La Critica e il Giudizio
di Cinzia Baldazzi indice articoli
Tormento e libertà nella ripetizione: dall'amore alla scrittura
Gennaio 2017
All’amore di madre che ho per mio figlio.
Un cuore che cerca, sente bene che qualcosa gli manca; ma un cuore che ha perduto, sa di cosa è stato privato. (1)
Nel tempo, il celebre aforisma di Johann Wolfgang Goethe mi persuade ancora di più e, pur cogliendone una non sottile incompletezza di informazioni (saremmo all’altezza di conoscere un quid veramente assente?), sono certa indovini e scopra il significato originario e intimo dell’amare, dell’amarsi.
Sin da ragazza, ho misurato e invocato ogni correlarsi amoroso quando tende, in chiave teleologica (ossia, finalistica), alla quiete e all’unificarsi con la persona desiderata. Ero inoltre conscia, come sosteneva Sigmund Freud – benché scettico al riguardo – di quanto i legami erotici fossero “termini polivalenti”: in loro, ho voluto ritrovare una matrice unitaria compiuta, in un cammino, è ovvio, composito e variegato. Nell’avanzare ordinario, Eros solca e consuma le sue strade, impossibili da prevedere e, spesso, addirittura antieconomiche. La passione mira (e, direi, ambisce con successo) a morire alla propria maniera, complice della nostra esistenza bisognosa, e per timore si mantiene lontana dall’apertura dell’ignoto di cui l’erotismo è uno degli spazi frequenti e pericolosi.
Il risultato, però, nella teoria e nelle indagini psicanalitiche, non di rado ha probabilità di coincidere con il tentare di evitare l’universo incognito e arcano: tuttavia, in suddetta prospettiva, l’esito magari corrisponde (purtroppo) con l’affrettare l’entrata in un ipotetico circuito di idee e ideologie delle quali, non avendo notizie – per scelta – di alcun “indizio”, e apparendo fragili e vulnerabili, forse ne anticiperemmo il ruolo di prossime vittime.
La ripetizione quotidiana, collettiva, di causa-effetto, con efficacia promulgata attraverso il suo opporsi al ricordo di riferimenti divergenti, nel percorso freudiano manifesterebbe una tale potenza da situarsi vicino a un’atmosfera di suggestione demoniaca: malgrado ciò, anche per il padre della psicoanalisi il ripetere si rivela necessario, poiché nessun nemico si abbatte in absentia e, per interrompere conferme imposte e usuali, l’unico mezzo accessibile è, dapprima, decifrarle e sperimentarle.
Dunque, ho prestato grande premura nei confronti del ripetersi, del riproporsi di eventi o giudizi, in generale. Dinanzi ad esso, provavo un sentimento omogeneo all’essere protetta: ma la giovanissima età non impediva di comprendere si trattasse di uno spiraglio favorevole in parte astratto. Anni dopo, ho letto – consultandola con assiduità – la raccolta di saggi di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno sull’immagine utopica di dialettica dell’illuminismo, definita nel modo seguente:
Come i miti fanno già opera illuministica, così l’illuminismo, ad ogni passo, si impiglia più profondamente nella mitologia. Riceve ogni materia dai miti per distruggerli e, come giudice, incorre a sua volta nell’incantesimo mitico. (2)
Eccezionali riflessioni filosofiche, con un geniale e intenso commento sul quell’accennato e caratteristico ripetersi (“la spiegazione di ogni accadere come ripetizione”). Cosa svelerebbe un simile sviluppo intellettuale integro al massimo? I fatti si annullerebbero appena avvenuti, mentre la legge dell’eguaglianza di atto e risposta affermerebbe – sempre – la pertinenza e la pratica (nel lessico del maestro di semiotica Luis Prieto) di un accanito reiterarsi nella storia, nella società, nella routine dello spazio e del tempo individuali. Si allude a una sorta di messaggio superstite al di là e al di sopra di un’umanità svincolata – sin da epoche remote - dall’identificarsi a priori duplicandosi in linea con la realtà considerata: secondo il disegno dell’oscura volontà di un’autorità totalitaria e soffocante.
Questo modello di messaggio continuerebbe per mistero a esistere, sottraendosi, in intervalli occasionali, all’onnipotente avversario del progresso raggiunto che lo aveva inghiottito. Nondimeno, precisano i due studiosi:
Quanto più scompare l’illusione magica, e tanto più spietatamente la ripetizione, sotto il nome di legalità, fissa l’uomo nel ciclo avendo oggettivato il quale nella legge di natura egli si sente garantito come libero soggetto. (3)
Può accadere si avverta un senso di conforto al cospetto di un principio immanente chiarificatore di numerosi fenomeni, in un ribadirsi legittimo e dotato di una motivata e nitida razionalità congenita o, al contrario, passibile di condanna diffusa: comunque strutturata per essere ascoltata da tutti noi. Ebbene sì, condivido l’amore freudiano colmo di narcisismo, o di una penosa nostalgia ostile alla riconquista della proprietà smarrita e della quale, carica di speranze, sono alla ricerca perenne: pur sapendola, nella forma materna, selettiva e senza pari. Intuendo non sia ritrovabile (rispetto all’originale), mi ostino a onorare, restandone fedele, l’evocarsi replicato, ininterrotto e invariato di gesti complici, poiché distratta, non occupata, in via strumentale, a rintracciare il lato di me, invece, assai distante.
Il prezzo è alto, di sicuro, offrendo però l’utopia di stabilire la durata di una vita affettiva di contrasto alla morte: perché – conclusa la fase fetale e vista la “luce” – tale ordine di stato d’animo, implicito nella figura della Madre a esso legata, si mostra di enorme sostegno, sebbene appaia (nell’immediato e con perseveranza) un ritrovamento artificioso privo di futuro e, di conseguenza, obiettivo di una lotta inutile. È un impulso in progress intimo e problematico, denso di segnali subdoli e assillanti, abili nel costringermi al reperimento un po’ confuso della sensibilità dispersa del primario soddisfacimento intrinseco materno, aggravato dal triste episodio della sua scomparsa fisica quando avevo non più di dieci anni.
In un gruppo di valori eloquente e ammaliante, costruito con le tessere di un mosaico perfetto ad ammirarsi, a parere dello psicanalista Jacques Lacan è frequente il dipendere dall’amore coltivato, subendone il fascino fatale: è dunque come se percepissi l’angoscia di perdere l’Eros, non valido in sé o perché esclusivo per il recupero dell’ambìto e trascorso splendore narcisistico. Piuttosto, temo il verificarsi antitetico e tragico, ossia un abbandono dal sapore mortale.
Per fortuna, gli esiti non sono stati disastrosi, essendo la psiche ricca di sfumature e di un contraddirsi anche positivo: non riuscendo a eludere l’automatismo iterativo studiato da Freud per le circostanze illustrate, intravedo un orizzonte di riscatto nell’attività di scrittura. Infatti, la prassi linguistica delle parole ricorrenti, presenti spesso nella medesima pagina, a distanza di poche righe, invece di proteggermi, mi causa “terrore” e, in uno scontro aperto, faccio il meglio per prevalere su una simile successione di elementi uguali.
Il saldo complessivo risulta esoso ma, nei limiti concessi dalla morfologia e dalla sintassi italiana, lo pago volentieri. Nei Minima moralia (con sottotitolo Meditazioni della vita offesa), Theodor Adorno consiglia:
Prima regola di prudenza dello scrittore: esaminare ogni testo, ogni brano, ogni periodo e chiedersi se il motivo centrale emerge con sufficiente chiarezza.
Non c’è correzione, per quanto marginale o insignificante, che non valga la pena di effettuare. Di cento correzioni, ognuna può sembrare meschina e pedante; insieme, possono determinare un nuovo livello del testo.
Non essere mai avari nelle cancellature. La lunghezza di un testo non conta, e il timore di non aver scritto abbastanza è puerile. (4)
Sono d’accordo con il “programma di lavoro”, suppongo inoltre non connesso ad alcuna difficile tecnica di messa in opera. Il grandissimo filosofo prosegue:
Nulla va ritenuto degno di esistere perché c’è già, perché è già stato scritto. Proposizioni che formulano diversamente lo stesso pensiero, non sono spesso che tentativi di afferrare qualcosa di cui l’autore non è ancora in possesso. (5)
E qui scaturisce il mio problema e la fatica costante nel superarlo, al contrario di Adorno (le Muse siano clementi se oso tanta immodestia): mantenere intatta la riflessione, conservarne l’efficacia di significato, impegnandomi però a elaborarla al vaglio di ulteriori scelte dal punto di vista lessicale, lavorando all’eliminazione delle “parole moltiplicate” e alla loro sostituzione con una serie rinnovata di lemmi e di item.
A difendere me e voi dall’assillo delle ripetizioni - almeno nella vita della lettura - ora voglio essere io in persona.
Cinzia Baldazzi
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NOTE
1) Johann Wolfgang Goethe, Le affinità elettive (trad. Massimo Mila), Torino, Einaudi, 2007.
2) Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1966 (trad. Lionello Vinci), p. 20.
3) Dialettica dell’illuminismo, ivi.
4) Theodor W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa (trad. Renato Solmi), Torino, Einaudi, 1979, p. 91.
5) Minima moralia, ivi.
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