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Vecchio 06-03-2008, 15.03.10   #1
Catone
Ospite abituale
 
Data registrazione: 10-01-2006
Messaggi: 193
Il crollo del comunismo 20 anni dopo: fu vera gloria?

Tra il 1989 e il 1991 si consumava il destino dei regimi comunisti dell’est europeo. Un sistema irriformabile, che poteva sopravvivere solo chiuso in se stesso in perfetto isolamento dal mondo, crollava come un castello di carte alla prima timida apertura delle frontiere.
Chiediamoci oggi, a distanza di ormai 20 anni, cosa è davvero cambiato e se fu un affare per le popolazioni sia dell’est che dell’ovest.
Ricordiamoci, in primo luogo, che siamo alla fine degli anni ’80. Il comunismo sovietico è un fenomeno essenzialmente europeo. Ovvio che i due termini di paragone fossero l’ovest e l’est europei. Entrambi usciti distrutti dalla seconda guerra mondiale, si presentavano ben diversi ad un osservatore neutrale. Ad ovest stabilità politica, prosperità economica generalizzata, prospettive di miglioramento crescente del benessere, servizi pubblici adeguati, assistenza a chiunque ne avesse bisogno. Si può forse dire che mai nessuno al mondo ha vissuto così bene come il cittadino dell’Europa dell’ovest degli anni ’80. Nel 1989 si respirava un clima sereno, di estrema libertà: in più l’Europa si tirava ancora dietro i valori tradizionali comunitari non ancora messi in discussione. Insomma, un miscuglio attraente tra modernità e tradizione.
All’est europeo, invece, vigeva un’atmosfera estremamente cupa, quasi depressogena, e una mancanza di merci mortificante per un sistema che puntava tutto sul materialismo. I cittadini dei paesi comunisti potevano sospettare questo divario nelle condizioni materiali: dopo le prime aperture della glasnost ne ebbero la certezza. E probabilmente cominciarono a maledire gli anni persi sotto il comunismo. In effetti non c’era nessun divario culturale tale da giustificare il ritardo dell’est nei confronti dell’ovest.
Io premo molto nel considerare questi aspetti psicologici come fondamentali nel processo di crollo dei regimi comunisti. Tanto la classe dirigente quanto la popolazione non potevano che valutarli negativamente. Mi verrebbe da dire che poté più l’invidia sociale che non la mancanza di libertà. Anzi, quest’aspetto è stato troppo considerato per motivi eminentemente propagandistici: non fu la mancanza di libertà ad agire ma la mancanza di merci, viaggi, occasioni, divertimenti che invece abbondavano all’ovest.
Fin qui sarà facile essere tutti d’accordo. Ma è sul seguito che si addensano le domande.
1) “Aprite i vostri mercati, accettate la democrazia e il benessere arriverà”. Questa è stata la grande truffa perpetrata ai popoli dell’est. L’apertura delle frontiere non poteva che mandare fuori mercato gli impresentabili prodotti dei regimi comunisti, incomparabili sotto il profilo qualitativo a quelli occidentali. Alla fine tutto si è risolto in un ottimo affare per le imprese esportatrici dell’occidente, ma un pessimo affare per i cittadini dell’est. Sotto l’impatto di merci migliori e a costi tutto sommato contenuti, l’intera produzione di intere nazioni si è trovata obsoleta. Le aziende pubbliche non hanno potuto far altro che chiudere e mandare sul lastrico milioni di cittadini. La conseguenza è facilmente immaginabile: chi aveva poco si è trovato con niente. Chi viveva in una povertà dignitosa si è trovato nella miseria. E si è trovato anche a dover subire lo spettacolo dei nuovi ricchi, arricchitisi in misura spropositata dal furto delle risorse energetiche facilmente commerciabili. Si è diffusa, invece, rapidamente l’ossessione del denaro. In una società in cui sono diventati, dall’oggi al domani, ridicoli i valori del socialismo reale, l’unico modo per ottenere l’accettabilità sociale è divenuto il guadagno. Facile a dirsi, difficile da fare se non si è un ex dirigente in grado di ottenere una fetta nella spartizione di quel poco di buono che c’era in quelle disastrate economie. L’aumento intollerabile della prostituzione, la fuga di tante belle ragazze dell’est europeo verso occidente sono una chiara denuncia di questa situazione.
2) Nel 1989 qualsiasi cittadino dell’ovest avrebbe vantato la superiorità del proprio sistema economico. E a ragione, visto che dal dopoguerra in avanti gli europei avevano ottenuto un benessere crescente a fronte di una fatica decrescente. Un sistema che dava sempre di più chiedendo sempre di meno.
Non è questa la sede per indagare le cause di ciò che è avvenuto dopo. Sta di fatto che a 20 anni di distanza la sicurezza economica e sociale sono venute meno, il benessere è sempre molto diffuso ma è un pò “meno” benessere. Sono cambiate soprattutto le prospettive: il sistema chiede sempre maggiore impegno per concedere sempre di meno. Trovare un lavoro è diventato difficile e frustrante. Sono venuti meno tutti i valori tradizionali occidentali per fare posto ad un unico valore, il denaro. In nome del quale tanto, troppo è stato sacrificato. Lo stress ha superato i livelli di guardia, la vita è divenuta troppo complessa e complicata. La qualità della cultura abbassata a livelli insopportabili. La stessa libertà di espressione fortemente ridimensionata da leggi e pratiche liberticide. Il mondo è divenuto drammaticamente omogeneo. Insomma, dando uno sguardo retrospettivo ai regimi comunisti questi cominciano a sembrare non così male. In fin dei conti l’essenziale era garantito, la vita si svolgeva molto più lenta e rilassata. Non c’era l’ossessione del profitto e del guadagno. In un mondo a bassa crescita economica e a basso sviluppo tecnologico si godeva di una stabilità invidiabile, anche esteriore: in un sistema pianificato, dove tutto era controllato dallo stato, non falliva nessuno, non si modernizzava nessuno, anche il lattaio sotto casa era sempre lo stesso. E poi quei regimi, come tutti i regimi totalitari, recuperavano quegli aspetti comunitari della vita così sacrificati dalla rivoluzione industriale in poi sull’altare dell’individualismo. Sino all’esasperazione dei nostri giorni, dove la morte di qualsiasi valore ha condannato tutti alla più completa solitudine: famiglie smembrate dai divorzi e dalla necessità di muoversi per il lavoro, conoscenti e amici occasionali e non più una comunità di riferimento. Se non quelle, tristissime, virtuali.

La domanda non può che porsi alta e bruciante: fu vera gloria?
Catone is offline  

 



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