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Appello alla solidarietà morale
ovvero per la libertà etico-comportamentale

di Francesco Introzzi   novembre 2003

 

Nel categorico rifiuto di ogni dogmatismo, di ogni altra ricattabilità e di ogni altra pretesa omologatoria - sia essa pubblica che privata - l’unica fedeltà che dobbiamo pretendere dagli altri - ed impegnarci a garantire agli altri - è quella verso sè stessi: in una nostra comune dimensione comunitaria ecumenica, in quanto persone eticamente civili e socialmente responsabili.
Noi sappiamo che l’essere umano è continuamente esposto, nella sua quotidianità, a delle contraddizioni che intimamente lo lacerano e che - drammaticamente e mortalmente - si riflettono sulle persone che incontriamo sul nostro cammino e che ci amano e che noi amiamo o che vorremmo poter amare ma che la vita, molto, troppo spesso, per qualche valida ragione, ci impedisce di amare, sia per una qualche valida nostra ragione, sia per il condizionamento prevalente, se non prevaricatore, delle forze sociali che incombono su di noi e che noi ci sentiamo di dover respingere.
Le nostre contraddizioni ci provengono dal nostro inserimento in un ambiente sociale con valori diffusi diversi da quelli sentiti e definiti dentro di noi, valori ai quali corrispondono delle aspettative che noi non conosciamo e che nemmeno supponiamo e che poi - anche quando le conoscessimo - non è detto che ci sentiamo di corrispondervi essendo altri i nostri valori e i nostri propositi. La mancata sintonia con l’ambiente sociale nel quale ci troviamo a vivere ci fa avvertire determinate discrepanze che difficilmente riusciamo, sia a percepire nella loro esatta natura, che a valutare nella loro dimensione. Riuscire a gestirle in modo umanamente corretto e socialmente positivo rischia di diventare un problema molto complicato e di difficile soluzione, talvolta addirittura ci può sembrare insolubile.
Quotidianamente dobbiamo confrontarci, confliggere e cercare di armonizzarci con il nostro proprio ambiente sociale oltre che con quello dei nostri più immediati interlocutori ed il problema è quello di farlo cercando di non farci sopraffare. Le contraddizioni e le conflittualità che ci troviamo a dover soffrire ed affrontare non ci devono impedire di proporci - qualunque sia la nostra personale posizione - come membri attivi e partecipi della vita comunitaria, come leale sostegno delle nostre comunità di appartenenza.
La nostra lealtà non deve però implicare delle “fedeltà auto-negatorie” che ci costringessero ad incatenarci a delle minacce ricattatorie o ad asfittiche dipendenze economiche,affettive o culturali: siano esse di provenienza familistica, corporativa, localistica, nazionalistica , etnica o religiosa.
Il sostegno che noi intendiamo garantire al nostro circoscritto mondo esistenziale e al più grande mondo ecumenico, del qual pure ci sentiamo parte integrante, intende essere leale ma anche scevro da ogni passivo processo di etica osmosi surrettiziamente diretta alla nostra omologazione, collusione, coercizione, corruzione o concussione, risoluti, anzi, ad opporci ad esso quando in tale processo noi stessi siamo personalmente e responsabilmente coinvolti.
Sostanzialmente diversa è una situazione in cui il venir meno della nostra collaborazione mette in gioco - e a rischio - l’esistenza di altre persone che, anche se sono a noi umanamente vicine, tipo i nostri familiari ed i nostri amici, si muovono in un loro sistema di prassi e di valori che noi - nel caso specifico - non condividiamo ma che sono fattori costituenti del loro mondo e del loro modo di essere. Praticamente bisogna vedere se noi ci troviamo in una situazione di forza sociale tale da garantire le loro personali aspettastive e sicurezze indipendentemente dal nostro adattamento al loro mondo.
L’unica nostra dichiarata rinuncia dev’essere quella di rifiutare da chiunque altro una sua promessa di fedeltà verso di noi come anche verso i nostri - circoscritti, familistici, corporativi, localistici, nazionalistici, etnici o religiosi - gruppi di appartenenza: le nostre fedeltà devono cadere tutte le volte che questi gruppi non si propongano come fattori di organico e sistematico sostegno verso l’equilibrio dinamico generale del mondo, verso una possibile armonizzazione delle persone e delle popolazioni in esso civilmente conviventi.
In effetti la nostra comune pretesa di libertà è l’unica reale garanzia di ritrovarci come alleati nel nostro comune impegno di “eterodossa solidarietà”. Solidarietà che per essere civile dev’essere anche eterodossa, perché solo in un sistema generale di libere e solidali differenziazioni può realizzarsi e consolidarsi un sistema federale di autogoverno locale democratico: quello stesso sistema di governo che noi intendiamo proporre come base di una integrazione federale di livello ecumenico.
Senza garanzie di solidarietà morale non ci può essere libertà e alla società civile viene impedito qualsiasi tentativo di evoluzione umana e di civile progresso.

Francesco Introzzi


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