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a cura di Roberta Marzola

 

E quanti allora?

di Danilo D'Antonio

 

Nella giostra di dati ed opinioni su quanti dovremmo essere su questo Pianeta, ad un certo punto viene spontaneo chiedersi: ma si può sapere qual'è l'impronta ecologica minima che un essere umano può avere?

 

Per intenderci: qual è l'impronta ecologica di un aborigeno?

 

Questo, di preciso, al momento non ci è dato sapere, tuttavia nel documento (che prendiamo a rappresentanza di altri presenti in Internet) disponibile a quest'indirizzo: http://reports.eea.europa.eu///envissues20.pdf [NdR indirizzo non più esistente, febbraio 2017] precisamente alla sua pagina 32, troviamo una tabella che ci riporta i Paesi aventi l'impronta ecologica più "leggera".

 

S'inizia col Bangladesh, con un'impronta di 0.5 ettaro per persona, segue poi l'India con un'impronta di 0.8, fino alla Nigeria con 1.5 ed al Perù, avente un'impronta di 1.6 ettari per persona. Per un veloce raffronto, all'Italia viene attribuita un'impronta di 4.2 ettari per persona, mentre quella più pesante è detenuta dagli USA, con un "ingombro" individuale di 10.3 ettari.

 

Sarebbe ad esempio a dire che, mentre un Tizio del Bangladesh (e ben note sono le tristi condizioni di vita di quel Paese) usa circa mezzo ettaro per vivere, un Caio italiano (essendoci note anche queste condizioni di vita) usa qualcosa di più di quattro ettari.

 

Possiamo dire quindi che una disponibilità di mezzo ettaro a persona sia davvero il minimo per vivere, permettendo un livello di vita tra i più bassi al mondo.

 

Il documento sopracitato ci rivela l'area utilizzata da ogni singolo abitante di quei rispettivi Paesi.

 

Da altre serie di dati, come quella riportata a quest'altro indirizzo: http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries possiamo trarre conoscenza di quanta terra invece realmente disponiamo.

 

Verifichiamo così che in Bangladesh ogni abitante dispone di 0.1 parti di ettaro, in India di quasi 0.3, in Nigeria di 0.7 ed in Perù di ben 4.5 ettari, mentre in Italia ognuno di noi può contare su un'area di 0.52 parti di ettaro e negli USA 3.2 ettari.

 

Da un veloce raffronto tra queste due serie di dati, traiamo già qualche motivo di sconcerto. Infatti, non soltanto l'ipersviluppata Italia, ma perfino il misero Bangladesh, e così pure l'India e la Nigeria, e naturalmente anche gli USA, devono ricorrere a risorse provenienti da altri territori, i propri non essendo sufficienti al fabbisogno delle popolazioni. Tutti i Paesi citati hanno infatti un deficit d'impronta ecologica. Solo il Perù rimane in attivo, con un territorio ridondante rispetto alla popolazione.

 

Ma da quanto riportato sopra, possiamo trarre una consapevolezza che genera ancor più inquietudine. L'area di cui noi italiani disponiamo pro capite, all'interno del nostro territorio nazionale, coincide all'incirca con l'area utilizzata per vivere, non poi così bene, da un nostro consimile residente nel Bangladesh. Noi disponiamo di una superficie effettiva di mezzo ettaro a persona, esattamente la stessa area che loro usano per vivere.

 

Questo significa che noi italiani, per soddisfare le nostre esigenze, utilizziamo da tempo risorse provenienti in gran parte da territori altrui. Se dovessimo contentarci di quanto fornito dal nostro territorio non vivremmo granché dissimilmente dagli abitanti del Bangladesh.

 

Superiamo ora la situazione particolare dei singoli Paesi, ed osserviamo alcuni dati a livello globale.

 

Sempre dalla stessa pagina di Wikipedia, vediamo che il nostro mondo ha una superficie di terra emersa pari all'incirca a 134,682,000 chilometri quadrati, con una popolazione complessiva di 6,464,750,000 umani. Ogni terrestre dispone quindi, idealmente parlando, di un paio d'ettari.

 

Ponendo di non lasciare il minimo spazio riservato agli altri esseri viventi, ponendo di riuscire a ripartire tutte le risorse della Terra equamente tra la popolazione mondiale, dimenticando tutti i problemi derivanti da situazioni di alta densità demografica, non soltanto ecologici ma anche sociali, nonché i grossi problemi esistenti di ordine geopolitico, rimanendo quindi in un quadro di totale irrealtà, allo stato attuale della nostra tecnologia, con una disponibilità ipotetica di un paio d'ettari ciascuno, potremmo tutti vivere ad un livello di vita che si posiziona indicativamente intorno a quello del Gabon, della Jamaica, dell'Iran, della Turchia, del Costa Rica, dell'Uzbekistan. In una posizione dunque ancora piuttosto bassa nella scala di ciò che viene correntemente definito sviluppo umano.

 

In un futuro non prossimo, riuscendo noi ad evolvere ulteriormente in ambito scientifico, e costringendoci a dimenticare che ogni tecnologia, anche quella più naturale, ha delle pesanti, serie controindicazioni quando viene utilizzata massicciamente, come avviene quando vi è una sua diffusione capillare, potremmo pensare di migliorare in qualche misura e modo questa situazione.

 

Ma si tratta di assoluta irrealtà, di una situazione ben diversa da quella che stiamo vivendo e che presumibilmente vivremo. Al momento presente, la situazione degli esseri (non solo umani) che vivono su questo pianeta è terribilmente critica, e la cosa più sensata da fare è far decrescere le popolazioni per il tramite di importanti interventi culturali.

 

Sette anni senza far figli sull'intero pianeta: questo è un obiettivo di un certo valore, che potrebbe sia scongiurare la minaccia di seri peggioramenti ambientali e climatici, ma anche aiutare la distribuzione delle risorse disponibili, con forte beneficio quindi delle popolazioni più indigenti. Oltre al fatto che un simile provvedimento contribuirebbe a far rientrare gli stati d'allerta presenti nell'attuale situazione geopolitica.

 

Non dimenticando infine che la questione demografica, specificatamente l'interrogativo: quanti dobbiamo essere? non può trovare risposta limitandoci noi a farne un fatto di pura disponibilità di risorse. Questo va compreso a fondo, con tutte le sue mille implicazioni.

 

Perché non è affatto stabilito che l'umanità debba invadere ogni angolo e divorare ogni bene di questo mondo. Non è affatto saggio che l'organismo sociale umano debba crescere a dismisura ingozzandosi con tutto quello che ha davanti.

 

Chi siamo noi?

 

E soprattutto: chi vogliamo essere, individualmente e collettivamente?

 

Un bruto, cieco, sordo, insensibile essere mostruosamente invasivo, privo di altro ideale se non quello di dilagare dappertutto ed in ogni luogo, travalicando i diritti di ogni altro essere vivente?

 

Od un essere gentile con una grande sensibilità e ricchezza espressiva, e pur equilibrato, sano, forte e potente, che va ben oltre la massa informe e si distingue per la sua grazia, bellezza, stile ed eleganza?

 

Perché è proprio di questo che si tratta: il futuro della forma, e quindi dei fini, che questa umanità andrà a prendere, e sposare. Fini che, a seconda della forma che l'umanità si darà, potranno essere a loro volta mostruosi od aggraziati, violenti o gentili, bruti o consapevoli.

 

La scelta da fare oggi è decisiva. Essa ha un puro carattere epocale.

 

Sbagliare ora potrebbe significare una rovina totale.

 

L'azzeccarci potrebbe invece assicurarci un lungo tempo di dovere compiuto e felicità.

 

Dicembre 2006

 

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