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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 22-11-2008, 18.24.34   #1
demonatte
Ospite
 
Data registrazione: 22-11-2008
Messaggi: 3
Vivere da filosofi

Ahi! Questi filosofi mi fanno perdere il capo, e io non capisco nulla dei loro "enti", "in-sé", "fenomenologia", e altre cose che mi rintronano le orecchie.
Ma a che serve? - mi domando io - Forse aumentano il mio sapere? Può essere. Ma poi notavo come i pensieri siano spesso guidati da passioni segrete, di come i desideri e le paure siano grafomani da competizione, e soprattutto di quanto siano degni di risate quei filosofi di ieri e di oggi che operano magie con questi vocaboli misteriosi, e poi, riposto il furore, ripigliano le loro abitudini servili e incoerenti. Si può essere liberi con una mandria di sillogismi? E mi sovviene quello che diceva Epitteto, che si continua a mentire pur tenendo accanto a sé la dimostrazione che non si deve mentire. Così con un po' di voglia si può scrivere qualsiasi asineria sulla natura delle cose, e ben possiamo dire di ognuno di noi che abbiamo conquistato l'Asia e le Americhe, e leggerci a vicenda le avventure che sostenemmo quando eravamo in cricca con Ercole o Bacco. E non giudico male: belli sono i viaggi dell'immaginazione. Ma le considero cose che ci dovrebbero occupare solo quando avessimo tanto tempo da perdere: cos'è mai fantasticare di avere delle qualità, a petto di faticare per ottenerle davvero?
Di qui ho raggiunto la convinzioneche che la migliore filosofia che possiamo fare, è quella di vivere da filosofi. Io ho sperimentato e credo che la libertà ci soffi dentro da sola pensieri puliti e nobili, e che invece una vita di ignavia e di lambiccamenti, c'intorbidano il cervello.
E se vi sembra rozza questa mia filosofia, sappiate che l'ho evacuata dopo una indigestione di Stoici e di insigni filosofi della risata, con in testa quel dritto di Luciano, che molte cose dice interessanti sui filosofi e il loro modo di vivere.
Così che io ho elaborato la mia filosofia, dove non è permesso sperare di divenir grandi speculatori, ma dove una legge severissima obbliga di voler a tutti i costi essere liberi e lieti.
Non voglio ora sminestrare a voi, senza che mi abbia invitato nessuno, i decreti della mia repubblica: ho voluto solo dire la mia sulla differenza che ci corre tra il parlare da filosofi, e il vivere da filosofi. E conoscere, naturalmente, l'opinione di qualcuno di voi.
demonatte is offline  
Vecchio 22-11-2008, 20.29.42   #2
Giorgiosan
Ospite abituale
 
Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 2,009
Riferimento: Vivere da filosofi

Banvenuto nel forum Demonatte.

Mi piace questo stile old fashion ed anche la piacevole ironia con la quale esponi il tuo pensiero filosofico.

Ne corre tanta di differenza fre il parlare di filosofia e vivere una filosofia.
Intanto direi prima vivere e poi filosofare, massima che non è mia ma di un famoso filosofo.

Sarebbe veramente buffo, però, se alcuni filosofi vivessero quello che professano filosoficamente.
Diodoro Crono, che negava la realtà del movimento, come avrebbe vissuto coerentemente la sua teoria filosofica?
Quell'originale di Diogene, il cinico, lo confutò senza dire una parola ma mettendosi a camminare.
Lui, poi, diventò una macchietta per vivere quello che credeva e cioè che la natura umana fosse corrotta dai bisogni artificiali prodotti dalla vita associata.
Per rimanere incorrotto e dimostrare che non aveva bisogno di niente e di nessuno andò a vivere dentro una botte ( forse dopo essersene traccannato il contenuto ).
Lui viveva quel che credeva ma era di una tale superbia!: quando Alessandro gli chiese se avesse bisogno di qualcosa gli rispose di spostarsi perche gli toglieva il sole.

Non prendersi dunque troppo sul serio, mi sembra una ragionevole proposta per chi è filosofo.

Ciao Demonatte

Ultima modifica di Giorgiosan : 23-11-2008 alle ore 10.51.25.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 22-11-2008, 20.40.36   #3
VanLag
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Data registrazione: 08-04-2002
Messaggi: 2,959
Riferimento: Vivere da filosofi

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Originalmente inviato da demonatte
Ahi! Questi filosofi mi fanno perdere il capo, e io non capisco nulla dei loro "enti", "in-sé", "fenomenologia", e altre cose che mi rintronano le orecchie.
Ma a che serve? - mi domando io - Forse aumentano il mio sapere? Può essere. Ma poi notavo come i pensieri siano spesso guidati da passioni segrete, di come i desideri e le paure siano grafomani da competizione, e soprattutto di quanto siano degni di risate quei filosofi di ieri e di oggi che operano magie con questi vocaboli misteriosi, e poi, riposto il furore, ripigliano le loro abitudini servili e incoerenti. Si può essere liberi con una mandria di sillogismi? E mi sovviene quello che diceva Epitteto, che si continua a mentire pur tenendo accanto a sé la dimostrazione che non si deve mentire. Così con un po' di voglia si può scrivere qualsiasi asineria sulla natura delle cose, e ben possiamo dire di ognuno di noi che abbiamo conquistato l'Asia e le Americhe, e leggerci a vicenda le avventure che sostenemmo quando eravamo in cricca con Ercole o Bacco. E non giudico male: belli sono i viaggi dell'immaginazione. Ma le considero cose che ci dovrebbero occupare solo quando avessimo tanto tempo da perdere: cos'è mai fantasticare di avere delle qualità, a petto di faticare per ottenerle davvero?
Di qui ho raggiunto la convinzioneche che la migliore filosofia che possiamo fare, è quella di vivere da filosofi. Io ho sperimentato e credo che la libertà ci soffi dentro da sola pensieri puliti e nobili, e che invece una vita di ignavia e di lambiccamenti, c'intorbidano il cervello.
E se vi sembra rozza questa mia filosofia, sappiate che l'ho evacuata dopo una indigestione di Stoici e di insigni filosofi della risata, con in testa quel dritto di Luciano, che molte cose dice interessanti sui filosofi e il loro modo di vivere.
Così che io ho elaborato la mia filosofia, dove non è permesso sperare di divenir grandi speculatori, ma dove una legge severissima obbliga di voler a tutti i costi essere liberi e lieti.
Non voglio ora sminestrare a voi, senza che mi abbia invitato nessuno, i decreti della mia repubblica: ho voluto solo dire la mia sulla differenza che ci corre tra il parlare da filosofi, e il vivere da filosofi. E conoscere, naturalmente, l'opinione di qualcuno di voi.
Bravo! E’ così che si fa. Altrimenti torniamo alle versioni precedenti del forum dove c’erano 7,034 iscritti di cui 7000 maestri, ( maestro + o maestro - ) alla caccia di qualche malcapitato che, sfortuna sua, aveva la debolezza di mostrare qualche dubbio.

e benvenuto
VanLag is offline  
Vecchio 27-11-2008, 10.23.40   #4
arsenio
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Data registrazione: 01-04-2004
Messaggi: 1,006
Riferimento: Vivere da filosofi

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Originalmente inviato da demonatte
Ahi! Questi filosofi mi fanno perdere il capo, e io non capisco nulla dei loro "enti", "in-sé", "fenomenologia", e altre cose che mi rintronano le orecchie.
Ma a che serve? - mi domando io - Forse aumentano il mio sapere? Può essere. Ma poi notavo come i pensieri siano spesso guidati da passioni segrete, di come i desideri e le paure siano grafomani da competizione, e soprattutto di quanto siano degni di risate quei filosofi di ieri e di oggi che operano magie con questi vocaboli misteriosi, e poi, riposto il furore, ripigliano le loro abitudini servili e incoerenti. Si può essere liberi con una mandria di sillogismi? E mi sovviene quello che diceva Epitteto, che si continua a mentire pur tenendo accanto a sé la dimostrazione che non si deve mentire. Così con un po' di voglia si può scrivere qualsiasi asineria sulla natura delle cose, e ben possiamo dire di ognuno di noi che abbiamo conquistato l'Asia e le Americhe, e leggerci a vicenda le avventure che sostenemmo quando eravamo in cricca con Ercole o Bacco. E non giudico male: belli sono i viaggi dell'immaginazione. Ma le considero cose che ci dovrebbero occupare solo quando avessimo tanto tempo da perdere: cos'è mai fantasticare di avere delle qualità, a petto di faticare per ottenerle davvero?
Di qui ho raggiunto la convinzioneche che la migliore filosofia che possiamo fare, è quella di vivere da filosofi. Io ho sperimentato e credo che la libertà ci soffi dentro da sola pensieri puliti e nobili, e che invece una vita di ignavia e di lambiccamenti, c'intorbidano il cervello.
E se vi sembra rozza questa mia filosofia, sappiate che l'ho evacuata dopo una indigestione di Stoici e di insigni filosofi della risata, con in testa quel dritto di Luciano, che molte cose dice interessanti sui filosofi e il loro modo di vivere.
Così che io ho elaborato la mia filosofia, dove non è permesso sperare di divenir grandi speculatori, ma dove una legge severissima obbliga di voler a tutti i costi essere liberi e lieti.
Non voglio ora sminestrare a voi, senza che mi abbia invitato nessuno, i decreti della mia repubblica: ho voluto solo dire la mia sulla differenza che ci corre tra il parlare da filosofi, e il vivere da filosofi. E conoscere, naturalmente, l'opinione di qualcuno di voi.

Ma cosa s'intende oggi per “essere filosofi? Mille cose.
“Prendere la vita con filosofia”, essere cultori della disciplina, insegnare filosofia, essere esperti di storia della filosofia, oppure chiedersi quale sia il metodo migliore per fare filosofia, essere teoretici analitici o storici,specialisti settoriali che è il caso più comune: linguaggio, epistemologia, filosofia della scienza,ecc. Ancora essere attivi,critici e impegnati interpreti sui problemi della vita sociale,diventare consulenti filosofici, ecc. ecc. fino al “non filosofare” che secondo Leopardi, Pascal e altri sarebbe il miglior modo di filosofare .per perseguire un edonismo rasserenante fondato sull'eludere di arrovellarsi su problemi cruciali dell'esistenza. Io qui ho suggerito qualche linea metodologica,ma credo non rientri negli interessi e obiettivi, questo in tutti i forum di discussione, seguire certi dettami dell'argomentare, secondo me importanti ,preferendosi piuttosto le parole in libertà come oggi è in voga.

Tuttavia quale potrebbe essere un denominatore comune per chi si chiede come “essere filosofi”? Il “pensiero”, come stile più che come contenuti, pur sempre opportuni.
E per questa dimensione che riguarda un' abitudine e capacità mentale, non si può prescindere dal riferirsi alla civiltà greco-romana e all'agorà come la piazza dove si confrontano le idee. Considerando che pure un dialogo riuscito tra due menti creative moltiplica gli effetti della conoscenza.
In due secoli sono nati tutti i geni greci: Eraclito, Aristotele, Platone,Socrate, Antistene, Aristippo,ecc.
Parmenide diceva che solo chi imposta la propria vita sull'”essere”,ma del qui e ora, concreto,su questa terra, su una “piazza”,può essere felice. L'autorealizzazione rimane ancora la base di ogni suggerita felicità e di ogni recente cura dell'anima, assieme al raggiungere una non distorta visione del mondo e di se stessi. Dove Epitteto e seguaci rimangono un esempio per le nuove psicoterapie cognitive.
Chi imposta la vita sul non essere dell'apparire o delle trascendenze disimpegnate si danna.
L'essere è basare la vita sul sentimento e sui contenuti; il filosofo era uno che pensava mentre noi siamo irrequieti, erriamo da turisti che non sanno vedere, corriamo in automobile, sciupiamo il tempo in svariati modi, con comportamenti compulsivi e sterili, indotti dall'età tecnologica e postmoderna, per conformarsi agli altri, essere pari o di più,chiusi in difese narcisistiche, che è il contrario di “essere filosofi” . E non importa se qualcuno afferma che è questa la migliore filosofia che esista.
Oltre alla grecità io ricupererei pure una filosofia contro le astrazioni ed i sistemi precostituiti, avversa, se non per scopi storicistici, alle filosofie idealistiche e delle “essenze”, che pure si confondono tra di loro e si mescolano ad altre pseudoscienze.
Deve essere l'esistenza concreta a precedere e a far comprendere il mondo. Si privilegi quindi la condizione,la personalità, le emozioni dell'uomo individuato, concreto, singolo, irripetibile,o perlomeno lo si distingua quando la tentazione a generalizzare è pressante, anche per chi aiuta per mestiere gli altri con la sua parola. E' l'unicità dell'uomo nella sue esistenza che va rivalutata, sia quella autentica dei consapevoli , che sanno “essere”,sia di quella banale dell'uomo tecnologico e omologato. La coscienza individuale è il punto di partenza, che è ricerca di sé, apertura alla realtà, o “realtà” stessa.
Il dibattito su tale tema è aperto a tutti.

arsenio is offline  
Vecchio 14-12-2008, 09.39.14   #5
emmeci
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Cose giuste hai detto Arsenio, anche se forse Demonatte si aspettava, a fargli passare l’indigestione, una ricetta più semplice e magari una semplice pillola. Come quella che suggerisco io.
Credete proprio che vivere da filosofi debba essere qualcosa di più che vivere da uomini – direi da uomini senza qualità? Direte che il compito del filosofo è la ricerca della verità, ciò che non sembra costituire un bisogno di tutti, mentre mi sembra che proprio in tal modo egli vive più intensamente e magari ossessivamente quello che è il bisogno di tutti, anche se assume forme diverse, si veste da buffone, arlecchino o pierrot, priapo in cerca di naiadi o cortigiano in cerca di un re….Eppure, pensateci bene, in quel contorcersi di pensieri e in quelle chiacchiere che riempiono le loro giornate non c’è sempre un uomo che si abbranca alla verità e crede di averla in pugno mentre, se fosse sincero, potrebbe accorgersi che la verità è quella degli altri, o forse che nessuno la trova anche se spinge a pensare e parlare, quasi che solo in quell’insano agitarsi si potesse credere d’averla raggiunta e mettersi il cuore in pace. Ebbene è molto diverso questo da ciò che può fare un filosofo? Sì, forse una differenza c’è tra il filosofo e l’uomo comune, anzi potremmo dare dello stato ideale cioè della meta del nostro filosofo una definizione nobile come un vivere nell’infinito o un equilibrio nell’infinito – un equilibrio tra gioie e dolori, tra sé stesso e gli altri, tra la vita e la morte….Sì, penso che sarebbe troppo orgoglioso e oltre tutto irrealistico pensare, come i greci, che quello del filosofo debba essere lo stato del saggio, come i cristiani che sia lo stato del santo, come i romantici lo stato sentimentale o invasato, o come i rivoluzionari quello dell'eroe sulle barricate che vede l’avvenire e ha bruciato il passato, forse nemmeno quello postmoderno di chi non crede più in niente - ma sia quello apparentemente modesto in realtà quasi sublime di chi non rifiuta le rose e le spine perché cerca un equilibrio nell’infinito e solo in questo vede qualcosa che assomiglia alla verità.
emmeci is offline  
Vecchio 15-12-2008, 09.50.54   #6
arsenio
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Originalmente inviato da emmeci
Cose giuste hai detto Arsenio, anche se forse Demonatte si aspettava, a fargli passare l’indigestione, una ricetta più semplice e magari una semplice pillola. Come quella che suggerisco io.
Credete proprio che vivere da filosofi debba essere qualcosa di più che vivere da uomini – direi da uomini senza qualità? Direte che il compito del filosofo è la ricerca della verità, ciò che non sembra costituire un bisogno di tutti, mentre mi sembra che proprio in tal modo egli vive più intensamente e magari ossessivamente quello che è il bisogno di tutti, anche se assume forme diverse, si veste da buffone, arlecchino o pierrot, priapo in cerca di naiadi o cortigiano in cerca di un re….Eppure, pensateci bene, in quel contorcersi di pensieri e in quelle chiacchiere che riempiono le loro giornate non c’è sempre un uomo che si abbranca alla verità e crede di averla in pugno mentre, se fosse sincero, potrebbe accorgersi che la verità è quella degli altri, o forse che nessuno la trova anche se spinge a pensare e parlare, quasi che solo in quell’insano agitarsi si potesse credere d’averla raggiunta e mettersi il cuore in pace. Ebbene è molto diverso questo da ciò che può fare un filosofo? Sì, forse una differenza c’è tra il filosofo e l’uomo comune, anzi potremmo dare dello stato ideale cioè della meta del nostro filosofo una definizione nobile come un vivere nell’infinito o un equilibrio nell’infinito – un equilibrio tra gioie e dolori, tra sé stesso e gli altri, tra la vita e la morte….Sì, penso che sarebbe troppo orgoglioso e oltre tutto irrealistico pensare, come i greci, che quello del filosofo debba essere lo stato del saggio, come i cristiani che sia lo stato del santo, come i romantici lo stato sentimentale o invasato, o come i rivoluzionari quello dell'eroe sulle barricate che vede l’avvenire e ha bruciato il passato, forse nemmeno quello postmoderno di chi non crede più in niente - ma sia quello apparentemente modesto in realtà quasi sublime di chi non rifiuta le rose e le spine perché cerca un equilibrio nell’infinito e solo in questo vede qualcosa che assomiglia alla verità.

Grazie ma non so se ho detto cose giuste. Tuttavia anch'io penso, tutto considerato, che la new entry fosse più interessata al tuo Infinito. Presumo si tratti di un “Uno Assoluto, aproblematico nel senso fuori da un pensiero progressivo a carattere filosofico. Ma “Infinito” per ognuno può assumere un senso diverso. Ad esempio io un' attimo di eternità posso trovarlo tra le braccia di una donna che amo. Per Leopardi, ma per chi conosce bene la sua filosofia, l'infinito è l'immenso nulla in cui dissipa la sua sofferenza.

arsenio is offline  
Vecchio 15-12-2008, 14.37.00   #7
emmeci
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Sì e no, arsenio: da una parte l’infinito, cioè l’affidarsi a una ricerca che non si interrompe, può essere inteso come l’esperienza di chi è conscio della continua precarietà dei suoi sforzi e quindi del suo fallimento; dall’altra proprio l’impegno di continuare a cercare al di là di tutti gli ostacoli e le disavventure copre la miseria dei risultati e coglie qualcosa di assoluto, sia pure un’ombra di ciò cui aspira ed è infinitamente distante….In fondo è questo lo stato dell’uomo a tutti i livelli, dall’idiota al genio e – per stare con quello che hai detto – dalla voluttà del verme all’estasi del cherubino. A noi, credo, non può essere dato altro che questo, cioè non la conquista dell’assoluto ma un alito dell’infinito, ossia una vita e una morte. A noi e a ogni altro essere dell’universo.
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Vecchio 16-12-2008, 11.19.23   #8
arsenio
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Sì e no, arsenio: da una parte l’infinito, cioè l’affidarsi a una ricerca che non si interrompe, può essere inteso come l’esperienza di chi è conscio della continua precarietà dei suoi sforzi e quindi del suo fallimento; dall’altra proprio l’impegno di continuare a cercare al di là di tutti gli ostacoli e le disavventure copre la miseria dei risultati e coglie qualcosa di assoluto, sia pure un’ombra di ciò cui aspira ed è infinitamente distante….In fondo è questo lo stato dell’uomo a tutti i livelli, dall’idiota al genio e – per stare con quello che hai detto – dalla voluttà del verme all’estasi del cherubino. A noi, credo, non può essere dato altro che questo, cioè non la conquista dell’assoluto ma un alito dell’infinito, ossia una vita e una morte. A noi e a ogni altro essere dell’universo.

Sforzi precari e fallimento o scacco, naufragio nel nulla, ecc. Mi ricordano concetti esistenzialistici.
Impegno a vivere senza depersonalizzarsi. “Dio” come enigma irraggiungibile, l'uomo che esiste attraverso le percezioni sensoriali. Si potrebbe parlarne alla luce forse di qualche opera, forse più letteraria che filosofica.
Ma ancora sarebbe da accordarci sul termine "infinito".

arsenio is offline  

 



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