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Quale amore? Quale felicità?

di Domenico Pimpinella – luglio 2007

- Capitolo 4 - Ipotesi per una corretta individualità

Paragrafo 4 - Scontro di conoscenze

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Ritorniamo di nuovo allo schema che abbiamo già considerato per vedere come possiamo trasformarlo ulteriormente per avvicinarlo maggiormente alla realtà interna, che si è configurata con l’apporto errato della razionalità.

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Come si evince in maniera immediata, la soggettività, grazie all’apporto della razionalità, ha colonizzato per tre quarti la nostra individualità, lasciando alla socialità autentica, originaria, solo uno spazio minimo tutelato dall’emotività. Il quarto di circonferenza che avrebbe essere dovuto occupato dalla socialità razionale è stato si occupato da una socialità razionale, che però fa gli interessi della soggettività e che quindi non dovremmo neppure chiamare socialità per quanto essa si basa comunque su delle relazioni, su dei rapporti tra individui.
Una socialità che fondamentalmente non ha nulla a che vedere con la socialità emotiva o naturale, in quanto punta ad un obiettivo del tutto diverso: lo stesso della soggettività.
E’ questa una socialità doppiamente dannosa in quanto non solo non si pone gli obiettivi della socialità autentica e non è quindi in grado di apportare un effettivo equilibrio, un reale beneficio, ma addirittura maschera  questo deficit e ci porta in tal modo del tutto fuori strada. Ci si può così convincere che stiamo realizzando la migliore socialità, addirittura un’individualità superiore, e possiamo non renderci conto che, invece, in realtà stiamo realizzando la peggiore individualità che  essere vivente possa realizzare.
Continuando di questo passo, la soggettività acquisirà uno spazio interno sempre maggiore e ridurrà la socialità autentica, emotiva, ad un nonnulla. Alla fine di quest’ultima potrebbe non rimanere  niente, arrivando ad un egoismo estremo capace di far collassare l’individualità in una struttura  non più vitale.
Quanto potrà accadere una simile eventualità? E’ difficile dirlo. Tutto dipende dalla possibilità di continuare ad illudersi. Più ci si potrà illudere che la strada che stiamo percorrendo è quella giusta e più ci si avvicinerà al precipizio, col rischio di cadervi tutti dentro. Per ora è solo l’emotività che “lotta” per scongiurare una simile evenienza, ma non potrà fare molto se la razionalità continuerà a non schierarsi al suo fianco.  I problemi di natura psichica, che stanno emergendo e conclamandosi con sempre maggiore frequenza, potrebbero essere il sintomo sempre più marcato di questo scontro che sta diventando di una radicalità mortale.
Il dominio della soggettività, mediante una falsa socialità, sul settore deputato naturalmente alla socialità, è poi consolidato dall’aver collocato in quel posto anche l’altra falsa risposta razionale: la religiosità. In quel vuoto dunque si sono piazzati due vassalli della soggettività che non intendono minimamente ritirarsi.
Se analizzate separatamente queste due risposte potrebbero essere facilmente vulnerabili, saldate insieme diventano di una coriacità pressoché inattaccabile. Insieme, la falsa socialità e la religiosità si completano, avvicinandosi, a volte, anche di molto ad un aspetto accattivante, rassicurante.
Inventandosi la divinità, il sacro, l’esistenza ultraterrena e quant’altro, la razionalità è andata molto vicino alla realtà dell’essenza filogenetica, alla necessità di cogliere motivi rassicuranti. E così su quel terreno interno su cui avremmo dovuto “coltivare” una socialità razionale capace di unire in modo armonioso, gioioso e soddisfacente  gli individui tra di loro, è sorto un impianto mentale che ha tramutato la continuità ciclica in una continuità lineare,  ed ha fornito l’alibi che ha permesso all’individuo  di rimanere un evento esistenziale sostanzialmente isolato.
Oggi la nostra realtà interna si può riassumere con il seguente schema, dove forse siamo stati ottimisti ad attribuire alla socialità emotiva (la vera socialità che ancora si può trovare in noi) un quarto di circonferenza.

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Sicuramente in tantissime realtà questo spicchio è minore, anche se ci sono situazioni in cui, esso riesce ad ingrandirsi e magari a prendere addirittura il sopravvento sull’egoismo. Ci riferiamo alle  calamità naturali, alle tragedie individuali e a tutte quelle situazioni in cui l’emotività riesce a spezzare le catene che la tengono prigioniera e a dettare le sue condizioni. Occasioni minime però, che passano come meteore  nei cieli del nostro destino.

 

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Bibliografia

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