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Energia fra povertà e ricchezza

di Marco Biagioli - Gennaio 2015

 

 

"Solo una minoranza delle istituzioni sociali sono volutamente progettate mentre la maggioranza di esse sono venute su – cresciute - come risultato non premeditato di azioni umane (stato, diritto, moneta, mercato, linguaggio...)" Popper.

 

Stiamo assistendo ad una crescente concentrazione di potere nei grandi agglomerati industriali transnazionali, infatti il 40% del commercio mondiale consiste in transazioni interne ai grandi gruppi. Ciò accresce la divisione tra paesi ricchi e paesi poveri. La banca mondiale ha calcolato che 180 miliardi di dollari l'anno per 10 anni consentirebbero di avere accesso all'acqua potabile ad una istruzione di base e ad un alloggio decente tutti coloro che ne sono privi in tutto il mondo.
Gli Usa e l'Europa concedono ogni anno ai loro agricoltori 347 miliardi di dollari di sussidi, poco meno del doppio di quella cifra; inoltre, in certi anni, si stanziano in Usa 350 miliardi per la difesa e in Europa 140. Quindi non sono le risorse che mancano.
Nella lotta alla povertà ci sono ostacoli quasi insormontabili: il rischio di inquinamento estremo e la perdita del benessere nei paesi occidentali. Nel pianeta siamo poco più di 6 miliardi di persone (eravamo 2,5 solo mezzo secolo fa, saremo 10 nel 2050). Un quinto vive nella parte ricca, quattro quinti nella parte povera. Il reddito pro-capite annuo negli usa è di 33000 dollari, in certi paesi asiatici è di 400. Un americano consuma 26 barili di petrolio in un anno, un europeo 11, un indiano 0,71. Il nostro amico americano consuma 36 volte il petrolio consumato da un indiano. La parte povera del mondo - 4,8 miliardi di persone - consuma meno di un barile a testa l'anno. Una politica di sviluppo (in Sudafrica per ogni 100 famiglie allacciate alla rete elettrica si creano 15 nuove imprese) che portasse i paesi poveri a consumare 3 barili l'anno provocherebbe un grave aumento dell'inquinamento e un tale terremoto nel mercato dell'energia che difficilmente si potrebbe evitare una pericolosa esplosione sociale ed economica.
Potremmo dividere l'energia da bravi fratelli, ma ridurre il tenore di vita in occidente è un'opera ardua (meno luce, prezzi più elevati, macchine con cilindrate molto piccole, meno riscaldamenti ecc.).

 

Una soluzione si prospetta all'orizzonte: l'idrogeno. A seguito dei grandi investimenti che si stanno facendo avremo, nei prossimi decenni, in casa nostra, una cella combustibile alimentata ad idrogeno; questa energia si potrà immettere in rete e, per la prima volta nella storia dell'uomo, anche i paesi poveri potranno teoricamente svilupparsi. Verrà meno infatti il sistema di trasformazione dell'energia più centralizzato e gerarchizzato della storia, creato dalla nostra civiltà fondata sul petrolio che ha notevoli ripercussioni politiche. Ma la gente è diffidente ai cambiamenti: ad esempio quando si introdussero i primi treni a vapore i commercianti di cavalli, che allora dominavano il mercato dei trasporti, si schierarono contro. Solo alcuni di essi vendettero i cavalli e si inserirono nel nuovo affare. Tante persone trovarono strano abbandonare il sistema usato per tanti anni, a cui si erano tanto affezionati. Eppure, anche noi, con gradualità, ci adegueremo con soddisfazione all'ennesimo cambiamento.
Fino al 1700 il legname era la fonte primaria di energia, poi venne il carbone e, dalla fine del 1800, il petrolio. Fra qualche decennio sarà sempre più a buon mercato l'idrogeno con notevoli vantaggi per tutti gli esseri viventi.

 

   Marco Biagioli - Dicembre 2002

 

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