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Cultura e Società - Problematiche sociali, culture diverse.
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Vecchio 19-02-2004, 09.43.37   #21
Giuliano
Ospite abituale
 
Data registrazione: 14-12-2003
Messaggi: 270
Re: ok...

Citazione:
Messaggio originale inviato da tammy
sono una donnetta fragile, lacrimosa, romantica, emotivamente instabile, stupida ed ignorante.

Fatte queste premesse vi chiedo:

DUBBI nulla eh?

Cioè...proprio tutti, salvo qualche nick, convinti che il "dramma" pantani sia circoscritto al dopping e non invece a mettere in luce una qualche verità che solo Lui ha pagato.
Sè discusso anche qui sull'argomento suicidio.... qual'è la linea del coraggio e della vigliaccheria? Perchè un'uomo dovrebbere essere così debole o arcistufo da subire violenza, per arrivare a togliersi la vità? E perchè non dovrebbe essere vero il contrario? cioè: tanto forte e sicuro della sua innocenza che proprio non ha più sopportato psicologicamente la "vergogna" che gli è stata gettata addoso?

Il dopping non riguarda solo il ciclismo, ma a quanto pare è l'unico che paga in numero di vittime.

Oltre a quanto menzionato sopra sono ottimista: aspetto, come il cinese sulla riva del fiume il cadavere del suo nemico, la verità sull'uomo e campione Pantani.
Al momento preferisco il beneficio del dubbio e presumo anche il dubbio all'evidenza dei fatti.

...che ci volete fa...son cotta....


Personamente Tammy dubbi ne ho molti,e di fronte ad un dolore come quello che porta un uomo a togliersi la vita le parole mostrano tutti i loro insuperabili limiti,e di fronte al mistero di una scelta del genere non si puo' dare giudizi morali
quello che pero' temo e' che si dia quasi un significato "eroico" e "rappresentativo" di un gesto che e'invece profondamente e dolorosamente personale

non credo che si possa e si debba dargli un significato di ribellione o di altro,la ragione piu' profonda la conosce Marco e ness'un altro

ma siccome ogni uomo e' legato in qualche modo alla societa' e agli altri uomini,una riflessione io precedentemente ho voluto farla,solo per dire che siccome so che nel ciclismo il doping pesante e d'uso corrente e non si puo' vincere ma nemmeno partecipare ad alti livelli senza , e so che queste sostanze vanno a ostacolare equilibri fisiologici a cui noi tutti dobbiamo la nostra salute fisica e mentale,da tutto questo Marco non e' stato certo aiutato,anzi

non so se Marco e' stato anche usato come capro espiatorio,ma so che nella Cina antica si pagavano i medici finche' si era in salute,ora certi medici sportivi o preparatori arrivano a prescrivere degli antidepressivi(!) (vedi caso Juve) agli sportivi perche' in qualche modo migliorano le loro prestazioni,quindi aumentando le possibilita' che vincano e soprattutto che facciano ma piu' che altro facciano fare dei bei quattrini

la cosa peggiore che cosi' si propone una mentalita' per cui si puo' calpestare perfino se stessi pur di essere al top,pur di fare soldi

ma velo ricordate lo sport di Coppi , Bartali,Corso,ma anche Riva,fino a Tardelli...poi hanno cominciato ad ucciderlo,lo sport,quindi ad uccidere molti dei nostri sogni

Saluti
Giuliano is offline  
Vecchio 19-02-2004, 10.45.09   #22
rodi
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Data registrazione: 07-05-2003
Messaggi: 1,952
E si.
Si uccide lo sport vero.

Si sono spostati gli obiettivi da raggiungere oltre quelli data dalla natura umana.

Quel che mi preoccupa seriamente è che tutto ciò non riguarda più solo i professionisti... siamo andati anche oltre... si tirano su i ragazzini con questi schemi educativi... nelle palestre 'amatoriali' circolano sostanze più o meno lecite.
li vedi da un kilometro di distanza i corpi di quelli che fanno uso di sostanze 'dopanti', il loro corpo perde l'equilibrio, la proporzione naturale, è atroce e falso...

E' un fenomeno che è ormai diventato di massa e che dovremmo cercare di far retrocedere.

Forse la morte di un ex campione può rappresentare uno stimolo, uno spunto.
Lui era famoso e di lui si parla, altre morti passano 'inosservate' ma non per questo contano di meno a livello umano.

Dipende da noi che siamo ancora qui scegliere cosa farne di questa esperienza.
Si può prendere anche spunto da questo per trarne qualcosa di positivo.

Non credo ci possa essere modo migliore per mostrare la propria disapprovazione e per rendere omaggio alle vittime.

Certo che se la massa continua a riempire gli stadi di calcio, pur sapendo tutto quello che c'è dietro, non possiamo 'pretendere' che siano le persone che ne traggono beneficio economico a metter fine a questo scempio.
rodi is offline  
Vecchio 24-02-2004, 23.57.43   #23
freedom
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L'avatar di freedom
 
Data registrazione: 16-10-2003
Messaggi: 1,503
A bocce ferme ho piacere di dire la mia.

Secondo me Pantani quel giorno (giugno '99) a Campiglio aveva 2 strade possibili: 1) fare come fanno tutti, accettare 15 giorni di squalifica, fare il bravo bambino un pò cretino e riprendere a gareggiare. Forse, un mese dopo, sarebbe andato al Tour e l'avrebbe vinto! E dopo qualche anno nessuno si sareebbe ricordato più di quella brutta pagina. 2) fare il gran gesto sputtanando tutti e dimostrando che tutti sono dopati. Certo non avrebbe mai più corso ma avrebbe fatto veramente la rivoluzione! Che uomo poteva essere!!

Purtroppo ha scelto di negare la realtà e si è cacciato in un vicolo cieco. Per debolezza ovviamente.

La cosa veramente rivoltante è questo negare che si dopano tutti: campioni, mediocri e schiappe. Ragazzini, ragazzine, tutti!!

Mah. Io gli volevo bene al Panta però!

Ciao Marco
freedom is offline  
Vecchio 28-02-2004, 12.25.44   #24
Giuliano
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Data registrazione: 14-12-2003
Messaggi: 270
Umberto Galimberti: Pantani nel deserto dei depressi
Tratto da “la Repubblica”, 18 febbraio 2004

La cosa più sconvolgente nella tragedia di Marco Pantani forse non è la sua morte, ma l'assoluta solitudine in cui era stata lasciato negli ultimi anni, quando le glorie del campione cedevano il posto alle sofferenze mute e forse abissali dell'uomo.
Educati come siamo alla cultura dell'applauso non sappiamo neanche dove sta di casa la cultura dell'ascolto. Distribuiamo farmaci per contenere la depressione, ma mezz'ora di tempo per ascoltare il silenzio del depresso non lo troviamo mai. Con i farmaci, utili senz'altro, interveniamo sull'organismo, sul meccanismo biochimico, ma la parola strozzata dal silenzio e resa inespressiva da un volto che sembra di pietra, chi trova il tempo, la voglia, la pazienza, la disposizione per ascoltarla? Tale è la nostra cultura. E allora il silenzio diventa tumultuoso, e la depressione prende a parlare, non con le nostre parole banalmente euforiche o inutilmente consolatorie, ma con quelle rotture simili alla lacerazione delle ferite quando il corpo le conosce come ferite mortali.
È a questo punto che lo spettro della morte si annuncia e inizia a parlare con il tono tranquillo di chi sa di tenere nelle proprie mani tutte le sorti.
Fine del baccano indiavolato in cui quotidianamente tentiamo di esprimere la nostra gioia. Un baccano che è la parodia del grido d'angoscia che, se fosse ascoltato, ci farebbe riconoscere un uomo nel deserto delle cose.
Un deserto che si espande da quel presente muto, in cui il depresso disabita per invivibilità ogni evento, al passato che ha desertificato glorie, trionfi e amori che non si sono radicati, progetti estinti al loro sorgere, ricordi che non hanno nulla a cui riaccordarsi, in quella solitudine frammentata dove l'identico, nella sua immobilità senza espressione, coglie quell'altra faccia della verità che è l'insignificanza dell'esistere.
Non si può parlare neppure di disperazione, perché l'anima del depresso non è più solcata dai residui della speranza. E le parole che alla speranza alludono, le parole di tutti, più o meno sincere, le parole che non si rassegnano, le parole che insistono, le parole che promettono, le parole che vogliono guarire languono tutte attorno al depresso, come rumore insensato. Il rumore che gli altri, quelli che un tempo applaudivano, si scambiano ogni giorno per far tacere a più riprese quella verità che il depresso, nel suo silenzio, dice in tutta la sua potenza.
Bisogna avere il coraggio di vivere fino in fondo anche l'insignificanza dell'esistenza per essere all'altezza di un dialogo con il depresso. E solo muovendosi intorno a questa verità, che è poi la verità che tutti gli uomini si affannano a non voler sentire, può aprirsi una comunicazione.
Comunicazione rischiosa, non perché ci può trascinare nella depressione, ma perché può tradire la nostra insincerità. Il depresso infatti è sensibile al volto che smentisce la parola, e il suo silenzio smaschera la finzione e l'inconsistenza. Per questo i volti dei depressi sono rigidi e pietrificati.
Abitando la verità dell'esistenza con tutto il suo dolore, essi non stanno al doppio gioco della parola che danza disinvolta nell'insensatezza della vita, o che, impegnata, indica una formazione di senso laggiù ai confini del deserto.
Il depresso sa che il confine, come l'orizzonte, è sempre al di là di ciò che di volta in volta appare come confine e orizzonte, sa che non c'è felicità nella sequenza dei giorni, che il sole che muore è lo stesso che risorge, e che nel cerchio perfetto che il ritorno disegna naufraga il progetto che per un giorno s'era levato per reperire un senso nella vita.
Si può spezzare questo cerchio tragico e perfetto? Sì, se siamo capaci di ritrovare l'essenza dell'uomo che Hölderlin indica là dove dice: "Noi siamo un colloquio" . Il colloquio è fatto solo di parole, ma le parole non si dicono solo, si ascoltano anche. Ascoltare non è prestare l'orecchio, è farsi condurre dalla parola dell'altro là dove la parola conduce. Se poi, invece della parola, c'è il silenzio dell'altro, allora ci si fa guidare da quel silenzio.
Nel luogo indicato da quel silenzio è dato reperire, per chi ha uno sguardo forte e osa guardare in faccia il dolore, la verità avvertita dal nostro cuore e sepolta dalle nostre parole. Questa verità, che si annuncia nel volto di pietra del depresso, tace per non confondersi con tutte le altre parole.
Parole perdute per il senso profondo della nostra esistenza, che ogni giorno tentiamo di disabitare dietro le maschere in cui è dipinta ovvietà, incrostazioni di felicità, recitate euforie.
Esaltarci per i trionfi o piangere per la morte sono gesti insufficienti al limite dell'ovvio, così come non basta batter le mani tanto per una vittoria quanto per il passaggio di una bara. La depressione chiede di più: non entusiasmi, non pianti, non applausi. La depressione chiede ascolto.
Quell'ascolto che tutti abbiamo negato a Marco Pantani e che, a partire dalla sua morte, potremmo incominciare a inaugurare come primo segno di una cultura meno plaudente perché più riflessiva, più attenta alla solitudine degli uomini.
Giuliano is offline  
Vecchio 28-02-2004, 15.01.46   #25
bomber
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Messaggio originale inviato da Giuliano
Umberto Galimberti: Pantani nel deserto dei depressi
Tratto da “la Repubblica”, 18 febbraio 2004

La cosa più sconvolgente nella tragedia di Marco Pantani forse non è la sua morte, ma l'assoluta solitudine in cui era stata lasciato negli ultimi anni, quando le glorie del campione cedevano il posto alle sofferenze mute e forse abissali dell'uomo.
Educati come siamo alla cultura dell'applauso non sappiamo neanche dove sta di casa la cultura dell'ascolto. Distribuiamo farmaci per contenere la depressione, ma mezz'ora di tempo per ascoltare il silenzio del depresso non lo troviamo mai. Con i farmaci, utili senz'altro, interveniamo sull'organismo, sul meccanismo biochimico, ma la parola strozzata dal silenzio e resa inespressiva da un volto che sembra di pietra, chi trova il tempo, la voglia, la pazienza, la disposizione per ascoltarla? Tale è la nostra cultura. E allora il silenzio diventa tumultuoso, e la depressione prende a parlare, non con le nostre parole banalmente euforiche o inutilmente consolatorie, ma con quelle rotture simili alla lacerazione delle ferite quando il corpo le conosce come ferite mortali.
È a questo punto che lo spettro della morte si annuncia e inizia a parlare con il tono tranquillo di chi sa di tenere nelle proprie mani tutte le sorti.
Fine del baccano indiavolato in cui quotidianamente tentiamo di esprimere la nostra gioia. Un baccano che è la parodia del grido d'angoscia che, se fosse ascoltato, ci farebbe riconoscere un uomo nel deserto delle cose.
Un deserto che si espande da quel presente muto, in cui il depresso disabita per invivibilità ogni evento, al passato che ha desertificato glorie, trionfi e amori che non si sono radicati, progetti estinti al loro sorgere, ricordi che non hanno nulla a cui riaccordarsi, in quella solitudine frammentata dove l'identico, nella sua immobilità senza espressione, coglie quell'altra faccia della verità che è l'insignificanza dell'esistere.
Non si può parlare neppure di disperazione, perché l'anima del depresso non è più solcata dai residui della speranza. E le parole che alla speranza alludono, le parole di tutti, più o meno sincere, le parole che non si rassegnano, le parole che insistono, le parole che promettono, le parole che vogliono guarire languono tutte attorno al depresso, come rumore insensato. Il rumore che gli altri, quelli che un tempo applaudivano, si scambiano ogni giorno per far tacere a più riprese quella verità che il depresso, nel suo silenzio, dice in tutta la sua potenza.
Bisogna avere il coraggio di vivere fino in fondo anche l'insignificanza dell'esistenza per essere all'altezza di un dialogo con il depresso. E solo muovendosi intorno a questa verità, che è poi la verità che tutti gli uomini si affannano a non voler sentire, può aprirsi una comunicazione.
Comunicazione rischiosa, non perché ci può trascinare nella depressione, ma perché può tradire la nostra insincerità. Il depresso infatti è sensibile al volto che smentisce la parola, e il suo silenzio smaschera la finzione e l'inconsistenza. Per questo i volti dei depressi sono rigidi e pietrificati.
Abitando la verità dell'esistenza con tutto il suo dolore, essi non stanno al doppio gioco della parola che danza disinvolta nell'insensatezza della vita, o che, impegnata, indica una formazione di senso laggiù ai confini del deserto.
Il depresso sa che il confine, come l'orizzonte, è sempre al di là di ciò che di volta in volta appare come confine e orizzonte, sa che non c'è felicità nella sequenza dei giorni, che il sole che muore è lo stesso che risorge, e che nel cerchio perfetto che il ritorno disegna naufraga il progetto che per un giorno s'era levato per reperire un senso nella vita.
Si può spezzare questo cerchio tragico e perfetto? Sì, se siamo capaci di ritrovare l'essenza dell'uomo che Hölderlin indica là dove dice: "Noi siamo un colloquio" . Il colloquio è fatto solo di parole, ma le parole non si dicono solo, si ascoltano anche. Ascoltare non è prestare l'orecchio, è farsi condurre dalla parola dell'altro là dove la parola conduce. Se poi, invece della parola, c'è il silenzio dell'altro, allora ci si fa guidare da quel silenzio.
Nel luogo indicato da quel silenzio è dato reperire, per chi ha uno sguardo forte e osa guardare in faccia il dolore, la verità avvertita dal nostro cuore e sepolta dalle nostre parole. Questa verità, che si annuncia nel volto di pietra del depresso, tace per non confondersi con tutte le altre parole.
Parole perdute per il senso profondo della nostra esistenza, che ogni giorno tentiamo di disabitare dietro le maschere in cui è dipinta ovvietà, incrostazioni di felicità, recitate euforie.
Esaltarci per i trionfi o piangere per la morte sono gesti insufficienti al limite dell'ovvio, così come non basta batter le mani tanto per una vittoria quanto per il passaggio di una bara. La depressione chiede di più: non entusiasmi, non pianti, non applausi. La depressione chiede ascolto.
Quell'ascolto che tutti abbiamo negato a Marco Pantani e che, a partire dalla sua morte, potremmo incominciare a inaugurare come primo segno di una cultura meno plaudente perché più riflessiva, più attenta alla solitudine degli uomini.





in questo situazione è venuto fuori molto di quelo che è l'ipocrisia di molte persone, quelli che potevono aiutarlo non l'hanno fatto e se si poteva fare qualcosa ormai è troppo tardi, anche i tifosi dal canto loro non penso che siano stati in grado di aiutarlo, il cordoglio verso una persona dopo che è morta e che nn è stata aiutata nel momento del bisongo penso che sia una cosa al quanto inutile ..
bomber is offline  
Vecchio 28-02-2004, 22.51.02   #26
Giuliano
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Messaggio originale inviato da bomber
in questo situazione è venuto fuori molto di quelo che è l'ipocrisia di molte persone, quelli che potevono aiutarlo non l'hanno fatto e se si poteva fare qualcosa ormai è troppo tardi, anche i tifosi dal canto loro non penso che siano stati in grado di aiutarlo, il cordoglio verso una persona dopo che è morta e che nn è stata aiutata nel momento del bisongo penso che sia una cosa al quanto inutile ..

non si tratta "solo" di cordoglio , ma del chiedersi del nostro atteggiamento di fronte al problema della depressione
Giuliano is offline  
Vecchio 29-02-2004, 00.15.57   #27
bomber
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Messaggio originale inviato da Giuliano
non si tratta "solo" di cordoglio , ma del chiedersi del nostro atteggiamento di fronte al problema della depressione




nn penso che sia solo quello molti hanno avuto diciamo cosi un pensiero per il personaggio, il rapporto che uno ha verso la depressione deve essere un pensiero personale e non verso un campione che per quanto rimane intoccabile ....
le persone a lui vicine si devono domandare come mai solo loro ...
bomber is offline  

 



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