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Cultura e Società - Problematiche sociali, culture diverse.
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Vecchio 01-10-2005, 11.29.10   #11
bomber
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Re: manicomi chiusi: cosa fare ?

Citazione:
Messaggio originale inviato da valerio
Nel '78 la sinistra di Berlinguer fece chiudere definitivamente i manicomi in Italia facendo approvare la legge 180 o legge Basaglia che dir si voglia.
Il risultato fu che i malati di mente furono riaffidati alle famiglie d'origine...immaginate con quale gioia - e tra questi i pazzi criminali furiosi che vivono in mezzo al consorzio umano.
Ogni volta che uno di questi va in escandescenze e sfonda a martellate il cranio del malcapitato di turno, si riapre l'annosa questione.

le mie conclusioni:
- In nome del buonismo tipico della sinistra si sono chiuse le case di cura, e questo lo sappiamo tutti.
- Come al solito, tra una o due settimane, non si parlerà più nè della ragazzina di Gerenzano che agonizza in fin di vita nè dei manicomi, e sappiamo anche questo

Quello che mi chiedo però è questo:
perchè i no-global, invece di incappucciarsi e blaterare scemenze come il permesso di voto agli immigrati di passaggio , non portano avanti proposte serie, come l'istituzione di case di cura serie e moderne per queste persone ?

perchè Bertinotti, invece di blaterare scemenze come "il sogno di abolire la proprietà privata" non porta avanti la seconda parte della legge 180, riparando ai danni di Berlinguer e degli utopisti sessantottini ?


Presumo che tu Valerio nel 1978 non fossi che un bambino sempre che fossi gà nato ... ma la legge della chiusura dei mancicomi è stato di per se un idea giusta....ora come ora esistono ancora per i malati psichici delle strutture adeguate che sono i centri di igene mentale e strutture private adeguate ...
cosa succedeva nel 1978 nei manicomi ??
beh come detto se tu non ceri non e che io ero nato da molto però facendo varie ricerche ho scoperto cosa succedeva nei manicomi ...
princpialmente nei manicomi dell'epoca furono chiusi non per buoniismo ma perhce le strutture in se erano assolutamente inadeguate ..
un dato sconertante è che per 2000 pazienti cera un solo medico e 4 infermieri circa... spesso le strutture erano super affolate ... i malati venivano legati e trattati con gli elettroschok senza troppi problemi .. erano anche imbottiti di tranquillanti, il ricovero coatto veniva effettuato spesso anche senza troppi problemi e senza troppo domande ... si poteva avere ricovero coatto anche senza avere gravi sintomi, una donna con tanti amanti poteva essere considerata pazza da un medico compiacente e rinchiusa e una volta là la pazzia arrivava d'avvero visto che i sedativi gli ambienti negativi e la presenza di altri malati potevono presto minare le menti più deboli.
per non parlare delle situazioni igenico sanitarie assolutamente precarie e non adeguate ...
il manicomi non erano posti assolutamente di cura ma erano veri e propri carceri che assotigliavano la liberta individuale e sociale delle persone sia di quelli malati ma a volte anche di perosne che erano solo leggermente diverse dalla norma ma comletmaente sani di mente ....
oggi nn esistono più queste strutture fatiscenti e penso che sia una fortuna ... però non esistono delle strutture simli di contenimento .. diciamo che forse sarebbe meglio aumentare alcune struttre di igene mentale ... ma sia il governo attuale che quello precedente non hanno tirato fuori i soldi per un intervento del genere e probabilmente non ci sono neppure i soldi ...
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Vecchio 01-10-2005, 11.41.08   #12
bside
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Innanzitutto "pazzo" è un termine che può andar bene per le chiacchiere al bar o per sfottere qualcuno. Non esistono diagnosi di "pazzia". La psichiatria si occupa delle malattie mentali. Per altro esiste anche l'antipsichiatria che contesta l'esistenza di queste malattie mentali e non senza fondamento. Sia come sia, ammettendo l'esistenza di una malattia mentale, ad ogni suo malato si deve lo stesso rispetto e la stessa compassione che si riserverebbe ad uno malato di cuore, dato che uno non si sceglie di cosa ammalarsi e non si può certo fargliene una colpa.
Quanto ai crimini commessi dai "pazzi" esistono gli ospedali psichiatrici giudiziari. Non credo siano così affollati di gente come le carceri.
Poi non capisco perché uno che ammazza una persona apparentemente senza motivo è un pazzo, uno che ne ammazza 100.000 o 1.000.000 è uno che vuole esportare la democrazia.
Concludo dicendo che l'istituzione manicomiale non ha mai riabilitato nessuno ed è un segno di civiltà che sia stata chiusa. Forse valerio dovrebbe leggersi i racconti di chi ci è passato in manicomio.

Ultima modifica di bside : 01-10-2005 alle ore 11.44.05.
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Vecchio 01-10-2005, 14.37.13   #13
bomber
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Citazione:
Messaggio originale inviato da bside
Innanzitutto "pazzo" è un termine che può andar bene per le chiacchiere al bar o per sfottere qualcuno. Non esistono diagnosi di "pazzia". La psichiatria si occupa delle malattie mentali. Per altro esiste anche l'antipsichiatria che contesta l'esistenza di queste malattie mentali e non senza fondamento. Sia come sia, ammettendo l'esistenza di una malattia mentale, ad ogni suo malato si deve lo stesso rispetto e la stessa compassione che si riserverebbe ad uno malato di cuore, dato che uno non si sceglie di cosa ammalarsi e non si può certo fargliene una colpa.
Quanto ai crimini commessi dai "pazzi" esistono gli ospedali psichiatrici giudiziari. Non credo siano così affollati di gente come le carceri.
Poi non capisco perché uno che ammazza una persona apparentemente senza motivo è un pazzo, uno che ne ammazza 100.000 o 1.000.000 è uno che vuole esportare la democrazia.
Concludo dicendo che l'istituzione manicomiale non ha mai riabilitato nessuno ed è un segno di civiltà che sia stata chiusa. Forse valerio dovrebbe leggersi i racconti di chi ci è passato in manicomio.


Esatto la Pazzia è più dialettale che utile ...
però le malattia mentali esistano eccome ...
come definizione malattia si intende uno stato non nella norma che porta disagio all'organismo per cui non lascia dubbio che alcuni distrubi mentali portino molto disagio sia fisico che mentale nella persona per cui usando l'italiano il termine più preciso è Malattia ...
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Vecchio 01-10-2005, 21.50.28   #14
cannella
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Citazione:
Messaggio originale inviato da r.rubin
Il concetto "pazzo pericoloso" è sciocco. Diciamo che il pazzo ci spaventa e allora deduciamo che, per spaventarci, deve trattarsi di qualcosa di pericoloso.

Le "case di cura" esistono già, ad esempio le CTRP. Vanno aumentate di numero e potenziate in modo da far fronte ai bisogni.
Ps: i pazzi non sono ricoverati in geriatria ma nelle SPDC.
(se vi interessa l'argomento andate a fare una ricerca su internet per capire cosa significano queste sigle, altrimenti cali il silenzio su ciò che non interessa conoscere, non ha senso sparare giudizi in modo superficiale).

La riforma Basaglia è frutto di un semplicistico "buonismo" quanto il pensiero di Kant è frutto di una partita di carte al bar.

Non mi baso su delle sigle per avere un'opinione, (e tanto meno su ricerche da internet) ma su quello che ho potuto verificare direttamente, avendo lavorato ad un progetto che riguardava persone con problemi mentali.
Ho preferito rimanere sulle generali per rispetto e riservatezza.
cannella is offline  
Vecchio 02-10-2005, 02.38.09   #15
r.rubin
può anche essere...
 
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Citazione:
Messaggio originale inviato da cannella
Non mi baso su delle sigle per avere un'opinione, (e tanto meno su ricerche da internet) ma su quello che ho potuto verificare direttamente, avendo lavorato ad un progetto che riguardava persone con problemi mentali.
Ho preferito rimanere sulle generali per rispetto e riservatezza.

Non volevo criticare quello che hai detto, anzi, rileggendo quello che hai scritto devo aver frainteso, perchè parlavi (se ora ho capito bene) di "ricovero" nella geriatria intendendo per "ricovero" l'"ospizio", e in effetti molti "vecchi pazzi" vengono depositati lì.
Lavori nel sociale?

(comunque internet è un ottimo mezzo per le ricerche, se si è capaci di usarlo)

Ultima modifica di r.rubin : 02-10-2005 alle ore 02.44.35.
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Vecchio 02-10-2005, 16.49.44   #16
Weyl
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Sciocchezze

Difficile veder raccolto in così pochi interventi un simile cumulo di sciocchezze a riguardo dei manicomi e della famigerata Legge 180.
I manicomi erano luoghi di cura, con i limiti, pesantissimi, imposti dalle modestissime possibilità terapeutiche della psichiatria di trent'anni fa.
Abolirli fu semplicemente antistorico, poichè le risorse di cura disponibili in quegli anni non permettevano assolutamente di affrontare la malattia mentale sul cosiddetto territorio.
Fu uno schiaffo alla razionalità, perchè si dava per scontato il fatto che alcune, microscopiche, esperienze di trattamento, circostanziate da condizioni assolutamente specifiche (Trieste), potessero essere immediatamente spalmate su tutta la comunità nazionale.
Nessuno tenne conto del fatto che la massima parte delle realtà locali erano del tutto sprovviste dei mezzi, scientifici, culturali, umani e materiali, per gestire malati gravissimi, in gran parte istituzionalizzati, ossia assistiti su di un profilo minore.
Nessuno sottolinea, caro Valerio, il fatto che la maggior parte di quei poveretti, sbandati ed abbandonati, semplicemente morirono, perchè del tutto incapaci di offrirsi ad un qualsiasi possibile inserimento.
Fu una strage, consumatasi nel corso di pochi anni.
La legge 180 fu l'ultima, in ordine di tempo, pretesa di imporre alla realtà una visione ideologica, e se i suoi effetti si limitarono alla strage di malati ed al disastro di famiglie, lo si deve soltanto al fatto che la ricerca, quella vera, iniziò dopo pochi anni ad offrire risorse terapeutiche sempre più efficaci e sicure.

La legge 180 fu l'ennesima sciagurata, italianissima, ipopcrisia: frutto di quello stesso ceppo intellettuale da cui gemmarono altri, notissimi, frutti: la campagna di Russia, per esempio, quando centinaia di migliaia di alpini vennero spediti a combattere senz'armi, in una terra ghiacciata con le scarpe di cartone.
Il fatto che ora, dopo quasi trent'anni, non si riconosca quanto scellerato e quanto intellettualmente delinquente sia il legiferare senza avere strumenti attuativi, mi fa indignare.

Abbiamo, nel nostro paese, forse la peggior psichiatria al mondo: la maggior parte degli psichiatri italiani non partecipa ai congressi internazionali, non conosce l'inglese, non usa internet.
I lavori clinici pubblicati in italia sono vecchi già al momento di andare in stampa, sono quasi sempre inutili, salvo l'effetto che hanno di costruire carriere culturalmente vuote.
Le case farmaceutiche ci relegano all'ultimo posto in Europa, quando si tratta di importare le nuove molecole: pochi malati fortunati sono assistiti da rari medici aggiornati e debbono recarsi in Svizzera o in Vaticano per procurarsi i farmaci.
Le terapie antipsicotiche più moderne sono appannaggio dei soli centri di Igiene Mentale, dove operano spesso medici alle prime armi, che scelgono il percorso psichiatrico soprattutto per carenza di altre opportunità di lavoro.
Quel che è peggio è però la seguente circostanza, forse ignota a voi tutti: gli ordini di scuderia da parte delle dirigenze ASL sono di utilizzarli al minimo, per un mero e becero, presunto, risparmio economico.
Il nostro è l'unico paese europeo in cui i malati di schizofrenia sono ancora trattati, in maggior parte, con i neurolettici tradizionali.
Forse non ve ne rendete conto, ma sarebbe come se nelle cardiologie dei nostri ospedali si trattassero gli scompensi cardiaci con i salassi e le sanguisughe.
E perchè questo avviene? Perchè altrove non si fa più così da almeno dieci anni?
Semplice: laddove si è cambiata strategia i ricoveri ospedalieri per accessi psicotici sono crollati, il monitoraggio dei malati si è fatto più semplice, con il risultato di condurre ad un sensibile contenimento dei costi in termini di personale e posti letto di degenza.
A fine novembre 1996, lo stato di New York, dopo aver commissionato un serio lavoro di indagine ad un team universitario di economisti, decise di provvedere alla gratuità di questi farmaci: questo in un paese in cui l'assistenza sanitaria grava sulle spalle del cittadino e non è, se non in minima misura, pubblica.
In breve fu seguito dal Canada e poi, lentamente, da quasi ogni altro stato.

Lo sapete che i punteggi dei corsi ECM (l'aggiornamento obbligatorio in medicina) sono accreditati da un unico istituto in Italia, alla cui presidenza sta l'ex ministro della Sanità...?
E lo sapete che la partecipazione ai congressi internazionali non è attribuita di alcun punteggio nel nostro paese?
Che soltanto gli pseudo convegni locali, in cui si rimasticano nozioni antiquate e desuete forniscono punti di aggiornamento?
Che alle case farmaceutiche è quasi sempre impedito di proporre agli psichiatri di partecipare ai convegni seri, all'estero?
Che uno psichiatra, se lavora nel pubblico, spesso non vi può partecipare neppure a sue spese?

Ragazzi, queste condizioni drammatiche sono l'onda lunga di quella legge.
So bene che la cronaca riporta spesso notizie di crimini e misfatti compiuti da malati di mente: ma lo sapete quanto è raro che un malato di mente compia un crimine?
Sforzatevi di immaginare quanto è vasto l'iceberg del dolore che sta sotto quella minima, notata, guglia.
Weyl is offline  
Vecchio 02-10-2005, 20.05.55   #17
oizirbaf
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Re: Sciocchezze

Citazione:
Messaggio originale inviato da Weyl
Difficile veder raccolto in così pochi interventi un simile cumulo di sciocchezze a riguardo dei manicomi e della famigerata Legge 180.

MATTI DA SLEGARE

Giuseppe Dall’Acqua *
Vent’anni fa in Italia venivano chiusi gli ospedali psichiatrici

_
È stato tutto frutto di “pura follia”. Ma, alla fine, i cancelli degli ospedali psichiatrici italiani si sono aperti: grazie alla legge 180 (che compie vent’anni), ma soprattutto grazie alla determinazione di operatori “non ancora contaminati dalla psichiatria”, e alla fatica titanica che le persone affette da disturbo mentale hanno dovuto fare. Contro nemici lontani e invisibili: il Ministro della Sanità Altissimo, prima, e il Ministro De Lorenzo poi. Contro le prepotenze di lobby e l’inerzia colpevole di tecnici, giudici, politici, familiari che hanno sempre dimenticato, negato, soffocato loro, i “matti”. Considerandoli oggetti, rimarcando sempre la distanza tra salute e malattia, negando le loro storie; creando, insomma, sempre e soltanto dei mostri.
Il senso della vastità del problema si coglie registrando i successi, le vittorie, le rimonte insperate delle persone affette da disturbo mentale, ma ancor più prendendo atto delle loro miserie, dei drammi familiari quotidiani, delle insondabili tragedie. E si comprende quanto (infinito) lavoro rimanga ancora da fare, e come sia stata giusta la scelta di allora di uscire dalla piattezza e dalla negazione delle istituzioni psichiatriche.
Franco Basaglia iniziò il suo lavoro nell’Ospedale Psichiatrico di Trieste, nell’agosto del 1971. Cercò di reclutare giovani operatori. Non gli fu difficile: in molti eravamo attratti dalla conoscenza dell’esperienza goriziana (avevamo letto L’istituzione negata) e dalla convergenza di quel lavoro critico sulla psichiatria e sulle istituzioni totali con la domanda di cambiamento che, in quegli anni, pervadeva il paese.
Franco Basaglia muoveva dalla consapevolezza che l’ospedale psichiatrico non aveva alcuna valenza terapeutica, ma era di per sé produttore di malattia. Che, mentre si dedicavano cure “umane” all’altro, bisognava ridefinire relazioni, scoprire spazi, far emergere soggetti. Che l’unica possibilità di terapia nell’ospedale psichiatrico era, in definitiva, la sua stessa distruzione. Per avviare il lavoro di cambiamento, volle farsi carico egli stesso del percorso di formazione che, quotidianamente, il cambiamento generava nella pratica. Ovviamente, critico e in netta opposizione alla formazione statica e arcaica delle Università.
Il lavoro che aveva sviluppato con originalità nell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia, durante il decennio precedente (il modello di Comunità Terapeutica), venne rapidamente superato attraverso l’apertura, la trasformazione e la chiusura dell’Ospedale Psichiatrico di Trieste, e il parallelo avvio di una rete di servizi territoriali alternativi, in grado di sostituire lo stesso ospedale.
Il profondo cambiamento avviato da questo irriducibile ottimista servì anche a riorientare le ricerche sul malato, anziché sulla malattia, per costruire percorsi terapeutici riabilitativi e di emancipazione che favorissero la partecipazione attiva degli utenti, finalmente attori principali nei processi di cambiamento che li riguardavano.
Dal 1971, dunque, Trieste diventa un grande cantiere. Il processo di apertura prosegue febbrile riportando spesso la città, anche suo malgrado, all’urgenza delle questioni sugli internati, i malati di mente. Il cancello dell’Ospedale Psichiatrico finalmente si spalanca: se la libertà prima era impensabile, adesso è impensabile che abbia fine.
Il ricordo torna spontaneo ad alcuni momenti significativi: la gioia della libertà nel manicomio che si apriva; gli internati che, con stupore, sperimentavano la possibilità di esprimere idee e affetti, di accedere a lavori retribuiti, di costruire cooperative e conquistare una casa propria. E, con questa, la possibilità di una vita personale e intima.
«La libertà è terapeutica», abbiamo detto, e continuiamo ad affermarlo con fatica. Ma non si tratta solo della libertà di essere matto, di essere bizzarro, di pagare con l’emarginazione la propria singolare diversità. È alla necessità di liberarsi dalla stupidità delle burocrazie, dall’inerzia delle amministrazioni, dalla violenza delle istituzioni che facciamo riferimento.
Libertà per rischiare di vivere, accompagnata dalla responsabilità nel prendersi cura dell’altro.
Occorre ricordare i reparti psichiatrici negli ospedali civili, oggi chiusi; le persone legate al letto; la violenza e la mortificazione che si esprimevano in mille forme che, oggi, ci appaiono evidenti.
_ Prevaricare, segregare, legare e imbavagliare, impillolare, violentare, mortificare le persone... «Strano modo di curare un uomo, cominciando con l’assassinarlo...», scrisse Antonin Artaud, artista francese, sottoposto dal ’43 al ’45 a ben 51 elettroshock, che gli devastarono irrimediabilmente il corpo e la psiche. Ma questo “strano modo” di curare un uomo, oggi, in Italia e nel mondo persiste. Nonostante esistano leggi che garantiscano le persone e ci obblighino a curare e a prenderci cura della sofferenza degli altri.
Credo cominci a diventare evidente quanto articolato debba essere un modello di intervento nell’ambito della salute mentale e delle pratiche di de-istituzionalizzazione, e quanto poco appropriati finiscano con l’essere quegli interventi basati su scelte monoculturali.
Non si vuole con questo negare che l’ingresso degli psicofarmaci e dei neurolettici tra gli strumenti della psichiatria sia stato utile; né che essi siano utili per far fronte a sintomi drammatici, per contenere lo scompenso, per consentire un più rapido accesso a percorsi di rimonta e di emancipazione. Tuttavia, gli psicofarmaci costringono anche a un’operazione riduttiva quando accostano (e confondono) ambiti e dimensioni non confrontabili.
I farmaci, infatti, rimandano a modelli di estrema povertà, facendo perdere il rapporto con l’aspetto umano, la capacità di comprensione, la possibilità di trovare nessi e legami nei singoli comportamenti.
Ancora oggi, rispettabili psichiatri e ricercatori, con banali argomentazioni, attribuiscono soltanto agli psicofarmaci la riduzione del numero degli internati nei manicomi. Eppure, queste strutture restano in funzione in tutti i paesi, ad eccezione forse del nostro e di pochi altri paesi europei.
La Germania, il Belgio, la Svizzera, l’Austria dispongono con larghezza dei farmaci più potenti e recenti, eppure si progettano altri ospedali e si continua a spendere per cliniche e istituti psichiatrici l’80 per cento dei budget governativi dedicati alla psichiatria e alla salute mentale.
Non c’è da meravigliarsi, visto che gli psicofarmaci sono stati proposti per “silenziare” e risolvere conflitti sociali, etnici e familiari; per “nascondere” e spiegare gli effetti che, su certe persone, hanno gravi disarmonie economiche; e ancora, nei bambini e negli adolescenti, per coprire il fallimento dei programmi educativi e di sviluppo.
Basta questo per capire quanto il rischio di abuso sia forte e per comprendere le critiche alle istituzioni della psichiatria, alle lobby e ai poteri gerarchici.
Ecco dunque il merito di Franco Basaglia: aver sviluppato una nuova concezione della comunità terapeutica come «luogo nel quale sia possibile avvicinarsi reciprocamente in un rapporto umano, che diventa terapeutico in quanto immediato e spontaneo...».
Ecco come il Centro di Salute Mentale diventa, nel nostro lavoro, un’area di scambio, un limite sì, ma terapeutico, capace di generare un clima non gerarchico, non sanitario, non circoscritto e non burocratico che produce i risultati migliori. Il Centro di Salute Mentale, concretamente alternativo alla clinica, è riuscito a produrre percorsi abilitativi e di emancipazione, a farsi carico di quella necessaria attività di sostegno verso il “fuori” del mondo. Sono attuabili oggi nuove prospettive terapeutico-riabilitative fondate sulle molteplici forme di integrazione sociale. Aspettative positive di rimonta sono possibili e diventano diritto. ... segue

Giuseppe Dell’Acqua è l’attuale responsabile del Dipartimento di Salute Mentale dell’A.S.S. n.1 Triestina in http://www.scienzanuova.it/numeri/n09/n09_088.htm
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Vecchio 02-10-2005, 20.29.55   #18
oizirbaf
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Re: Sciocchezze

Citazione:
Messaggio originale inviato da Weyl
Difficile veder raccolto in così pochi interventi un simile cumulo di sciocchezze a riguardo dei manicomi e della famigerata Legge 180.

MATTI DA SLEGARE

Le persone affette da disturbo mentale, fino a oggi oggetti devastati dalla psichiatria, possono accedere a percorsi terapeutici, riabilitativi, nella pienezza del loro diritto, nella concretezza di una vita reale e all’interno dei loro contesti familiari e sociali.
_ Le cooperative sociali rappresentano un importante strumento di emancipazione: migliaia di giovani operatori trovano lavoro in questo settore, e introducono sguardi, scambi e relazioni inusuali per gli ambienti geometrici, freddi e asettici della psichiatria.
Le associazioni per la salute mentale formate da pazienti, da familiari e da cittadini rappresentano il segno più evidente della riforma; anche se la psichiatria fa ancora fatica a riconoscere questi nuovi “soggetti”, che non formulano più domande di contenimento, ma di cura, di guarigione, di volontà di vivere nonostante la malattia. I disturbi mentali non costituiscono più fratture dell’esistenza, ma sono definibili, riconducibili come sono alla singola persona. È questo, crediamo, il senso più alto della legge italiana.
Tuttavia, sebbene il numero degli psichiatri addetti ai servizi pubblici sia decuplicato nell’arco di un ventennio (da 700 a 7000), la psichiatria stessa è cambiata poco. Ciononostante, i mutamenti continuano: il Ministero della Sanità ha decretato la definitiva chiusura dei manicomi, imponendo sanzioni pecuniarie alle regioni inadempienti. I circa 15.000 ospiti ancora presenti nei 57 ospedali psichiatrici italiani (negli anni Settanta, gli internati nei 90 manicomi erano 120.000) verranno quindi collocati entro l’anno in residenze, gruppi famiglia o faranno ritorno nella loro comunità.

Pur nel suo ancor caotico assetto, il quadro italiano ha dunque un grosso pregio: sostiene e garantisce che le persone affette da disturbo mentale siano cittadini a tutto campo.

Si chiude così un ciclo, in Italia, ma, speriamo, anche nel resto del mondo: finisce il secolo dei manicomi. Un secolo certamente non onorevole per la psichiatria e gli psichiatri.

Al suo posto, si iniziano veri processi di prevenzione, capaci di contrastare la disabilità e la discriminazione. Questa, forse, è l’eredità più difficile da amministrare che il lavoro di Franco Basaglia ci ha lasciato.

Giuseppe Dell’Acqua è l’attuale responsabile del Dipartimento di Salute Mentale dell’A.S.S. n.1 Triestina in http://www.scienzanuova.it/numeri/n09/n09_088.htm
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Vecchio 02-10-2005, 21.09.12   #19
Weyl
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Non si chieda al macellaio

di esprimere giudizi sulla qualità della sua carne.
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Vecchio 02-10-2005, 21.50.25   #20
oizirbaf
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Re: Non si chieda al macellaio

Citazione:
Messaggio originale inviato da Weyl
non si chieda al macellaio di esprimere giudizi sulla qualità della sua carne.

... esilarante davvero, grande Weyl!

Ok, ricevuto: allora passo da un collaboratore di Basaglia ad un altro esperto del settore, a contatto quotidiano coi malati ( ... a meno che tu non voglia, demagogicamente, dar voce alla ... "casalinga di Voghera" ... o a mamma Rosa !)



Intervista a Carmine Munizza,
specialista in malattie nervose e mentali e past president della Società Italiana di Psichiatria.

D - Qual'è stato il merito storico di Basaglia?

R - Basaglia ha dato dignità ai malati, ma anche agli psichiatri, rendendo la disciplina psichiatrica non più una pseudoscienza di chiusura e contenimento, come era considerata, ma una vera e propria scienza medica. Ha capito, cioè, che il manicomio non era un posto dove si potevano curare le persone. Un fatto evidente per molti ma che lui ha avuto il merito di denunciare per primo.

D - E la legge 180, da lui ispirata, è ancora un punto fermo?
O le continue proposte di modifica hanno qualche fondamento?

R - La legge 180 non è organizzativa, bensì di principi. Intendo dire che ci sono due principi base di orientamento.
Il primo, quello principale, supera l'ospedale psichiatrico, il manicomio vecchio stile, per favorire invece il ricovero dei pazienti psichiatrici presso ospedali pubblici. Come avviene per tutte le malattie.

Il secondo punto è quello che regolamenta il trattamento sanitario obbligatorio, il principio in base al quale il paziente che rifiuta di farsi curare può essere ricoverato non per un atto di ordine pubblico ma sanitario. Significa che è un medico a sancire la necessità di un ricovero con il suggello di un secondo medico.

D - E il ricovero avviene presso strutture pubbliche?

R - Adesso si fa nelle strutture pubbliche, anche se alcune delle proposte di revisione propongono il ricovero presso strutture residenziali private. Una revisione che non condivido.

D - Perché?

R - Secondo me il primo "filtro" deve essere pubblico, è una garanzia per il malato. All'interno della struttura sanitaria può anche cominciare un percorso di riabilitazione, poi si vedrà.

D - E quanto dura il trattamento sanitario obbligatorio?

R - La durata iniziale è di sette giorni ma è importante puntualizzare che si può prorogare se il medico lo ritiene necessario. E si può addirittura arrivare a sei mesi.

D - La legge 180 per come è stata concepita perciò dà garanzie?

R - Assolutamente sì. Si tratta di una legge valida che non è organizzativa. E' chiaro che essendo l'applicazione della legge demandata alle regioni in alcune si applica di più in altre meno. Ma oggi tutte le aziende sanitarie hanno un dipartimento di salute mentale con personale analogo. Il problema è piuttosto che rispetto alla psichiatria si hanno grosse aspettative, addirittura magiche. Se viene diagnosticato un cancro in qualche modo ci si rassegna alla possibilità che si possa non guarire.

D - Non è così per le malattie psichiatriche?

R - No. Ci si aspetta un intervento e un esito soddisfacente. Ma esiste un margine di errore e può succedere che il paziente non risponda al trattamento. E magari si suicidi. Il medico, però, non va colpevolizzato perché esiste un 30% dei casi in cui non si ha risposta

D - Ma da Basaglia ad oggi la patologia mentale è cambiata?

R - Non esattamente. E' aumentata la sensibilità ai problemi psichiatrici e sono aumentate le possibilità diagnostiche. Per cui non sono tanto in aumento le malattie ma si fanno più diagnosi. Quindi la riduzione della schizofrenia e l'aumento della depressione che i dati epidemiologici testimoniano, potrebbero essere falsi positivi.

D - Cioè?

R - Prima si consideravano schizofrenici quelli che in realtà erano pazienti depressi.

(intervista di Marco Malagutti in http://www.dica33.it/argomenti/psich...zofrenia10.asp)??

"Il malato non è solo un malato ma un uomo" (Franco Basaglia)
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