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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 29-10-2007, 10.20.24   #1
arsenio
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premesse per un corretto argomentare

Il linguaggio ordinario è fondamentalmente errato, ma filosoficamente rilevante. La scienza talora ne corregge alcuni concetti. Le sue varie accezioni e sfumature, a volte personali, non concedono di comprendere e definire la sua relazione con la realtà. I nostri concetti di fatto e di valore sono fusi gli uni negli altri, anche senza che ce ne accorgiamo. Parto ancora da premesse dell'epistemologo Putnam.


Come sostenere con maggior correttezza una tesi o controbattere quella avversaria, con strumenti che sono già accessibili?
Specie in un'epoca dove siamo bersaglio di messaggi d'ogni genere, senza saper discernerne l'attendibilità
Il nostro stile logico- argomentativo non deve fondarsi su credenze o sensazioni autoreferenti. Lasciamo – demistificandole – le retoriche fallaci a pubblicitari, politici, giornalisti, accademici, oratori nazional - popolari che bucano il video.

L'esercizio della razionalità corretta avviene attraverso un'organizzazione di enunciati, dichiarativi o ipotetici, che possono essere veri o falsi. Si ragiona per giudizi, per proposizioni logiche, tramite un linguaggio che afferma o disconferma.
Dalle premesse si arriva alle conclusioni dopo una successione d' inferenze. Solo se le premesse sono vere e le inferenze sono valide ne consegue un ragionamento giusto.
Nel ragionamento apodittico non si discutono né premesse né ragionamenti, né le regole inferenziali, né le conclusioni. Perchè per sua natura è necessitante. Viceversa, nel ragionamento argomentativo o anapodittico, ogni passo deve essere sottoposto a discussione razionale. Le premesse sono opinabili e la conclusione non avviene per necessità. Chi accetta le premesse deve accettare la conclusone che ne deriva.
Come si argomenta e discute? Si decide quanto è conosciuto e quanto va detto. Si delucida il significato di alcuni termini, nel caso risultino ambigui. Si enunciano e criticano le alternative di quanto si sostiene, giustificandone la propria soluzione.
Prima di esporre la personale opinione, si riflette sulla natura del problema, sui possibili equivoci derivati da un uso improprio dei termini, Con disponibilità verso le ragioni altrui. A questo punto si portano gli argomenti a favore delle proprie tesi.
Inizia la controargomentazione, preceduta da una riformulazione della tesi avversari, in modo da mostrare che è stata ben compresa. (E' essenziale!). Si attacca. Il problema è mal posto o i termini sono usati impropriamente, o in modo ambiguo; il problema o la tesi proposti sono irrilevanti e malposti. Si dimostrano fallacie o irrilevanze, omissioni, misconosciute ma necessarie conoscenze.

Quindi da quanto detto, possiamo dedurre che non si tratta di tener testa all'avversario, volendo ottenere ragione a priori ed ad ogni costo, meno che meno dimostrandosi “geniali”.Quest'ultima dote , che può condurre alla creatività, lasciamola ad artisti e scienziati, che pur non possono permettersi di uscire dalla razionalità di tecniche strutturate, organizzate e coerenti.
Si suppone che certe premesse elementari, in contesti discorsivi a preciso indirizzo disciplinare-tematico, siano note e implicite a chi affronta l'argomento, ma le sorprese non mancano.
In conclusione le qualità richieste sono un flessibile ragionamento, analisi e sintesi. E ancora parlare lo stesso linguaggio, lessico e conoscenze di base comprese; la memoria che permette di associare idee a prima vista remote, ma che si rivelano pertinenti e non arbitrarie.
O si ricade nell'eristica e nel sofisma, o peggio, nell'improvvisazione e nella parodia di un dibattito colto. Come vedremo attraverso i metodi analitici per individuare le fallacie.
arsenio is offline  
Vecchio 29-10-2007, 14.34.08   #2
nevealsole
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Riferimento: premesse per un corretto argomentare

Citazione:
Originalmente inviato da arsenio
Il linguaggio ordinario è fondamentalmente errato, ma filosoficamente rilevante. La scienza talora ne corregge alcuni concetti. Le sue varie accezioni e sfumature, a volte personali, non concedono di comprendere e definire la sua relazione con la realtà. I nostri concetti di fatto e di valore sono fusi gli uni negli altri, anche senza che ce ne accorgiamo. Parto ancora da premesse dell'epistemologo Putnam.


Come sostenere con maggior correttezza una tesi o controbattere quella avversaria, con strumenti che sono già accessibili?
Specie in un'epoca dove siamo bersaglio di messaggi d'ogni genere, senza saper discernerne l'attendibilità
Il nostro stile logico- argomentativo non deve fondarsi su credenze o sensazioni autoreferenti. Lasciamo – demistificandole – le retoriche fallaci a pubblicitari, politici, giornalisti, accademici, oratori nazional - popolari che bucano il video.

L'esercizio della razionalità corretta avviene attraverso un'organizzazione di enunciati, dichiarativi o ipotetici, che possono essere veri o falsi. Si ragiona per giudizi, per proposizioni logiche, tramite un linguaggio che afferma o disconferma.
Dalle premesse si arriva alle conclusioni dopo una successione d' inferenze. Solo se le premesse sono vere e le inferenze sono valide ne consegue un ragionamento giusto.
Nel ragionamento apodittico non si discutono né premesse né ragionamenti, né le regole inferenziali, né le conclusioni. Perchè per sua natura è necessitante. Viceversa, nel ragionamento argomentativo o anapodittico, ogni passo deve essere sottoposto a discussione razionale. Le premesse sono opinabili e la conclusione non avviene per necessità. Chi accetta le premesse deve accettare la conclusone che ne deriva.
Come si argomenta e discute? Si decide quanto è conosciuto e quanto va detto. Si delucida il significato di alcuni termini, nel caso risultino ambigui. Si enunciano e criticano le alternative di quanto si sostiene, giustificandone la propria soluzione.
Prima di esporre la personale opinione, si riflette sulla natura del problema, sui possibili equivoci derivati da un uso improprio dei termini, Con disponibilità verso le ragioni altrui. A questo punto si portano gli argomenti a favore delle proprie tesi.
Inizia la controargomentazione, preceduta da una riformulazione della tesi avversari, in modo da mostrare che è stata ben compresa. (E' essenziale!). Si attacca. Il problema è mal posto o i termini sono usati impropriamente, o in modo ambiguo; il problema o la tesi proposti sono irrilevanti e malposti. Si dimostrano fallacie o irrilevanze, omissioni, misconosciute ma necessarie conoscenze.

Quindi da quanto detto, possiamo dedurre che non si tratta di tener testa all'avversario, volendo ottenere ragione a priori ed ad ogni costo, meno che meno dimostrandosi “geniali”.Quest'ultima dote , che può condurre alla creatività, lasciamola ad artisti e scienziati, che pur non possono permettersi di uscire dalla razionalità di tecniche strutturate, organizzate e coerenti.
Si suppone che certe premesse elementari, in contesti discorsivi a preciso indirizzo disciplinare-tematico, siano note e implicite a chi affronta l'argomento, ma le sorprese non mancano.
In conclusione le qualità richieste sono un flessibile ragionamento, analisi e sintesi. E ancora parlare lo stesso linguaggio, lessico e conoscenze di base comprese; la memoria che permette di associare idee a prima vista remote, ma che si rivelano pertinenti e non arbitrarie.
O si ricade nell'eristica e nel sofisma, o peggio, nell'improvvisazione e nella parodia di un dibattito colto. Come vedremo attraverso i metodi analitici per individuare le fallacie.

Ciao Arsenio, spero tutto bene.
Interessante scritto il tuo.
La filosofia mi è un po' ostica, ma dico due cose che mi hai fatto venire in mente.
La prima riguarda la dialettica, vera e propria arte... come i forum ben dimostrano (mi riferisco agli sminuzzamenti degli scritti altrui e loro ricomposizione con commento in calce a controbattere): non conta tanto la tesi fatta propria quanto la padronanza dell'arte.
La seconda, mi ci ha fatto riflettere ieri un sacerdote, è sul valore del linguaggio: "quando parliamo sempre combattiamo" ha detto, esortando ad un maggiore silenzio meditativo.
Non ci avevo mai pensato così razionalmente, eppure un po' è vero: il dialogo è sempre volontà di affermare la propria tesi a scapito di quella dell'altro.
Ne aggiungo una terza, sull'utilizzo dei verbi (ho recentemente letto l'ultimo di Severgnini: "Italiano: lezioni semiserie"), il congiuntivo sta sparendo - dice lui -perché non ci sono più incertezze. Se lo usi vieni preso per insicuro.
Concludo con una riflessione sull'educazione al linguaggio "etico".
Dovemmo imparare a selezionare i termini che utilizziamo per esprimerci, in base alla nostra volontà di comunicare e non di aggredire, o di prevaricare, di sminuire o di esaltare. Un linguaggio neutro ma considerevole dell'altro, se si vuole.
Ci rifletto spesso, ma quanto è difficile... alla fine la voglia di far prevalere la propria abilità argomentativa - o la bontà della propria tesi - in qualche modo, riesce a spuntarla.

Un abbraccio
nevealsole is offline  
Vecchio 29-10-2007, 15.26.19   #3
S.B.
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Riferimento: premesse per un corretto argomentare

Le regole per un corretto argomentare sono ben note, almeno da quando si conoscono quelle per un corretto imbrogliare.

Il problema è che spesso non abbiamo una conoscenza abbastanza esauriente di un argomento da poterlo difendere tramite una lunga serie di inferenze logicamente corrette.

Altre volte è difficile far accettare le ipotesi di partenza all' "avversario", perchè egli criticandole può portare a un regresso quasi infinito, dove svaniscono le nostre stesse certezze.

Nonostante questo noi argomentiamo in continuazione, perchè sentiamo istintivamente che è giusto difendere una certa posizione.

Insomma è difficile trovare due contendenti perfettamente leali.
S.B. is offline  
Vecchio 31-10-2007, 10.37.10   #4
arsenio
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Riferimento: premesse per un corretto argomentare

Citazione:
Originalmente inviato da nevealsole
Ciao Arsenio, spero tutto bene.
Interessante scritto il tuo.
La filosofia mi è un po' ostica, ma dico due cose che mi hai fatto venire in mente.
La prima riguarda la dialettica, vera e propria arte... come i forum ben dimostrano (mi riferisco agli sminuzzamenti degli scritti altrui e loro ricomposizione con commento in calce a controbattere): non conta tanto la tesi fatta propria quanto la padronanza dell'arte.
La seconda, mi ci ha fatto riflettere ieri un sacerdote, è sul valore del linguaggio: "quando parliamo sempre combattiamo" ha detto, esortando ad un maggiore silenzio meditativo.
Non ci avevo mai pensato così razionalmente, eppure un po' è vero: il dialogo è sempre volontà di affermare la propria tesi a scapito di quella dell'altro.
Ne aggiungo una terza, sull'utilizzo dei verbi (ho recentemente letto l'ultimo di Severgnini: "Italiano: lezioni semiserie"), il congiuntivo sta sparendo - dice lui -perché non ci sono più incertezze. Se lo usi vieni preso per insicuro.
Concludo con una riflessione sull'educazione al linguaggio "etico".
Dovemmo imparare a selezionare i termini che utilizziamo per esprimerci, in base alla nostra volontà di comunicare e non di aggredire, o di prevaricare, di sminuire o di esaltare. Un linguaggio neutro ma considerevole dell'altro, se si vuole.
Ci rifletto spesso, ma quanto è difficile... alla fine la voglia di far prevalere la propria abilità argomentativa - o la bontà della propria tesi - in qualche modo, riesce a spuntarla.

Un abbraccio

Cara nevealsole, e dal riverbero sempre più ... abbagliante I nostri pur rarefatti incontri sono per me un evento. Mi accorgo che parliamo lo stesso linguaggio. Situazione per me non frequente nel “virtuale”. Hai inquadrato con discernimento il problema che io ho tentato di spiegare dettagliatamente.
Distinguo anch'io tra un “dialogo” con intenzioni collaborative, ed un “dibattito” sovente finalizzato, a priori, ad ottenere ragione ad ogni costo.

Filosofare è l'arte di ragionare bene, proprio il contrario di un “filosofeggiare” privo di senso. Perciò non deprezzarti
Lancio ancora per te una terza parte: “come valutare un pensiero discorsivo”, con qualche cenno metodologico.
Conosco anch'io il problema della scomparsa dei congiuntivi, che fa parte di un anafabetismo di ritorno, e ne parleremo più ampiamente in un post che lancerò a filosofia.

Un abbraccio

arsenio
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Vecchio 31-10-2007, 20.11.11   #5
VanLag
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Originalmente inviato da arsenio
Cara nevealsole, e dal riverbero sempre più ... abbagliante I nostri pur rarefatti incontri sono per me un evento. Mi accorgo che parliamo lo stesso linguaggio. Situazione per me non frequente nel “virtuale”. Hai inquadrato con discernimento il problema che io ho tentato di spiegare dettagliatamente.
Distinguo anch'io tra un “dialogo” con intenzioni collaborative, ed un “dibattito” sovente finalizzato, a priori, ad ottenere ragione ad ogni costo.

Filosofare è l'arte di ragionare bene, proprio il contrario di un “filosofeggiare” privo di senso. Perciò non deprezzarti
Lancio ancora per te una terza parte: “come valutare un pensiero discorsivo”, con qualche cenno metodologico.
Conosco anch'io il problema della scomparsa dei congiuntivi, che fa parte di un anafabetismo di ritorno, e ne parleremo più ampiamente in un post che lancerò a filosofia.

Un abbraccio

arsenio
Il corretto argomentare è semplice se chiamano le cose col loro nome, ma tu prova a mettere in un sistema dove ogni cosa ha un nome ed una forma, un termine che non corrisponde a nulla e che per giunta è multiforme perché, non corrispondendo a niente, puoi fargli assumere tutte le forme ed i significati che voi e dimmi che succede.
Succede che il disordine portato da quella parola piano, piano contamina il linguaggio, le parole perdono le loro relazioni con le cose, ed il sistema lentamente impazzisce.

Ti o vi lascio indovinare quel'è quella parola chiave inventata per distruggere il sistema.

VanLag is offline  
Vecchio 01-11-2007, 01.29.44   #6
Elijah
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Originalmente inviato da arsenio
Premesse per un corretto argomentare

La premessa più importante - a mio modo di vedere - è comprendere se le parole sono vacue o no.

Seconda cosa, quello che bisognerebbe comprendere è se può esistere effettivamente una tesi che non possa esse ridotta all'assurdo. Oppure, se esistino per caso assiomi base di un discorso che non possono essere messi in discussione in nessun caso.
(Uno potrà essere un genio nell'argomentare nel modo corretto, ma se la base è debole, crollerà tutto, nonostante il brillante ragionamento. Non per nulla, se si vuole criticare in genere qualcosa, mica bisogna andare ad osservare se l'argomentazioni fatte sono corrette o meno, molto più decisivo e devastante è analizzare la base, e far crollare il tutto, se notiamo che c'è qualcosa che non va nelle fondamenta o non si può affatto dimostrare come uno vorrebbe far credere).

Osservando le cose comunque da questo punto di vista qua, e pensando personalmente ora a Nagarjuna (filosofo buddhista - se così vogliamo dire), il quale amava ridurre all'assordo qualsiasi opinione gli si presentava di fronte, senza troppa pietà (da parte sua), mi chiedo, seriamente, cosa sia questo corretto argomentare (su cosa poi? Con che parole? Che mezzi?), e che senso abbia imparare a farlo? (Sempre che abbia un senso).

Se io avessi una qualche tesi sarai vittima di questi controsensi. Ma io non ho alcuna tesi e quindi non mi si può imputare nessun controsenso.
(Nagarjuna)

Socrate si avvicina forse un po' a tale concezione, quando afferma il suo famoso "so di non sapere", senza scordarci che pure lui amava sovente far giungere all'aporia i suoi dialoganti.

Elijah is offline  
Vecchio 02-11-2007, 20.16.12   #7
nevealsole
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Riferimento: premesse per un corretto argomentare

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Originalmente inviato da VanLag
Il corretto argomentare è semplice se chiamano le cose col loro nome, ma tu prova a mettere in un sistema dove ogni cosa ha un nome ed una forma, un termine che non corrisponde a nulla e che per giunta è multiforme perché, non corrispondendo a niente, puoi fargli assumere tutte le forme ed i significati che voi e dimmi che succede.
Succede che il disordine portato da quella parola piano, piano contamina il linguaggio, le parole perdono le loro relazioni con le cose, ed il sistema lentamente impazzisce.

Ti o vi lascio indovinare quel'è quella parola chiave inventata per distruggere il sistema.


Dio? Oppure... Io?
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Vecchio 05-11-2007, 09.55.18   #8
arsenio
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nevealsole, S.B. VanLag, Elijah ecc.

Ho tenuto conto delle vostre osservazioni, e vi rispondo nel post di oggi:conclusioni: quale filosofia del linguaggio? Perchè forse può interessare anche qualcun altro

Grazie

Saluti
arsenio is offline  

 



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