Riflessioni sull'Esoterismo
di Daniele Mansuino indice articoli
Astrologia e astronomia
Luglio 2017
È un concetto generalmente noto che l’astrologia lavora su base geocentrica, ovvero supponendo che la Terra sia al centro del sistema solare, mentre l’astronomia su base eliocentrica. Poiché si ritiene che la prima prospettiva sia sbagliata e la seconda giusta, questo argomento fa parte dell’arsenale dei detrattori dell’astrologia.
Si tratta però di una valutazione superficiale. L’obiezione più ovvia è che gli uomini vivono e operano sulla Terra, quindi per valutare l’influsso degli astri sulle loro azioni è necessario fare riferimento al nostro pianeta; ma a parte questo, l’astronomia non dice che il Sole sta al centro del sistema solare, perché è falso - il Sole occupa, semmai, un fuoco dell’ellisse immaginaria delineata dall’orbita di ciascun pianeta.
È lecito invece affermare che l’astronomia sostenne in passato una sorta di eliocentrismo relativo, sviluppatosi appunto come alternativa alla visione geocentrica.
Il problema si era posto tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, quando fu chiaro che la prospettiva geocentrica poneva problemi insuperabili nel calcolo delle orbite dei pianeti ; ma il fatto che questo argomento da specialisti si sia poi trasformato, nell’immaginario collettivo, in una sorta di lotta tra due opposte visioni del mondo (Galileo, la Chiesa, ecc.) dipese soprattutto da circostanze corollarie e in gran parte accidentali, che in verità nessuno ha mai analizzato compiutamente.
Inutile poi aggiungere che, da quando i misteri del nostro sistema solare sono stati svelati e i telescopi elettronici spaziano ai limiti estremi dell’Universo, la contrapposizione tra eliocentrismo e geocentrismo appare alla stregua di un pittoresco residuo del passato.
Non molti sanno che esiste anche un’astrologia eliocentrica. Per chi è abituato alle effemeridi geocentriche che si usano di solito in astrologia, le effemeridi eliocentriche sembrano davvero curiose: non c’è (ovviamente) il Sole, c’è la Terra al posto della Luna, e le sue posizioni si trovano in aspetto di opposizione esatta a quelle che nelle effemeridi geocentriche sarebbero occupate dal Sole. Per quanto riguarda i pianeti, quanto più si tratta di pianeti prossimi al Sole, tanto più le loro posizioni eliocentriche si distanziano da quelle geocentriche.
L’astrologia eliocentrica ha il limite di non essersi finora rivelata molto utile per il compito più importante cui l’astrologia moderna è rivolta, ovvero il tracciamento degli oroscopi individuali.
Infatti, dal punto di vista simbolico, prendere il Sole come centro equivale a descrivere la personalità interiore della persona, facendo astrazione dal suo comportamento nel sociale: prospettiva senza dubbio affascinante, ma lontana dalle preoccupazioni dei clienti degli astrologi, che richiedono in genere risposte precise a domande concrete.
È questa la ragione per cui, se la cercate in rete, troverete sull’astrologia eliocentrica un numero di pagine incredibilmente ridotto; al punto che non viene considerato redditizio mettere in commercio gli strumenti che consentirebbero di praticarla, ed è un peccato.
Comunque, in pratica, la differenza tra il presunto eliocentrismo dell’astronomia e il geocentrismo dell’astrologia si manifesta soprattutto nelle diverse interpretazioni del concetto di pianeta.
Dal punto di vista astronomico, sono considerati pianeti tutti i corpi celesti che orbitano permanentemente intorno al Sole, e che rispondano a determinati requisiti.
In base a questi, si diceva fino a pochi anni fa che i pianeti erano nove: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone. Poi nel 2006 fu stabilito che Plutone non era abbastanza grande per essere considerato un pianeta, quindi oggi sono considerati otto.
Sono pianeti inferiori Venere e Mercurio, che si muovono tra la Terra e il Sole; pianeti superiori tutti gli altri.
Invece in astrologia vengono considerati pianeti tutti i corpi che orbitano intorno alla Terra, quindi anche il Sole e la Luna. Aggiunti Sole e Luna e tolta la Terra sono dieci, che si dividono in tradizionali e trans-saturnini.
I pianeti tradizionali sono i sette visibili a occhio nudo: Sole, Mercurio, Luna, Venere, Marte, Giove e Saturno. Su di essi si formò tutto il corpo dell’astrologia classica, dai Babilonesi in poi, incluse le copiose corrispondenze tra astrologia, alchimia, magia ed ermetismo.
Quando a partire dal diciottesimo secolo i pianeti trans-saturnini (ovvero al di là di Saturno) cominciarono ad essere scoperti con l’aiuto del telescopio, vennero a turbare un equilibrio perfetto che sussisteva da millenni, e vivace fu il dibattito se dovessero essere presi in considerazione.
Urano, scoperto nel 1781, dapprima fu rifiutato (a dispetto del fatto che Nostradamus - non si è mai saputo come, visto che non aveva telescopi - lo utilizzava già da prima che venisse ufficialmente scoperto, e lo chiamava Caper); Nettuno (1846) sembrava candidato a subire la stessa sorte, quando qualcuno avanzò l’ipotesi che la chiave di interpretazione dei trans-saturnini dovesse essere ricercata negli avvenimenti storici legati all’epoca della loro scoperta.
Questo criterio diede ottimi risultati tanto per Urano quanto per Nettuno, e ancora di più per Plutone (che fu scoperto nel 1930). Da allora in poi, praticamente tutta la comunità astrologica (salvo una piccola pattuglia di ipertradizionalisti) si convertì al lavoro coi trans-saturnini.
All’osservatore che si trova sulla Terra il cielo appare come una grande scodella rovesciata, e l’impressione è che le stelle e gli altri corpi celesti si trovino all’interno di una grande sfera con la Terra al centro. Dentro questa sfera cava immaginaria, per metà visibile e metà no, la Terra ruota intorno al suo asse, e l’immagine che l’osservatore ricava dalla sfera celeste è che essa ruoti in direzione opposta.
Per calcolare le posizioni astronomiche dei pianeti possono essere presi tre piani di riferimento diversi, a ciascuno dei quali corrisponde un cerchio immaginario: equatore, eclittica e orizzonte.
Vedremo ora i primi due.
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L’equatore celeste è la proiezione dell’equatore terrestre sulla sfera celeste, che divide in due apparenti emisferi, al sommo di ciascuno dei quali si trovano il Polo Nord e il Polo Sud celesti; nei paraggi del primo è collocata la Stella Polare, nei pressi del secondo la Croce del Sud.
Delineata in questo modo la sfera celeste, i corrispettivi dei criteri di latitudine e longitudine in uso sulla Terra vengono detti rispettivamente declinazione e ascensione retta.
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L’eclittica è il cerchio tracciato dal percorso apparente del Sole nel cielo, che interseca il cerchio equatoriale con un angolo di 23°30’ circa.
I due punti immaginari dove l’eclittica interseca l’equatore sono detti equinozi (o punti equinoziali). Corrispondono per gli astrologi al grado zero dei segni dell’Ariete e della Bilancia; quando il Sole li raggiunge, nell’emisfero nord della Terra cominciano la primavera (Ariete) e l’autunno (Bilancia). Nell’emisfero sud avviene il contrario.
I due punti dell’eclittica più lontani dall’equatore si chiamano solstizi o punti solstiziali. Corrispondono al grado zero del Cancro e del Capricorno, e ai transiti del Sole su di essi corrispondono l’inizio dell’estate e dell’inverno.
Per generale convenzione, l’ascensione retta di un corpo celeste viene calcolata a partire da uno dei due punti in cui l’equatore interseca l’eclittica: precisamente da quello che si colloca al grado zero di Ariete.
Nelle effemeridi astrologiche, i dati relativi all’ascensione retta di un pianeta momento per momento vengono trasformati nella loro proiezione sull’eclittica. Le migliori effemeridi riportano anche i dati relativi alla declinazione, che tuttavia dal punto di vista astrologico non sono essenziali.
La distanza in gradi di un pianeta del sistema solare dall’eclittica è detta latitudine celeste, e non supera mai il valore di 8-9° a nord e a sud (salvo per Plutone, che può raggiungere 17°).
Questa fascia o cintura entro la quale i pianeti si muovono è detta Zodiaco, ed è divisa in dodici parti uguali chiamate segni, ciascuna di trenta gradi.
Ciascuno dei dodici segni prende nome da una costellazione, benché a causa della precessione degli equinozi non ci sia più corrispondenza tra segni e costellazioni: un dettaglio che molti astronomi rinfacciano agli astrologi come se fosse una prova della loro ignoranza, ma che ai fini dell’interpretazione astrologica è del tutto ininfluente, e dimostra solo l’ignoranza in materia astrologica di chi muove quell’obiezione.
Succede fin da quando ero bambino: a intervalli regolari, compare in tivù qualche scienziato (l’ultimo, che mi risulti, è stato - a Capodanno 2016 - il matematico Odifreddi) che predica con aria ispirata la solita tiritera: gli astrologi non si sono neanche accorti che i segni non sono più quelli di una volta perché le costellazioni si sono spostate, l’Ariete non è più nel segno dell’Ariete, il Toro non è più in Toro, eccetera… è chiaro che, se un telespettatore non ne sa niente e uno scienziato gli dice così, cosa pensa? Lo scienziato avrà ragione.
E invece è una bufala, perché lo scienziato non tiene conto che l’astrologia non si fonda sugli influssi delle costellazioni, bensì dei pianeti.
Avvenne così: quattromila anni fa più o meno, i Babilonesi si resero conto che l’influsso dei pianeti sulla Terra varia a seconda della parte dello Zodiaco in cui stanno transitando. Dopo aver fatto questa scoperta suddivisero lo Zodiaco in dodici settori - ciascuno di trenta gradi - e a ciascuno dettero il nome della principale costellazione che ci si trovava in quel momento: Ariete, Toro, Gemelli e così via.
Passarono i millenni, e le costellazioni si spostarono. Adesso la costellazione dell’Ariete non è più nel segno dell’Ariete.
MA NESSUN ASTROLOGO HA MAI DETTO CHE L’INFLUSSO ESERCITATO DAL PIANETA DIPENDA DALLA COSTELLAZIONE! DIPENDE DAL SETTORE, E IL SETTORE È SEMPRE QUELLO!
Non è una cosa difficile da capire; eppure ripeto, in quell’errore ci cascano in tanti, e a forza di sentirselo rinfacciare se ne lasciarono convincere anche alcuni grandi esoteristi (evidentemente non troppo esperti di astrologia), come Alice Bailey.
Purtroppo, non vengono al mondo al mondo spesso scienziati dalla mente aperta come Olivier Costa De Beuregard (1911-2007 - uno dei massimi fisici del ventesimo secolo), secondo il quale l’universo materiale studiato dalla fisica non è la totalità dell’universo; invece maschera, DIMOSTRA e lascia intravedere l’esistenza di un altro universo, molto più primordiale, di natura psichica, di cui esso sarebbe in un certo modo un doppione passivo e parziale.
Lo Zodiaco che si usa in astrologia è quello cosiddetto tropicale, che fa riferimento cioè ai solstizi e agli equinozi. Non va confuso con quello siderale, che è… lo stesso, ma misura gli spostamenti del Sole rispetto a un punto di riferimento fisso (o meglio lentissimo: la proiezione sull’eclittica della stella fissa Alpha Virginis, che si trova nell’ultimo grado della Vergine) ed è usato in astronomia.
Il terzo cerchio in uso per i calcoli astronomici è il cerchio dell’orizzonte. Dal punto di vista astronomico, i calcoli basati sull’orizzonte servono soprattutto a trovare un corpo celeste col telescopio, e in astrologia sono altrettanto importanti perché l’intersezione dell’orizzonte con l’eclittica determina il grado che sorge (Ascendente) in un luogo e in un momento dati.
Dal Grado Ascendente si sviluppano poi i calcoli relativi alla domificazione: ovvero il tracciamento dei campi (o case) dell’oroscopo, operazione fondamentale ai fini dell’interpretazione.
Gli astrologi del passato dovevano calcolarla a mano; ma non solo, fino a non molti anni fa non era affatto stabilito a priori che il sistema di domificazione oggi in uso (il Placidus) fosse più conveniente rispetto al suo principale concorrente, il Campanus, e molti astrologi eseguivano i calcoli con entrambi i sistemi per poi confrontarli.
Se si vuole saperne di più sulla differenza tra Campanus e Placidus è d’uopo far mente locale sul cerchio dell’orizzonte, immaginandolo come il piano equatoriale (o orizzontale) di una sfera coincidente con la sfera celeste.
Il Polo Nord di questa sfera si chiama zenit, il Polo Sud nadir. Il cerchio verticale che transita per zenit, nadir, ovest e est viene detto primo verticale; quello che transita per zenit, nadir, sud e nord è il meridiano (tutti i cerchi di questo genere, ovvero che transitano per i punti opposti della sfera celeste, sono detti circoli massimi).
Nel Campanus (che fu concepito intorno al 1250), il primo verticale veniva preso come cerchio di partenza: lo si divideva in dodici parti uguali, e dai punti di collegamento tra le parti venivano tracciati sulla sfera celeste altri cinque circoli massimi (per un totale di sei).
Si ottenevano in questo modo sei campi (detti lunule) sopra il piano dell’orizzonte e sei sotto; e poiché ogni punto della Terra ha il suo orizzonte, il suo zenit e il suo nadir, aveva anche le sue lunule campaniane.
Come si vede, questo metodo era interamente legato al piano dell’orizzonte, senza tenere conto dei movimenti dello Zodiaco né di quelli della Terra; finché nel 1680 il monaco benedettino modenese Placidus, potendo contare sugli sviluppi rinascimentali delle scienze astronomiche, propose un sistema più progredito. È fondato sulla misurazione del tempo che ogni grado impiega per trasferirsi dall’Ascendente al Medium Coeli: lo si divide in tre parti uguali, e si trovano in questo modo le cuspidi dell’undicesimo e del dodicesimo campo. Lo stesso metodo viene applicato al tragitto dal MC al Discendente, trovando in questo modo le cuspidi dell’ottavo e del nono; le altre quattro cuspidi, ovviamente, stanno agli opposti.
In verità, gli aficionados del Campanus reagirono indignati allo spietato assassinio delle loro lunule, accusando Placidus di un eccesso di schematizzazione; per non parlare poi del fatto che al di sopra del circolo polare alcuni gradi non sorgono, quindi la domificazione Placidus non può essere calcolata (ma bisogna anche dire che tutti i sistemi basati sull’Ascendente, incluso il Campanus, soffrono alle latitudini alte di un progressivo effetto/distorsione).
Comunque il nuovo sistema ebbe successo, e la sua consacrazione definitiva fu la sua adozione da parte dell’astrologo inglese Robert Cross Smith, in arte Raphael (1795-1832), creatore dell’almanacco che fu per secoli la principale autorità nel campo dei calcoli astrologici (per molti anni venne stampato col torchio a mano in Shaftesbury Avenue, e gli esoteristi che amano Londra possono comprendere da questo dettaglio il potere magico di cui erano investite!).
Le Effemeridi di Raphael furono davvero croce e delizia per innumerevoli generazioni di astrologi, compresa la mia. Fino al 1959 erano calcolate sul tempo di Greenwich; poi dal 1960 al 1982 stabilirono un criterio proprio, che battezzarono tempo delle effemeridi, fondato sulla media dei movimenti del Sole, della Luna e dei pianeti. In pratica funzionava per la Luna, ma per gli altri pianeti era confusione totale; inoltre cambiava ogni anno, e bisognava tenerne conto.
Dal 1983 tornarono a Greenwich, (e personalmente, non sono mai riuscito a capire come si fa a convertire il tempo delle effemeridi in tempo di Greenwich… credo che al mondo lo abbiano capito sì è no in cinque o sei), e fino all’avvento delle effemeridi computerizzate del web, gli oroscopi delle persone nate dal 1960 al 1982 furono caratterizzati da una certa (seppur minima) imprecisione.
Sempre a proposito dei travagli degli astrologi del passato, un altro problema non da ridere era la correzione della durata del giorno. Mentre il comune giorno solare corrisponde al periodo di rotazione della Terra intorno al Sole, il giorno siderale (o sidereo) è il tempo impiegato dalla Terra per compiere una rotazione completa rispetto a un punto nello spazio (anche in questo caso, si prende convenzionalmente il grado zero di Ariete), e a causa dello slittamento della Terra sul suo asse dura 4 minuti di meno (23h 56’).
Questo sfalsamento genera nel corso dell’anno un progressivo accumulo, ed è questa la ragione per cui i calcoli astrologici - per essere corretti - devono essere basati sul cosiddetto tempo siderale, che gli astrologi di una volta dovevano calcolare a mano.
Catastrofe ancora più grande: le variazioni del calendario (altro problema che le effemeridi computerizzate hanno cancellato). Per darne solo una vaga idea, nel 1582 il calendario giuliano venne sostituito col calendario gregoriano; furono soppressi i dieci giorni dal 5 al 14 ottobre, e il Capodanno fu spostato dal 25 marzo al 1° gennaio.
Si stabilì inoltre un anno bisestile ogni quattro anni, fatta eccezione degli anni terminanti per 00, dei quali sono bisestili soltanto 3 su 4 (lo è stato il 2000 ma non lo sarà il 2100).
Dal 1582 a oggi, il calendario gregoriano è stato adottato dalle varie nazioni in date diverse. Tra le ultime l’Albania (1912), la Bulgaria (1916), la Jugoslavia e la Romania (1919), la Grecia (1923) e la Cina (1929); quanto alla Russia, lo aveva adottato nel 1918, ma lo abbandonò nel 1923 per sperimentare uno dopo l’altro due nuovi tipi di calendario, e lo riadottò definitivamente nel 1940.
Qualora per miracolo l’astrologo fosse riuscito a stabilire con certezza la data in cui un russo era nato, gli restava da fissare l’ora: ma anche per il calcolo delle ore, a seconda dei luoghi ci si regolava in modo diverso.
Laddove per esempio ci si fondava su orologi solari (meridiane), non si poteva tener conto del criterio fondamentale in uso per stabilire il tempo astronomico: il calcolo del sole medio, che elimina gli sfalsamenti apparenti della velocità del Sole attribuendogli un moto uniforme nell’arco delle 24 ore. Tutte le effemeridi di uso astrologico si fondano sul sole medio, per cui gli astrologi più precisi dovevano perdere ore in esasperanti correzioni.
In tempi relativamente più recenti sorse poi il problema degli orari convenzionali adottati da ogni Stato per le varie località. In Inghilterra, per esempio, l’ora di Greenwich venne fissata nel 1855, e a partire da quell’anno fino alla sua adozione ufficiale (1880) ciascun singolo comune si regolò in modo diverso - chi adottandola precocemente, chi registrando le nascite in base all’ora locale; la quale ultima, in certi luoghi corrispondeva all’ora solare, in altri all’ora in uso nella città più vicina dove ci fosse un mercato, perché in quelle città calcolare l’ora esatta era importante affinché non ci fossero liti sui posti assegnati alle bancarelle - e così via.
Questa confusione fu risolta solo dopo l’adozione dei fusi orari; ma anche questa avvenne in momenti diversi a seconda dei luoghi. Ancora nel 1905, il sistema dei fusi orari non era stato adottato da Francia, Portogallo, Olanda, Grecia, Turchia, Russia e Irlanda, e in nessuna parte dell’America latina salvo il Cile.
E d’altra parte, la data ufficiale dell’adozione di uno specifico fuso orario da parte di uno Stato non fa fede, perché nei piccoli centri si continuò a regolarsi secondo gli usi locali ancora per molti anni.
Infine, non scordiamoci di quello spaventoso babau degli astrologi che è l’ora legale. Una volta non era come adesso, che la sua adozione si fonda su convenzioni internazionali universalmente rispettate e viene accompagnata da una doverosa opera di informazione mediatica: una volta, ogni Stato si regolava secondo il suo pallino (una forma di confusione che toccò il suo limite più estremo nella seconda guerra mondiale).
Tutte queste difficoltà sono state superate grazie ai media elettronici, che consentono di incorporare in un solo programma un gran numero di informazioni. Adesso è tutto più facile, e gli astrologi possono dedicare maggior tempo al lavoro interpretativo senza esasperanti ritardi.
I lati negativi, direi, sono soprattutto due:
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Il solo lavoro interpretativo, senza una conoscenza tecnica dei presupposti su cui è fondato, può condurre a errori molto ingenui. Ad esempio, per decidere di quali aspetti tenere conto nell’analisi di un oroscopo e di quali no, è necessario considerare a fondo quel dato squisitamente astronomico che è l’orbita dell’aspetto - non basta trovarci l’aspetto sotto il naso perché il computer l’ha stampato!
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Il divario di conoscenze tecniche tra astronomi e astrologi (in favore dei primi) è destinato, col tempo, a allargarsi sempre di più. Peccato, perché il web ha portato nel mondo una sorta di allegra interdisciplinarietà, per cui le nuove generazioni di scienziati sarebbero potenzialmente più disponibili che non in passato a riconoscere la validità delle forme culturali alternative: guardate solo a quello che sta succedendo nel campo della medicina, con il riconoscimento dell’omeopatia, dell’iridologia, eccetera.
Ma perché questo possa avvenire anche nei rapporti tra astronomia e astrologia, sarebbero necessari astrologi che l’astronomia la conoscano bene.
Daniele Mansuino
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