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Spiritualità - Religioni, misticismo, esoterismo, pratiche spirituali.
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Vecchio 03-02-2006, 17.53.22   #21
nonimportachi
Utente bannato
 
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Caro SonoGiorgio,

Non tollero il lucro sulla credulità popolare o comunque realizzato grazie a credenze religiose, superstizioni e affini.

Per quanto tentato dall'accettare la tua offerta, visto che sei tu a proporla e non io a convincerti, non lucrerò grazie alle tue farneticazioni.

Quindi prendi pure la mia anima (la presente è da intendersi come consenso) in omaggio. Chissà che ti serva a valutare la corenza delle tue credenze con la realtà che ti circonda.

Ero solo curioso di sapere quanto eri disposto a pagare. Ma non preoccuparti, te la regalo.

Fanne pure ciò che vuoi, a me non serve.

PS: Comunque non sei credibile, se l'avessi già venduta ad un'altro? O sei un invasato o sei molto ingenuo.....
nonimportachi is offline  
Vecchio 03-02-2006, 17.57.07   #22
Uno
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Per Giorgio e Nonimportachi... arrivo adesso e spero che con la cessione sia finita
grazie
Uno is offline  
Vecchio 03-02-2006, 18.07.44   #23
nonimportachi
Utente bannato
 
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Citazione:
Messaggio originale inviato da Uno
Per Giorgio e Nonimportachi... arrivo adesso e spero che con la cessione sia finita
grazie

Capisco,

La chiudo con la presente:

GIORGIO! ...se ti va bene come ti ho detto OK, ormai l'ho detto! altrimenti, se la mia anima dovesse essere per forza venduta e non potesse essere ceduta gratuitamente a causa di qualche "dogma paraormalsatanico", allora mi accordo per i 50 Euri che mi fai la cortesia di versare tramite bonifico sul conto n. 10079.32 intestato ad Amref Italia Onlus presso Monte dei Paschi di Siena - Ag. Roma - ABI 1030 - CAB 03202.

PS: Sono certo che l'OT sarà utile a molti.
nonimportachi is offline  
Vecchio 03-02-2006, 18.17.53   #24
SonoGiorgio
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Si UNO è finita.
Grazie nonimportachi.
Non appena avrò fatto il bonifico, Ti invio in pvt la ricevuta (se si può).
SonoGiorgio is offline  
Vecchio 04-02-2006, 18.05.25   #25
paperapersa
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Citazione:
Messaggio originale inviato da Campanellino
<Noi non abbiamo un’anima, noi siamo dell’anima.>

Io mi sento anche anima, ossia non distinguo il mio essere corpo/anima, non finchè sono in questa vita.
Ci piace fare distinzioni: gioia/dolore, vita/morte, corpo/anima, ma
sono complementari tra loro.
La sede dell'anima, diceva Novalis, è dove il mondo interiore e quello esteriore si toccano. Quando essi si compenetrano, la sede è in ogni punto della compenetrazione.




infatti non può essere che così
quando tu ci metti tutta l'anima in ciò che fai
ci sei totalmente con tutti i tuoi sensi, con tutto te stesso,
sei concentrato, preso totalmente, compenetrato,
quando poi questo sentire deve essere espresso
al mondo esterno nasce la creatura che è qualunque creazione
qualunque manifestazione del tuo esserci anima e corpo
è vibrante vita che si manifesta attraverso colori, suoni,
carezze, voce, odori
insomma è sì corpo che vibra se danza,
voce che canta, mano chesuona o che scolpisce o dipinge,
mente che pensa ad un possibile progetto e corpo strumento che lo realizza.
Eppure ci sono ancora morti che seppelliscono i loro morti, esseri chenon credono nella meraviglia della vita e nelle loro meravigliose
possibilità
paperapersa is offline  
Vecchio 04-02-2006, 21.38.58   #26
visechi
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Anima apofatica

Anima: ognuno di noi potrebbe attribuirle i significati che più gli piacciono: emanazione divina; demone mediatore fra empireo e mondo di sotto; anima trascendente; anima mundi; immortale, eterna; oppure, semplicemente, vita psichica che si gonfia o affloscia, si espande e contrae, s’eleva e prostra in connessione e dipendenza degli accadimenti della vita con cui entra in contatto, entro cui si trova coinvolta.
Non serve a molto definirla, come a poco serve negarla. E’ pur sempre un flusso, un fluido, un palpito, un sussurro, un baluginare che da sola trova la strada per farsi udire, sentire, e soprattutto soffrire e che ti vive dentro informando di sé tutto il tuo essere e la tua esistenza.
Le risposte metafisiche circa la sua immortalità, la sua essenza, la sua eternità, il suo karma, il sansara, la metempsicosi, la salvezza eterna, lasciamole, al dopo, sospendiamo per un breve sospiro il nostro giudizio; non andiamo noi, umani limitati, a sondare l’insondabile, a misurare l’incommensurabile, non entriamo nelle stanze del mistero, troppo angusto è il loro uscio; occupiamoci, almeno per il momento, solo di quel pneuma che c’ispira e ci sorride come un sole o grugnisce contro come una fiera spettrale sortita dall’Averno, il nostro Averno.
Quante definizioni ho letto sull’anima, una diversa dall’altra, nessuna che colga quel che forse è, la sua essenza vera. Ma credo non sia possibile riuscire a definirla. L’anima è indefinibile, incommensurabile, incomprensibile. Non è facile compiere fino in fondo il viaggio che ti porta a scrutare quel buio che vive in noi; sono troppe le contingenze che distraggono, troppa anche la pena che si prova ogni volta che perfori la crosta spessa o sottile che custodisce e separa il cuore vivo di ciascuno di noi dal resto del mondo. E’ una visita che conduce a galleggiare dentro l’inferno che è in noi, e in quel magma ribollente non è mai agevole nuotare. Meglio scordarsi, meglio ignorarsi, intanto la vita se ne farebbe ben poco della conoscenza che possiamo avere del nostro intimo. La vita, l’ho già detto tante volte, fino alla noia, si disinteressa di noi. Temo che il viaggio che conduce a sfiorare, lambire e toccare quel fondo, fino ad immergere le mani e i gomiti nel fango melmoso entro cui ribolle il magma incandescente del nostro essere, sia solo un introdursi nel mondo delle favole. Una sorta di ricreazione che ti porta a contatto con la nostra disneyland, dove scegli tu di partecipare ai giochi, giochi che però ti sono messi a disposizione dall’apparato fieristico… quei giochi, non altri, solo fra quella gamma è possibile ‘scegliere’.
A quest’imperio è necessario opporre un rifiuto, opporre dei fermissimi ‘No' all’impeto che t’ingloba e ti muove.
I No sgorgano dal nostro intimo. L’Anima non ama farsi conoscere appieno, l’Anima è occulta, ha solo l’estro di mostrare qualche barbaglio di sé. Non è paura, solo un naturale stato di cose.
E’ la nostra condizione questa: vivere nel tormento di non sapere mai chi o cosa siamo, da dove proveniamo e dove sfoceremo come un fiume. Al tempo stesso avvertiamo la nostra alterità, intuendo così di essere altro da quel e quanto portiamo in scena ogni giorno. Siamo una rappresentazione tragica di noi stessi. Ed allora viviamo di quel tanto o poco che raccogliamo per strada….
Siamo la tragedia di Kafka, allorché scorse in sé, nel suo intimo profondo quel mostro orribile che lo dilaniava, che lo adulava, che lo chiamava.

Anima è una sensazione… forse in questa definizione mi ci ritrovo. E’ una sensazione che ci parla utilizzando un linguaggio che scuote, che rimesta il suo proprio fondo portandolo a galla, di modo che, come vapori sulfurei, la propria voce giunga fino a noi, anche se sempre soffusa, mai chiara e compiutamente intelligibile. E gli errori, gli sbagli, sono forse i messaggeri di questo magma fluorescente e ribollente che è in noi. Ci conducono messaggi, come nella novella di Kafka, ‘Il messaggio dell’Imperatore’, la trascrivo, credo che valga la pena di leggerla:

< L’imperatore – così si racconta – ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all’orecchio; e gli premeva tanto che se l’è fatto ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l’esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s’è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l’uno or con l’altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; e le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all’aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c’è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell’ultima porta – ma questo mai e poi mai potrà avvenire – c’è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto.
Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera>


Ecco, spesso Anima ci spedisce un messaggio che s’ingolfa fra la folla dei nostri molteplici Io, dei variegati e stralunati pensieri, e tu lì, alla finestra, che attendi invano che ti giunga quel segno di cui avverti l’eco. Forse è così che quel messaggio che Anima invoca per te, nel tragitto spenge il proprio suono, la propria luce, i propri colori per giungerti in forma di vaga sensazione, di labile suono, di flebile colore, come un tramestio.
Bye

Ultima modifica di visechi : 04-02-2006 alle ore 21.54.11.
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Vecchio 05-02-2006, 07.31.15   #27
paperapersa
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grazie visechi
è stato bello leggerti
in ciò che hai scritto ho percepito tanto della" tua anima."
e tuttavia io penso che sia ancora e sempre un aspetto parziale della stessa. ma sai dirne in maniera egregia
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Vecchio 05-02-2006, 22.28.01   #28
visechi
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L'Anima dal cuore di pietra

Credo che ciascuna anima – la s’intenda come si vuole, io non credo nel trascendente, perciò per me è vita psichica, il che non la sminuisce affatto, forse l’abbellisce – abbia in sé un nucleo essenziale, un centro, che, per semplicità, faccio corrispondere al cuore. Questo non è concepibile come mero organo fisiologico che funge da sterile pompa metabolica indispensabile per distribuire il sangue al resto del corpo, ma come centro essenziale dei sentimenti e della commozione.
La mia è solo un’esemplificazione, me ne rendo ben conto. L’anima, lo so bene, non raccontatemelo, è invasiva, pervasiva, estesa a tutto l’essere. Ma io voglio oggi vedere in quest’anima un centro, un fulcro attorno al quale ruota l’intero essere umano.
Il cuore è il centro e lo scrigno dei sentimenti. È il luogo più recondito del nostro essere, ove, reconditi, sono celati i sentimenti e le emozioni. Qui, all’interno di questo scrigno magico, accarezzati dal buio o cullati da una fulgida luce, germogliano come fiori i nostri sentimenti: siano essi fragranti, aulenti o venefici; qui crescono, qui si espandono e con l’anima stessa sono destinati a morire per spandere d’intorno l’ultimo delicato effluvio o l’afrore pungente di cui si sono impregnati nel corso della vita di chi li ha ospitati. Come una leggera o pensante scia di memoria, il cuore, oramai spento, essuda se stesso, rilasciando l’essenza profumosa o miasmatica di quel che fu quel cuore che ha offerto loro ricovero. Un cuore si espande o si contrae, comprimendo quel profumo o quel lezzo di cui si è impregnato, a seconda e sulla scorta delle esperienze che si vivono, che l’essere che lo ospita vive. Il cuore è il contatto che abbiamo con il mondo e da esso sugge linfa o veleno, e ad esso rilascia miele, ambrosia o fiele.
Nascono così cuori destinati e con la vocazione a crescere fra campi rigogliosi, ricchi di profumi, anche se qualche malaerba spesso tende a minarne la meraviglia, senza però mai riuscirci. Nascono però anche cuori di pietra, fatti di calcare, che s’impregnano d’acida acqua piovana, e, una volta saturi di quest’acqua, rilasciano solo ciò di cui sono intasati: calcare, acidità. Questi cuori occupano, abitano, posseggono, violentano l’intera anima che li ospita, facendo sì che anch’essa diventi di pietra: desertificata, dissecata, sabbiosa, silicea. Intorno ad essa non fiorisce nulla se non quelle piccole o grandi metastasi cancerogene che sono piante malefiche, che pian piano tendono ad invadere i rigogliosi campi con cui entrano in contatto.
Qui il deserto è padrone, il vento soffia con impeto insano, spazzando il piancito dell’anima su cui questo masso calcareo poggia le sue basi e radica se stesso. Il vento, furioso, solleva solo sabbia, silicio, rancore, astio… veleno, trasportandolo in ogni dove.
Questo cuore non conosce amore, conosce passione truculenta, violenta, feroce, possessiva.
Dio, se c’è, mi preservi dall’entrarvi in contatto.

Bye
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Vecchio 06-02-2006, 10.51.35   #29
visechi
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Anima e pathos

Qualcuno affermava che scrivere è un po’ un viaggio nel profondo, un viaggio – aggiungo io – con gli occhi bendati e le orecchie ottuse, ma pure, in questa cieca ottusità visiva ed uditiva, qualcosa ti tocca, qualcosa lo si percepisce…. Nello scritto vi sono rappresi e sintetizzati, seppur soffusamente, uno o più momenti di discesa agli inferi. Attimi, momenti, che svaniscono quando la penna è poggiata, quando ha concluso il proprio compito di trasferire su carta i vagiti che provengono dall’intimo. Trasferirlo in forma afasica, come un sussulto, come un transito di materia impalpabile che rassegna parte in-essenziale dell’urlo che promana da quel fondo buio ove il canto si mescola al lamento, e la danza è un mesto oscillare fra i bordi che delimitano il nostro gioire e il nostro patire. Forse lo scritto, qualsiasi scritto, trasferisce soltanto la risonanza di quell’urlo, portando con sé il calore ghiaccio di quel che ribolle nell’intimo. Non vi è catarsi nello scrivere… le parole in sé non allietano, non alleviano, non alleggeriscono… al limite danno solo un minimo sfogo a quel che senti ma che non comprendi…. È come riordinare una stanza resa caotica da un refolo di vento impertinente… alla fine del riassetto, scorgi che la stanza è ancora nel Kaos, perché non è come la vorresti tu, come il daimon ti suggerisce debba essere. Noi permaniamo in questo conflitto che esacerba l’anima - tutto l’essere -, che ci trascina. Ma questa – dico io – è la vita, che ci piaccia o no. Siamo dannati a viverla.

Anima innamorata; ricolma d’amore; impregnata di quel sentimento sublime, che, man mano che il tempo scorre, piano piano tende all’evaporazione. Quel sentimento che tende ad unirci, a renderci sempre più prossimi l’uno all’altro, perché percepiamo la nostra intima solitudine –evocazione della solitudine del creatore - che una volta vanito il proprio carattere consolatorio, si mostra in tutta la propria ruvida consistenza, desertificando ancor più colei – l’Anima – che l’ha con speranza ospitato. L’Amore, un sentimento che germina nel dolore, che genera dolore, che si trascina appresso, come una scia, il dolore e il pianto. Anima ricettacolo dell’Amore di Dio; luogo entro cui noi avvertiamo in embrione il sentimento e la passione del Creatore: la sua pre-storica lacerazione, la sua solitudine, il suo Dramma eterno. Cosa è poi l’embrione dell’Amore di Dio? Ma se questo millantato Amore fosse concreto e reale, se non fosse solo una consolazione che ogni tanto ci doniamo, di cui ci facciamo grazia e omaggio, avrebbe una forza tale da tacitare quel continuo tramestio che spesso si traduce in turbine che spegne per sempre una vita? Se questo Amore, sempre elevato agli altari della mente, dei nostri pensieri, fosse reale, non sarebbe volato in aiuto, a soccorre, a salvare, a consolare, ad accarezzare l’anima devastata di chi decide – tutti i giorni – di spengere la propria esistenza terrena? Perché questa indifferenza? Ma forse è vero, sì: il nostro malessere è solo un eccesso di benessere…. Beh, se posso spengere con il suo svanire anche il malessere, si tengano il benessere. Preferisco la fame vera, quella del corpo – saprei dove e come nutrirmi, anche se forse non riuscirei a farlo – piuttosto che la fame inappagata dell’anima – non vi è cibo per essa, e quando lo troviamo è sempre solo fatuità, serve solo per accentuare l’appetito. Forse è così: si tratta di un’eccedenza, di un eccedere le necessità, i bisogni e le sue soddisfazioni biologiche e naturali. Il nostro malessere è dato dal nostro eccesso di benessere. Benessere del corpo, materiale, sociale, che si contrappunta, per contrappasso, al nostro crescente malessere interiore.

Noi viviamo ignorando un urlo che percorre i tempi e gli spazi, che pervade il mondo e la vita. Noi scordiamo l’ammonizione di un saggio: tutto è vanità. L’esistenza di Dio, di Elohim – qualora effettivamente esistesse -, non elimina questa sensazione di vanità. E’ un paradossale sposalizio fra Dio e vanità. Qoelet lo raccontava mill’anni fa, ed ora, dopo millenni è ancora così: tutto è vanità. Quell’ammonizione di Qoelet si coniuga con l’urlo di Giobbe che, nel suo echeggiare, traccia la distanza fra il cielo e la terra… una distanza incommensurabile, come incommensurabile è la potenza divina che si abbatte sull’uomo, senza un perché, senza un preavviso. Siamo abbandonati a noi stessi come arbusti mossi da un vento che non sappiamo trattenere e governare, che non sappiamo da dove nasce, da che direzione spira, dove va.
L’anima che ci abita è occulta, inconoscibile, noi incarniamo, tutti insieme, quell’urlo di Giobbe che si coniuga con quello del Cristo sulla croce…. Noi siamo l’eco di quell’urlo, un eco che si ripercuote per tutta la storia e percorre l’intero pianeta. Forse quell’urlo è anche l’urlo di Dio che soffre, e noi, Sua immagine e somiglianza, non possiamo evitare di patire. Ma ogni tanto incontriamo una stazione, un piccolo punto di ristoro dove riposare e riprendere le energie consumate nell’attraversare quel breve tratto di strada in cui le insidie ci hanno assalito da ogni lato, fino a sfiancarci…. Ma siamo vivi, abbiamo varcato un ponte, ora riposiamo le membra e scaldiamo l’anima con quei raggi di sole che mostrano all’orizzonte un nuovo punto di ristoro da raggiungere. Non possiamo indugiare troppo a lungo seduti sulle nostre rovine, tante altre insidie ci attendono, tanti altri patimenti, prima di raggiungere un nuovo convento… siamo ospiti sempre attesi al simposio che la vita c’imbandisce, la qualità del banchetto, dei suoi cibi, la frescura dell’acqua che dovrà dissetarci, dipendono anche un po’ da noi. Siamo Viandanti, siamo anche un po’ Lazzaro <Alzati e cammina!>.

Urla Giobbe, urla Auschwitz, urla la madre che perde il sorriso del proprio bimbo, urla una donna stuprata nel corpo e dilaniata nell’anima…. Ma la vita continua sorda ai lamenti, sorda a quel che accade… perché quel che accade è proprio ciò che deve accadere, senza finzioni, senza orpelli, senza barocchismi stucchevoli che rendano meno greve la visione di chi piange nell’anima perché ha dissecato la fonte delle proprie lacrime, di chi non ha più voce per gridare ed esigere una mano tesa che si sporga in un gesto d’aiuto – quale aiuto può pervenire dal prossimo (sempre alterità che mai s’incontra, sempre un altro) -, cui è rimasta solo un flebile filo di voce per restituire a quel Dio sì tanto indifferente la responsabilità che si deve accollare: <Padre, Padre perché mi hai abbandonato?>.

L’anima soffre, non può evitare di soffrire, la mente insufficientemente la tacita, fino a far diventare il suo urlo – quello dell’anima - un lieve sussurro. Ma la voce dell’anima è talmente imperiosa che, anche così ridotta, così soffocata fa udire il suo labile suono, e quando lo si ode, anche come semplice vibrazione di note scorate, è un’ala di pipistrello nella notte più buia che ti sfiora le membra, che ti fa accapponare la pelle.
visechi is offline  
Vecchio 06-02-2006, 11.49.53   #30
Donatella
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infatti non può essere che così
quando tu ci metti tutta l'anima in ciò che fai
ci sei totalmente con tutti i tuoi sensi, con tutto te stesso,
sei concentrato, preso totalmente, compenetrato,
quando poi questo sentire deve essere espresso
al mondo esterno nasce la creatura che è qualunque creazione
qualunque manifestazione del tuo esserci anima e corpo
è vibrante vita che si manifesta attraverso colori, suoni,
carezze, voce, odori
insomma è sì corpo che vibra se danza,
voce che canta, mano chesuona o che scolpisce o dipinge,
mente che pensa ad un possibile progetto e corpo strumento che lo realizza.
Eppure ci sono ancora morti che seppelliscono i loro morti, esseri chenon credono nella meraviglia della vita e nelle loro meravigliose
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