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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 30-10-2006, 10.32.54   #1
arsenio
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Lo "schema di sè" e l'autostima

Lo “schema di sé” e l’autostima


Lo “schema di sé e l’autostima è un concetto appena presentato in un corso di formazione nella mia città, sulla relazione di aiuto. Riguarda un orientamento indispensabile per conoscere gli altri.

Ci si propone di verificare come certi atteggiamenti portano a determinate decisioni e scelte. L’epochè pedagogica impone di non giudicare mentre si gestisce il transfert emotivo con l’aiutato. L’aiutato cerca nell’aiutante qualche conferma riguardante la sua realtà psicologica e sociale. Quest’ultimo, per sostenere tale compito, necessita di un’educazione permanente opportuna anche per l’aiutato nella nostra società tecnologizzata e omologante. Più che in una formazione strumentale consiste in un movimento culturale per accrescere una coscienza di sé, ma anche con un’apertura alla conoscenza sociale, civile, politica. La relazione di aiuto privilegia la comunicazione verbale e comporta la costruzione di un rapporto con una persona con qualche disagio che deve superare la sua condizione di isolamento. Tale sostegno può avvenire in varie situazioni relazionali, come ad esempio tra genitore e figlio, insegnante e allievo, medico e paziente, ecc. Non conta tanto il riferirsi a metodi quanto il modo con cui l’aiutante entra in contatto con l’aiutato ed il rapporto che riesce a stabilire attraverso la comunicazione, in cui assume particolare importanza quella non verbale.

E’ utile premessa applicare il seguente modello dove gli elementi interagiscono:

Interpretazione: evento + “schema di sé” e grado di autostima.

L’interpretazione di ogni evento nasce dallo “schema di sé” (o mentale) e dal grado di autostima. Si deve capire l’evento e le cause che lo hanno determinato, esaminando pure l’ambiente del soggetto. Ma soprattutto non deve mancare l’interpretazione che il soggetto dà a questi elementi e che condizionano le sue scelte. L’aiutante deve chiedersi come l’aiutato vive la situazione.
Hanno effetto sull’interpretazione i vari ruoli che una persona svolge nella vita. Ad es. una donna che ricopre varie attività e mansioni interpreta il mondo in modo diverso da quella che si dedica all’unico ruolo di casalinga.
Dal modello presentato emergerà il senso del pensiero dell’aiutato. Inoltre si osservi già dal primo colloquio se tende ad agire dopo riflessivi ragionamenti oppure per scelte automatiche. Se è un ragionatore non s’insita solo sugli aspetti emotivi che a volte rifiuta, sarebbero insufficienti. Viceversa, se è un istintivo, è sbagliato insistere solo sul ragionamento.

Quindi per comprendere tutte le persone con cui entriamo in contatto si deve proporsi di conoscere il loro personale”schema di sé”. E’ una costruzione in cui non c’entrano molto il carattere o la personalità. Avviene attraverso l’educazione, i vari vissuti, le regole tacite, le previsioni personali, i rapporti con le persone nel corso della vita. Tutto ciò forma la storia dell’individuo ed orienta il modi con cui fronteggia gli eventi e progetta il futuro.
A seconda del suo “schema di sé” percepisce o meno le implicazioni e la complessità della sua situazione, cerca veramente o meno risoluzioni, entra in maggior o minor dissonanza cognitiva con alcuni valori in conflitto con le sue credenze o visione del mondo, ecc. Se la sua vita è stata ricca di esperienze espone particolari precisi e dettagliati dell’evento, altrimenti può non riuscire a cogliere tutto della situazione in cui è coinvolto o non ne riconosce le conseguenze sulla sua qualità di vita.

Abbisogna di aiuto specialmente chi ha una bassa stima di sè, anche per la sua selettività in negativo delle vicende della vita. L’autostima come positiva autoimmagine è necessaria a tutti. Se è alta si giustificano e reinterpretano positivamente eventi passati e presenti senza autorimproveri. Riuscendo a progettare con maggior chiarezza il futuro e vedendovi alternative anche per quanto riguarda una crescita personale.
Nel rapportarsi agli altri, con un’alta autostima si adottano elementi oggettivi di valutazione e si è persone in grado di amare in modo autentico. Viceversa, con una stima di sé scarsa si decide irrealisticamente sia a favore che contro se stessi . Oltre a ripetere antichi modelli infantili attribuendo agli altri propri difetti, impulsi, negatività, paure,desideri, fantasie, e fuggendo relazioni profonde. Più alto è il bisogno di tali proiezioni, più bassa è l’autostima.

Entrando nella situazione problematica dell’aiutato determinata dall’evento, dalle sue cause, dall’ambiente e soprattutto dalle sue interpretazioni derivate dallo “schema di sé” e dal livello di autostima, si creano le basi per costruire un progetto futuro.

Il modello comunicativo da adottare s’ispira al metodo rogersiano per la relazione di aiuto non direttiva. Secondo tale teoria il soggetto avrebbe già in sé potenzialità e risorse per decidere nel migliore dei modi a suo vantaggio. Si deve solo farle emergere attraverso l’ascolto attivo e la riformulazione sintetica di ciò che dice. Ciò richiede tuttavia anche qualche intervento per chiarire meglio o completare la sua interpretazione. Pur senza fornire soluzioni si suscita un’attenzione diversa nei confronti del problema, per una re-interpretazione non univoca e possibile cambiamento.
Chi supera una crisi si considera più forte, con conseguente benessere emotivo.
Tuttavia nulla è prevedibile, e qualcosa di significativo ma inespresso può non venir mai alla luce, oppure al contrario può verificarsi una risoluzione inaspettata considerando le premesse non favorevoli.

Sarà gradita qualche osservazione.
arsenio is offline  
Vecchio 31-10-2006, 18.57.00   #2
nevealsole
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Lo “schema di sé” e l’autostima


...Interpretazione: evento + “schema di sé” e grado di autostima.

L’interpretazione di ogni evento nasce dallo “schema di sé” (o mentale) e dal grado di autostima. Si deve capire l’evento e le cause che lo hanno determinato, esaminando pure l’ambiente del soggetto. Ma soprattutto non deve mancare l’interpretazione che il soggetto dà a questi elementi e che condizionano le sue scelte. L’aiutante deve chiedersi come l’aiutato vive la situazione.
...
Abbisogna di aiuto specialmente chi ha una bassa stima di sè, anche per la sua selettività in negativo delle vicende della vita. L’autostima come positiva autoimmagine è necessaria a tutti. Se è alta si giustificano e reinterpretano positivamente eventi passati e presenti senza autorimproveri. Riuscendo a progettare con maggior chiarezza il futuro e vedendovi alternative anche per quanto riguarda una crescita personale.
Nel rapportarsi agli altri, con un’alta autostima si adottano elementi oggettivi di valutazione e si è persone in grado di amare in modo autentico. Viceversa, con una stima di sé scarsa si decide irrealisticamente sia a favore che contro se stessi . Oltre a ripetere antichi modelli infantili attribuendo agli altri propri difetti, impulsi, negatività, paure,desideri, fantasie, e fuggendo relazioni profonde. Più alto è il bisogno di tali proiezioni, più bassa è l’autostima.

Entrando nella situazione problematica dell’aiutato determinata dall’evento, dalle sue cause, dall’ambiente e soprattutto dalle sue interpretazioni derivate dallo “schema di sé” e dal livello di autostima, si creano le basi per costruire un progetto futuro.


Eccomi di nuovo!
Stavolta rispondo con una domanda: l'autostima è generale o settoriale?
Parlo di me, come sempre... analisi dopo analisi, meditazione dopo meditazione mi sono scoperta talvolta incapace di riconoscere le emozioni che provo (ma su questo ritornerò in altro momento) e poi mi sono chiesta se non convivano in me due differenti tipi di autostima.
Ovvero, è possibile che io mi ritenga perfettamente efficente ed integrata dal punto di vista dell'intelligenza professionale/lavorativa ed una specie di disadattata dal punto di vista affettivo/amoroso?
Voglio dire, l'autostima dovrebbe essere complessiva.
In realtà io non ho difficoltà a percepire e credere di essere stimata e apprezzata dal punto di vista professionale, se qualcuno si complimenta per il mio lavoro penso che mi riconosca ciò che merito.
Al contrario, dal punto di vista affettivo, la mia autostima (o forse proprio la mia percezione di me) mi porta a ritenere tutt'altro: di essere sgradita, di non piacere, se ricevo un complimento di fraintendere od essere presa in giro... ad esempio ho molta difficoltà a credere realmente di essere ritenuta attraente (eppure a detta di conoscenti pare che lo sia ) Insomma, percepisco la realtà in un modo che sembra non aver ragione d'essere.
Sprigiono un'insicurezza affettiva assurda e così facendo complico la vita mia e di chi mi è vicino.
Arsenio: è possibile tale differenza di percezione di sé in settori diversi? E ancora, domanda da 1 milione di dollari, come la supero? Perché a dire il vero comincia ad essere un po' scomoda...

Grazie infinite
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Vecchio 31-10-2006, 21.44.54   #3
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Eccomi di nuovo!
Stavolta rispondo con una domanda: l'autostima è generale o settoriale?
Parlo di me, come sempre... analisi dopo analisi, meditazione dopo meditazione mi sono scoperta talvolta incapace di riconoscere le emozioni che provo (ma su questo ritornerò in altro momento) e poi mi sono chiesta se non convivano in me due differenti tipi di autostima.
Ovvero, è possibile che io mi ritenga perfettamente efficente ed integrata dal punto di vista dell'intelligenza professionale/lavorativa ed una specie di disadattata dal punto di vista affettivo/amoroso?
Voglio dire, l'autostima dovrebbe essere complessiva.
In realtà io non ho difficoltà a percepire e credere di essere stimata e apprezzata dal punto di vista professionale, se qualcuno si complimenta per il mio lavoro penso che mi riconosca ciò che merito.
Al contrario, dal punto di vista affettivo, la mia autostima (o forse proprio la mia percezione di me) mi porta a ritenere tutt'altro: di essere sgradita, di non piacere, se ricevo un complimento di fraintendere od essere presa in giro... ad esempio ho molta difficoltà a credere realmente di essere ritenuta attraente (eppure a detta di conoscenti pare che lo sia ) Insomma, percepisco la realtà in un modo che sembra non aver ragione d'essere.
Sprigiono un'insicurezza affettiva assurda e così facendo complico la vita mia e di chi mi è vicino.
Arsenio: è possibile tale differenza di percezione di sé in settori diversi? E ancora, domanda da 1 milione di dollari, come la supero? Perché a dire il vero comincia ad essere un po' scomoda...

Grazie infinite


Se rispondo giusto...mi accontento di un abbraccio...

Semplice... pensi di essere sgradita..perchè vuoi essere sgradita, visto che
hai paura di abbandonarti a un sentimento fortemente emozionale come l'innamoramento.
Una volta che avrai acquisito la capacità di pensare all'amore come ad un
piacevole evento della vita e non come ad un rinchiudersi
in un contesto preordinato di usi e costrizioni sociali...tutto sarà facile...


Ciao
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Vecchio 03-11-2006, 16.09.25   #4
nevealsole
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Se rispondo giusto...mi accontento di un abbraccio...

Semplice... pensi di essere sgradita..perchè vuoi essere sgradita, visto che
hai paura di abbandonarti a un sentimento fortemente emozionale come l'innamoramento.
Una volta che avrai acquisito la capacità di pensare all'amore come ad un
piacevole evento della vita e non come ad un rinchiudersi
in un contesto preordinato di usi e costrizioni sociali...tutto sarà facile...


Ciao

Ciao Cielo,
non è un gioco a premi, e non c'è una risposta giusta e/o una sbagliata.

Quanto al resto, la tua spiegazione, sebbene possa presentare un fondo di verità, in realtà mi aiuta pochino.
Ciò che chiedevo era da dove e come nasce lo schema di sé, perché solo capendo come si è originato il mio potrò, se del caso, aggiustarlo.
Ti ringrazio anche per il "tutto sarà facile", ma sono già abbastanza grandicella da capire che poche cose sono facili nella vita...

Quanto all'abbraccio... eccolo qua: grazie per l'attenzione :-)
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Vecchio 03-11-2006, 19.27.04   #5
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Ciao Cielo,
non è un gioco a premi, e non c'è una risposta giusta e/o una sbagliata.

Quanto al resto, la tua spiegazione, sebbene possa presentare un fondo di verità, in realtà mi aiuta pochino.
Ciò che chiedevo era da dove e come nasce lo schema di sé, perché solo capendo come si è originato il mio potrò, se del caso, aggiustarlo.
Ti ringrazio anche per il "tutto sarà facile", ma sono già abbastanza grandicella da capire che poche cose sono facili nella vita...

Quanto all'abbraccio... eccolo qua: grazie per l'attenzione :-)


Sai... ho un pochino bleffato... fosse così facile...
Io ho letto un libro ( lo zen e l'arte di innamorarsi) dove trovo spunti interessanti ogni volta che lo rileggo, e mi ricarica un pochino ...

Del resto... la terra è bella perchè vi è un sole che l'illumina...forse tu il sole
lo ai...magari... non hai rorazione su te stessa..così... solo una parte resta illuminata...l'altra ..al buio...

Bhe... ho una certa deformazione culturale... visto che ho intrapreso lo studio della medicina tradizionale cinese... la quale sostiene... che se non vi è circolazione, la stasi... provoca distrurbi...

In sintesi...la nostra percezione varia... non è immutabile... solo se abbiamo una serenità interiore non succederà facilmente di rimanere in un
pensare negativo alla prima difficoltà.


Grazie dell'abbraccio... anche se mi sembra che non ho poi tanto
azzeccato ...
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Vecchio 05-11-2006, 16.10.32   #6
nevealsole
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Io ho letto un libro ( lo zen e l'arte di innamorarsi) dove trovo spunti interessanti ogni volta che lo rileggo, e mi ricarica un pochino ...

In sintesi...la nostra percezione varia... non è immutabile... solo se abbiamo una serenità interiore non succederà facilmente di rimanere in un
pensare negativo alla prima difficoltà.


Grazie dell'abbraccio... anche se mi sembra che non ho poi tanto
azzeccato ...

Ho letto anche io quel libro e mi è piaciuto molto, concordo anche sul variare delle percezioni al variare della nostra serenità interiore...
Rinnovo l'abbraccio... non importa azzeccarci, importante è provarci
Un saluto
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Vecchio 06-11-2006, 10.25.53   #7
arsenio
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Eccomi di nuovo!
Stavolta rispondo con una domanda: l'autostima è generale o settoriale?
Parlo di me, come sempre... analisi dopo analisi, meditazione dopo meditazione mi sono scoperta talvolta incapace di riconoscere le emozioni che provo (ma su questo ritornerò in altro momento) e poi mi sono chiesta se non convivano in me due differenti tipi di autostima.
Ovvero, è possibile che io mi ritenga perfettamente efficente ed integrata dal punto di vista dell'intelligenza professionale/lavorativa ed una specie di disadattata dal punto di vista affettivo/amoroso?
Voglio dire, l'autostima dovrebbe essere complessiva.
In realtà io non ho difficoltà a percepire e credere di essere stimata e apprezzata dal punto di vista professionale, se qualcuno si complimenta per il mio lavoro penso che mi riconosca ciò che merito.
Al contrario, dal punto di vista affettivo, la mia autostima (o forse proprio la mia percezione di me) mi porta a ritenere tutt'altro: di essere sgradita, di non piacere, se ricevo un complimento di fraintendere od essere presa in giro... ad esempio ho molta difficoltà a credere realmente di essere ritenuta attraente (eppure a detta di conoscenti pare che lo sia ) Insomma, percepisco la realtà in un modo che sembra non aver ragione d'essere.
Sprigiono un'insicurezza affettiva assurda e così facendo complico la vita mia e di chi mi è vicino.
Arsenio: è possibile tale differenza di percezione di sé in settori diversi? E ancora, domanda da 1 milione di dollari, come la supero? Perché a dire il vero comincia ad essere un po' scomoda...

Grazie infinite

Ciao nevealsole. Perdona il solito ritardo.
La storia dell’autostima di ognuno è piuttosto complessa: comprende reciproci rimandi interdipendenti e circoli viziosi.
Il Sé privato si costruisce sul concetto che abbiamo di noi, il Sé pubblico su quello che gli altri hanno di noi, ma interagiscono reciprocamente. Siamo influenzati dal giudizio degli altri ma anche gli altri sono fortemente influenzati dal nostro giudizio su noi stessi. Per cui se sono per noi un ineliminabile specchio, a loro volta tendono a valutarci come noi stessi ci valutiamo. Ad es. se tu sei convinta intimamente di essere attraente, lo sarai pure per gli altri. Anche Galilei disse che chi vuol essere stimato bisogna sia il primo a stimarsi. Se qualcuno vuole sembrare qualcosa alla fine lo diventerà. Piacere agli altri è determinante per creare relazioni soddisfacenti. Ma - questo è un punto importante – chi non si piace – ad es. fisicamente – cercherà sempre conferme della sua non avvenenza perché è un giudizio che non smentisce la consolidata personalità che tutti vorremmo stabile, sia pure in aspetti negativi. E’ una specie di profezia autoavverantesi..

Poi è da verificare il rapporto tra autovalutazione e aspirazioni. Per esempio tu sei molto carina (lo credo ciecamente) ma se ad es. aspiri a diventare una top model, una velina, ecc. potrebbe darsi ci sia qualche cosetta che ritieni ti manchi e disconfermi il tuo sé ideale troppo elevato. Dobbiamo accettarci anche se siamo distanti dalla nostra immagine ideale.
C’è ancora un circolo vizioso. Per chi ha l’autostima bassa le aspettative sono sempre negative, da cui una sensazione di ansia che può far fallire un proponimento, con conseguente autosvalutazione e ritorno alla bassa autostima.

L’autostima globale, giudizio complessivo del proprio valore, è responsabile di un benessere psicologico. Mentre l’autostima specifica o settoriale mira al successo in un solo campo. Nel tuo caso si tratta dell’avvenenza fisica. Ma anche questi due tipi di autostima sono in relazione reciproca.
Ci sono persone che dipendono dalla stima che proviene dagli altri e persone per cui la stima degli altri ha poco valore. C’è un’alta stima di sé difensiva e inautentica che maschera un’autostima bassa, un’autostima bassa irrealistica, che sarebbe il tuo caso per un settore. Ma non preoccuparti, sembra da ricerche che il 75% di persone soffra in qualche misura di bassa autostima.

Quali ne sono le origini? Si deve indagare nella propria soggettiva storia. Inclinazioni, esperienze, educazione avuta, genitori più o meno rassicuranti e affettuosi che fanno sentire importante il bambino, o troppo protettivi. Su alcune strutture cognitive distorte da verificare criticamente, che avranno peso nella vita adulta. Per le autosvalutazioni non giustificate vanno rivisti questi processi mentali responsabili delle autocritiche arbitrarie.

I rimedi dipendono dai metodi adottati. Quello da me proposto per una relazione di sostegno si basa sul facilitare un’autochiarificazione tramite il dialogo non direttivo verificando lo “schema di sé” che è l’accennata nostra storia, se occorre, ma non nel profondo perché l’obiettivo è un’ immediata risoluzione nel presente. Se si prevedono analisi protratte sui condizionamenti avvenuti nel corso delle tappe evolutive, si deve affidarsi a una psicoterapia cognitivo-comportamentale che oggi sta soppiantando la psicoanalisi, specie negli Stati Uniti. Si esaminano le credenze radicate ed errate responsabili di certi distorti dialoghi interiori.

E’ inutile, se non controproducente, cercare di convincere l’altro con la nostra razionalità di personali schemi di riferimento. Si deve comprendere il perchè di certe rappresentazioni di una realtà interpretata ed educare a contrastare da sé le distorsioni o le irrazionalità rispetto a un pensiero più realistico. Oppure si possono rispecchiare le espressioni emotive solo riformulandole sinteticamente, astenendosi da un’istintiva interpretazione o dal consigliare – spesso anche male – per favorire l’autocomprensione.

Spero di esserti stato abbastanza esauriente. Sono a tua disposizione – nei miei limiti – per eventuali ulteriori chiarimenti.


arsenio is offline  
Vecchio 06-11-2006, 12.44.50   #8
odissea
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Originalmente inviato da arsenio
Lo “schema di sé” e l’autostima



Il modello comunicativo da adottare s’ispira al metodo rogersiano per la relazione di aiuto non direttiva. Secondo tale teoria il soggetto avrebbe già in sé potenzialità e risorse per decidere nel migliore dei modi a suo vantaggio. Si deve solo farle emergere attraverso l’ascolto attivo e la riformulazione sintetica di ciò che dice. Ciò richiede tuttavia anche qualche intervento per chiarire meglio o completare la sua interpretazione. Pur senza fornire soluzioni si suscita un’attenzione diversa nei confronti del problema, per una re-interpretazione non univoca e possibile cambiamento.
Chi supera una crisi si considera più forte, con conseguente benessere emotivo.
Tuttavia nulla è prevedibile, e qualcosa di significativo ma inespresso può non venir mai alla luce, oppure al contrario può verificarsi una risoluzione inaspettata considerando le premesse non favorevoli.

Sarà gradita qualche osservazione.

molto bello questo tread, arsenio.
Quoto quest'ultima parte del tuo post perchè riporta un modello di riferimento cui sono particolarmente legata. Condivido l'importanza attribuita all'ascolto attivo della persona in difficoltà, collaborando con lei ad un'eventuale interpretazione o ad una "più corretta" rilettura di quanto ci sta narrando.
La persona in difficoltà ha già dentro di sè le risorse e solo lei può indicarci la soluzione più corretta al suo problema; questo implica che chi ha bisogno di aiuto venga trattato come adulto, come una persona alla pari. Questo tra l'altro aumenta di molto il grado di autostima della persona in difficoltà, favorisce una collaborazione attiva e, secondo me, in fin dei conti apre le porte per un rapporto meno conflittuale con l'operatore (o il medico, o l'insegnante....). Certi paternalismi pedagogici, tutt'ora ritrovabili in alcune comunità psichiatriche ad esempio, sono meno "rischiosi" ma sono convinta che diano anche meno risultati di un modello che prevede il riconoscimento dell'adultità di chi è dall'altra parte.
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Vecchio 06-11-2006, 23.16.22   #9
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Originalmente inviato da odissea
molto bello questo tread, arsenio.
Quoto quest'ultima parte del tuo post perchè riporta un modello di riferimento cui sono particolarmente legata. Condivido l'importanza attribuita all'ascolto attivo della persona in difficoltà, collaborando con lei ad un'eventuale interpretazione o ad una "più corretta" rilettura di quanto ci sta narrando.
La persona in difficoltà ha già dentro di sè le risorse e solo lei può indicarci la soluzione più corretta al suo problema; questo implica che chi ha bisogno di aiuto venga trattato come adulto, come una persona alla pari. Questo tra l'altro aumenta di molto il grado di autostima della persona in difficoltà, favorisce una collaborazione attiva e, secondo me, in fin dei conti apre le porte per un rapporto meno conflittuale con l'operatore (o il medico, o l'insegnante....). Certi paternalismi pedagogici, tutt'ora ritrovabili in alcune comunità psichiatriche ad esempio, sono meno "rischiosi" ma sono convinta che diano anche meno risultati di un modello che prevede il riconoscimento dell'adultità di chi è dall'altra parte.


Si... ma non rischiamo di " contaminare" la persona che vorremmo aiutare con
le nostre idee ...dimenticando cosa... " veramente" vuole la persona che si rivolge per un'aiuto...?
Insomma...può essere un suo modo di vita... quello di sentirsi inferiore affinchè gli altri siano spinti ad aiutare...

Una mia amica agisce così...scusate se la prendo ad esempio...
Mi fa vedere le mani e dice "guarda che brutte mani..." e non è vero...
sono regolari e oserei dire molto belle...

Insomma... diciamo che è una forma di rssicurazione...tipo lo specchio
di Grimilde... ove si dice... "tutto bene ... sei la più bella..."non
scatta l'ansia...
Nel caso opposto...si arriva a voler uccidere Biancaneve... la nostra vera
bellezza...perchè è quella che nasce da un cuore sereno... che accetta i nostri limiti perchè siamo perfetti ( per noi ) .

Far percepire la propria staordinaria unicità...la possibilità di
salvare Biancaneve...
cielosereno52 is offline  
Vecchio 07-11-2006, 10.37.46   #10
arsenio
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L'intervento a riflesso di Rogers

Citazione:
Originalmente inviato da odissea
molto bello questo tread, arsenio.
Quoto quest'ultima parte del tuo post perchè riporta un modello di riferimento cui sono particolarmente legata. Condivido l'importanza attribuita all'ascolto attivo della persona in difficoltà, collaborando con lei ad un'eventuale interpretazione o ad una "più corretta" rilettura di quanto ci sta narrando.
La persona in difficoltà ha già dentro di sè le risorse e solo lei può indicarci la soluzione più corretta al suo problema; questo implica che chi ha bisogno di aiuto venga trattato come adulto, come una persona alla pari. Questo tra l'altro aumenta di molto il grado di autostima della persona in difficoltà, favorisce una collaborazione attiva e, secondo me, in fin dei conti apre le porte per un rapporto meno conflittuale con l'operatore (o il medico, o l'insegnante....). Certi paternalismi pedagogici, tutt'ora ritrovabili in alcune comunità psichiatriche ad esempio, sono meno "rischiosi" ma sono convinta che diano anche meno risultati di un modello che prevede il riconoscimento dell'adultità di chi è dall'altra parte.

Grazie per l’attenzione, che per me è l’occasione di esporre i punti essenziali dell’intervento a riflesso. E’ il modo più adatto di rapportarsi all’altro in una relazione di sostegno. Solo apparentemente semplice, non s’improvvisa e richiede un tirocinio di apprendimento sul campo. Gli errori sono facili essendo diverso dagli usuali e istintivi schemi della conversazione quotidiana.

L’intervento a riflesso di Rogers

L’intervento a riflesso è manifestazione di attenzione, testimonianza verbale dell’attenzione di chi ascolta a chi sta parlando: si riprende qualche aspetto del discorso altrui nella forma della constatazione dubitativa, per esempio: “……tu pensi dunque che……” Si riprende il discorso altrui, ripetendo, riformulando, sintetizzando, senza aggiungere commenti, valutazioni, integrazioni, ecc. E’ una manifestazione di attenzione, di non valutazione, un riferimento preciso e fedele al comportamento rispecchiato.
Si deve saper distinguere tra la riformulazione corretta e la chiarificazione con aggiunta di commenti, precisazioni, correzioni, che è qualcosa di più della semplice attenzione.

E’ un’interazione verbale ma c’è la possibilità di rispecchiare verbalmente anche il tono di voce, la mimica facciale, che rivelano stati d’animo e sentimenti. Si facilita l’espressione dell’interlocutore che non si deve sentire minacciato e parla liberamente, per cui va rifiutata ogni valutazione in quanto minacciosa, e anche la valutazione positiva perché presuppone la possibilità di quella negativa. Anche nell’interpretazione, ad es. psicoanalitica, è sempre presente un aspetto che può avere un significato valutativo, negativo, denigratorio. L’ operatore o aiutante deve creare le condizioni più adatte a incoraggiare la comunicazione altrui. Si dimostri comprensione: essere oggetto di attenzione e vedere rispecchiato il proprio comportamento verbale incoraggia a proseguire.
L’attenzione è un’implicita richiesta di prosecuzione, evitando inviti diretti o domande precise. La risposta può essere anche solo un sì. Orientando su determinati aspetti indirettamente si chiede di chiarire alcuni punti. Il fine è la mediazione del moderatore affinchè l’utente raggiunga l’autochiarificazione attraverso le riformulazioni. Si analizzino le proprie parole e la propria voce.Il tono di voce non deve avere sfumature di assertività e valutazione. Secondo Rogers la catarsi avviene da ristrutturazione della conoscenza di sé.

Si adotti il procedimento a imbuto: sintetizzare il problema, trarne il succo per una chiarezza intellettuale. Per esempio l’utente parla 10 e riformulo 1. Anche per abbassare catarticamente il termometro emozionale. Distinguere sempre tra fatti ed emozioni per capire ciò che è veramente successo.

Le barriere dell’ascolto. Sono valutazioni, spiegazioni, voler dare sostegno, investigare, offrire soluzioni. Perché sono risposte che contengono un giudizio implicito e producono nell’altro una diminuzione dell’autostima.

L’empatia

E’ saper vedere il mondo con gli occhi dell’altro ben sapendo che quello è il suo mondo e non il mio. E’ una sensibilità. Esserci con il cuore, senza rimanerci dentro, senza difendersi con il distacco. Se si vive un vissuto forte, c’è comunque una risonanza, si “vibra”, a maggior ragione se si rivivono nell’altro proprie emozioni.
Ascoltare è un viaggio di andata e ritorno, come dice Rogers. Per mettersi nei suoi panni, diventare lui. Ma il rischio è d’immergersi nel vissuto dell’altro. Avviene il tal caso un inquinamento affettivo che suscita angoscia.

Sono a disposizione per ulteriori eventuali chiarimenti.

arsenio is offline  

 



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