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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

Mancava in questa rubrica una seria trattazione della dottrina alchemica, e sono contento che l’alchimista Frater Lucius mi abbia consentito di riprodurre il primo capitolo del suo libro “La Grande Opera Alchemica”, uscito questo mese per i tipi delle Edizioni Vril (tel. 393-9286698).

Nella casa del Padre mio, vi sono molte dimore (Giovanni 14: 2).

 

L'Alchimia

di Frater Lucius
Aprile 2025

 

La corrispondenza dell’alchimia con la dottrina ermetica è perfetta, ma solamente chi l’ha compresa a fondo ne può godere, e NON ne deve parlare.

Da quando sono diventato operativo, i tentativi di formulare ciò che sto facendo in termini ermetici (anche soltanto il ternario Mercurio, Zolfo e Sale) non fanno altro che confondermi, e capisco perché i molti alchimisti che si sono messi all’Opera senza partire dalla teoria si arrabbiano a sentirne parlare.

Non se ne deve parlare perché la razionalizzazione apportata dalla dottrina ermetica svolge una funzione di filtro, che rallenta la corrente alchemica e diminuisce la sua forza.

Ecco, tra tanti segreti iniziatici fasulli, questo è uno dei pochi che sono veri - asteniamoci dal parlare di alchimia, ed aumenteremo la forza con cui la sua corrente cambierà la faccia della Terra.

Perché la cambierà? Perché sarà la prima volta, negli ultimi cinquemila anni o giù di lì, che il potere prenderà la forma di una dottrina non razionalizzabile, e quindi non dialettica, e quindi inconfutabile.

E la cambierà perché sarà la prima volta, da un tempo ancora più lungo, che un gran numero di esseri umani - senza nessun bisogno di essere colti o istruiti - emigreranno tutti insieme oltre i confini del piano della realtà oggettiva.

Va osservato, in effetti, che l’alchimia rende non-umani, un po’ extraterrestri. Il fatto che, col procedere del lavoro, i ritmi della psiche si accordino con quelli dell’Opera suggerisce modelli di pensiero nuovi, crea in noi una condizione che non è umana né animale.

Se già prima eravate un po’ strani e un po’ diversi dagli altri, questo aumenterà enormemente. Diventerà più difficile capire gli altri e farvi capire.

Questo discorso mi fa riflettere sul senso del fissarsi sulle cose. Molto spesso noi esoteristi siamo considerati dei fissati su idee, teorie o modi di vita strampalati, perché quello che vede il profano è l’esteriorità del nostro essere, che appare lontano dal suo affaccendarsi in rapporti sociali meccanici e ripetitivi: a differenza del profano, l’esoterista appare chiuso in sé stesso.

Però il profano non vede il senso della nostra chiusura: ovvero, che lo stabilire una continuità di pensiero e di azione ci rende tanto interiormente forti quanto lui è vulnerabile.

Noi sappiamo che, quando verrà (con comodo) la morte, la capacità di restare compatti farà la differenza - noi rimarremo, tanto quanto lui si dissolverà nel nulla.

E ci dispiacerà; ma non c’è un modo per farglielo capire - neanche fargli capire che lo scopo dell’alchimia è questo, trasformare in segreto una persona normale in un guerriero immortale.

Non si può farglielo capire appoggiandosi a teorie dialettiche, neanche semplificate e il più possibile volgarizzate, come può essere ad esempio il Ricordare sé stessi di Gurdjeff: infatti il problema è che qualunque formulazione verbale somiglia alle altre, e manca al profano la competenza critica per distinguere i comuni indottrinamenti dalle reali fonti di consapevolezza.

Con l’alchimia, questo non succede. Non dobbiamo nemmeno provarci, a spiegare perché persone adulte perdono migliaia di ore a giocare con strane attrezzature senza nessun apparente profitto - anzi, coloro che hanno voluto provare a spiegarlo hanno saputo dire soltanto (consapevolmente o meno) delle colossali stupidaggini, del tipo cerchiamo l’oro.

Ma tutti coloro che praticano l’alchimia possono vedere - o meglio: sperimentare su sé stessi - il risultato interiore della loro concentrazione consapevole e continuativa, che poco per volta fa dell’essere umano qualcosa di diverso da quello che era: qualcosa di non più umano, almeno nel senso che non ha più debolezze.

Ma adesso basta autocelebrazioni, e passiamo all’alchimia.

La prima cosa che chi vuole dedicarsi all’alchimia deve sapere è che ne esistono di tre tipi, uno per ogni regno della natura: minerale, vegetale e animale.

È questa la divisione più logica, se pensiamo che la Pietra dei Filosofi può essere ottenuta da qualunque sostanza esistente, minerale, vegetale o animale che sia (anche se, in pratica, vengono utilizzate come prima materia soltanto le sostanze con le quali il procedimento è più facile).

Ciascuno dei tre rami dell’alchimia è, a sua volta, oggetto di numerose suddivisioni; ma tutte le procedure alchemiche sono riconducibili ad un unico algoritmo di fondo - che l’Opera è divisa in due parti, la seconda delle quali è divisa in tre.

Nella prima parte, vengono isolati i due ingredienti necessari per la seconda; nella seconda, la loro riunione produce il terzo elemento del ternario, ed attraverso tre passaggi - Opera al Nero, Opera al Bianco e Opera al Rosso - la Pietra dei Filosofi è ottenuta.

Dei tre tipi di alchimia, l’alchimia minerale è la regina, perché fu la prima a comparire sulla Terra: era la forma di conoscenza collegata al lavoro dei fabbri della preistoria, dalla quale le altre due sarebbero derivate.

Parecchio ci sarebbe da dire sul perché i praticanti delle antiche professioni artigiane sentivano il bisogno di elevare costruzioni teoriche sulle loro arti.

Ben prima dell’avvento delle religioni, era probabilmente un metodo per creare quelli che in esoterismo vengono detti gli eggregori: ovvero campi di energie sottili che si rafforzano progressivamente, grazie all’apporto energetico dei praticanti di quella data arte, fino a diventare serbatoi di energia ai quali l’artigiano può collegarsi regolarmente, oppure demoni o dei.

Dopodiché, ciascuna religione sentì il dovere di posare il cappello sugli eggregori, per inglobarli nel suo discorso. Per esempio nel cristianesimo, la cui tendenza di fondo è colpevolizzare tutto ciò che respira, si diceva che l’artigiano è un po’ blasfemo in quanto imita l’azione creativa di Dio, ed il modo per espiare la sua colpa è dedicare a Dio il suo lavoro.

Il presupposto di questa idea è che la condizione dell’uomo di oggi sia frutto del decadimento di un superiore equilibrio preadamitico, del quale abbiamo perso la memoria, ma che è possibile recuperare attraverso il lavoro interiore.

Si trovano miti del genere all’origine più o meno di tutte le culture; ma il carattere della prospettiva cristiana è di attribuire la catastrofe a un errore umano, mentre altrove non è così.

Dal matrimonio tra cristianesimo e iniziazioni di mestiere ebbe origine quello che in Francia (dove durò più a lungo che altrove) era detto il compagnonaggio; su di esso, René Guénon (1886-1951) scrisse pagine molto interessanti.

Ciascuna forma iniziatica di mestiere aveva i suoi riti. Divennero un’anomalia le associazioni dei muratori, da quando San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) trasse dai loro riti la regola dei Templari; da allora in poi (o quasi) Massoni e Templari marciarono insieme, fondendo in una la ritualità artigiana con quella guerriera.

Parecchio prima, in Egitto, praticamente tutte le forme di ritualità artigiane - ivi inclusa l’alchimia minerale - si erano amalgamate in quella che era praticamente la ragion d’essere di quella civiltà: la trasmutazione interiore.

Tutti gli antichi Egizi prestavano la propria attività affinché l’individuo potesse trasformarsi in una creatura immortale. Ne venne fuori una scienza che a un certo punto, nella civiltà greco-romana, si sganciò dalla sua fonte, e diventò l’ermetismo: una potente spiegazione magica del mondo.

Se il socialismo era i Soviet più l’elettricità, possiamo dire senz’altro che l’ermetismo fu l’alchimia più i geroglifici. L’invenzione della scrittura consentiva di esprimere le leggi alchemiche secondo modalità che non sempre concordano con l’alchimia operativa, e questo fornì sicuramente una forte spinta al rapido emanciparsi da essa dell’ermetismo.

La base dell’ermetismo è la legge di analogia, formulata da Ermete Trismegisto nella Tavola Smeraldina; e tra i molti poteri di questo magico scritto, c’è anche quello di innescare - per analogia, appunto - l’effetto automatico che determina l’espansione dell’ermetismo nel mondo.

Ora, un frutto dell’incontro dell’ermetismo con il cristianesimo fu una profonda revisione degli scopi originati delle tradizioni artigiane: dal trasmutare l’individuo a trasmutare l’umanità.

E questo perché la mission fondamentale del cristianesimo consiste nell’unificazione di tutti gli eggregori in un solo Dio - un dio abbastanza potente perché, mediante il suo culto, tutte le civiltà del mondo possano essere risucchiate in una forza unitaria (idea geniale di Gesù - o di San Paolo, non si sa bene - che dall’Islam venne ancora rafforzata, a spese però dell’adattabilità).

Vediamo dunque nella civiltà occidentale svilupparsi - parallelo alle religioni, e indipendente da esse - un processo graduale di volgarizzazione e allargamento dell’ermetismo, del quale possiamo distinguere sinteticamente alcune tappe, ben note agli addetti ai lavori: rosacrucianesimo, massoneria, occultismo, teosofia, new age, channeling

Questa svolta ebbe ripercussioni anche nel campo dell’alchimia individuale, in quanto comportava un’estensione dell’uso della legge di analogia che ampliò il campo d’azione dei due rami alchemici minori a spese dell’alchimia minerale.

Nel periodo tra il Medioevo e il Rinascimento, l’alchimia sopravvisse in occidente; con grandi nomi come Bacone (1214-1294), Flamel (1330-1419), Agrippa (1486-1535) eccetera.

I rapporti degli alchimisti classici con gli innovatori spaziavano dall’aperta insofferenza a forme di compenetrazione. Così avvenne nel rosacrucianesimo, un movimento che era una sorta di alchimia socializzata, e che fu il primo a organizzarsi in logge; una scelta che, più tardi, sarebbe stata adottata anche dalla Massoneria, la quale è ermetica tanto nel simbolismo dei gradi azzurri quanto nei sistemi dei cosiddetti alti gradi.

C’era anche un ramo laterale dell’ermetismo, la qabbalah, che viaggiava a fianco dell’esoterismo europeo - certe volte influenzandolo, altre facendosi influenzare da lui.

Secondo gli insegnamenti dell’associazione segreta africana degli Aun-Thom-Bha, la qabbalah (non nel senso di qabbalah luriana, bensì in quello più ampio di esoterismo ebraico, ovvero il senso che le danno i qabbalisti di oggi) sarebbe sorta dagli insegnamenti ermetici forniti da Jethro a suo genero Mosé; i quali avrebbero plasmato nel corso dei secoli quell’identità ebraica, sia religiosa che culturale, che avrebbe a sua volta dato origine al cristianesimo.

In epoca cristiana, tra le innumerevoli filiazioni della qabbalah possiamo annoverare l’associazione esoterica nota come sabbataismo o sabbatianesimo, creata nel diciassettesimo secolo da Sabbatai Zevi (1626-1676).

Da questa, a sua volta, ebbe origine il frankismo, ovvero una filiazione del sabbataismo operante in seno alla civiltà occidentale.

Il frankismo ebbe il compito di avviare sovrastrutture volte ad ampliare e migliorare la capacità della mente umana di assimilare algoritmi, dando vita nel diciottesimo secolo ad un numero enorme di effimere associazioni esoteriche, la cui memoria è perlopiù andata perduta.

Il suo successo si espresse, in un primo tempo, attraverso il boom della scienza moderna, a partire dalla meccanica; ma si sarebbe poi rivelato anche un mezzo per incrementare l’emozionalità, e dare origine (tramite i media) alla coscienza collettiva.

Un altro importante figlio dell’ermetismo è il voodoo, figliato dagli Aun-Thom-Bha: una disciplina che illustra, enfatizzandola, la capacità della legge di analogia di generare - tramite la ritualità magica - poderosi effetti emozionali.

I loa del voodoo erano un tempo esseri umani, che seppero sviluppare un enorme livello di emozionalità positiva (nel senso gurdjeffiano dell’espressione); al punto che, per risvegliarla, oggi basta che l’hungan metta in moto la catena analogica che a ciascun loa è collegata.

Nel voodoo questo è un fenomeno particolarmente evidente, perché costituisce l’essenza stessa della disciplina - ma procedure analoghe si possono riscontrare in tutte le discipline ermetiche più avanzate, nelle quali la creazione di eggregori è la prassi; ed anzi, in alcune di esse (come ad esempio la massoneria), anche la pratica della disciplina in sé costituisce una sorta di super-eggregore (un voodooista direbbe: un super-loa).

 

Lo stesso vale per l’alchimia operativa, e per questo è lecito dire che la Grande Opera alchemica è un essere vivente: un eggregore antichissimo, in contatto con l’uomo fino dalla preistoria.

Questa creatura venerabile si pone in contatto, ogni tanto, con persone di sua scelta, svelando loro alcuni dei suoi numerosi algoritmi - e l’alchimista li mette in pratica, ed attuandoli si rende partecipe di una parte sempre più grande del campo di forza dell’eggregore - e così facendo, sempre di più si estende la sua capacità di attingere alla conoscenza in esso contenuta.

È questo il Cercare l’Oro; ma è anche qualcosa di molto diverso dal senso letterale di questa espressione, ed è lecito senz’altro il riscontrare una responsabilità negativa in quanti continuano a utilizzare questi termini ingannevoli per parlare di alchimia.

Il minimo che viene da dire in proposito è che non ne hanno capito molto - senza neanche voler cadere nell’estremo opposto, ovvero in quello di Jung, che pur avendo il merito di attirare sull’alchimia l’attenzione della cultura ufficiale (e fu il primo nella storia), esagerò decisamente nel volerle attribuire un valore soltanto psicologico.

In verità, l’errore di tutte le interpretazioni parziali od errate dell’universo alchemico ha la radice nel pensiero lineare: croce e delizia della nostra epoca, perché - sebbene utilissimo - l’essere umano non mai riesce a trattenersi dall’applicarlo al di fuori dal suo naturale campo d’azione.

E questo errore vale anche per noi alchimisti - linearmente, ci si butta lungo il cammino alchemico perché si intravvede una meta lontana laggiù in fondo; e lo facciamo anche se non pensiamo di riuscire a raggiungerla, vuoi per una sorta di spirito sportivo, vuoi per passare il tempo - e continuiamo ad andare avanti così, con gli occhi fissi sul laggiù in fondo, senza cercare di comprendere il presente di quello che stiamo facendo.

Cos’è che non vediamo? Non vediamo ciò che Marshall McLuhan seppe vedere dei media, anche perché è una delle cose più difficili da vedere: che il medium è il messaggio - per esempio, l’effetto principale della tv non è nelle opinioni o nei modelli di vita che trasmette, bensì nelle modifiche dei processi di funzionamento cerebrale indotte dal guardarla.

Lo stesso vale per il medium alchimia: non stiamo cercando di arrivare ad una Pietra dei Filosofi che sta laggiù in fondo, bensì a noi stessi ora.

Lo voglio ripetere: se ci siamo dati al lavoro alchemico, stiamo PROFONDAMENTE cambiando noi stessi qui e ora.

La funzione dell’Opera è quella di un centro di gravità permanente non del tutto localizzabile nella vita interiore, bensì parzialmente esteriorizzato nel laboratorio.

L’alchimista sa quanto - molto più di quanto si possa ottenere con le pratiche meditative, e con meno sforzo - i suoi pensieri siano sempre, e costantemente, fissati lì.

Questo primo capitolo deve essere chiuso con lo sfatare un altro dei grandi miti che circondano l’alchimia, ovvero che arrivare alla Pietra dei Filosofi sia un percorso lungo e difficile: al contrario è facilissimo, anche un principiante ci riesce senza difficoltà.

Come dicevano i grandi della nostra Arte, Lavoro di donna e gioco da bambini; e c’era davvero un bel po’ di sadismo, nella scuola francese che ha monopolizzato il dibattito alchemico europeo nel ventesimo secolo, con la sua scelta di proiettare sulla prassi alchemica tutte le più ridicole nevrosi dell’esoterismo associativo - così il segreto iniziatico, così il Molti sono i chiamati ma pochi gli eletti, così l’ascetico disprezzo verso il mondo profano …

Tutti quelli che ho appena elencato sono senz’altro artifizi utili per suscitare orgasmi ai membri delle nostre sgangherate élites esoteriche, sempre alla cerca non del Graal, ma di improbabili motivi per sentirsi superiori agli altri; però non solo sono estranei alla tradizione alchemica, ma anche fuorvianti.

 

Frater Lucius


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