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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


La scrittura critica di Giacomo Debenedetti

Conversazione con Alfonso Berardinelli
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- luglio 2005
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Che cosa voleva dire per lui, precisamente, la pratica del saggio?
Pasolini disse giustamente che la scrittura critica di Debenedetti nasce dalla coscienza di non avere un metodo. Nasce dall'ansia di dover ogni volta trovare il metodo o modo giusto per indagare e descrivere un autore. Lo stile è il suo metodo. La forma del saggio, con la sua apertura, il suo empirismo, la sua duttilità e varietà di toni gli permetteva di accerchiare, indagare, penetrare nel cuore di un'opera o invece ricostruire le condizioni che ne hanno permesso e preceduto la nascita.

 

Ebbe mai occasione d’incontrarlo personalmente, Debenedetti?
Ho seguito per tre anni le sue lezioni sul romanzo del Novecento all'università di Roma. Lezioni divenute più tardi leggendarie, ma allora seguite da pochi studenti. Parlava tenendo aperti davanti i suoi famosi quaderni. A seguirlo ci sentivamo un po' degli eletti. Sentivamo che lì si parlava veramente di letteratura e che non ci si preparava solo ad una carriera accademica.

 

Anni fa indicò ai lettori, in un libro edito da Mondadori, cento itinerari di poesia, ordinati alfabeticamente: perché scelse proprio quei cento?
Beh, cento sono molti. Alcuni sono i miei preferiti, ma più della metà sono "obbligatori": non potevo tralasciare
Petrarca o Shelley. Però qualche assenza voluta c'è: per esempio manca D'Annunzio. Non lo sopporto, non riesco a leggerlo, lo trovo sempre falso e ridicolo e quindi non potevo commentarlo: potevo cercare di "dimostrare" perché mi sembra così scadente e assurdo, ma neppure di quello avevo voglia. Anche l'antipatia, se è per un poeta comunque notevole, è un buon movente all'analisi. Ma con D'Annunzio mi "cascano le braccia". Lo considero una specie di "profumiere" della letteratura, più che uno scrittore. Se è importante, lo è come fenomeno di costume. Richiede più un saggio sociologico che un commento letterario.

 

È di quelli che demonizzano la Tv (per ragioni personali o in linea di principio)? Pensa che comunque essa abbia avuto dei meriti, per esempio linguistici, come ha sostenuto De Mauro? Ed è d'accordo sul fatto che, soprattutto negli ultimi anni, abbia contribuito in modo massiccio alla qualunquizzazione, non solo politica, ma anche antropologica dei suoi connazionali?
I meriti della tv sono soltanto l'altra faccia dei suoi danni. Probabilmente ha incrementato l'unificazione linguistica (De Mauro), ma anche l'omologazione culturale e sotto-culturale (Pasolini). Non c'è innovazione "progressiva" che non comporti anche un "regresso". In Italia forse per un certo periodo è stata più importante e ingombrante che in altri paesi. Ma ora mi pare che i dibattiti in proposito si siano spenti.


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