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Vecchio 18-09-2009, 11.07.06   #1
ornella
farabutta
 
L'avatar di ornella
 
Data registrazione: 05-02-2008
Messaggi: 327
Poesia e psicanalisi

Ho letto con piacere questo dialogo tra Giuliano Fuortes
e Doriano Fasoli.
https://www.riflessioni.it/conversazi...-fuortes-1.htm
L'ambiente trattato profuma di semplice e spontaneo e quindi prezioso e onesto.
“Poesia è la voce, il testo la sua eco”.
Mamma mia, non lo sapevo questo! Doriano, che bel regalo! Beh, lui ha detto molto meglio di me quello che io ho provato a dire all’inizio. La poesia è sintesi, per non sbrodolarsi, per non diventare ridondanti…

Questo scorcio di conversazione ne è l'emblema.
Il poeta in tutto ciò può solo produrre un eco, suggerire una musicalità che smetterà di appartenergli.
Non amo molto l'immagine che si ha dei poeti, ed essi forse non dovrebbero esistere come tali. Se i fiori malati rimangono legati nella banalità al poeta non comprendiamo la poesia, che è condivisione quando è onesta.
"I poeti sono egocentrici, malati patologici e cronici ed eterni infelici". Questo dialogo parla d'altro, parla di poesia creatrice ed educatrice, che disvela tonalità interiori più simili alla fotografia che al verbo.
Bello!

Ultima modifica di ornella : 18-09-2009 alle ore 14.51.04.
ornella is offline  
Vecchio 08-01-2011, 14.41.40   #2
renato romenghi
Nuovo ospite
 
Data registrazione: 05-01-2011
Messaggi: 1
Riferimento: Poesia e psicanalisi

Si potrebbe fare al riguardo una lettura psicanalitico filosofica su Lucrezio e il suo straordinario poema in versi "De rerum natura", ovvero "La natura delle cose".
Il “De rerum natura”è una lunga riflessione sulla natura delle cose, sulla realtà che ci circonda in tutta la sua fisicità e complessità, sulla verità cosmica, questa la materia d’indagine del poema didascalico in sei libri di Tito Lucrezio Caro, scritto in un tempo molto lontano dal nostro, in una lingua che i giovani dei licei utilizzano come fosse un codice cifrato di provenienza extraterreste, in un ritmo metrico di cui abbiamo perso lungo i secoli la cadenza dei dattili e degli spondei. Nondimeno l’opera è la più sublime esposizione di poesia, scienza e filosofia che la storia della letteratura ci abbia tramandato, e la sua prorompente attualità induce a profonde riflessioni di ordine ontologico, e suggerisce molteplici approfondimenti e analisi tra il tempo di Lucrezio e il nostro, tra il suo messaggio filosofico e la nostra dimensione culturale. La vita di Lucrezio fu oscurata, criptata dalla propaganda politica culturale del tempo, si disse che “T. Lucretius poeta…amatorio poculo in furorem versus, cum aliquot libros per intervalla insaniae conscripsisset,… propria se manu interfecit, anno aetatis XLIII” (San Gerolamo, IV sec. d.C.), che quindi si fosse tolto la vita in seguito ad un violenta crisi di pazzia, provocata da un filtro d’amore.
Era un tentativo per screditare la sua figura e la validità della sua opera, perché il suo messaggio aveva potenti valenze eversive per l’ordine costituito, la dottrina epicurea da lui proposta come radicale rimedio alla generale corruzione sociale e politica, “patriai tempore iniquo”, come cultura forte rivolta al ceto dirigente e intellettuale di Roma, nella figura di Gaio Memmio (propretore in Bitinia nel 59 a.C.), esaltava l’individualismo e il disimpegno politico, nel tempo degli Scipioni, in cui la classe dominante si riconosceva nel raffinato stoicismo di Panezio (Cicerone ammira Lucrezio e si preoccuperà di pubblicare la sua opera postuma, ma nelle “Tusculanae”definisce l’epicureismo dottrina buona solo per gli ignoranti).
Una proposta culturale e filosofica scandalosa per l’impegno civile dei giovani aristocratici, un progetto consapevole di rottura con la tradizione culturale romana, una dottrina estremamente razionalistica dalla forte carica eversiva perché rivolta ad ogni ceto sociale esistente a Roma, compresi le donne e gli schiavi (che avevano libero accesso al Giardino, la scuola ateniese di Epicuro). Il razionalismo e l’individualismo epicurei non consentivano mediazioni con l’intreccio tra potere politico, militare, religioso e culturale che aveva determinato la forza e la credibilità dello Stato romano. Figura scomoda ed eversiva quindi, Lucrezio doveva essere oscurato ed eliminato dalla scena letteraria del tempo.
Proprio perché sosteneva che la serenità interiore (atarassia) è raggiungibile solo attraverso la lucidità intellettuale, bisogna sgomberare la mente umana dai fantasmi della superstizione e dal terrore della morte. Il cosmo è popolato da infiniti mondi, e il nostro è solo uno di questi, i corpi e le anime derivano da aggregazioni di atomi ( semina), più o meno consistenti, più o meno impalpabili, e al momento della morte si dissolvono senza lasciare memoria di sé, ritornando all’eterno movimento della materia in cui niente si crea e niente si distrugge, ma tutto si trasforma. Il numero degli atomi è infinito, come è infinito lo spazio vuoto, come sono infiniti i mondi possibili, quindi la terra non è che uno degli infiniti mondi possibili.
Affermazione di notevole portata etica, contro la presunzione cristiana e premoderna che porta l’uomo a credere se stesso e il suo pianeta al centro dell’universo. Epicuro stesso afferma che non esiste alcun progetto divino che voglia l’uomo dominatore del mondo, e lo autorizzi quindi a ritenersi superiore alle altre forme viventi. C’è un netto rifiuto, convinto e polemico, della dottrina platonica, di ogni teleologismo o finalismo, di un mondo governato da una volontà divina. Non si tratta di ateismo, ma della semplice constatazione dell’esistenza del dolore, data la totale indifferenza degli dei nei confronti della vita umana, presi unicamente dalla loro condizione di beatitudine, incompatibile con il turbamento che ne deriverebbe se si lasciassero coinvolgere dalle alterne vicende di semplici aggregati corporei.
Al di là della nostra breve parentesi di vita, per noi è il nulla, quindi niente sfugge alla morte, nemmeno lo spirito, e gli atomi dell’anima, più sottili e leggeri, si dissolvono velocemente al momento della disgregazione dei corpi. Gli atomi però in precedenza, se fossero caduti in linea retta, non si sarebbero mai incontrati, invece spontaneamente e per caso (clinamen) hanno deviato dal loro percorso, formato aggregati e dato vita a corpi di ogni genere e specie. Ecco giustificata l’etica del libero arbitrio, estrema volontà umana di fare scelte soggettive, e tentativo inconsueto (manca in Epicuro) di sfuggire al meccanicismo più determinato.
Se infatti tutto accadesse in base a pure e semplici leggi meccaniche, in assenza di un principio spirituale, come si spiegherebbe la capacità dell’uomo di effettuare libere scelte autonome? Infine il progetto di felicità proposto all’umanità si realizza pienamente con la definizione di piacere, che non è assolutamente ricerca sfrenata di soddisfazione ai bisogni più diversificati, ma al contrario risposta moderata e quasi ascetica alle esigenze naturali e necessarie dell’uomo, quali la fame, la sete, il freddo, ecc…
Messaggio decisamente misurato e critico nei confronti di un’insensata ricerca di poteri terreni e ricchezze smodate, proposta concreta di un’alternativa al consumismo per una classe sociale aristocratica raffinata e potente. Il vero piacere si identifica nella serenità dell’animo (atarassia), nella conoscenza intellettuale tipica del sapiente. Dato che non esiste nulla al di fuori della natura-materia, lo scopo dell’etica non può essere altro che il vivere secondo natura, il che costituisce la felicità.
Ogni sensazione piacevole è un bene, ogni sensazione sgradevole è male, bene è il piacere, male è il dolore, il piacere è il mezzo essenziale per la conquista del fine costituito dalla felicità, cioè vivere secondo natura. Fondamentale è quindi la conquista di una comprensione razionale della realtà naturale: solo un saggio libero atto della volontà, della razionalità, può portare alla conquista del vero piacere. “Tutti i piaceri sono bene, ma non tutti sono da scegliersi, così come tutti i dolori sono male, ma non tutti sono tali da doversi fuggire” scrive Epicuro nelle Lettera a Miceneo. I piaceri essenziali sono rappresentati dalle necessità primarie, mangiare, bere dormire, e sono sempre da soddisfare, perché in caso contrario l’esistenza stessa ne sarebbe compromessa.
I piaceri non necessari, cibarsi in maniera raffinata, dormire comodamente, possono essere eliminati dall’esistenza senza che questa ne abbia a soffrire. I falsi piaceri poi, indotti dalle convenzioni sociali, potere, ricchezza, prestigio, lusso, cultura, amore (l’eros travolgente è essenzialmente una menzogna perpetrata dalla materia per riprodurre se stessa), inducono alla dipendenza, che è propriamente sofferenza allorché si venga privati della fonte della nostra illusoria felicità. La felicità non dipende mai da qualcosa di esterno, ma sempre e soltanto dalla nostra disposizione interiore.
Un’etica rigorosa e quasi ascetica, ma il ritratto che degli epicurei verrà fatto a Roma, rispecchierà l’intenzione caricaturale di chi mirava ad oscurare l’essenza vera del loro messaggio. Eccoli allora dipinti come gaudenti privi di ogni freno morale, deformati da una propaganda politica avversa: Orazio definirà ironicamente se stesso “porcus de grege Epicuri”. In definitiva quindi suprema felicità è l’atarassia, assenza di ogni turbamento esterno, mancanza di passioni menzognere, conquista di una comprensione razionale della falsità delle ideologie religiose, liberazione dal timore della morte (presente solo in assenza della vita), e infine conoscenza scientifica della natura delle cose.
renato romenghi is offline  

 



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