Riflessioni sull'Alchimia
di Elena Frasca Odorizzi indice articoli
Un Alchimista di nome Orfeo in una tarsia rinascimentale senese del 1500
Aprile 2008
Revisionato nel mese di Gennaio 2012
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La Tarsia di Orfeo e l'Ermetismo neoplatonico rinascimentale.
Iniziamo con la descrizione della Tarsia e del suo anonimo Autore, fatta dal Serino:
Si tratta del finissimo pavimento a connessi marmorei raffigurante “Orfeo in mezzo agli animali” di autore incerto. Il Berenson lo attribuisce a Domenico Beccafumi – pittore al quale non erano affatto estranee conoscenze alchemiche – mentre lo storico della pittura senese Pietro Torriti lo assegna a Giovanni di Stefano, lo stesso autore che avrebbe realizzato all'ingresso della Cattedrale di Siena, la tarsia di Ermente Trismegisto. Recentemente è stata ipotizzata la mano di Francesco Martini, pittore, ma anche architetto insigne, definito – cosa che spiace molto ai suoi concittadini - il Leonardo di Siena. In ogni caso gli studiosi sono sostanzialmente concordi nel ritenere che l'opera risalga ad un periodo compreso tra la fine del '400 e gli inizi del '500, un momento in cui a Siena è viva e vitale una grande cultura di segno ermetico (15) .
L'origine del fermento artistico senese va ricercato nelle iniziative umanistiche della vicina Firenze, dove, Cosimo de' Medici fondò, nel 1459, la nova Accademia neoplatonica, un Cenacolo Culturale nel quale si riunivano artisti, filologi e intellettuali del calibro del Botticelli, Poliziano e Pico della Mirandola. Questo progetto, che Cosimo affidò a un sacerdote di nome Marsilio Ficino, nacque in onore del filosofo bizantino Gemisto Pletone (16), che nel 1438 era giunto in Italia, al seguito dell'Imperatore Giovanni VIII Paleologo, per assistere al Concilio di Ferrara e Firenze, estremo tentativo, (miseramente fallito), di far riunire la Chiesa Latina d'Oriente con quella Ortodossa d'Occidente:
Il grande Cosimo, per pubblico decreto padre della patria, quando si svolgeva a Firenze sotto il pontificato di Eugenio il concilio per l'unificazione della Chiesa greca con la latina, ascoltò spesso le discussioni sui misteri platonici di un filosofo greco che di nome si chiamava Gemisto e di soprannome Pletone, quasi fosse un secondo Platone.... E a tal segno fu ispirato dall'ardore della sua parola da esserne tratto a vagheggiare nell'alta sua mente un'accademia che avrebbe realizzato, appena se ne fosse data l'opportunità [...] (17).
Pletone, durante il suo soggiorno in Italia, tenne diverse lezioni:
nelle quali diffondeva gli insegnamenti platonici e neoplatonici, criticando aspramente i monoteismi cristiano e musulmano e auspicando la ripresa dell'antica religione ellenica in funzione universalista, sostenendo che essa sola sarebbe stata in grado di fondare la pace universale e di superare le controversie che affliggevano i monoteismi abramitici (18).
In un occidente dominato dall'Aristotelismo, queste dottrine accesero un sincero interesse intorno allo studio di Platone, Plotino, Proclo e Porfirio, ma anche di Giamblico, (autore del famoso libro sui Misteri degli Egizi), e di Psello, (il primo a collezionare il Corpus Hermeticum). Cosimo si prodigò per recuperare copie di tutti questi libri, che si trovavano solo in Oriente e affidò la loro traduzione a Marsilio Ficino, il quale divenne non solo il principale fautore della rinascita della filosofia neoplatonica e della magia ermetica nel Rinascimento, ma anche il maggior sostenitore e portavoce dell'idea pletoniana di una pace religiosa universale, fondata su una “prisca theologia”, cioè una catena ininterrotta di sapienti e filosofi antichi, culminata nel pensiero teologico del greco Platone, anticipatore di quello Cristiano:
In un'opera di più largo respiro, il trattato delle leggi, Pletone riattualizza il modello della comunità platonica, quale comunità sapienziale centrata sul dio-Sole: [...] Secondo le tesi ivi esposte, la spiritualità platonica, prolungamento di quella di Zoroastro, sarebbe in grado di favorire il superamento delle controversie religiose, come quelle emerse all'interno del Cristianesimo e tra Cristianesimo e Islam, e di fondare la pace universale (aspirazione che sarà ripresa da Marsilio Ficino e che sarà rielaborata da Pico della Mirandola). Tutto questo dovrebbe avvenire anche grazie al supporto della religiosità "pagana" ellenica, rivisitata secondo una prospettiva che accomuna esplicitamente il progetto di Pletone a quello precedente di Giuliano Imperatore: non è un caso che in questo contesto anche gli scritti di Giuliano trovino nuova fortuna, e specialmente il suo Inno al Sole, particolarmente caro ai circoli neoplatonici dell'epoca (lo stesso Marsilio Ficino scriverà "uno splendido De Sole", secondo il giudizio di E. Garin). [...] Gemisto recupera e riadatta vari inni, preghiere e riti solari, precisandone i significati metafisici, capaci di trascendere le limitazioni delle religioni positive, alimentando una vasta letteratura "solare" nel corso dell'età umanistico-rinascimentale. [...] Sono rimasti vari frammenti, dai quali è possibile ricostruire le linee generali del grandioso programma di riforma politico-spirituale, in favore del quale Pletone operò durante tutta la sua lunga vita [...]. Pletone è alla base delle utopie rinascimentali, che cercavano di immaginare un mondo perfetto sotto il dominio del sapere. Un sapere però occulto, riservato agli iniziati di una nuova religione che avrebbe armonizzato nella pace universale cristianesimo e Islam, divinità dell'Olimpo, della Persia e dell'India, le filosofie di Platone e quelle di Pitagora (19).
Ficino, a differenza di Pletone, poneva l'origine di questa missione iniziatica, non in Zoroastro, ma in Ermete Trismegisto e a suffragio di una reale continuità tra Paganesimo e Cristianesimo, adduceva la testimonianza di un Padre della Chiesa come Lattanzio, il quale indicava nel Padre dell'Alchimia un rivelatore di verità cristiane.
Questi ideali riformatori e pacifisiti ermetico-neoplatonici, furono accolti, traslati e immortalati nelle Tarsie del pavimento del Duomo di Siena, città storicamente e dichiaratamente nemica di Firenze, dimostrando l'esistenza di un effettivo sodalizio iniziatico di «Fratelli in Platone (20)», che operava segretamente al di là delle misere rivalità cittadine.
Alle immagini dei Saggi e dei Profeti (21) dell'antico Testamento, furono infatti affiancate quelle di Ermete Trismegisto e delle Sibille, come se questi fossero dei Santi di origine pagana. A ogni Sibilla fu associato un cartiglio con su scritta una predizione, reinterpretata come una profezia riguardante la prossima venuta del Cristo, mentre nel cartiglio di Ermete Trismegisto, (quello sostenuto da due Sfingi con le code intrecciate a formare un 8), fu trascritto un passo del Poimandres (22), l’opera principale del Corpus Hermeticum, che secondo Ficino, descriveva il Mistero della Creazione divina rivelando in anticipo l'incarnazione di Dio nel Mondo, nella forma di un Figlio: « Deus, omnium creator secum Deum fecit visibilem et hunc fecit primum et solum quo oblectatus est et valde amavit proprium Filium », «Dio creatore di tutte le cose creò un secondo Dio visibile e lo creò primo e unico; in lui si compiacque e amò molto il proprio figlio.».
Nella stessa tarsia, l'Egyptico Sapiente, vestito secondo la moda bizantina,fu rappresentato nell'atto di offrire a due anonimi personaggi un libro nel quale era incisa una frase perentoria: «Suscipite o licteras et leges Egyptii», «Accogliete le opere e i precetti, o Egizi». Un modo, forse, per confermare l'esistenza di una catena ininterrotta di Sapienti, iniziata con Ermete Trismegisto e proseguita nei secoli successivi attraverso generazioni di Sacerdoti Egizi e Filosofi Greci, fino ad arrivare a Pletone e ai suoi Discepoli Rinascimentali.
A chiusura di tutta la scena, le parole di un ultimo cartiglio dichiarano che Ermete visse realmente, collocandolo all'epoca di Mosè (23), «Hermes Mercurius Trismegistus Contemporaneus Moysi», ma in realtà, il Ficino andò ben oltre questa affermazione, ipotizzando che i due Sapienti non fossero altro che la stessa persona, prima e dopo la conversione al Monoteismo:
[...] Marsilio aveva addirittura adombrato l'idea che Mosé ed Ermete fossero la stessa persona, o per meglio dire che il secondo fosse il Mosé egizio prima d'esser illuminato sul suo compito storico: “Mercurio Trismegisto descrive con maggior chiarezza questo momento originario della creazione del mondo. Ne dobbiamo meravigliarci che costui sapesse tutto se Mercurio altri non era che lo stesso Mosé. In particolare sapeva che la Parola Creatrice era il Figlio di Dio: “Ille [Moses] potenti verbo Domini cuncta creata nunciat, hic [mercurius] verbum illud lucens, quod omnia illuminet … filium Dei esse asseverat (24)”.
Il riquadro di Eremte Trismegisto venne spianato nel 1488, periodo nel quale si suppone sia stato eseguito anche l'Orfeo di San Domenico. Non vi è motivo per dubitare che entrambe le Tarsie si collochino nel filone della tradizione magico-filosofica rinascimentale fiorentina, ma se il significato ermetico-cristiano della presenza di Ermete Trisemgisto nel Duomo di Siena è ormai più che documentato dagli storici, quale è, invece, il significato della Tarsia di Orfeo nella Basilica di San Domenico, posta ai piedi della preziosa Testa di Santa Caterina (25)?
Che cosa c'entra Orfeo con il Padre dell'Alchimia, al quale è evidentemente collegato per stile, periodo di realizzazione e forse anche per committenza e autore?
La spiegazione potrebbe risiedere, ancora una volta nell'idea Ficiniana di una catena ininterrotta di Sapienti, che indicava Orfeo come primo erede naturale e diretto di Ermete Trismegisto:
Nel tempo in cui nacque Mosé fioriva l'astrologo Atlante, fratello del fisico Prometeo e zio materno di Mercurio il Vecchio, il cui nipote fu Ermete Trismegisto ". [...] "Egli è detto il primo degli autori di teologia; gli successe Orfeo, secondo fra i teologi dell'antichità: Aglaofemo ch'era stato iniziato all'insegnamento sacro di Orfeo, ebbe come successore in teologia Pitagora, di cui fu discepolo Filolao, il maestro del nostro divino Platone. Vi è quindi una prisca theologia ... che ha la sua origine in Mercurio e culmina nel divino Platone (26).
Valutare una “informazione mitologica” da un punto di vista storiografico non è evidentemente possibile, ma il non prenderla assolutamente in considerazione renderebbe vani gli sforzi di coloro che hanno cercato di trasmetterci le loro aspirazioni spirituali usando immagini artistiche. In campo Esoterico, quando si Lavora con i Simboli, il rigore storico del pensiero logico-deduttivo deve sempre procedere di pari passo con quella modalità di ragionamento che viene chiamata pensiero laterale-intuito, preposta a stabilire analogie e raffronti. Questo perché per un Esoterista non si tratta mai di riportare e/o comprendere i fatti da un punto esclusivamente oggettivo e consequenziale, ma di penetrare nel regno degli archetipi, dove i simboli non espandono i confini della Conoscenza Accademica, ma della Consapevolezza Interiore. Certe Opere d'Arte non sono muti manufatti culturali, ma vivaci “messaggeri” ideologici, che aspettano solo di essere interrogati da moderni Archeologi dello Spirito.
Cosa può raccontare questa tarsia esoterica cinquecentesca a una persona del XXI secolo? Proviamo a scoprirlo scomponendo (Solve) e ricomponendo, (Coagula (27)), i suoi elementi strutturali, per coglierne il significato complessivo, più come una intuizione qualitativa, che come una verità assoluta.
3 sono i livelli di lettura che interagiscono nella Tarsia e che andremo a scoprire:
-
la storia di Orfeo e del suo culto misterico,
-
la sua connessione con il Neoplatonismo,
-
la descrizione della tarsia e degli elementi alchemici, in essa inseriti.
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