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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 29-01-2007, 01.11.06   #1
Lord Kellian
Ospite abituale
 
Data registrazione: 18-07-2005
Messaggi: 348
Essere nevrotici

Ciao, è tanto che non scrivo. Ho appena riletto uno di quegli "stupidi" libretti che si intitola "Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita". E' di Giulio Cesare Giacobbe, filosofo e psicologo. Vi faccio un riassunto sostituendo i termini più volgari.

Essere nevrotici è una cosa del tutto naturale. Si è nevrotici quando si pensa a cose che non hanno attinenza con la realtà. Quindi tutti pensaranno di non essere nevrotici. Ma tutto sta nella definizione di realtà. La definizione di realtà di Giacobbe e per lui l’unica reale, come sa un qualsiasi contadino della bassa padana: la realtà è il nostro corpo è l’ambiente fisico che ci circonda. Un tantino materialista, ma reale. Le persone normali sanno che le cose stanno così. I nevrotici sono invece convinti che la realtà stia dentro la loro testa.

Non tutte i pensieri nevrotici sono negativi. Vi sono anche le nevrosi benefiche. Quando sei in una brutta situazione e pensi a qualcosa di bello per tirarti su di morale ti fai un film, ma è un film benefico. Il pensiero creativo è una nevrosi benefica: arte scienza e filosofia sono nevrosi benefiche. Però sono lame a doppio taglio: si rischia di fuggire dalla realtà e rimanere intrappolati nella fantasia.

Ma noi ci occupaimo della nevrosi che dà sofferenza, non sollievo, la nevrosi malefica. Qual è la sua origine antropologica? Quando l’essere umano si è civilizzato, ha eliminato i pericoli fisici dell’ambiente ma ha creato dei nemici ben più pericolosi dentro il suo cervello. Il suo Io si è esteso dal suo corpo (unica sua realtà) a una serie enorme di ruoli e immagini, cioè simboli, non reali.

Noi entriamo in allarme quando ci vengono minacciate: la moglie, i figli, la casa, il conto in banca, l’automobile, il televisore, l’impego, gli amici, il riposino del pomeriggio, il cane, i genitori, la reputazione, la salute, l’onore, ecc. Il nostro Io è diventato ipertrofico, enorme, come un rampicante che ha invaso tutto il mondo a noi circostante. E’ evidente che più è esteso il nostro Io, più esso è vulnerabile. Il risultato è che noi ci sentiamo sempre aggrediti in qualche parte simbolica del nostro Io.

Ma il nostro sistema d’allarme non distingue fra aggressioni fisiche reali e aggressioni simboliche pensate. Perché l’impulso della sua attivazione proviene dal cervello, non dal mondo esterno. Per cui entriamo continuamente in tensione. E la tensione è vissuta da noi come sofferenza.

Fisiologicamnete la sofferenza, sia fisica che mentale, consiste in uno stato di contrazione muscolare in qualche parte del nostro corpo. La contrazione muscolare è provocata da uno stato di tensione elettrica, che parte dal cervello. Evolutivamente, questo meccanismo “masoschista” che genera dolore, si è affermato per la sopravvivenza della specie. Serve infatti a dare l’allerta quando c’è pericolo. Comunemente si chiama paura. Questo meccanismo entra in funzione ogni volta che a noi sembra di ravvisare un pericolo, constatazione non razionale, ma basata sulla memoria che il cervello ha. Infatti spesso entriamo nel panico senza motivo apparente.

Dunque il pensiero, ciò che noi immaginiamo, ci provoca dolore e sofferenza. Ma anche questo è nato come sistema per la sopravvivenza: per esempio se qualcuno per strada ci mollasse un pugno e fuggisse subito, facendo perdere le sue tracce, noi dopo essere rimasti stroditi, ci imagineremmo un sacco di possibili azioni per vendicarci di lui. Il pensiero nasce come surrogato dell’azione. Nel cervello vengono immessi neurotrasmettetori noradrenalici al posto di quelli adrenalici, che hanno provocato lo stress. Il pensiero riequilibria omeostaticamente le variazioni dovute all’ambiente esterno.

Con il pensiero si è sviluppata la logica e la capacità di deduzioni, che ci permettono di affrontare e risolvere i problemi posti dall’ambiente. Quindi il pensiero che dà luogo a un’azione non è una nevrosi. Visto che ciò non succede spesso, possiamo dire che il pensiero è spesso una nevrosi. Inoltre quando il pensiero non è in grado di attenuare le variazioni psichiche dovute all’ambiente, la tensione aumenta, anziché diminuire. Così diminuisce la nostra capacità e aumenta il grado di pericolosità atribuito alle aggressioni ambientali. Infine il massimo della nevrosi malefica si ha quando la soluzione ricercata è quella di un problema immaginario.

A questo punto cosa fa la mente per difendersi? Dimentica il problema: processo che Freud ha chiamato rimozione. Che purtroppo non elimina il problema: esso, se pur dimenticato, continua a generare pensieri. Ma il problema immaginario non può essere risolto neppure con l’azione. In questo caso, di “vera” nevrosi, serve l’intervento di uno psicoterapeuta.

Perché ci facciamo così spesso i film mentali? Cioè perché il nostro cervello continua a produrre pensiero nevrotico? Arrivato a un certo punto, si può dire che esso va avanti per inerzia. Il pensiero infatti, è indipendenete dalla nostra volontà. E’ difficilissimo cercare di non pensare. In realtà è l’inconscio a produrre le nostre creazioni. Metterle giù in un linguagggio logico è invece compito della volontà.

Bisogna poi aver chiaro che il nostro comportamento è determinato dal significato che noi attribuiamo a un evento. L’evento è nel mondo reale ma il significato è determinato nella mente in rapporto alla nostra memoria, con altri fatti attinenti, contenuti nell’inconscio. L’azione che noi eseguiamo è quindi dovuta a una nostra rappresentazione soggettiva. Non esistono rappresentazioni oggettive.

Poi Giacobbe passa a delineare come smettere di “farsi le seghe mentali”. E la soluzione è più o meno quella del Budda, per cui ve la risparmio.

E veniamo a me. Pensavo questa cosa. Io sono vittima di narcisismo: una esaltazione di me stesso, che deriva da un complesso di inferiorità. Riflettevo: questo sentirmi inferiore mi provoca sofferenza, mi fa male, mi sento minacciato. Ma da chi? Per mesi, anni fa, ho avuto la paranoia che le multinazionali mi controllassero. Sapevo che non poteva essere vero, ma avevo paura. Poi sono entrato in analisi. E ho capito che ciò deriva dalle umiliazioni che ho vissuto a causa di mio padre. Mi faceva asempre sentire inadatto. Adesso ci penso e mi sembra quasi impossibile che un evento così lontano possa ancora influenzare il mio comportamento. Ma poi penso: d’altronde adesso, da cosa, mi sento minacciato? Da nulla mi pare. Però ho sempre la sensazione di star facendo qualcosa di sbagliato…
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