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Vecchio 14-03-2015, 12.05.43   #21
Duc in altum!
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Riferimento: La vita è un dono meraviglioso..

** scritto da acquario:

Citazione:
non credo che sia anche questa un illusione,perché in quell'attimo che lo realizzi,ne hai la certezza.
e di questa certezza,sai che la sofferenza non può esistere.

Mentre invece la sofferenza c'è ed esiste, in senso fisico e introspettivo, forse volevi dire che la sofferenza c'è ma con la certezza, nella fede, dell'amore essa sopperisce alla gioia anche mentre si soffre.


Pace&Bene
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Vecchio 14-03-2015, 19.52.21   #22
maral
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Riferimento: La vita è un dono meraviglioso..

Cos'altro è la pena di vivere se non l'angoscia di vedere innanzi a sé il diventar nulla di ogni cosa e dunque pure di se stessi, delle speranze in cui si è riposto fede, delle illusioni coltivate, di ciò che si credeva di essere riusciti a costruire? Lo strazio della malattia, la solitudine che può farsi estrema nella vecchiaia, nel sopravvissuto, la miseria che sempre più si annuncia nel corpo, la stanchezza dello spirito non sono forse il sempre più chiaro anticipo di quel diventar nulla senza nulla poter trattenere? Senza che resti più nessuno a rispondere nel buio della notte al nostro angosciato grido, al mio dolore?
Il corpo, come una macchina programmata senza senso vuole continuare a vivere nonostante che la coscienza inesorabilmente gli mostri quanto sia destinato a morire, a decomporsi rendendosi cibo per vermi, ma tutto ciò che la coscienza mostra a quel corpo è solo l'orrore della fine di se stessa tra lo svanire del ricordi e l'annullamento di ogni aspettativa: tutto diventa maceria e rovina. Ma il corpo non può capire, il corpo continua a vivere, che spettacolo nauseante! Meglio allora non essere mai nati, o almeno, essendo nati, morire prima possibile. Che il nulla da cui fummo rigettati finalmente ci riaccolga, come un tiepido ventre materno.
Ecco il paradosso della pena di vivere che non ha via d'uscita: ciò che più angoscia si presenta come la sola soluzione all'angoscia stessa, e costantemente la ripete: la maledizione dell'esistenza consapevole di se stessa al punto di non vedere che le cose che si illude di saper controllare e definire per farne il proprio baluardo sicuro.

"Nell'attaccamento di un uomo alla vita vi è qualcosa di più forte di tutte le miserie del mondo. Il giudizio del corpo vale quanto quello dello spirito, e il corpo indietreggia davanti all'annientamento. Noi prendiamo l'abitudine di vivere prima di acquistare quella di pensare. Nella corsa che ci precipita ogni giorno un po' più verso la morte, il corpo conserva questo irreparabile vantaggio." (Camus, "il mito di Sisifo")

Ultima modifica di maral : 14-03-2015 alle ore 20.54.12.
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Vecchio 15-03-2015, 03.59.12   #23
acquario69
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Riferimento: La vita è un dono meraviglioso..

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Originalmente inviato da Duc in altum!
** scritto da acquario:



Mentre invece la sofferenza c'è ed esiste, in senso fisico e introspettivo, forse volevi dire che la sofferenza c'è ma con la certezza, nella fede, dell'amore essa sopperisce alla gioia anche mentre si soffre.


Pace&Bene

no,non e' un sopperire…questo e' solo il bisogno dell'io

lo "stato" di amore (unione al se) e' di per se una certezza ed essendo tale non ha bisogno di nulla,tantomeno della fede.

in questa condizione la sofferenza non può esistere…significa pure intravedere la sofferenza come un illusione,al pari di questa stessa esistenza.
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Vecchio 15-03-2015, 10.56.56   #24
sgiombo
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Riferimento: La vita è un dono meraviglioso..

Citazione:
Originalmente inviato da maral
Cos'altro è la pena di vivere se non l'angoscia di vedere innanzi a sé il diventar nulla di ogni cosa e dunque pure di se stessi, delle speranze in cui si è riposto fede, delle illusioni coltivate, di ciò che si credeva di essere riusciti a costruire? Lo strazio della malattia, la solitudine che può farsi estrema nella vecchiaia, nel sopravvissuto, la miseria che sempre più si annuncia nel corpo, la stanchezza dello spirito non sono forse il sempre più chiaro anticipo di quel diventar nulla senza nulla poter trattenere? Senza che resti più nessuno a rispondere nel buio della notte al nostro angosciato grido, al mio dolore?
Il corpo, come una macchina programmata senza senso vuole continuare a vivere nonostante che la coscienza inesorabilmente gli mostri quanto sia destinato a morire, a decomporsi rendendosi cibo per vermi, ma tutto ciò che la coscienza mostra a quel corpo è solo l'orrore della fine di se stessa tra lo svanire del ricordi e l'annullamento di ogni aspettativa: tutto diventa maceria e rovina. Ma il corpo non può capire, il corpo continua a vivere, che spettacolo nauseante! Meglio allora non essere mai nati, o almeno, essendo nati, morire prima possibile. Che il nulla da cui fummo rigettati finalmente ci riaccolga, come un tiepido ventre materno.
Ecco il paradosso della pena di vivere che non ha via d'uscita: ciò che più angoscia si presenta come la sola soluzione all'angoscia stessa, e costantemente la ripete: la maledizione dell'esistenza consapevole di se stessa al punto di non vedere che le cose che si illude di saper controllare e definire per farne il proprio baluardo sicuro.

"Nell'attaccamento di un uomo alla vita vi è qualcosa di più forte di tutte le miserie del mondo. Il giudizio del corpo vale quanto quello dello spirito, e il corpo indietreggia davanti all'annientamento. Noi prendiamo l'abitudine di vivere prima di acquistare quella di pensare. Nella corsa che ci precipita ogni giorno un po' più verso la morte, il corpo conserva questo irreparabile vantaggio." (Camus, "il mito di Sisifo")


Ogni volta che leggo considerazioni simili a queste (per la prima volta credo di averle trovate in Leopardi, che per me é un poeta ma anche un filosofo di immensa grandezza, decisamente affascinante malgrado la sua enorme diversità da me stesso) mi viene da dirmi che sono fortunato.

Infatti personalmente trovo nella vita (almeno finora) complessivamente molto più bene (soddisfazione, felicità) che male (insoddisfazione, infelicità).
Inoltre ciò che conta per me non é tanto la durata quanto la qualità della vita.
Anche se ovviamente, essendo complessivamente contento della mia vita, preferirei che essa durasse quanto più a lungo possibile, non mi angoscia il pensiero della morte e della "fine di tutto (per me)".
Mi preoccupa piuttosto il timore del dolore e dell' infelicità: preferirei di gran lunga una vita più breve e più felice che una più lunga e più infelice.
Non vorrei morire a tarda età dopo lunghe sofferenze fisiche e/o morali, magari essendo impossibilitato a darmi la morte per porvi fine.
Il modo nel quale vorrei poter morire e spero di morire é -il più tardi possibile compatibilmente con una condizione di felicità, cioé allorché mi accorgessi che ormai dalla vita avrei ragionevolmente da attendere più dolore che gioia- assumendo dei veleni, come i vecchi barbiturici, che mi facciano addormentare -magari dopo bevuto un bicchiere di Porto o di Marsala secco e sentendo il Canone in re maggiore di Pachelbel o l' Adagio in sol minore di Albinoni (o pseudoAlbinoni)- e passare insensibilmente dal sonno alla morte.

Credo sia un fatto di psicologia individuale più o meno fortunata l' essere in varia misura ottimisti oppure pessimisti e il trovarsi ad essere più o meno contenti oppure scontenti della vita con tutti i suoi "annessi e connessi", compresa la sua inevitabile fine.
E credo personalmente di aver avuto la fortuna di nascere e/o diventare piuttosto (o forse molto) ottimista.
Ma credo che questo non mi autorizzi a dare vita ad altri uomini, i quali potrebbero anche essere infelici, poiché non é giusto che il rischio dell' infelicità (benché accompagnato dalla possibilità alternativa della felicità) sia loro imposto indipendentemente dalla loro volontà: non é giusto imporre a nessuno di spararsi con una pistola scelta a caso fra cento, delle quali una sola carica, anche se in caso di sopravvivenza gli si concedessero beni materiali e culturali inestimabili (lo si dovrebbe eventualmente consentire unicamente per libera scelta dell' interessato ...e personalmente mi guarderei bene dall' accettare la proposta).

(Ho un figlio, generato quando ancora non avevo fatto queste considerazioni: spero sia sempre prevalentemente, complessivamente felice, ma in caso deprecabilmente contrario avrebbe tutte le ragioni per maledirmi).
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Vecchio 15-03-2015, 13.37.56   #25
jolly666
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Riferimento: La vita è un dono meraviglioso..

Chi vive più felicemente di altri o chi riesce a dar un senso illusorio positivo alla vita e soltanto chi è più incline ad illudersi di cose non vere. .i sognatori o sentimentaloni vedranno sempre il bicchiere mezzo pieno chi sta con i piedi per terra vedrà un bicchiere che il realtà essendo mezzo pieno non è né pieno ne vuoto..a riempirlo ci vuole l'illusione e a svuotarlo la amara comprensione...
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Vecchio 15-03-2015, 13.53.01   #26
Duc in altum!
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Riferimento: La vita è un dono meraviglioso..

** scritto da acquario:

Citazione:
lo "stato" di amore (unione al se) e' di per se una certezza ed essendo tale non ha bisogno di nulla,tantomeno della fede.

No, è una probabile certezza, infatti chi si "buca" pensa che si sta amando, mentre invece si sta annullando nel dis-amore, che in quel momento è la sua fede.
Senza fede non c'è azione, non c'è vita, non c'è amore.
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Vecchio 15-03-2015, 21.27.02   #27
sebastianb
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Riferimento: La vita è un dono meraviglioso..

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Originalmente inviato da Duc in altum!
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con la certezza, nella fede, dell'amore essa sopperisce alla gioia anche mentre si soffre.
Pace&Bene


.. certezza nella Fede - - -


I Libri di Giobbe e Qoelet - rispetto agli altri Libri delle Scritture che osannano la bonta' / l' amore / la compassione / la misericordia -

eccc.. ecc... del Dio biblico - risultano come dei veri " contestatori " dell' allora dottrina dominante e conosciuta come: la giusta retribuzione divina.
Questa in effetti si manifesterebbe " GIA' " in questa vita e che, in base al comportamento del credente, si " otterrebbe " la benevolenza e/o la punizione divina.

La realta' era ben diversa - da qui la profonda crisi della Sapienza israelita che di fatto screditava quella dogmatica dottrina risultante non veritiera e quindi priva di valore.

Emergeva in modo drammatico la sofferenza, l' ingiustizia,
l' oppressione patita proprio dal giusto, dal fervente credente. Al contrario, l' empio godeva di ottima salute, aveva una numerosa prole, raccolti fruttosi, armenti e greggi abbondanti.. eccc.... -
Eppure le Scritture rimarcavano, quasi come un chiodo fisso, quel terrificante "" timor di Dio "" - tremendo spauracchio per il devoto infedele.

Il credente era terrorizzato da quel minaccioso Dio biblico - Padre Padrone della vita dell' uomo ( come da Sir. 23.1 - Sir. 23.4 ) da essere soggiogato e impaurito da quell' inqueitante e onnipresente Presenza, proprio perchè Egli "" avrebbe "", senza indugio alcuno, punito con la Sua proverbiale durezza e spietatezza - chiunque osasse infrangere la Sua volonta' !

Tuttavia pur continuando a praticare la Sua volonta'.. l' uomo di fede sperimentava quanto miseranda era la sua vita:
- piena di dolore, sventure, malattie, costretto a subire l' oppressione dei malvagi,
- i quali, incuranti del burbero Dio biblico.. se la godevano allegramente.

Tutto questo è quanto hanno evidenziato e denunciato i sublimi Libri di Giobbe e Qoelet.
I saggi / i sapienti ( divinamente ispirati ) dovettero allora escogitare una nuova dottrina da " rifilare " all' incolto volgo.
Ed ecco il geniale "" jolly pigliatutto "" !! -

Vien fatto credere al devoto che - ora la Giusta retribuzione divina la otterra' ( matematica certezza ! ) SOLO DOPO l' ineluttabile trapasso.

E pertanto solo chi avra' mostrato la salda "" fede "" di fronte a qualsiasi sventura - accettandola con giuliva rassegnazione - sara' ripagato con l' ambitissimo premio della salvezza, ovvero poter contemplare, per l' eternita', il volto del Dio biblico.

Infatti, per la nuova dottrina - le tragiche esperienze dell' esistenza - altro non sono che " prove " da sopportare come espiazione dei propri peccati, dimostrando cosi' la sua " salda fede " verso il generosissimo Distributore dei doni divini !

Questa è infatti la petulante litania del clero .. che nel Libro di Giobbe è rappresentato da quei sedicenti supponenti amici. Questi erano venuti a consolare il sofferente credente, colui che ha sempre dimostrato la sua incrollabile fede, e malgrado cio', sperimentava e pativa le piu' indicibili sofferenze.

All' udir i suoi strazianti e perduranti lamenti ( paragonati al pane quotidiano ) cosi' come le sue terrificanti urla di dolore ( che scorrono come l' acqua ) Elifaz, il temanita, gli risponde che l' uomo E' nato per soffrire ( Gb. 5.7 ) in quanto peccatore (!) -
L' altro supponente socio - Bildad, lo schuchita gli evidenzia che: nessuno, nato da donna, è puro " !

Giobbe bolla questi vanagloriosi come:
- consolatori di vanita' ( 16.2 )
- le loro repliche consistono in argilla ( 13.12 ) -

Giobbe rivolge allora domande al (suo ) Dio per sapere perchè mai - essendo stato suo fedele devoto, debba terribilmente soffrire.. tanto da maledire quel "" favoloso "" dono divino ricevuto dal cielo: la sua nascita !
Egli rimpiange invece, con tanta amarezza, la perduta serenita' della pace suprema e la soave tranquillita' del sacro Nulla !

- Qoelet, altro impareggiabile Libro Sapienziale, riscontra come ovunque sovrana è l' ingiustizia e quanto infelice sia l' esistenza degli individui. Come se non bastasse - perenne è la loro oppressione a tal punto da rendere, la loro gia' miseranda vita, sempre piu' insopportabile.. e altresi' quanto sia doloroso constatare che nessuno sia in grado di asciugare le loro amare lacrime.

Ecco perchè il grande Predicatore non gli resta che esaltare come " felici " gli individui ormai trapassati - in quanto godono l' indicibile e
l' indescrivibile pace suprema.

Ma il grande Qoelet rimarca, con grande enfasi, come il "" piu' felice in assoluto "" sia da considerare il NON nato - perchè, per sua grande fortuna, mai sperimentera' quel "" favoloso "" dono divino della
vita da " godere " su questo dannato e fottuto mondo.


sebastianb is offline  
Vecchio 15-03-2015, 21.50.17   #28
sebastianb
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Originalmente inviato da maral
Cos'altro è la pena di vivere se non l'angoscia di vedere innanzi a sé il diventar nulla di ogni cosa e dunque pure di se stessi, delle speranze in cui si è riposto fede, delle illusioni coltivate, di ciò che si credeva di essere riusciti a costruire? Lo strazio della malattia, la solitudine che può farsi estrema nella vecchiaia, nel sopravvissuto, la miseria che sempre più si annuncia nel corpo, la stanchezza dello spirito non sono forse il sempre più chiaro anticipo di quel diventar nulla senza nulla poter trattenere? Senza che resti più nessuno a rispondere nel buio della notte al nostro angosciato grido, al mio dolore?
Meglio allora non essere mai nati, o almeno, essendo nati, morire prima possibile. Che il nulla da cui fummo rigettati finalmente ci riaccolga, come un tiepido ventre materno.
Ecco il paradosso della pena di vivere che non ha via d'uscita: ciò che più angoscia si presenta come la sola soluzione all'angoscia stessa, e costantemente la ripete: la maledizione dell'esistenza
)



E' il lamentoso canto del pio Giobbe .. che si domanda perchè mai non fosse morto GIA' nel grembo e/o perchè mai non fosse spirato appena dopo l' uscita dal ventre.
Perchè mai due ginocchia lo accolsero ( antica usanza di accettazione del nascituro ) e perchè mai due mammelle lo avessero allattato.
Invece se fosse stato subito abortito - sarebbe stato sotterrato .. al pari di quei bimbi che mai videro la luce.

Ma Giobbe rincara la sua tristezza e amarezza dell' essere nato, come rifiutando quel favoloso dono - generosamente e magnanimamnete elargito dal burbero Dio biblico ( a chi ?? ), colui che invece nulla fece per ostacolare la sua uscita dal varco del grembo materno.
Infatti se nessun occhio l' avesse visto.. sicuramente sarebbe stato portato direttamente al sepolcro.. ritornando in quell'oasi di pace suprema - da dove, bruscamente, fu rapito e buttato in questo dannato mondo per sperimentare le piu' indicibili sofferenze. ... ecccc.... eccc.....
sebastianb is offline  
Vecchio 16-03-2015, 09.45.18   #29
maral
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Riferimento: La vita è un dono meraviglioso..

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Originalmente inviato da sgiombo
Credo sia un fatto di psicologia individuale più o meno fortunata l' essere in varia misura ottimisti oppure pessimisti e il trovarsi ad essere più o meno contenti oppure scontenti della vita con tutti i suoi "annessi e connessi", compresa la sua inevitabile fine.
E credo personalmente di aver avuto la fortuna di nascere e/o diventare piuttosto (o forse molto) ottimista.
Ma credo che questo non mi autorizzi a dare vita ad altri uomini, i quali potrebbero anche essere infelici, poiché non é giusto che il rischio dell' infelicità (benché accompagnato dalla possibilità alternativa della felicità) sia loro imposto indipendentemente dalla loro volontà: non é giusto imporre a nessuno di spararsi con una pistola scelta a caso fra cento, delle quali una sola carica, anche se in caso di sopravvivenza gli si concedessero beni materiali e culturali inestimabili (lo si dovrebbe eventualmente consentire unicamente per libera scelta dell' interessato ...e personalmente mi guarderei bene dall' accettare la proposta).

Sì, sono d'accordo sul fatto che la possibilità di ssere felici dipenda in larga misura da un'originaria attitudine soggettiva, e anche da come si è stati accolti quando ci si è affacciati alla soglia della vita, incapaci di riconoscere una forma a se stessi che non fosse il grido. Forse partorire alla vita non è un fatto biologico (o almeno per l'essere umano non è solo quello), occorre incontrare un riconoscimento iniziale a cui potersi poi aggrappare di modo che le disgrazie, le delusioni o semplicemente il vivere poi non ci spazzino via riducendoci in frantumi.
Generare altri esseri umani dopotutto è proprio questo, non tanto e soprattutto non solo l'atto biologico della riproduzione. Quelli che nascono potranno essere felici o infelici nella loro vita, potranno vedere sempre il bicchiere mezzo pieno o sempre mezzo vuoto, oppure un po' l'uno e un po' l'altro come in genere accade, potranno scegliere, ma lo potranno fare solo se saranno vivi e coscienti di se stessi in un mondo in cui hanno trovato quell' accoglienza che ha permesso l'assunzione dall'altro di una propria identificazione simbolica e proprio questa accoglienza è ciò che dipende da chi prima di loro è già nato, da chi già esiste e non è nulla, da chi già può scegliere e accettare la responsabilità di una scelta senza sentirsi andare in frantumi perché a sua volta fu accolto.
Il problema di nascere, esattamente come quello di morire, dopotutto non è di chi nasce o muore, ma di chi è presente essendo già nato e non ancora morto.
maral is offline  

 



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