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Aletheia di Emanuela Trotta

Aletheia

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L'Invidia

Febbraio 2021


L'invidia nasce dalla non accettazione dei propri limiti, da una fragilità dell'io, dove il bene dell'altro è vissuto come una diminuzione del proprio essere, è un meccanismo che presuppone un confronto con l'altro, dal quale ci si sente sminuiti.
L'invidioso non percepisce sé stesso come colui che attacca, ma come colui che si difende, che è costretto a difendersi da una provocazione.
La presenza dell'altro è avvertita come provocazione, ci si consuma nel desiderio di distruggere l'altro, e comunque persino la distruzione dell'altro non procura l'accrescimento di sé, è un sentimento che, nel tentativo di salvaguardare la propria identità, finisce per comprimerla, per arrestarne lo slancio.

Come suggerisce l'etimologia del termine latino in-videre, non poter vedere o meglio vedere in modo errato, l'invidia stravolge la capacità di giudizio.
Una società capitalistica che fa della competizione la sua norma motrice, trova il suo equilibrio, grazie al desiderio dell'invidia, la incentiva perché utile.
È nel confronto che si regge l'intera impalcatura sociale, il confronto è facile, ma frustrante.
L'invidia accelera lo sgretolamento della società.
L'aumento delle differenze sociali, rende l'invidia ostentata, mascherata da un finto senso di giustizia.
Il risentimento che la caratterizza e la nutre, consiste in un misto di impotenza e di desiderio di vendetta.
L'uguaglianza che presuppone il confronto conduce a negare ciò che si eleva al di sopra della mediocrità, svalutando l'altro si tenta di annientarlo, di recuperare la fiducia in sé stessi. Per questo è un sentimento da nascondere, perché rende palese la propria inferiorità e il senso di inadeguatezza.
L'invidia tende a livellare, abolendo ogni pretesa di distinzione, a nessuno è concesso di innalzarsi al di sopra della rassicurante uniformità della massa.

Ma l'invidia più devastante ha per oggetto i valori non acquistabili, è quella che si rivolge all'essere di una persona.
Non si perdona la persona non per quello che ha, ma per quello che è, con la sua esistenza mette in discussione i principi e i valori, con cui ci si approccia alla vita.
Le persone più invidiate sono le meno inclini a provare invidia, riescono a sottrarsi ad una logica socialmente riconosciuta dai più come ineluttabile, diventando così, testimoni di una possibilità alternativa.

Se l'invidia è ammirazione distorta, una visione positiva di questo sentimento potrebbe essere l'ammirazione, come meraviglia. Nell'ammirazione cambia lo sguardo verso l'altro, si diventa custodi dell'altro.
In rapporto all'altro possiamo scegliere il coinvolgimento, la prossimità o la lontananza, come la frase pronunciata da Caino "Sono forse io il custode di mio fratello?" segna il non - rapporto, la non appartenenza.
Custodire è l'accettazione delle differenze, dell'alterità, se l'invidia immobilizza, rende arroganti, l'ammirazione è apertura, slancio verso la crescita, verso il miglioramento di sé, rende umili, è un'inversione che restituisce forza, e ci dà la misura della nostra umanità.


Emanuela Trotta

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