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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

Alle radici dell'Ermetismo

- Seconda parte
di Daniele Mansuino

Febbraio 2024


Per quanto, in Egitto, il dio della magia fosse Heka, le formule protettive venivano considerate sotto la giurisdizione di Nefti, in omaggio al mito in cui ella venne in soccorso di Horus in una palude.
Così, sulla soglia del Terzo Santuario di Tutankhamon, Nefti si rivolge al Faraone e gli dice: Io ti ho circondato e non sei stanco, le tue membra non sono deboli.
Abbiamo accennato il mese scorso al cerchio magico, i cui effetti protettivi sono equiparabili a quelli del camminare intorno (in egizio, pbr, che significa anche ispezionare). Come in certi rituali il cerchio veniva tracciato con quattro giri del bastone o del braccio, così nei rituali funerari si circolava intorno alla mastaba per quattro volte; oppure, nei rituali per la dedicazione di uno spazio sacro (come quello per il Tempio di Edfu) il Faraone e i sacerdoti circolavano liberamente per il sito, purificandolo, delimitandolo e scongiurando le forze demoniache.
Un rituale privato derivato dalle dedicazioni templari è il Rituale per la Raccolta delle Piante (che sarebbe poi transitato dai sacerdoti egizi ai maghi greci): prima di raccogliere una pianta, il mago deve girarle intorno per tre volte, e fumigarla con resina di pino.
Sempre nell’ambito della magia privata, i rituali protettivi per luoghi ed abitazioni prevedevano di girarvi intorno reggendo torce o sventolando rami di piante aromatiche, così come il Faraone appena eletto compiva un giro completo intorno alle mura della capitale per confermarne la consacrazione; ed anche le processioni più importanti, come quella dell’Osiride Sokar, svolgevano percorsi circolari.
C’erano anche rituali, fondati sulla circumambulazione, che non avevano lo scopo di proteggere il luogo circoscritto, bensì la persona che ne compiva il periplo, come nel Papiro Edwin-Smith: <Jd mdw (11 s bt ds m ' ::f pr -:::f r-rwty pl]r ::f pr ::fn mwt.11 ::fni:d .t mp.t (Parole che devono essere ripetute da un uomo che esce da casa sua con un bastoncino di legno in mano, e vi gira intorno: “Non morirò per la pestilenza di quest’anno”).
Entrando nel tema dei cerchi archetipici, non si può non citare il percorso del Sole come è narrato nel mito centrale del processo di trasmutazione interiore secondo gli Egizi: il viaggio attraverso l’Amduat.
Questo racconto non si limita a descrivere le fasi del conseguimento dell’immortalità da parte di Ra-Osiride, ma anche una graduale presa di potere sulla realtà, che si manifesta nella scissione di Ra-Osiride nelle sue due componenti: Ra che ascende al cielo, Osiride che signoreggia sugli Inferi.
Ad un altro compagno di viaggio di Ra, ovvero a Horus, viene dato il dominio sul mondo; e da lui ha anche origine l’idea dell’Ouroboros, il colossale serpente-cerchio magico che attornia il sistema solare - esso è, infatti, la protezione di Horus, il cui cuore è lieto e la cui voce è giustificata dopo che ha fatto il giro dell’eredità che gli è assegnata.
Dal compimento dell’orbita solare derivano, insomma, il Cielo, la Terra e l’Uomo: con il suo ripercorrere i limiti dell’Universo, il circuito di Ra attesta tanto la sovranità dell’Uomo-Dio su di esso, quanto dell’Uomo-Mago sui riti che svolge all’interno del cerchio.
Così, si vede come il Conosci te stesso dell’Ermetismo non significhi altro, in realtà, che Cambia te stesso, ovvero dai corso alla trasmutazione che ti renderà immortale; e come il rendersi immortali non sia che uno degli innumerevoli cambiamenti di stato avvenienti, simultaneamente, nelle viscere dei circuiti cosmici.
Negli incantesimi funerari del Papiro Louvre E 3452, il defunto diventa un cane incantato in tutte le sue membra (iwiw pbr m ’twe:::f nb); e va in giro come un cane, sulla terra e negli Inferi, ogni giorno (pbr sp 2 by :::fm iw;’w sme by :::fm i’ wiw l1 U twU m ljr-hrw).
Abbiamo qui il verbo pbr-accerchiare come un vero e proprio equivalente di incantare, nel senso di compiere un incantesimo; e la sua ambiguità è specchio dell’ambiguità insita nel fenomeno stesso della manifestazione formale - possibilità, per l’uomo, di ricevere e dare vuoi gioia di creare, vuoi sofferenza e morte, ma sempre potere.
Così, le stele curative o incantatrici - parole incise sulla pietra - venivano strategicamente disposte in modo di esercitare sullo spaziotempo un potere costante.
Tipiche sono quelle raffiguranti Horus che combatte vittoriosamente contro le bestie feroci (leoni, coccodrilli, eccetera); su di esse andavano a meditare coloro che si apprestassero a compiere un viaggio pericoloso, nel deserto o sul fiume.
Queste raffigurazioni erano accompagnate da formule rituali che il viaggiatore poteva memorizzare e portare con sé, utilizzandole come mantra.
Se egli non sapeva leggere, un’altra possibilità di farsi accompagnare dal potere della stele consisteva nel fare scorrere su di essa un po’ d’acqua e portarsela in viaggio; ed i cosiddetti cippi portatili - ovvero le statuette svolgenti, in piccolo, la medesima funzione delle stele - erano dotati di apposite vaschette per raccoglierla; oppure, se la stele o il cippo avevano il potere di guarigione, l’acqua era data da bere al malato.
È riportata sulla bara di Ankhnesneferibre, figlia di Psammetico II e sposa del dio Amon, una formulazione del principio magico che entrava in gioco in questo caso: la percezione (la Dea Sia) è la grande divoratrice, e quindi - capovolgendo il discorso - incorporare-divorare un’idea equivale a trasformarla in realtà.
È una variante di questa equivalenza - il mangiare-conoscere - ad aprirci il campo della deglutizione magica, sicuramente la tecnica della magia primitiva egizia che era quantitativamente più praticata:

Naneferkaptahsi fece portare un foglio di papiro vergine, e vi scrisse tutte le cose che voleva imparare; poi bruciò il foglio con il fuoco, lo sciolse nell’acqua, e quando fu dissolto bevve l’acqua, e seppe ciò che aveva scritto.


Persino i pasti quotidiani dell’Egizio potrebbero essere classificati nel campo della deglutizione magica, a conferma di quanto in Egitto la magia fosse strettamente intrecciata con la vita quotidiana: infatti, ogni volta che un uomo assumeva del cibo, riteneva di contribuire al recupero dell’Occhio che era stato strappato a Horus da Seth.
C’era anche un incantesimo per rendere più efficace questa operazione, col bere sette occhi di bue, sciolti in birra e natron, prima del pasto: questo avrebbe consentito al fedele di essere investito dal potere dell’Horus trionfante.
Va detto che l’Occhio di Horus era considerato, nella mitologia popolare, forse l’oggetto più benefico in assoluto, come risulta da questa litania, facente parte della ritualità funeraria:

O Osiride non giustificato (ovvero il defunto), io do a te l’Occhio minore di Horus, che Seth mangiò.
O Osiride non giustificato, ti do l’Occhio di Horus e la tua bocca è aperta; e la pupilla che è nell’Occhio di Horus, la puoi mangiare.
O Osiride non giustificato, io ti do l’Occhio di Horus, lo mangerai e non ti ammalerai.

Il potere del mangiare-conoscere permeava anche il pasto del Faraone: il Re è colui che mangia gli uomini e vive degli Dei ... Il Re mangia la loro magia, ingoia i loro spiriti; i grandi tra gli uomini sono per il suo pasto mattutino, quelli di mezzo sono per il suo pasto serale, i piccoli per la notteha frantumato le ossa e il midollo, ha afferrato i cuori degli Dei ... il Re si nutre dei polmoni del saggio, dei cuori degli uomini e della loro magia.

Per avviare il lavoro di trasmutazione interiore:

Devi cominciare così: fai tre figure di farina fine, una con la faccia di toro, una con la faccia di capra, una con la faccia di ariete, ciascuna in piedi sopra una sfera celeste, con in pugno una frusta.
E quando le avrai modellate, mangiale recitando l’incantesimo per le Dee delle Ore (dell’Amduat), e sarai idoneo al lavoro rituale.

In verità, è proprio il principio eucaristico della deglutizione a fornirci la chiave per afferrare l’intero percorso che, dalle stele curative alle statuette amuletiche (come l’emblematico Horus che combatte i coccodrilli), prosegue poi in tutta una serie di piccoli oggetti che possiamo ritrovare un po’ in tutte le società primitive: vasi, animali sacri, piante sacre, statuette di argilla o di cera o metalli o pietra, piccoli disegni raffiguranti la divinità.
In molti dei rituali aventi per base questi oggetti è prevista un’offerta che viene poi ritualmente consumata, mentre in altri la forma di assimilazione della grazia divina è, in modo o nell’altro, sublimata; e tuttavia, l’idea centrale è sempre quella del mangiare-conoscere, che consente all’uomo di assorbire le prerogative del Dio da lui cultuato - e c’era uno specifico Dio incarnante il concetto dell’uomo quotidianamente impegnato in questo processo di assimilazione-evoluzione, e quel dio è Osiride, dalle molte forme e dai molti nomi.
Un’altra parte importante della manipolazione delle immagini è la ritualità con le statuette, resa popolare dalla semplicità del suo simbolismo in ogni parte del mondo.
Il principio su cui si fonda è che ogni atto effettuato sull’oggetto simboleggiante una persona (definito genericamente il testimone) produrrà analoghi effetti sulla persona reale.
A questo scopo possono essere usate, oltre che statuette o bambole, raffigurazioni grafiche scritte o incise; parti del corpo come unghie o capelli; oggetti personali, eccetera.
A seconda del tipo di rito cui erano destinate, gli Egiziani confezionavano statuette coi materiali più diversi: argilla, sabbia, cera, legno, calcare, pietre vili, preziose o semipreziose (letteralmente centinaia di pietre diverse).
Le statuette più adatte ad essere trafitte erano quelle di argilla mista a sabbia: miscuglio, oltretutto, molto adatto ad essere modellato, che consentiva di approntare immagini non solo di esseri umani, ma anche di specifiche parti del corpo (o di animali - serpenti, leoni, ecc.).
In verità, nell’ambito della magia egizia, la sabbia rivestiva anche una sfilza di significati positivi: la si considerava in primo luogo il simbolo della materia prima, ovvero la raffigurazione tangibile dell’energia vitale, ed anche la prima sostanza ad essere riaffiorata dalle acque dopo il Diluvio. La si aspergeva sulle processioni, sulle fondamenta (e nei rituali di fondazione) di templi e santuari, sui basamenti per le immagini magiche, sulle lampade e sulle ciotole; la si utilizzava per la procedura di imbalsamazione del Toro Apis, e per interrare le bare.
Spinta dal vento del deserto, la sabbia occultava le necropoli agli sguardi dei predatori; e come poteva essere usata per accecare i nemici, se scagliata contro il ka dei demoni era in grado di produrvi danni irreparabili, e di metterli in fuga.
E d’altra parte, veniva associato alla sua natura puntillistica un effetto disgregante, per cui al nemico ucciso per mezzo di una statuetta di argilla e sabbia si precludeva la possibilità di ricomporsi come aveva potuto fare Osiride; e questa era anche la ragione per cui, nei rituali di stato, i cadaveri che abbiamo visto smembrati e gettati via venivano ricoperti con la sabbia e non con la terra, che era viceversa un simbolo di fecondità.
La sepoltura di una statuetta con la sabbia era anche generosamente usata nei rituali per produrre separazione e odio; e soprattutto in quelli per acquisire il controllo sulle emozioni e sulle azioni di una persona, facendo leva sul suo effetto accecante e paralizzante.

Legala a me per tutto il tempo della mia vita! Costringila a soddisfarmi, e fa che non si allontani da me neanche per un’ora. Quando si alza, non permetterle di stare in piedi; quando si siede, non permetterle di sedersi; quando dorme, non permetterle di dormire; ma lascia che mi cerchi di villaggio in villaggio, di città in città, di campo in campo e di paese in paese, fino a che non venga da me, e io possa calpestarla sotto i piedi.

Nei rituali per colpire un nemico, le statuette di materiali adatti venivano trafitte con piccoli aghi o chiodi, ad imitazione dei coltelli che venivano usati dal Faraone e dai sacerdoti nei rituali di stato.
Papiro Magico della Biblioteca Nazionale di Parigi, PGM IV, II. 296-466: Prendi l’argilla da un tornio da vasaio e fai due figure, un maschio e una femmina e fai stare la femmina con le braccia dietro la schiena, e in ginocchio e prendi tredici aghi di rame, e infilane uno nel cervello di lei, mentre dici: Ti sto perforando il cervello (e aggiungi il suo nome); e poi gliene infili due nelle orecchie, due negli occhi, uno nella bocca, due nel ventre, uno per ogni mano, uno nell’orifizio sessuale e due nelle piante dei piedi, dicendo ogni volta: ti sto perforando (la parte del corpo in questione, e aggiungi il suo nome) in modo che tu possa ricordare soltanto me.

La ripugnanza dei moderni verso l’atto di trafiggere una statuetta per colpire una persona impedisce di comprendere come questa azione apparentemente barbara sia - in realtà - un aspetto di un’arte magica assai sofisticata, contrassegnata da regole sottili: così, ad esempio, un tipo di incantesimo per soggiogare i demoni richiede che tre aghi di ferro vengano conficcati in una testa d’aglio trilobata, recitando per tre volte la formula IBT’NBENITIE.
Figurine modellate di cera sono menzionate nei rituali di protezione della Casa della Vita, con la spiegazione che, se il nome dei nemici vi vengono incisi, i loro ba arderanno con la statuetta, e non potranno mai lasciare quel luogo per l’eternità.
Un modo peculiare degli Egizi di raffigurare l’essere umano era l’ankh o croce ansata, considerato forse il mezzo di raffigurazione più potente perché non si riferisce all’uomo ordinario ma al Ra-Osiride, ovvero a colui che ha portato a termine la trasmutazione interiore; non era quindi usato sempre, ma solo nei casi di personaggi rilevanti, o di Dei.
Un esempio del primo caso è il poggiapiedi di una bara del Medio Regno, dove sono stati trovati due ankh con la scritta I due simboli della vita sono sul terreno sotto i tuoi piedi; e per il secondo caso, fu trovato un disegno dell’ankh del Dio Seth sotto una mummia, ed il testo diceva Horus si è impossessato di Seth, e l’ha posto sotto di te perché possa spingere sotto di te, ed alzarti.
La sepoltura di una statuetta in un cimitero produceva un’associazione non soltanto con la morte, ma con i morti, al cui potere affidava la soddisfazione della richiesta.
I testi degli incantesimi, oppure amuleti e oggetti rituali, potevano essere nascosti tra le bende o nella bocca di un cadavere prima che venisse seppellito, o scritti su un osso, o seppelliti in tombe preesistenti, o in piccoli simulacri di tomba creati ad hoc.
Tutte queste pratiche possono essere raggruppate sotto il titolo di Lettere ai Morti, i cui testi riflettono talvolta in modo esplicito la credenza nel potere dei morti di influenzare persone ed eventi (Per favore, diventa uno spirito davanti ai miei occhi, affinché in sogno io possa vederti mentre combatti per me … ); oppure, lo spirito di uno specifico morto può essere chiamato a fungere da intermediario col mondo dei defunti, e così la tomba diventa una sorta di … cassetta delle lettere per l’aldilà (e questa non è una mia invenzione: esiste effettivamente  un papiro in cui un sarcofago è definito la nobile cassetta della posta di Osiride - U’fd spsy n Wsir).
Per i riti con le statuette, non valgono forse le considerazioni che ho prodotto, nell’articolo del mese scorso, sulla derivazione dei rituali privati dai rituali di stato, perché riesce difficile immaginare che una pratica di magia simpatica così spontanea debba essere nata sotto la spinta di esempi dall’alto.
Però è un fatto che, al di là delle dimensioni (di norma maggiori nei rituali di stato), la somiglianza dei testimoni usati nelle due discipline è perfetta, e questo vale soprattutto per le statue raffiguranti prigionieri; i quali - come abbiamo già visto il mese scorso, nel Rituale di Apep - la società egiziana eleggeva a capri espiatori di una sadica aggressività.
In egizio, prigioniero si dice sqr- <nb, che significa colui che è colpito eppure vive, ed in vari edifici - a Giza, Saqqara e altrove - sono visibili i fori per legare i prigionieri destinati alla tortura.
Va detto che non si trattava di sadismo fine a sé stesso, bensì volto a … funzioni di ordine pubblico: il suo scopo era infatti di evocare Horus, che si pensava manifestasse la propria presenza in ogni gesto di dominio. Di conseguenza, quanto più la superiorità su qualcuno - vuoi fisica, vuoi morale - veniva messa in pratica, tanto più il dominio di Horus sulla società sarebbe stato saldo e forte.
Ho già citato il mese scorso alcuni rituali di stato aventi per oggetto i prigionieri nel ruolo di vittime sacrificali; ma ce n’erano anche altri, più semplici nell’organizzazione, volti a colpire magicamente un dato popolo attraverso il sacrificio di un suo membro.
Venivano celebrati su altari corredati di statue raffiguranti le diverse etnie - nubiani, libici, asiatici, eccetera - e si tratta dei primi esempi, nella storia, di arte magica applicata al livello della politica.

Ogni ribelle di questa terra, tutte le persone, tutti i patrizi, tutti i cittadini comuni, tutti i maschi, tutti gli eunuchi, tutte le donne, ogni capotribù, ogni nubiano, ogni uomo forte, ogni messaggero, ogni confederato, ogni alleato di ogni terra che si ribellerà, o chi complotterà dicendo complotti o dicendo qualcosa di male contro l'Alto Egitto o il Basso Egitto per sempre
: sotto questo titolo vennero rinvenuti, nell’area di Giza, quattro depositi di statuette d’argilla con lineamenti nubiani. La statuetta più grande - la sola senza alcuna scritta - era spezzata e mutilata; invece, a ciascuna delle più piccole era associata una maledizione.
Nel cortile del Tempio di Edfu, il Faraone è raffigurato nell’atto di tenere nove statuette di prigionieri sospese su un fuoco, ed Osiride di fronte a lui è sul punto di infilzarle con una lancia. Il testo invita a rovesciare giornalmente i nemici del Re con rituali di esecrazione, come nei Nove Archi (che era probabilmente il nome di questo specifico rituale - venivano chiamate i Nove Archi le nove nazioni tradizionalmente considerate nemiche dell’Egitto).
I Nove Archi ed altri disegni di nemici erano anche raffigurati sulle suole dei sandali di Tutankhamon - atto rituale analogo a quello in uso presso i satanisti ottocenteschi (citato anche da Umberto Eco, ne Il pendolo di Foucault), che si facevano tatuare sotto i piedi l’immagine di Gesù.
Anche il manico del bastone di Tutankhamon era fatto in modo che egli strozzasse un prigioniero ogni qualvolta lo impugnava, ed i flaconi contenenti i suoi unguenti raffiguravano prigionieri ai quali, levando il coperchio, veniva staccata la testa; ed ancora, troviamo raffigurazioni di prigionieri sulle ruote del suo carro, sotto i piedi del suo sgabello, del suo trono e della sua pedana, sulle maniglie delle sue finestre - insomma su ogni cosa che richiedesse di essere afferrata o schiacciata.
In un disegno nel Tempio di Hierakonpolis, un prigioniero è appeso alla porta con un piolo infilato nella schiena, in modo che sia trafitto ad ogni apertura della porta (viene descritta una situazione analoga nel Racconto di Setne Khamwas e Si-Osire; ma lì il piolo non è conficcato nella schiena, bensì in un occhio, e si può udire lo sventurato lamentarsi ad alta voce).
In una tomba reale predinastica (circa 3400-3200 a.C.) si trova la rappresentazione di un sovrano vittorioso nell’atto di colpire una serie di prigionieri inginocchiati, legati al collo ed ai polsi, con le mani dietro la schiena; ed anche nel cortile del Tempio di Hierakonpolis, il Faraone afferra un nemico per i capelli e alza la mazza per colpire, avendo di fronte Horus in forma di falco, che affonda gli artigli nel capo di un prigioniero legato.
Il senso dell’accostamento è chiaro: il potere del re è figura sulla Terra del potere divino, e quindi i suoi oppositori sono l’espressione delle forze del male.
Così, nel tempio funerario di Ramsete III a Medinet Habu, la vittoria del Faraone sui Popoli del Mare è raffigurata con il suo schiacciare le teste dei nemici di fronte ad Amon, non diversamente da come gli Dei, in varie immagini, calpestano gli animali feroci - anzi, in alcuni casi, gli Dei calpestano i loro stessi animali totem, come nel caso di Selkis, il cui potere sugli scorpioni implicava il dovere di soggiogarli per impedire che nuocessero agli esseri umani.
Nell’Incantesimo 168 del Libro dei Morti, i nemici vengono consegnati ad Osiride, perché li calpesti, con le parole: siano posti sotto i tuoi piedi per sempre, da usare come poggiapiedi per Osiride, il signore dell'eternità.
Sullo sgabello di Tutankhamon: Tutte le terre e ogni nemico sono sotto i piedi di questo buon Dio; ogni terra straniera è sotto i tuoi sandali.
Riguardo poi a Horus, ogni serpente maschio e femmina, ogni leone ed ogni coccodrillo stanno sotto i piedi di questo Dio - e va notato come alla frequente ricorrenza di sandali, piedi e calpestamenti faccia riscontro una nutrita sfera di rituali che si potrebbero quasi definire fetish o sadomaso, nei quali alla sottomissione inflitta ai nemici fanno riscontro: da una parte, la legittimante esigenza di creare una separazione-baluardo protettivo tra il nemico e il cosmo (o il tempio, o la persona o l’oggetto da proteggere), e dall’altra, il torbido piacere della sua umiliazione sociale.
Il prossimo mese concluderemo la nostra carrellata con una breve panoramica sulle forme di ritualità magica egizia più sadiche e/o sensuali.


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