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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 10-06-2005, 16.52.36   #11
neman1
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Nelle vostre considerazioni, vedete l'insieme degli uomini come unico ed omogeneo. Non tutti si sentono parte del "genere umano", c'è chi si sente parte di una comunità di uomini, e in quest'ottica, la guerra non è altro che il mezzo con cui debellare una minaccia per la sua comunità.

Scusa, non sono sicuro di averti capito: Ti riferisci ad una comunità inquanto parte di un genere oppure ad un individuo inquanto parte di una tale comunità (parte di...). E' per chiarire la questione delle proporzioni anche se secondo me, il dominante sentimento umano (uniforme - omogeneo) è cosa rara.
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Vecchio 10-06-2005, 17.16.55   #12
nonimportachi
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Scusa, non sono sicuro di averti capito: Ti riferisci ad una comunità inquanto parte di un genere oppure ad un individuo inquanto parte di una tale comunità (parte di...).

Mi riferisco all'individuo che si sente parte di una comunità.

Ipotiziomo due comunità in guerra, il senso di appartenenza ad una di queste tenderà a far giustificare la guerra o a ritenerla addirittura necessaria.

Il senso di appartenenza a qualcosa che comprende ntrambe le comunità, ovviamente vedrà questa guerra con repulsione.

tutto qui.
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Vecchio 10-06-2005, 17.21.22   #13
bluemax
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...Ora stavano tendendo al Savoia quell'imboscata tanto temuta la sera precedente da Manusardi, e si trovavano a non più di 800 metri. Il maggiore Albini e il capitano Solaroli di Briona avevano già fatto intervenire l'artiglieria, ma il nemico sparava da una posizione favorevole. Il colonnello Bettoni si rese allora conto che se vi era ancora una speranza era l'attacco. Il capitano De Leone, da poco succeduto a Manusardi, ricevette l'ordine. Radunati gli ufficiali del secondo squadrone, fra cui Massimo Gotta, figlio di Salvator Gotta, l'autore de Il Piccolo Alpino, De Leone diresse con i suoi uomini diritto sul nemico.

Manusardi, che osservava la scena dal comando e aveva compreso l'intenzione di De Leone di condurre la carica, fremeva impaziente per non trovarsi con i suoi. Oltretutto pochi giorni prima gli avevano ucciso l'ultimo cavallo e ora si trovava appiedato.
Se ne fece portare un altro e raggiunse lo squadrone che aveva comandato fino a poco tempo addietro. Poi fu ordinata la carica, con l'esclusione del lancio delle bombe a mano, eseguita nello stile di una battaglia risorgimentale. Quando i cavalleggeri irruppero fra le trincee e i nidi di mitragliatrici sovietici fu il finimondo. Si vedevano accasciare a terra cavalli che, già morti, avevano continuato al galoppo anche per centinaia di metri. Anche De Leone si trovò appiedato, e l'attendente gliene portò un altro. Anche questo però stramazzò nella polvere e l'ufficiale, afferrata un'arma, decise di combattere a oltranza, di farsi uccidere pur di non arrendersi.
L'attendente lo seguì. Il secondo squadrone era ora guidato da Manusardi, il suo vecchio comandante. I russi uscirono dalle loro posizioni e la lotta si fece più accanita soprattutto perché, non trovandosi i sovietici impegnati verso altre direzioni, ne approfittavano per voltarsi e colpire gli italiani alle spalle. Il caporale Lolli si trovò appiedato a sua volta, ma il cavaliere Valsecchi se ne accorse e riuscì a portarlo in salvo.

Nel frattempo erano uscite dalle trincee gruppi di donne che al grido di Hurrah Stalin!, incitavano i soldati come delle forsennate. I fendenti delle sciabolate non erano meno micidiali dei colpi di parabellum, soprattutto se le lame erano quelle delle pesanti sciabole cosacche, preda di guerra, in grado di spaccare in due un elmetto. Superata la metà dello schieramento nemico Manusardi diede l'alt e decise di tornare indietro, in soccorso a De Leone. In effetti proseguire sarebbe stata solo una sanguinosa pazzia. Bettoni nel frattempo mandava avanti il quarto squadrone appiedato, il capitano Abba al centro, i mitraglieri di Compagnoni sulla sinistra, Toja sulla destra, il sottotenente Rubino col plotone di riserva. Occorreva impegnare la fronte del nemico per alleggerire la pressione sugli uomini del secondo squadrone, che avrebbero altrimenti rischiato perdite troppo elevate.
Avanzando incontro ai russi, Rubino fu falciato da una raffica di parabellum, colpito a una gamba, pur zoppicante, proseguì. Un altro colpo gli passò un polmone, ma, pur gravemente ferito e incapace di muoversi, diresse il plotone fino alla fine del combattimento. I russi si erano nel frattempo riparati intorno a un gruppo di macchine agricole abbandonate. Mannozzi, del gruppo di Toja, l'unico ancora in grado di avanzare, si gettò con le bombe a mano contro un nido di mitragliatrici, ma, colpito nel petto dal tiro nemico, cadde a pochi metri. Il secondo squadrone nel frattempo stava eseguendo, in perfetto ordine, la seconda carica. Un'operazione che solo un reparto ben addestrato è in grado di compiere.

Il furore della lotta non diminuiva di tono, ma qualcuno fra i russi iniziava a cedere.
Manusardi ha terminato anche la seconda carica e Bettoni invia il terzo squadrone del capitano Marchio. Marchio puntò dritto sulla fronte dello schieramento sovietico e nel vederlo, il maggiore Litta lo seguì con una decina di uomini, senza neppure attendere il permesso del colonnello. Don Alberto Litta Modignani proveniva da una delle più nobili famiglie lombarde che fra l'altro vantava una consolidata tradizione nell'arte equestre. Sportivo e eccellente cavallerizzo, fra i suoi uomini era leggendaria l'attenzione che poneva alla forma e all'ordine, specie quello della divisa. Anche nei giorni precedenti, durante gli attimi terribili della rotta della Sforzesca, aveva trovato il tempo di compiere delle osservazioni al riguardo.

Un atteggiamento che, di fronte al conformismo ciabattone oggigiorno imperante, può essere interpretato come maniacale, ma perfettamente comprensibile se si considera il simbolo rappresentato dalla Cavalleria e quindi anche dalla sua divisa. E dopotutto, lo si è visto proprio in quei giorni, quando il Reggimento trottava compatto per infondere coraggio ai fanti allo sbando, quel genere di ordine aveva anche implicazioni pratiche non sottovalutabili. Litta morì sotto il tiro incrociato del fuoco dei siberiani, ma, di fatto, il suo sacrificio distolse l'attenzione dei russi dal terzo squadrone di Marchio.

Questi ferito a entrambe le braccia, cavalcava stringendo con le ginocchia. Come il terzo squadrone passò il quarto, Abba si spostò sulla sinistra, ma fu a sua volta falciato dalle mitragliatrici russe. Ormai lo scontro era al termine e i sovietici volgevano in fuga, ma al comando c'era ancora chi, come lo stesso Bettoni, considerava un grande sacrificio essersi astenuto dalla carica. Il tenente Genzardi, l'alfiere, aveva sciolto lo stendardo del Reggimento. Il Savoia aveva caricato, per l'ultima volta.

Ai russi lo scontro costò 150 morti, 300 feriti, 500 prigionieri, fra cui un comando di battaglione, 4 cannoni, 10 mortai, 50 mitragliatrici e centinaia di fucili.

Il Savoia Cavalleria aveva perso 32 dei suoi migliori uomini, fra cui 3 ufficiali, 52 rimanevano feriti e 100 cavalli erano ormai fuori combattimento. Quell'ultima giornata di gloria valse al Reggimento 54 medaglie d'argento, la medaglia d'oro per il maggiore Litta, il capitano Abba e lo stendardo.

La bandiera oggi si trova a Villa Italia, a Cascais, in Portogallo, trafugata dal colonnello Bettoni negli anni Cinquanta per farne dono all'ex re Umberto II di Savoia. I giorni e i mesi successivi furono i più duri, quelli della ritirata, finché il Savoia non fu congedato a scaglioni perdendo quella coesione che lo aveva reso celebre.

L'8 Settembre trovò il Reggimento a Castelsampietro, in Emilia, dove era stato trasferito al momento dal rientro dalla Russia. Fra i suoi protagonisti, il generale Barbò trovò la morte nel lager di Flossemberg, il tenente Vannetti caricando i panzer tedeschi durante la difesa di Roma.
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Vecchio 10-06-2005, 17.22.24   #14
bluemax
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Assente Rommel (ricoverato in Germania alla fine di settembre), la battaglia comincia alle 21.40 precise del 23 ottobre 1942, in una notte di luna piena, con un rapporto di forze pari a 4:1 a favore degli inglesi, quando i mille cannoni di Montgomery aprono il fuoco simultaneamente lungo il fronte, concentrando il tiro sulle postazioni di artiglieria sulle truppe dell'Asse per una ventina di minuti; il tiro è quindi diretto contro le posizioni occupate dalla fanteria.

Alle 22 scatta l'azione delle fanterie. La prima fase, quella dell'urto, va dalla notte del 23 fino al 26 ottobre. Sotto la protezione del fuoco delle artiglierie, resa più efficace dai bombardamenti aerei, avanzano il XXX e il XIII corpo d’armata, comandati rispettivamente dai generali Leese e Horrocks, che attaccano su un fronte di quattro divisioni; l’intero XXX corpo cerca di aprirsi due varchi attraverso le linee fortificate nemiche.
Dietro di esso seguono le due divisioni corazzate del X corpo d’armata (generale Lumsden) per sfruttare l’eventuale successo.

Notevoli progressi sono compiuti sotto la protezione di un fuoco imponente; all’alba sono state create nello schieramento nemico profonde sacche. Tuttavia, sino a quel momento nessuna breccia è stata aperta nel profondo sistema di campi minati e di sistemazioni difensive dei tedeschi. La resistenza dei tedeschi e degli italiani è accanita, superiore al previsto. Tuttavia, all'alba del 24 ottobre il 30mo Corpo d'armata britannico ha raggiunto gli obiettivi che gli sono stati assegnati, ma le sue fanterie sono stanche e provate e non possono contribuire ad assicurare il passaggio dei carri armati nel varco aperto nel settore nord. Intanto il generale tedesco Stumme, che sostituisce Rommel, 24 ore dopo l’inizio della battaglia muore -secondo alcune fonti- di aploplessia, con un un colpo di rivoltella alla tempia, secondo altri.

Nelle primissime ore del giorno 25 Montgomery tiene rapporto ai comandanti di grado più elevato, dando ordine di spingere di nuovo all’attacco prima dell’alba le forze corazzate, in conformità alle sue istruzioni iniziali. Effettivamente, durante la giornata altro terreno è guadagnato dopo aspri combattimenti; l’altura chiamata Kidney Ridge diviene teatro d’una battaglia furiosa con le divisioni corazzate nemiche, la 15a tedesca e l”’Ariete” italiana, che lanciano una serie di violenti contrattacchi.

Su richiesta di Hitler, Rommel lascia l’ospedale e riprende il comando nel tardo pomeriggio del giorno 25. Aspri combattimenti si svolgono per tutto il 26 lungo la profonda sacca aperta sino a quel momento nelle linee nemiche, e soprattutto ancora nella zona di Kidney Ridge. L'aviazione tedesca, che nei due giorni precedenti è rimasta inoperosa, lancia ora l’ultima sfida alla superiorità aerea inglese. Ci sono parecchi scontri, che si risolvono per la maggior parte a favore di Montgomery.

Gli sforzi del XIII corpo d’armata ritardano, ma non riescono a impedire, il trasferimento delle unità corazzate tedesche verso quello che ormai Rommel sa essere il settore decisivo della battaglia. Questo movimento è tuttavia duramente ostacolato dalla RAF. Durante tutto il 27 e il 28 ottobre infuria una violenta battaglia per l’altura di Kidney, scatenata ripetutamente dalla 15a e dalla 21 a divisione corazzata tedesche, che sono appena arrivate dal settore sud.

L'avanzata inglese riprende il 28 nei corridoi, sotto il fuoco rapido e micidiale dei cannoni anticarro tedeschi. I carri armati inglesi posti fuori combattimento si contano già a centinaia. E' il momento culminante. Il 28 sera i carri inglesi distrutti dai pochi panzer tedeschi sono circa cinquecento. La 1ma divisione corazzata inglese, al di là del corridoio, rischia a un certo punto di venire attaccata e respinta dalla 21ma divisione Panzer tedesca. Allora Montgomery spinge verso nord la 7ma divisione corazzata e ordina alla 9 divisione australiana di colpire anch'essa a nord. La situazione non si presenta certo brillante. Il comandante dell'Ottava armata pensava di sfondare in un arco di tempo di una decina di ore e invece i suoi calcoli si stanno rivelando sbagliati.

A questo punto Montgomery da' le disposizioni per effettuare lo sfondamento decisivo (operazione "Supercharge", ovvero colpo d'ariete). Ecco come si svolse l’operazione, secondo le parole di Alexander: «La notte del 28 e poi nuovamente il 30 ottobre gli australiani attaccarono verso nord in direzione della costa riuscendo finalmente a isolare quattro battaglioni tedeschi rimasti sul posto. Il nemico sembrava fermamente convinto che intendessimo attaccare lungo la strada e la linea ferroviaria e reagì alla nostra puntata con estrema energia. Rommel spostò la 2^ divisione corazzata dalla sua posizione a ovest del nostro saliente vi aggiunse la 90^ divisione leggera che sorvegliava il fianco nord dello stesso saliente e lanciò le due unità in furiosi attacchi per disimpegnare le truppe accerchiate. Il posto lasciato libero dalla 2^ divisione corazzata fece avanzare la divisione "Trieste" che era la sua ultima unità di riserva non ancora impiegata. Mentre Rommel era così duramente impegnato e dava fondo alle ultime formazioni fresche che gli rimanevano nel tentativo di disimpegnare un solo reggimento noi fummo in grado di completare senza essere disturbati la riorganizzazione delle nostre forze per l’operazione “Supercharge”. La magnifica puntata degli australiani, attuata con una serie ininterrotta di aspri combattimenti, aveva volto a favore degli inglesi le sorti di tutta la battaglia.

All’una antimeridiana del 2 novembre l’operazione “Supercharge” aveva inizio. Protette da un fuoco di sbarramento di 300 pezzi d’artiglieria, le brigate britanniche aggregate alla divisione neozelandese sfondarono il sistema di difesa nemico e la IX brigata corazzata britannica si lanciò in avanti. Esse urtarono tuttavia in una nuova linea di difesa, forte di numerose postazioni anticarro, lungo la pista di Ei Rahman. Ne risultò un lungo combattimento che costò gravi perdite alla brigata; il corridoio alle sue spalle fu però tenuto aperto e la la divisione corazzata britannica poté avanzare lungo di esso".




La sera del 2 novembre secondo le stesse fonti tedesche, le divisioni corazzate germaniche, che hanno iniziato la battaglia con 240 carri efficienti, ne allineano soltanto 38. Bisognerebbe ripiegare subito, ma il 3 novembre gli arriva un perentorio ordine di Hitler, con il quale si impone all'Afrika Korps di farsi uccidere sul posto piuttosto di indietreggiare di un metro. Così Rommel manda a tutti i reparti l'ordine di resistere a ogni costo, e rifiuta di accettare le implorazioni dei suoi generali, impegnati a dimostrargli l'assurdità di una condotta del genere.

Nelle prime ore del giorno 4, la V brigata indiana scatena un fulmineo attacco a otto chilometri a sud di Tel el-Aggagir, che ha pieno successo. Montgomery è in piena avanzata e ha aggirato ormai lo sbarramento anticarro italo-tedesco. Il generale tedesco von Thoma, in prima linea, si consegna agli inglesi: non si è più sentito di condividere il massacro imposto da Hitler ai suoi uomini. Alle 15.30 giunge a Rommel un messaggio: la divisione italiana "Ariete" non esiste più, si è immolata per tenere le posizioni. Gli inglesi hanno aperto una breccia ampia venti chilometri. Alle 8 di sera, quando apprende che la brigata corazzata britannica è già arrivata alla litoranea, Erwin Rommel decide l'unica soluzione possibile: la ritirata.

Gli ultimi a cedere ad El Alamein sono i paracadutisti della "Folgore", abbarbicati al terreno a sud, ai margini della depressione di El Qattara. Hanno di fronte quel 13mo Corpo d'armata che, secondo la versione inglese, deve impegnarsi soltanto per dar vita a un falso scopo, mentre in realtà è costretto a combattere una delle più dure e logoranti battaglie locali di sfondamento dell'intero fronte. Quelli della Folgore resistono per tredici giorni senza cedere un metro.
Sono partiti dall'Italia in cinquemila, sono rimasti, tra ufficiali e truppa, in trecentoquattro. Alla resa, hanno l'onore delle armi e il nome della loro divisione resta da allora leggendario.
La BBC inglese a battaglia conclusa, l'11 novembre così commenta: "I resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane".
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Vecchio 11-06-2005, 08.39.33   #15
Fragola
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Nelle vostre considerazioni, vedete l'insieme degli uomini come unico ed omogeneo. Non tutti si sentono parte del "genere umano", c'è chi si sente parte di una comunità di uomini, e in quest'ottica, la guerra non è altro che il mezzo con cui debellare una minaccia per la sua comunità.

Beh, si parlava di uomo in generale perchè il fenomeno guerra on è legato a nessuna cultura specifica. Tutte le culture umane hanno una loro forma di guerra.
Ma ovviamente, se il senso di appartenenza primo fosse quello al genere umano, non ci sarebbe nessuna guerra, almeno fino a che non entreremo in contatto con gli extraterrestri.
Sì, la guerra è legata alla comunità di appartenenza. E serve )( meglio si crede che serva) a debellare una minaccia.

Ma basta questo a spiegare perchè l'uomo civile non è proprio ancora riuscito a trovare un'alternativa alla guerra?

Perchè qui sopra qualcuno ha scritto: "se scoppiasse una guerra oggi", forse dimenticando che ci sono in corso moltissime guerre in questo istante preciso.
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Vecchio 11-06-2005, 09.50.23   #16
La_viandante
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Mi riferisco all'individuo che si sente parte di una comunità.

Ipotiziomo due comunità in guerra, il senso di appartenenza ad una di queste tenderà a far giustificare la guerra o a ritenerla addirittura necessaria.

Il senso di appartenenza a qualcosa che comprende ntrambe le comunità, ovviamente vedrà questa guerra con repulsione.

tutto qui.

Beh, si parlava di uomo in generale perchè il fenomeno guerra on è legato a nessuna cultura specifica. (by fragola)

credo invece che appartenga a una cultura .. quella dell'accrescimento del potere
la guerra e' l'idea formulata da pochi ma fatta fare alle masse
l'individuo nel gruppo perde le sue connotazioni di individualita' e la facolta' critica a favore di idee collettive, un meccanismo insito nell'uomo a dentificarsi in idee di "appartenenza"
le masse diventano acritiche e tutte a favore di ideali comuni se debitamente addestrate, riconoscono un leader, spirituale, politico, e lo investono di potere e leggittimita'
riporto una cosa letta su un sito a proposito di mussolini e la psicologia delle masse che rende meglio l'idea



Citazione:
......In questo egli sembrò aver assimilato alla perfezione le teorie di Le Bon. In "Psicologia delle folle" lo studioso definisce per la prima volta le caratteristiche delle masse: la più saliente é il desiderio inconscio alla sottomissione e il bisogno di essere guidate da un capo. La folla non possiede idee proprie in quanto gli uomini riuniti in essa perdono la loro individualità e la loro personalità cosciente: ciò determina un affievolimento delle capacità critiche, mentre si sviluppa un forte senso d'appartenenza a una identità collettiva. Di conseguenza la massa tende ad assimilare idee già fatte, specie se esse hanno una forte componente ideale e una carica di profonda suggestione: la massa é, per sua natura, dominata dall'inconscio e dall'impulsività.

Le Bon delinea anche le caratteristiche del capo: dev'essere innanzitutto un uomo d'azione e non di pensiero, perché la riflessione tende al dubbio e quindi all'inazione. Dev'essere dotato di grande volontà e sorretto da un'ideale o da una fede incrollabile: questo esercita sulle masse una grande forza di attrazione e coinvolgimento. Idee semplici, affermazioni concise, proclamate ripetutamente, sono i principali strumenti di persuasione che si basano sulla facilità di assimilazione. Le idee semplici favoriscono la loro diffusione per "contagio". Affermazione, ripetizione e contagio sono gli elementi che contribuiscono a dar loro credibilità e prestigio.


insomma l'uomo nn c'entra nulla, ma e' il suo inserimento in un gruppo che inizia a far emergere conseguenze che se vengono utilizzate da gente con poki scrupoli che capiscono esattamente il meccanismo possono fargli fare quello che vogliono
anche una guerra
La_viandante is offline  
Vecchio 11-06-2005, 15.35.25   #17
Fragola
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Intendevo il termine cultura in un'altra accezione.

La guerra esiste nella cultura occidentale, in quelle africane, esisteva tra gli indiani d'america, esiste nell'islam, esiste nelle culture orientali. Esiste in tutte le culture umane.

"L'uomo non c'entre nulla ma è il suo inserimento in un gruppo che inizia a far emergere conseguenze che se vengono utilizzate da gente con poki scrupoli che capiscono esattamente il meccanismo possono fargli fare quello che vogliono
anche una guerra"
by La Viandante

Ma scusa, l'uomo è sempre inserito in un gruppo. E' un animale sociale. Non esiste l'uomo al di fuori del suo inserimento nella società e nella cultura.

La massa, la folla, sono però un'altra cosa rispetto alla società.
Purtroppo la guerra esiste anche al di fuori dei fenomeni di manipolazione delle masse. Le Bon parla di fenomeni particolari. Non parla di gruppo ma di folla. Hai presente l'esaltazione da stadio? Ecco, quello è un esempio di come funziona la massa. Le Bon fa riferimento a quel tipo di fenomeni. Ma la guerra funziona in un altro modo.

E' possibile arringare la folla e farle gridare: andiamo in guerra. Ma se fosse questa la molla, tutti, una volta tornati a casa, tornerebbero al loro stato normale e mai si sognerebbero di partire per la battaglia o di continuare ad appoggiare la guerra. La guerra fa leva su altro.

Fragola is offline  
Vecchio 11-06-2005, 16.50.23   #18
neman1
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credo invece che appartenga a una cultura

Domanda alla domanda (tua) posta: UNA cultura specifica ???

L'unica cultura che ci divide così, per coltivatori di guerre e non è quella mito - psico - astrologica, V
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Vecchio 11-06-2005, 17.29.20   #19
La_viandante
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x frag, intendevo solo spostare la discussione da l'uomo, la cultura indiana etc etc , a individualita' e appartenenza, la molla che spinge alla guerra o meglio quella che viene utilizzata e' quella della psicologia delle masse
se ci fai caso, dopo anche un concerto, rientri a casa con le idee di certe canzoni, e te le ritrovi anche nei giorni dopo
ora un comizio di sicuro da solo non puo' bastare, ma un seme lo innesta, ma ora a disposizione si hanno molte piu' cose, media, giornali, e anche i film, i libri, tutto contribuisce a formare opinioni
l'individuo esiste al di fuori del gruppo, ha una identita' sua ma all'interno di un gruppo viene meno la sua facolta' critica, la sua individualita' e diventa parte di qualcosa
anche se ora mi rendo conto che questo e' solo il modo di portare le comunita' a sostenere una guerra, ma le ragioni di chi la decide?, al vertice della piramide, hai ragione tu, non si capisce come mai ancora nn si sia riusciti ad ovviare alla violenza e risolvere i conflitti in via diplomatica
questo ancora mi sfugge
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Vecchio 11-06-2005, 17.35.59   #20
neman1
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....a individualita' e appartenenza, la molla che spinge alla guerra


Spiegami adesso qual'è la molla: l'individuo che si "sente spinto" ad un'appartenenza, per caso???
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