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Vecchio 04-12-2006, 15.00.19   #1
r.rubin
può anche essere...
 
Data registrazione: 11-09-2002
Messaggi: 2,053
presupposti concettuali della concezione comune di empatia

l'empatia viene spesso espressa attraverso usuali metafore come "mettersi nei panni degli altri", "guardare le cose con i suoi occhi" e altre simili. Dall'analisi, breve, di queste metafore possiamo scoprire alcuni presupposti concettuali dell'idea comune di empatia


"Mettersi nei panni degli altri", significa spogliarsi dei propri "panni", ossia della propria definizione di sè e connessa definizione della situazione, per far propria quella dell'altro. Il linguaggio comune mette in analogia la definizione di sè, a cui è connessa una particolare lettura della situazione, con un vestito. Un vestito che si può indossare, togliere, scambiare con altri.

"guardare le cose con i suoi occhi" invece parla degli occhi (gli organi sensoriali più importanti nella nostra civiltà, nonchè nella filosofia fin dalle origini greche, pensiamo alla "contemplazione" della verità, alla luce della caverna di platone, alla validità socialmente e giuridicamente riconosciuta alla testimonianza che è, nella sua forma più alta, presenza visiva alla situazione ecc.) come fossero occhiali che uno può indossare, togliere, scambiare con altri.


Insomma, se condividiamo l'idea che nel linguaggio comune si riveli anche la mentalità comune (la condividiamo?), concludiamo allora che la mentalità comune concepisce gli stati emozionali e i punti di vista cognitivi come cose che non sono legate da alcun rapporto di esclusività, con la specificità della persona (fisica, cerebrale, storia di vita..).

Non sono affatto concepiti come elementi di una Gestalt che non possono essere svincolati dalla gestalt stessa (la globalità, complessa, integrata, della persona), nè tantomeno come elementi unici, irripetibili quanto la globalità della persona stessa, che è impossibile scambiare, rimanendo immutati, con gli altri.

Non così, ma come accessori. Accessori che la soggettività non tocca. Un'insieme di accessori oggettivi, che ciascuno può indossare e dismettere, come uno stesso paio di occhiali.


Ma cosa resta, allora, di esclusivamente "mio"? Se il mio vissuto (emotivo e cognitivo) non mi appartiene in via esclusiva, tanto che può essere fatto proprio da altri?

Resta una coscienza e un autocoscienza pura, priva, originariamente di contenuti. Contenuti oggettivi, idee oggettive, sentimenti anch'essi oggettivi. Scambiabili, e che nello scambio rimangono immutati.
L'umanità una serie di individui originariamente indifferenziati, il luogo della perfetta comunicazione senza ombra di ambiguità. il luogo del sapere oggettivo.

Concludo dicendo che a me sembra che, questa concezione radicale di empatia, sia concatenata alla storia del desiderio di sapere oggettivo proprio della nostra civiltà. E la sua popolarità sia esplosa con la crisi della concezione oggettiva e unica del mondo, con l'aprirsi del panorama relativista davanti agli sguardi angosciati di chi intuisce che, poichè ognuno vede e vive in un mondo diverso, eisiste la seria eventualità di doversi riconoscere soli nell'esistenza, impossibiitati ad entrare in una comunione profonda, profonda quanto la nostra situazione esistenziale, con gli altri.

Ecco quindi l'empatia, magico mezzo capace di riavvicinare l'io agli altri, che sembravano destinati ad allontanarsi all'infinito, come nell'universo in espansione, condannando ad una solitudine cosmica.
r.rubin is offline  
Vecchio 05-12-2006, 14.44.06   #2
epicurus
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Riferimento: presupposti concettuali della concezione comune di empatia

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Originalmente inviato da r.rubin
l'empatia viene spesso espressa attraverso usuali metafore come "mettersi nei panni degli altri", "guardare le cose con i suoi occhi" e altre simili. Dall'analisi, breve, di queste metafore possiamo scoprire alcuni presupposti concettuali dell'idea comune di empatia

L'empatia è spesso vista come il magico strumento che ci permette di "guardare le cose coi i suoi occhi", come tu dici.

Ma io credo, in linea con alcune concezioni socio-antropologiche, che per demitizzare l'empatia come processo di sostituzione di soggettività, si debba considerare la metafora tra il capire le persone (e le relazioni interprestonali, cioè in generale 'il mondo dell'uomo') e l'interpretare un testo. Noi, per interpretare un testo, utilizziamo una serie di principi interpretativi, ed è così che noi dobbiamo cercare di interpretare gli esseri umani.

Questa concezione dovrebbe avere il merito di togliere l'alone di misticità all'empatia, che ora non è più visto come processo soggettivo, ma come un'attività pubblica che può essere raffinata con l'aumento delle conoscenze intorno a quella persona e comunità in cui vive.


epicurus
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Vecchio 05-12-2006, 14.49.08   #3
VanLag
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Riferimento: presupposti concettuali della concezione comune di empatia

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Originalmente inviato da r.rubin
l'empatia viene spesso espressa attraverso usuali metafore come "mettersi nei panni degli altri", "guardare le cose con i suoi occhi" e altre simili. Dall'analisi, breve, di queste metafore possiamo scoprire alcuni presupposti concettuali dell'idea comune di empatia
L’empatia, secondo me, va oltre lo sforzo di “mettersi nei panni degli altri” o “guardare le cose con i suoi occhi" o “camminare per tre lune neei suoi mocassini”, che appunto portano ad una comune visione del mondo e delle cose, (il luogo comune), ma non ad un sentire comune. L’empatia, invece, è una proprietà del nostro corpo che sente dentro di se il sentire di altri, (gioie o dolori che siano), questo perché non siamo realmente divisi. Un personaggio che cito spesso, U.G. Krishnamurti, lo dice in questo passaggio:

The pain you are going through there is clearly reflected without having to experience the pain here. Here there is no experience at all. That is all. In this natural state you feel the pain of others, whether you personally know them or not. Recently my eldest son was dying of cancer in a hospital nearby. I was in the area and visited him often. Friends said that I was in intense pain during the whole time, until he died. I cannot do anything. It (pain) is an expression of life. da: http://www.well.com/user/jct/chapter1.html

Traduzione mia: Le pene che voi state attraversando sono chiaramente riflesse qui, senza che ci sia esperienza della pena. In questo stato naturale voi sentite le pene degli altri sia che li conosciate personalmente o meno. Di recente il mio figlio più vecchio stava morendo di cancro in un ospedale qui vicino. Io ero in questa zona e andavo a visitarlo spesso. Gli amici mi dicevano che soffrivo molto e la cosa durò finché non morì. Non potevo fare niente. Il dolore è un aspetto della vita.

U.G. Krishnamurti, parla delle pene e fa riferimento allo stato naturale nel quale c’è il dolore ma non c’è nessuno che ne rivendichi l’esperienza, ma secondo me questo suo breve racconto è emblematico dell’empatia. Cioè è nella natura dell’essere umano quella di condividere fisicamente con gli altri il sentire intimo. Poi uno può guardare più ai soldi che a ciò che sente, ma questo non servirà a difenderlo da questa condivisone, perché, ciò che forma la nostra identità è soggetto comunque a questo modo di essere.

Citazione:
Originalmente inviato da r.rubin
Ma cosa resta, allora, di esclusivamente "mio"? Se il mio vissuto (emotivo e cognitivo) non mi appartiene in via esclusiva, tanto che può essere fatto proprio da altri?
Ciò che provi è degli altri, ma colui che prova è tuo…. Sei tu. Messo in lettere alla domanda ma cosa resta, allora, di esclusivamente "mio"? la risposta è: Ti resta te stesso



P.S. Tra parentesi una pena simile a quella che descrive U.G. l’ho provata durante gli ultimi sei mesi di mia madre che è morta di cancro. Non abbiamo saputo fino alla fine che era quel male e quando andavo a trovarla io l’ho sempre vista fuori dalle crisi di “disfacimento” che quella malattia all’ultimo stadio, porta con se. Eppure non riuscivo a starle vicino. Resistevo pochi minuti e poi dovevo uscire in cortile a fumare perché sentivo dentro di me un dolore straziante, che non era dolore fisico ma coinvolgeva ed invadeva tutta l’anima. Quando ho letto U.G. ho riconosciuto quel dolore straziante esattamente come lo descriveva lui, solo che nel mio caso non c’era lo stato naturale ma c’era un VanLag che sperimentava…. Cavoli se sperimentava……. In quei sei mesi ho perso 6 kg io che sono già abbastanza magro di fisico, perché è come se un po’ stessi morendo anche io.
Quello che potrei contestare a U.G. è l’affermazione che questo tipo di cose si provano sia che conosciamo personalmente o meno gli altri. Infatti nel caso di mia madre c’era un legame molto forte….. il legame naturale ed anche per lui c'era il legame di padre, questo potrebbe generare una differenza di “empatia”..... potrebbe.... non so..... io non sono U.G.

ri-

Ultima modifica di VanLag : 05-12-2006 alle ore 23.25.53.
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