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Cultura e Società - Problematiche sociali, culture diverse.
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Vecchio 02-09-2004, 15.42.38   #1
antonio greco
L' Emigrato
 
Data registrazione: 26-05-2004
Messaggi: 637
Tornare Nel Bel Paese ?

Parigi, dicembre 03

Sono appena andato in pensione, dopo ventuno anni di Francia. Durante i quali ho potuto realizzarmi senza trovare ostacoli anormali, senza imprevisti o vischiosità di ambiente. Raggiungimento dei miei obiettivi di lavoro ? Facile, solo con l’impegno. Col quale ho superato la sfida di lavorare in un ambiente europeo, competitivo.

Mio fratello, da Roma, mi chiede: Allora torni ? Gli rispondo: fossi fesso ! Gli spiego poi che, se la qualità di vita a Roma si avvicinasse a quella media europea a nord delle Alpi, sarei pronto a tornare.

Mia figlia mi chiede: Perché, la qualità di vita, spesso in Italia, é differente ?

Risposta: se quarant’anni fa la qualità di vita a Roma era paragonabile a quella delle altre capitali europee, negli ultimi lustri é successo qualcosa.

Livia vuol sapere di più, anche perché si sta laureando. Poi non si contenta di sentire “é successo qualcosa”. Mi assale un dubbio, riusciro’ a spiegarglielo ? Son tante le cose peggiorate, facile fare una lista. Ma come metterle in ordine logico perché una giovane capisse “chi ha provocato cosa, e perché” ?

Il concatenamento delle cause ed effetti credo sia ricostruibile. In generale, anche perché da una regione all’altra, possono esserci state differenze, specie nei tempi.

Alla base, un paio di piccoli tarli da sempre nel nostro DNA. La flessibilità, che avrebbe dovuto essere una buona cosa, almeno per gli esportatori. La preferenza per l’improvvisazione e per le attività iniziate e portate avanti, senza rotture di scatole come organizzazione o chiarezza di divisioni e ruoli. Siamo o non siamo famosi per l’intuito ? Con l’intuito si arriva sempre. E poi c’é più gusto !

E infatti nel dopoguerra ci fu l’esplosione dell’economia italiana, d’altronde, mi risulta, abbastanza ammirata in Europa. Fu un’esplosione facile e piena di successi. Merito della nostra creatività. E poi era un’epoca in cui c’era meno competizione, il ritmo delle attività economiche era meno rapido, il villaggio globale poi non c’era. C’era ancora abbastanza serietà, da permettere lo sviluppo di un Paese.

Nella seconda metà del secolo scorso oratori volenterosi insegnavano nelle piazze la democrazia. Fra loro anche qualche meridionale, uso a gestire famiglie e affari con paternalismo, compari aiutando. La gran parte di quelli che erano arrivati alla fine della guerra e del fascismo, erano entusiasti, avevano voglia di costruire, erano in buona fede. Ma qualche meridionale, infilatosi nei palazzi del potere parlando democrazia, inizio’ a tessere le fila degli affari fra amici, servendosi del sottobosco culturale in agguato.. Furono creati associazioni, industrie del parastato, partiti. File di aspiranti gerarchi del fascio sparirono. Come era già successo altre volte, chi ebbe più fiuto, per meglio scalare le nuove strutture, gonfiò il numero di chi asseriva essere stato dall’altra parte.

Enormi file di “resistenti” si crearono, i quali avrebbero un giorno avuto diritto ad un occhio di riguardo, o come minimo ad una raccomandazione. Era tale il numero, che qualcuno chiese: “ma allora, chi era fascista ?”

Nacque pian piano, guardinga all’inizio, una nuova classe di politici, con nuovi comportamenti, capaci di condizionare, trafficare , intermediare poteri e percentuali, nell’interesse proprio e del proprio clan. Chiamiamolo affari-politismo, commistione di affarismo privato, o di clans, e poteri politici. Sciascia scrisse che “la mentalità mafiosa si estese dalla Sicilia verso il Nord con una velocità di 100 km/anno”. Penso dicesse la verità. I settentrionali in buona parte non si occuparono di quanto avveniva nei palazzi del potere politico. Curarono i loro commerci e potenziarono nuove attività, svilupparono l’industria privata. Inventarono un nuovo tessuto produttivo, con comportamenti circa mittle-europei (allora).

Un giorno, prima della fine secolo, arrivarono il villaggio globale ed il mercato comune. I quali determinarono un’accelerazione dei ritmi delle economie. La mancata cura della chiarezza e di capacità organizzative e di programmazione, tarli inizialmente contenuti e senza apparenti conseguenze, si rivelo’, per l’aumento dei ritmi dell’economia, un boomerang. Le attività economiche che erano male organizzate, entrarono in tilt. Anche a causa del deterioramento dei meccanismi statali e parastatali.

Infatti la selezione degli alti dirigenti, nello stato e nel parastato (questo piuttosto vasto) non avvenne con criteri sempre limpidi. Si diffuse il comparaggio, si formarono clans e confraternite, talvolta di gente della stessa provincia o partito. Si formarono insomma delle cordate. Obiettivo era talvolta impadronirsi di una grossa struttura. Ovviamente con frequenti asserzioni di buone intenzioni.

Poiché i posti politici erano garantiti dal clan, perché impegnarsi ? Si diffuse l’uso della doppia verità. Sulla scena si affiggeva il cartello della propria responsabilità e del proprio ruolo. Nelle stanze chiuse iniziarono i traffici di influenze, negoziati di corridoio. Nacque un esercito di galoppini di collegamento fra i vari palazzi del potere, si mercanteggio’ in angoli bui di stanze segrete voti e prebende. Per scopi privati o di clans, inizio’il condizionamento di partiti, ognuno dei quali alzava una bandiera diversa, ma sempre democratica. Il linguaggio doppio si diffuse poi anche fuori dei palazzi del potere. Oggi esso distingue, per la sua diffusione, il nostro Paese da tanti Paesi avanzati della U.E.

Inizio’ la commistione di contratti pubblici e interessi di partito, talvolta anche di interessi privati. L’estensione a macchia d’olio di negoziati e prebende arrivo’ in tante province. I primi imprenditori ovviamente reagirono alle proposte di percentuali di ritorno nei contratti pubblici. Ma potettero resistere solo per un po’. Poi capirono quale musica bisognava suonare per avere buoni contratti.

La concorrenze di cordate diverse nella ripartizioni di percentuali e prebende, fece distrarre gli alti dirigenti del pubblico dai compiti loro assegnati. Divenne sempre più diffuso l’uso del proprio tempo ed energie per il lavoro in sottofondo piuttosto che per la macchina dello stato.

I cittadini, poiché questo cambiamento di abitudini all’inizio fu lento, prima si meravigliarono, poi si abituarono. Ora sono rassegnati all’inevitabile. Infatti la gestione di tanti ruoli pubblici di alto e medio calibro con fini e visioni di parte si é tanto diffusa. E poi una mano lava l’altra. In pratica si arrivo’ all’assurdo: nessuno é più responsabile, se qualche ruota non gira. Quando si parla di promozioni pero’, si diventa tutti attivi e si inventa l’impegno e l’attivismo. Sceneggiata italiana, quando é ben presentata la si puo’ chiamare commedia dell’Arte. Aveva ragione Goete, il quale scrisse il Viaggio in Italia, in un altro secolo: “Andate in Italia. Ma attenzione. Sono tutti furbi ! La furberia ha distrutto la società. Essa ha ormai un’aspetto molto diverso rispetto a tanti Paesi U.E.: non ci sono né colpevoli né responsabili, per ogni inconveniente. E come potrebbe essere altrimenti, in una società ove tutto é divenuto approssimativo ?

In due parole: in trent’anni son cambiati i comportamenti. Il livello di soglia dei comportamenti accettabili si é abbassato (dall’altezza della fronte a quella delle fogne).

All’inizio del XXI secolo, improvvisamente ci si accorge che l’economia italiana perde colpi, fatica a competere. Io direi, ci penso da qualche annetto: non é eccessivo pretendere la competitività, se il Paese é disastrato, anzi una parte di esso non funziona ? Si puo’ avere competitività in un Paese che arranca ?

A ognuno la sua risposta.

Antonio Greco (consulente in TLC, ex funzionario europeo, Parigi)
ANGREMA@wanadoo.fr

(il sottoscritto é disponibile per una presentazione sulle cause dei guai italiani, davanti a pubblico qualificato e interessato a arrestare il degrado accelerato del sistema Italia)
antonio greco is offline  
Vecchio 02-09-2004, 16.34.28   #2
cernia
Ospite abituale
 
Data registrazione: 29-08-2004
Messaggi: 91
Premesso che io a Roma mi trovo benissimo, vorrei rispondere ad antonio greco, che propone un'analisi assai attenta di mezzo secolo e più, che la causa dell'andamento dell'economia italiana non va ricercata nel cambiamento del comportamento degli italiani, quanto piuttosto in scelte politiche discutibili e va riportata a tutto l'andamento dell'economia europea (che non mi sembra vada meglio) e dell'imperialismo occidentale. Credo, in sostanza, che - senza andare a scomodare atteggiamenti peculiari solo di un'epoca, inapplicabili a periodi successivi e in continua evoluzione, che meritano ognuno la soluzione e l'atteggiamento giusto, per non rischiare di diventare anacronistici - bisognerebbe allargare il campo della nostra critica e chiederci come mai assistiamo oggi al declino di tutta una cultura che possiamo riportare al termine generale di cultura occidentale: il problema potrebbe affondare le radici in cause ben più profonde di quelle che caratterizzano solo il Bel Paese.

Ad ogni modo, tornando al problema principe: se Sua figlia non comprende, la mandi direttamente a Roma o dove più le piace per fare esperienza diretta con la nostra realtà...

Ma, attenzione, potrebbe non tornare più indietro...

Cernia
cernia is offline  
Vecchio 03-09-2004, 02.52.59   #3
leibnicht
Ospite abituale
 
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Messaggi: 486
Al contrario di Lei

cara cernia, trovo l'analisi di Antonio Greco del tutto pertinente e condivisibile.
Non ho, alle mie spalle, un percorso di vita altrettanto lungo, nè una competenza tecnica in campo economico che possa dirsi lontanamente confrontabile con la sua.
Ma mi pare il discorso di un uomo onesto e sincero, intelligente ed esperto della vita quanto basta a raccogliere le miserie degli italiani in uno sguardo lucido di insieme.
Detto ciò, sottoscritto, condiviso ed avallato, io mi chiedo: è tutto questo esauriente?
Il nostro popolo vi si ritrova complessivamente ?
Personalmente non mi basta e vorrei dire all'estensore di questa "filippica" che l'Italia è fatta anche di una moltitudine di piccoli uomini formicolante di intelligenza, disciplina e sacrificio.
Esportiamo, perchè sopportiamo tuttora la zavorra da lui così lucidamente analizzata, cervelli di qualità eccellente e prodotti in una misura superiore a qualsiasi altro Paese occidentale.
Ma questo non è il semplice portato di una felice commistione genetica, bensì anche il frutto di una cultura antropologica che si è intrisa di valori promoventi l'impegno intellettuale anche nei contesti più miseri del nostro retroterra culturale.
Ciò che don Milani scioccamente svalutava a dabbenaggine culturale, la spontanea capacità di stupire di fronte al sapere, da parte della "povera gente", e, conseguentemente, di umiliarsi al cospetto di un'autorevolezza ad essa spontaneamente riconosciuta, non è un difetto, nè una disposizione all'oppressione di classe.
Essa è, invece, il motore che dà forza e propulsione alla fatica di comprendere e che alimenta al sacrificio cervelli naturalmente dotati, da un lato, e dall'altro un'umile aspirazione al benessere che ha tramutato terre di emigranti in fucine di lavoro e di opportunità.
Il nostro è uno strano Paese, in cui imprenditori con la terza media sognano di avere figli con la laurea, senza curarsi del fatto che il reddito di un laureato non potrà mai avvicinarsi al loro.

Non sottovaluti le capacità delle nostre Genti, nessun Paese ha prodotto nei secoli altrettanti stimoli, idee, opportunità, invenzioni, scoperte, dibattiti e conflitti culturali, opere d'arte, costruzioni, innovazioni e fascino.
Occorre solo dilatare l'orizzonte dell'osservazione.
Quindi circoscriverlo moltiplicando rilievi microscopici.
Parafrasando e confutando, mutatis mutandis, Cavour, direi che gli italiani, fattisi italiani, dovrebbero, una volta per tutte, fare con pazienza l'Italia.
leibnicht is offline  
Vecchio 03-09-2004, 08.37.45   #4
antonio greco
L' Emigrato
 
Data registrazione: 26-05-2004
Messaggi: 637
RISPOSTA ALLE DUE ULTIME

Le efficienze sociali italiane sono , in tanti settore, notevolmente basse in confronto alla U.E.

Di conseguenza siamo tagliati fuori dalla competitività.

Siamo i più creativi di Europa, vero. Ma per avre facilmente i frutti della ns creatività, dobbiamo emigrare, in quanto il tessuto sociale (pantani e grippaggi) npn permette di sfruttare sempre le ns creatività. Vedi FIAT e vedi ALITALIA, che han problemi per il bassissimo livello delle efficienze italiane.

Se volete sperne di più:

EMIGRAZIONE E BUCHI NELL’ACQUA


Tanti emigrati italiani, in tutti i continenti. Molti hanno facilmente avuto successo in un altro Paese, sono apprezzati, ammirati. Fra di essi tanti, prima di emigrare, avevano fatto un buco nell’acqua in Italia. Ne cito solo uno, conosciuto da tutti: Gugliemo Marconi fu costretto a brevettare la sua invenzione nel Regno Unito.

Chi volesse sapere perché la stessa cosa si ripete da tanto e per tanti individui, cerchi prima la risposta ad un’altra domanda: “quali le differenze fra Italia e il resto della U.E. ?” Cosi capirà anche per quali motivi l’economia italiana ha (e avrà) enormi difficoltà a decollare.

Si sente qualcuno lamentarsi della diminuzione del potere d’ acquisto. D’ altra parte negli ultimi anni sembrano aumentate inefficienze e giri a vuoto. Forse non si pensa l’ ovvio: che le inefficienze in aumento, se sono troppe, hanno dato una mano a far peggiorare l’ economia, ad abbassare il potere di acquisto. Perché tutto cio’ succede, in U.E., solo nello Stivale ?

Avrete certo la vostra risposta, ma se foste interessati a conoscere la mia (un’inchiesta a largo raggio per otto anni), cercatela nelle Lettere dall’ Europa, su:

http://angrema.blogspot.com
www.accademiaonline.net (le lettere dei mesi precedenti sono nell’archivio del sito, argomento “società”)

Si tratta delle lettere dall’ Europa di Antonio Greco. Il quale ha lavorato in giro per l’ Europa per trenta anni e vive in Francia da venti anni.


Antonio Greco
ANGREMA@wanadoo.fr
Tel. +331-42.04.20.81

(disponibile per fare una presentazione, vista dall’ Europa, delle cause sociali dei guai italiani)

Provate a leggre "Italia Desnuda" e "Pantani e ruote grippate"......;
antonio greco is offline  
Vecchio 21-06-2005, 12.04.49   #5
antonio greco
L' Emigrato
 
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Tornare Nel Bel Paese ?

Parigi, dicembre 03


Sono appena andato in pensione, dopo ventuno anni di Francia. Durante i quali ho potuto realizzarmi senza trovare ostacoli anormali, senza imprevisti o vischiosità di ambiente. Raggiungimento dei miei obiettivi di lavoro ? Facile, solo con l’impegno. Col quale ho superato la sfida di lavorare in un ambiente europeo, competitivo.

Mio fratello, da Roma, mi chiede: Allora torni ? Gli rispondo: fossi fesso ! Gli spiego poi che, se la qualità di vita a Roma si avvicinasse a quella media europea a nord delle Alpi, sarei pronto a tornare.

Mia figlia mi chiede: Perché, la qualità di vita, spesso in Italia, é differente ?

Risposta: se quarant’anni fa la qualità di vita a Roma era paragonabile a quella delle altre capitali europee, negli ultimi lustri é successo qualcosa.

Livia vuol sapere di più, anche perché si sta laureando. Poi non si contenta di sentire “é successo qualcosa”. Mi assale un dubbio, riusciro’ a spiegarglielo ? Son tante le cose peggiorate, facile fare una lista. Ma come metterle in ordine logico perché una giovane capisse “chi ha provocato cosa, e perché” ?

Il concatenamento delle cause ed effetti credo sia ricostruibile. In generale, anche perché da una regione all’altra, possono esserci state differenze, specie nei tempi.

Alla base, un paio di piccoli tarli da sempre nel nostro DNA. La flessibilità, che avrebbe dovuto essere una buona cosa, almeno per gli esportatori. La preferenza per l’improvvisazione e per le attività iniziate e portate avanti, senza rotture di scatole come organizzazione o chiarezza di divisioni e ruoli. Siamo o non siamo famosi per l’intuito ? Con l’intuito si arriva sempre. E poi c’é più gusto !

E infatti nel dopoguerra ci fu l’esplosione dell’economia italiana, d’altronde, mi risulta, abbastanza ammirata in Europa. Fu un’esplosione facile e piena di successi. Merito della nostra creatività. E poi era un’epoca in cui c’era meno competizione, il ritmo delle attività economiche era meno rapido, il villaggio globale poi non c’era. C’era ancora abbastanza serietà, da permettere lo sviluppo di un Paese.

Nella seconda metà del secolo scorso oratori volenterosi insegnavano nelle piazze la democrazia. Fra loro anche qualche meridionale, uso a gestire famiglie e affari con paternalismo, compari aiutando. La gran parte di quelli che erano arrivati alla fine della guerra e del fascismo, erano entusiasti, avevano voglia di costruire, erano in buona fede. Ma qualche meridionale, infilatosi nei palazzi del potere parlando democrazia, inizio’ a tessere le fila degli affari fra amici, servendosi del sottobosco culturale in agguato.. Furono creati associazioni, industrie del parastato, partiti. File di aspiranti gerarchi del fascio sparirono. Come era già successo altre volte, chi ebbe più fiuto, per meglio scalare le nuove strutture, gonfiò il numero di chi asseriva essere stato dall’altra parte.

Enormi file di “resistenti” si crearono, i quali avrebbero un giorno avuto diritto ad un occhio di riguardo, o come minimo ad una raccomandazione. Era tale il numero, che qualcuno chiese: “ma allora, chi era fascista ?”

Nacque pian piano, guardinga all’inizio, una nuova classe di politici, con nuovi comportamenti, capaci di condizionare, trafficare , intermediare poteri e percentuali, nell’interesse proprio e del proprio clan. Chiamiamolo affari-politismo, commistione di affarismo privato, o di clans, e poteri politici. Sciascia scrisse che “la mentalità mafiosa si estese dalla Sicilia verso il Nord con una velocità di 100 km/anno”. Penso dicesse la verità. I settentrionali in buona parte non si occuparono di quanto avveniva nei palazzi del potere politico. Curarono i loro commerci e potenziarono nuove attività, svilupparono l’industria privata. Inventarono un nuovo tessuto produttivo, con comportamenti circa mittle-europei (allora).

Un giorno, prima della fine secolo, arrivarono il villaggio globale ed il mercato comune. I quali determinarono un’accelerazione dei ritmi delle economie. La mancata cura della chiarezza e di capacità organizzative e di programmazione, tarli inizialmente contenuti e senza apparenti conseguenze, si rivelo’, per l’aumento dei ritmi dell’economia, un boomerang. Le attività economiche che erano male organizzate, entrarono in tilt. Anche a causa del deterioramento dei meccanismi statali e parastatali.

Infatti la selezione degli alti dirigenti, nello stato e nel parastato (questo piuttosto vasto) non avvenne con criteri sempre limpidi. Si diffuse il comparaggio, si formarono clans e confraternite, talvolta di gente della stessa provincia o partito. Si formarono insomma delle cordate. Obiettivo era talvolta impadronirsi di una grossa struttura. Ovviamente con frequenti asserzioni di buone intenzioni.

Poiché i posti politici erano garantiti dal clan, perché impegnarsi ? Si diffuse l’uso della doppia verità. Sulla scena si affiggeva il cartello della propria responsabilità e del proprio ruolo. Nelle stanze chiuse iniziarono i traffici di influenze, negoziati di corridoio. Nacque un esercito di galoppini di collegamento fra i vari palazzi del potere, si mercanteggio’ in angoli bui di stanze segrete voti e prebende. Per scopi privati o di clans, inizio’il condizionamento di partiti, ognuno dei quali alzava una bandiera diversa, ma sempre democratica. Il linguaggio doppio si diffuse poi anche fuori dei palazzi del potere. Oggi esso distingue, per la sua diffusione, il nostro Paese da tanti Paesi avanzati della U.E.

Inizio’ la commistione di contratti pubblici e interessi di partito, talvolta anche di interessi privati. L’estensione a macchia d’olio di negoziati e prebende arrivo’ in tante province. I primi imprenditori ovviamente reagirono alle proposte di percentuali di ritorno nei contratti pubblici. Ma potettero resistere solo per un po’. Poi capirono quale musica bisognava suonare per avere buoni contratti.

La concorrenze di cordate diverse nella ripartizioni di percentuali e prebende, fece distrarre gli alti dirigenti del pubblico dai compiti loro assegnati. Divenne sempre più diffuso l’uso del proprio tempo ed energie per il lavoro in sottofondo piuttosto che per la macchina dello stato.

I cittadini, poiché questo cambiamento di abitudini all’inizio fu lento, prima si meravigliarono, poi si abituarono. Ora sono rassegnati all’inevitabile. Infatti la gestione di tanti ruoli pubblici di alto e medio calibro con fini e visioni di parte si é tanto diffusa. E poi una mano lava l’altra. In pratica si arrivo’ all’assurdo: nessuno é più responsabile, se qualche ruota non gira. Quando si parla di promozioni pero’, si diventa tutti attivi e si inventa l’impegno e l’attivismo. Sceneggiata italiana, quando é ben presentata la si puo’ chiamare commedia dell’Arte. Aveva ragione Goëte, il quale scrisse nel Viaggio in Italia, in un altro secolo: “Andate in Italia. Ma attenzione. Sono tutti furbi !”. La furberia ha distrutto la società. Essa ha ormai un’aspetto molto diverso rispetto a tanti Paesi U.E.: non ci sono né colpevoli né responsabili, per ogni inconveniente. E come potrebbe essere altrimenti, in una società ove tutto é divenuto approssimativo ?

In due parole: in trent’anni son cambiati i comportamenti. Il livello di soglia dei comportamenti accettabili si é abbassato (dall’altezza della fronte a quella delle fogne).

All’inizio del XXI secolo, improvvisamente ci si accorge che l’economia italiana perde colpi, fatica a competere. Io direi, ci penso da qualche annetto: non é eccessivo pretendere la competitività, se il Paese é disastrato, anzi una parte di esso non funziona ? Si puo’ avere competitività in una società che arranca ?

A ognuno la sua risposta.

Antonio Greco (consulente in TLC, ex funzionario europeo, Parigi)
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