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La "madre" di tutte le battaglie

di Baldo Lami - Marzo 2022


Una sintesi di tutte le più grandi interpretazioni della guerra forniteci dalla psicoanalisi.


Tutto è pólemos, sosteneva Eraclito. Per il grande sapiente greco, pólemos, che vuol dire anche guerra, conflitto, era la perenne contraddizione o gioco degli opposti insiti in ogni manifestazione della vita.
Freud ha interpretato la guerra come proiezione all’esterno della pulsione di morte (Thanatos), evitando così il suo irrompere catastrofico nell’ambito della coscienza individuale o collettiva. Secondo questa lettura la guerra non sarebbe tanto un’esplosione dell’irrazionale, quanto un ingenuo meccanismo di difesa teso a salvaguardare l’Io (del singolo o di un intero popolo) dall’angoscia dell’autodistruzione, trasferendo il Thanatos su un nemico esterno che deve in tal modo essere aggredito e distrutto, pena subire da esso analogo destino. Questa interpretazione ha la virtù della semplicità e della chiarezza espositiva.
Sempre in campo freudiano, un’altra interpretazione della guerra ci viene da Fornari che, sulla scia di Freud, vede che il nemico esterno altri non è che l’esteriorizzazione di un nemico interno molto più temibile. La ricerca svolta sui sogni delle madri in gravidanza e sui vissuti profondi durante il parto, mostrerà che l’esperienza della nascita comporta fantasie reciproche di distruzione tra madre e bambino, di devastazione totale di sé e del mondo, che Fornari chiamerà “Terrificante primario”. Fantasie di cui la coppia madre-figlio/a si depura proiettandole sul padre, il quale, per non essere vissuto come aggressore, riversa sul sociale questo pesante carico di colpa e lutto attraverso tutta una serie di traslazioni che si condensano nel fenomeno “guerra”. La guerra, secondo Fornari, sarebbe allora l’elaborazione paranoica di un lutto primario. Questa visione della guerra ha la bellezza dell’acume e della sottigliezza del genio.
Altro genio della psicoanalisi di matrice freudiana è Lacan, per cui la guerra implica sempre il discorso del padrone e le istituzioni, in prima fila gli eserciti e la loro disciplina. Implica pertanto l’esistenza del legame sociale, che è la sua stessa condizione di esistenza. Rovesciando il discorso freudiano per cui la guerra rappresenta una sorta di fallimento della civiltà, per Lacan è la civiltà stessa la causa primaria della guerra, una delle principali e più universali modalità del commercio interumano, sui cui si gioca il più grande godimento (piacere mortifero).
Anche dal fronte junghiano, scrigno di inesauribile creatività, ci arrivano letture geniali della guerra. La prima è quella di Hillman, per il quale non esiste una soluzione pratica alla guerra, perché la guerra non è un problema risolvibile con la mente pratica, la quale è più attrezzata per la sua conduzione che per la sua elusione o conclusione. La guerra appartiene alla nostra anima come verità archetipica del cosmo. È un’opera umana e un orrore inumano, e un amore che nessun altro amore è riuscito a vincere.
La seconda è quella di Claudio Risé, secondo cui ciò che viene proiettato sul nemico è l’Ombra della società che, nel caso dell’uomo contemporaneo “buonista” e “matrizzato” della società occidentale, è lo spirito della maschilità, di cui la violenza è il principale attributo, che non sarebbe di per sé patologico e devastante se venisse compreso, accettato e integrato nella personalità cosciente.
La terza lettura è quella di Silvia Montefoschi per la quale la guerra affonda le radici nell’irriducibile opposizione dei diversi, che nell’umano sono rappresentati dai generi maschile e femminile (che si danno anche come archetipi controsessuali all’interno di ciascuno) con compiti però assai diversi nella dinamica evolutiva, per la quale il maschile si è trovato a svolgere un ruolo di primo piano con la conseguenza di portarsi dentro una contraddizione irrisolvibile sul piano materiale. Essendo infatti il suo diverso interno, la capacità ricettiva del soggetto femminile, che l’uomo, identificato soltanto con la funzione penetrativa del fallo non riconosce come valore, il desiderio dell’unione incestuosa tra uomini per fare civiltà si trasforma nella violenza della penetrazione, che si fa sconfitta per chi la subisce e vittoria per chi la mette in atto.
Tutte queste diverse visioni della guerra, non essendo per me in reciproca opposizione, dovranno integrarsi in una visione unitaria, una sintesi che tutte le contenga. Io vedo nella guerra un tentativo strenuo e disperato di rifondazione del mito delle origini, in cui chi nasce porta sempre con sé le stigmate gloriose dell’unicum, in quanto unico beneficiario di quel bene assoluto rappresentato dalla matrice biologico-materiale e spirituale da cui è scaturito: la Madre.
Dato però che questo incommensurabile e incomparabile bene tende a perdere col tempo il valore elettivo e affettivo del principio che lo sostanziava, che di volta in volta può essere identificato con la terra, l’etnia, la razza, l’ideologia, la religione, ecc., ecco che deve essere periodicamente riconquistato per la sicurezza, la stabilità e l’integrità dell’unicum. Visto che il soggetto umano non riesce a concepirsi come un processo di pensiero in perenne divenire, la guerra si presenta pertanto come un male necessario a un bene, che riconferma nella dipendenza del dato d’origine attraverso lo spargimento sacrificale di una sostanza giustappunto originale: il sangue, elemento centrale del simbolico materno.
Dato inoltre che non c’è peggior nemico di sé stessi, ciò che si proietta sul nemico è il proprio stesso sé, in qualità di unicum assoluto, primo aggressore e violentatore di quello stesso bene supremo, anch’esso assoluto, la Madre, da cui dipende la sua sopravvivenza.
Questa sintesi presenta il vantaggio di contemplare armonicamente tutte le precedenti interpretazioni della guerra, potendosi infatti vedere nel nemico su cui si proietta l’onnipotenza dell’unicum, sia il thanatos, sia il terrificante primario, sia l’ombra, sia la stessa civiltà, sia quel terribile amore necrofilico per la madre ad opera del soggetto univoco maschile. La guerra sarebbe in sostanza sempre un fatto edipico, uno scontro cruento e mortale tra padre e figlio o, meglio, tra fratelli – visto che il padre non si sa chi è – per la conquista della Madre, visto che la madre si suppone di sapere chi è, dato che ce n’è una sola!


  Baldo Lami


Baldo Lami - Psicologo e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica e psicosomatica.


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BIBLIOGRAFIA
S. Freud, 1915, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, in Opere, Boringhieri, Torino 1976, vol. VIII.
F. Fornari, Psicanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 1988.
J. Lacan, La psichiatria inglese e la guerra, 1947, in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013.
J. Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano 2005.
S. Montefoschi, Il sistema uomo. Catastrofe e rinnovamento, Raffaello Cortina, Milano 1985.
C. Risé, Psicanalisi della guerra. Individui, culture e nazioni in cerca d’identità, Red, Como 1997.


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