in disparte”, il poeta non partecipa agli svaghi giovanili, né all’amore. Ma se per il passero la scelta, indotta dalla natura, è necessaria e indolore, per Leopardi è una sorta di spiacevole costrizione.
La dissoluzione della società è analizzata nel marzo 1821 che ha ricacciato l’uomo moderno nell’isolamento del suo antico stato presociale: «Osservate i nostri tempi. Non solo non c’è più amor patrio, ma neanche patria. […] L’individuo solo, forma tutta la società […]. Prevalendo naturalmente l’amor proprio, questo si converte in egoismo, e l’odio verso gli altri […] diventa nella gran copia di occasioni che ha, più intenso e più attivo». (Zibaldone, I - 585-86).
In una lettera al Montani del 1819 la “popolarità” è vista dal poeta come necessaria premessa al risveglio civile della nazione.
Il gusto delle classi meno abbienti non fa breccia con l’idillio leopardiano, sarebbe un errore scambiarlo per folclorismo o verismo.
Nei “Canti” non c’è mai imitazione passiva della realtà che non proviene nuda, ma è fusa col sentimento del poeta e sempre letterariamente filtrata.
Il passero della lirica non è il comune uccello, ma nell’aspetto generale è assai più un merlo che, oltre alle abitudini solitarie, possiede un canto triste e melodioso.
In fondo esso rappresenta più un “topos” letterario che un volatile.
Riscontriamo una prima testimonianza nella Bibbia: “Vigilavi, et factum sum sicut passer solitarius in tecto. (Veglio e gemo / come passero solitario sopra un tetto). (Salmo davidico 101,9).
Fra le altre fonti, vi sono gli strambotti di Laureana di Borrello (RC) che Giovanni Battista Bronzini ha pubblicato in “Leopardi e la poesia popolare dell’Ottocento”.
Ecco il primo:

«Pàssaru solitariu su’ chiamatu,
di tutti l’autri acedhi su’ fujutu,
facìa lu nidu meu tantu ammucciatu
supa n’arburu siccu, e no hhiurutu!
D’un cacciaturi fudi secutatu,
d’un amicu di cori fu’ tradutu!
È megghiu essari amanti non amatu,
ch’essari amatu amanti e poi tradutu».

(Son detto passero solitario, / sono schivato da tutti gli altri uccelli, / facevo il mio nido così nascosto / sopra un albero secco e non fiorito! / (Ma) fui perseguitato da un cacciatore, / fui tradito da un amico di cuore! / È meglio essere amante non riamato, / che essere amante riamato e poi tradito).
(Da: “Canti popolari di Laureana di Borrello, Caridà e Serrata” raccolti ed annotati da G. Marzano, 2ª ed. - Laureana di B. - 1919, p.11, n.3).
L’antico motivo umbro-laziale della tortora sola e smarrita può rientrare nel circuito d’ispirazione del “Passero solitario":

«O tortora smarrita, dove vai
priva de la tua amata compagnia?
Vieni con me che piangerai li guai,
tu piangerai la tua, e io la mia,
tu piangerai la tua pel diletto,
io piangerò la mia, e la mano al petto;
tu piangerai la tua pel dolore,
io piangerò la mia, e la mano al core».

Anche in altri “Canti” riecheggia il motivo di alcuni strambotti, come quello delle Marche pubblicato nel 1953. La finestra nelle “Ricordanze”, ora che Nerina non c’è più, è deserta:

«Passo e ripasso e la finestra è chiusa;
non ce la vedo più l’innamorata,
non ce la vedo più come era prima;
quella che cerchi è morta e sotterrata».

Leopardi è un classico originale, fuori dagli schemi, che brilla di un’inconfondibile luce propria. L’ossimoro de “L’Infinito”, “naufragar m’è dolce”, è una metafora dello smarrimento.  Il naufragare con la mente è come immergersi in uno spazio infinito per poter raggiungere uno stadio di beatitudine.


Domenico Caruso

S. Martino di Taurianova (R.C.)

 

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Bibliografia essenziale:
1 - Giacomo Leopardi: “Canti”.
2 - Giovanni Battista Bronzini: “Leopardi e la poesia popolare dell’Ottocento” - De Simone Editore - Napoli - Istituto Grafico Italiano - Cercola (Napoli) - 1975.


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