La Riflessione Indice
Il padre di Gesù, il Dio della chiesa cattolica e l'equilibrio esistenziale dell'uomo
Di Aldo Paliaga - Marzo 2017
Chi, cosa, dove è Dio?
La fede in Dio, la fede su chi o cosa sia Dio è solo un'idea imposta, da accettare ciecamente? Dio è stato pensato per riempire un buco affettivo, per creare un protettore o un riferimento assoluto, fondamentale a gestire e a controllare una comunità? E' un oggetto, un essere, un passatempo del filosofo e del teologo che dedicano tempo e impegno a pensare a queste cose? E' il frutto di un'ideologia astratta?
L'idea di Dio è stata verosimilmente introdotta nell'ideologia comunitaria al tempo di costituzione delle prime Comunità umane, tempo in cui l'uomo raccoglitore è divenuto l'uomo coltivatore. Essa è stata presentata come quella di un essere potente e autoritario a fini di controllo sociale, un'entità, capace di suscitare negli uomini soggezione e dipendenza. Era un Dio Totem che esigeva sacrifici di sangue umani. Gli uomini del tempo lo avevano accettato naturalmente, proprio per la loro tendenza e capacità mentale a percepire e accettare l'astratto, l'oggetto senza corpo. Questo Dio potente e astratto che chiedeva sacrifici di sangue umano diventava con ciò un essere onnipotente al quale nessuno avrebbe potuto negare obbedienza, l'obbedienza che sarebbe stata poi gestita da suoi rappresentanti sulla terra. Questa fase della storia ha visto la nascita delle compagini umane strutturate e gestite da un'autorità centrale basata sull'astrazione. Era la nascita delle Religioni che sono state capeggiate da coloro che si sono presentanti e sono stati accettati quali gestori umani di un “potere divino”. E' stato un passo fondamentale nella storia dell'umanità.
L'immagine, l'idea di Dio, essere astratto onnipotente, è centrale nelle Religioni che sono state accettate quali legittime rappresentanti della divinità e con ciò hanno acquisito grande autorità, forza e potere. Facendo di questa divinità un legislatore, esse hanno attribuito a Dio, quali “comandamenti divini”, le disposizioni adeguate alla loro visione del mondo.
Dio, quest'idea astratta assoluta e potente, se pure con volti diversi, è stato al centro della storia di molti popoli, in particolare di quella del mondo ebraico.
Nella lunga storia del nostro pianeta, dopo una saggia fase di politeismo nel quale le multiple Divinità hanno rappresentato simbolicamente altrettanti caratteri della vita, è stato il popolo ebraico a presentare e a riconoscere un Dio unico, sommamente potente; era Jahvè, il Dio protettore e moderatore di quel popolo che ha condotto alla conquista territoriale della Terra Promessa.
In quella stessa Palestina, al tempo dell'occupazione Romana, due millenni fa, è nato Gesù di Nazareth. Egli è stato sensibile alle condizioni critiche di vita e di sofferenza di quel popolo dominato, oppresso, impoverito da rigori economici e da egocentrismi. Spinto da un impegno di correzione, dopo aver raccolto attorno a sé un gruppo di seguaci, egli si è fatto predicatore itinerante ed ha cominciato a sostenere un modo di vita non più egocentrico, ma centrato sull'amore reciproco, sulla comprensione e sull'amore per il prossimo, su una nuova impostazione affettiva della vita personale e sociale che avrebbero reso la vita più equilibrata e vivibile. Egli sentiva la figura di Dio come quella di un Padre, suo e di tutti gli uomini. Questo Dio, da quanto riportano i Vangeli, non aveva peraltro il carattere autoritario e rigoroso del Dio ebraico.
Gesù, nato e cresciuto nel forte e intollerante mondo religioso ebraico gestito con rigore, non era pronto a riconoscere ciecamente le regole religiose vigenti e intransigenti. Egli aveva centrato il suo ideale e il suo insegnamento su una vita da vivere assieme, impastata di amore, di comprensione, di aiuto reciproco, di simpatia e di gioia, pronto alla condivisione, a una vita comune non raramente anche a tavola, pronto a sostenere che Dio era al centro di questa vita e di quanto di gioioso essa poteva avere in sé.
L'immagine di Dio che Gesù ha presentato come “Padre buono” era lontana da quella del Dio ebraico; essa impersonava un modo nuovo di pensare e di vivere la vita, una logica di vita dove non c'era spazio per il potere supremo che governa e domina le masse, ma era una semplice vita di comprensione reciproca. Ciò è stato espresso e raccontato poi nei Vangeli che esplicitano bene questo nuovo senso del pensare, dell'esistere, del rapportarsi tra gli uomini.
Circa la natura del Dio di Gesù, essa è piuttosto evanescente. L'Apostolo Giovanni scriveva infatti che: “Dio nessuno lo ha mai visto, ma il Figlio unigenito ce lo ha raccontato”. Egli affermava anche che, “se gli uomini sono vicini gli uni gli altri, Dio rimane in mezzo a loro”. Aggiungeva infine che “chiunque ama, è stato generato da Dio e conosce Dio”.
Chi o che cosa può essere per noi questo Dio, questo Padre? Un Dio persona o un nuovo concetto del mondo e della vita e soprattutto un nuovo modo di sentire il rapporto con essa, con l'esistere, con il sentire gli altri uomini come fratelli?
Dio è amore e vita; è il “Padre nostro che sei in terra”?
Se Dio è amore, se ci amiamo e ci comprendiamo profondamente gli uni, gli altri,
Dio sarà in noi e solo in questo potremo conoscerlo.
Se accettiamo questa affermazione,
il Dio Pantocrator diventerà evanescente
e potremmo veder cadere molte barriere tra Religioni diverse.
Con la sua predicazione e i suoi atteggiamenti, Gesù si era messo in rotta di collisione con i poteri costituiti, soprattutto con quelli religiosi allora vigenti nel paese. E' stato pertanto fatto morire con ignominia dal potere civile e religioso congiunti. Ciò è avvenuto peraltro dopo che Egli aveva ormai gettato un seme ideale che ha germogliato, ha continuato a vivere e a crescere nel popolo. La sua vita e i suoi principi sono stati consegnati alla storia.
La predicazione di Gesù era basata sulla fiducia in un Dio, Padre di ogni cosa e di ogni essere vivente, peraltro sconosciuto; era basata su un Dio che non punisce, legato all'equilibrio e alla gioia di vivere. Questo concetto è diventato allora per molti il centro di un nuovo modo di sentire la vita, di un nuovo senso dell'esistere; era una concezione nella quale non c'era spazio per dominanza e prevaricazione, ma il senso di una comunione di problemi, della condivisione di una felicità semplice. In questo quadro la centralità dei valori dell'uomo usciva, quanto meno in parte, dai suoi interessi egocentrici; egli poteva diluire le preoccupazioni della vita in una Comunità, imparava ad essere meno preoccupato del futuro: cambiava l'umanità.
Per i concetti di Gesù non c'era bisogno di uomini genuflessi e contriti a battersi il petto per peccati o per la mancata osservanza di qualche legge religiosa; non c'erano uomini intimoriti da pene eterne; non c'era spazio per la mortificazione, ma per il valore dell'amore, della condivisione e dell'aiuto agli ultimi, a chi fosse in difficoltà. Condivisione e aiuto erano la base forte per vivere meglio su questa terra.
Questa nuova visione evangelica consentiva di sentirsi inseriti in qualche modo nel tutto, di sentire Dio come un Padre cui affidarsi, di sentire gli altri uomini come fratelli. Tutto ciò ha disturbato le consuetudini e la dominanza religiosa allora vigenti.
A questo punto, se vogliamo cercare di approfondire il discorso, addentrarci in questi quesiti, è bene che insistiamo a chiederci chi o che cosa sia questo Dio misterioso, questo Padre cristiano.
Il Dio Padre cristiano è un essere indefinito. Di esso non sappiamo dove stia e nemmeno chi sia esattamente. E' Jahvè visto in un'altra prospettiva, un Jahvè adattato alla nuova etica, alle nuove, grandi idee di Gesù? Più che Padre naturale di un Gesù che sarebbe nato attraverso un misterioso meccanismo virginale, tesi sostenuta da Concili ecumenici, questo Dio è forse il simbolo e il centro di quella misteriosa e meravigliosa creatività che vediamo ovunque, diffusa e sparsa nel mondo, creatività che Gesù ha vestito poi di Amore universale. Forse, più che un Dio persona, è vita e creatività che coinvolge l'Universo, è un Dio Panenteistico.
Quel Dio che Gesù chiamava Padre, è Padre di tutti e di ogni cosa? E' un “Dio persona” come tanti altri di quel tempo antico o il “Dio tutto”, il “Dio in terra”, il Dio che permea di sé tutto l'esistente? Tutto ciò non lo possiamo sapere. Forse è solo la personalizzazione idealizzata dell'atteggiamento che Gesù predicava nei riguardi della vita.
Da parte loro gli Evangelisti, che peraltro non sono riusciti a conoscere Gesù di persona, hanno cercato di ricostruire con grande impegno la sua storia e lo hanno fatto tramite il forte, sentito ricordo, tramite la tradizione che hanno trovato in quelle comunità protocristiane che, dopo la morte di Gesù, si erano rapidamente diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo romano.
Quella presentata da Gesù era una potente idea di valore che poteva avere ed ha avuto un grande risvolto positivo di speranza nella vita dell'uomo di quel tempo. Essa ha attivato un nucleo di valore capace di far sentire Gesù figlio e compartecipe di un Dio assoluto e onnipotente, un Dio che qualche secolo dopo ha lasciato una forte impronta nella storia dell'Impero Romano. Tutto ciò è successo quando il Cristianesimo, dopo essere approdato a Roma e a lungo perseguitato, ma poi progressivamente più seguito, ha visto il tempo della progressiva decadenza delle divinità locali, l'invecchiamento dell'Olimpo romano. Il Cristianesimo e la risposta popolare che lo premiava, è diventato allora indispensabile all'Impero in crisi di senescenza. Con ciò Roma si è appropriata di questo Cristianesimo divenuto ormai Religione sentita e forte, centrato da un Dio considerato onnipotente, ormai indispensabile ad un rafforzamento dell'Impero.
E' un fatto che, dopo il Concilio di Nicea (325 d.C.), voluto da Costantino come indispensabile e che ha segnato decisamente questo passaggio critico, il Cristianesimo è divenuto Religione di Stato. Esso ha manifestato allora un progressivo, imprevisto carattere di intolleranza verso i Gentili. E' stata un'intolleranza dura e crudele che arrivava frequentemente alla pena di morte per chi continuasse ad adorare gli Dei pagani; è stato un periodo che a visto distruzioni di templi pagani, roghi di biblioteche (nel 364 il rogo della Biblioteca di Antiochia), torture e uccisioni di Gentili, specie per lapidazione, sottrazione di tesori, esecuzioni capitali di maghi e di indovini. Ha fatto eccezione, tra il 361 e il 363 dC, un breve clima di tolleranza voluto dall'Imperatore Flavio Claudio Giuliano che peraltro è finito assassinato. Nel 388, sotto l'Impero di Teodosio sono stati dichiarati fuorilegge i dibattiti di oggetto religioso e si sono moltiplicate le uccisioni dei Gentili. Del 415 è la barbara uccisione di Hypathia. Il mondo religioso ebraico è stato invece risparmiato.
Quanto sopra dimostra, se ce ne fosse bisogno, la facile evoluzione delle idee forti ma anche della grande idea cristiana, dall'ideale alla dominanza dura, cieca, intransigente.
Durante il lungo periodo romano del Cristianesimo c'è stata un'evidente evoluzione dello spirito cristiano, dei suoi concetti e valori. Essi sono passati dal semplice, chiaro e giovane messaggio di Gesù, al rigore ideologico pronto a colpevolizzare o ad enfatizzare idee e comportamenti. Ciò è certamente e fortemente legato all'influenza del mondo ellenistico, ricco e fertile di idee ibride tra valori, oggetti astratti e reale. Questo mondo intellettuale ha avuto un forte influsso nella creazione di idee astratte che sono divenute oggetti di valore e di culto, di idee meritorie e di idee deteriori. Esse hanno condizionato sentimenti e comportamenti, sensi di colpa che hanno compenetrato l'ideologia cristiana. In questa evoluzione ideologica ciò che Gesù chiamava Padre è divenuto il Dio cristiano, base della Religione Cristiana Cattolica, fondamentale in un Regno pronto a continuare il suo percorso spirituale e materiale fino ai nostri giorni.
Il Dio amore, il Dio meraviglioso, ma evanescente e misterioso, fonte di vita e di bellezza che Gesù chiamava Padre è diventato un Dio Imperatore e giudice severo, pronto alle durezze dell'Impero e poi, dopo molti secoli, un Dio rigoroso e intollerante, base per i roghi dell'Inquisizione. Oggi sta tornando ufficialmente nella Chiesa il Padre Eterno buono, ma tuttavia con il dubbio che, morendo con qualche peccato grave, cosiddetto mortale, si finirà per l'eternità nel fuoco dell'Inferno.
Che non esista Dio è difficilmente sostenibile per la pratica impossibilità di spiegare altrimenti l'immensa meraviglia dell'universo, ma già quella che viviamo nel nostro minuscolo pianeta. Rimane peraltro il problema di definire di che tipo di Dio si tratti e, se vogliamo, dove stia, se sia un Dio ubiquitario.
Ma è proprio vero che Dio è invisibile? Un grande filosofo, Baruch Spinoza, parlava di un “Deus sive natura”, trasformato oggi nel “Dio che sei in terra” (o, più precisamente, “sei nell'Universo”). E' il Dio che si manifesta nella meraviglia della natura e della vita, in infinite forme e manifestazioni. Questo Dio fa parte di una visione del mondo che ha a che fare con la bellezza e l'infinita meraviglia della natura, della vita. E' il vago, grandissimo “tutto” che si manifesta nella sua opera meravigliosa.
Molti hanno però ancora il bisogno di immaginarlo con la corona in testa e lo scettro nella mano a legiferare e a giudicare, circondato da una Corte celeste. E' il classico Dio di riferimento di una Comunità autoritaria e nel particolare trattano Dio, più che con amore, con religioso e rispettoso timore, per evitare problemi ed eventuali punizione nel dopo vita.
Sta a noi il dilemma della scelta tra un Dio Re, legislatore e giudice rigoroso del tipo “come ti muovi, ti fulmino”, pronto a sanzionare con il bilancino ogni comportamento improprio dell'uomo e il Dio infinito, impersonale, che non giudica, ma offre a larghe mani vita e bellezza a tutti. Oggi, per la verità, si comincia a cercare Dio, più che nell'alto dei cieli, qui, sotto i nostri occhi e i nostri sensi, nella vita del tutto e nella stessa nostra vita.
Questo Dio starebbe, vivrebbe la sua vita impersonale, nell'intimo dell'Universo, in una dimensione dove non c'è spazio per ingiustizia, per lo sfruttamento, per la crudeltà, ma solo per l'equilibrio naturale. E' stato l'uomo evoluto di questo nostro piccolo pianeta, l'uomo che un tempo si era dichiarato “opera eletta di Dio”, colui che, dotato di astrazione e, con questa, di un egocentrismo smisurato, si è dato allo sfruttamento di ogni cosa, compresi i simili (vedi le varie forme di schiavitù). Da quando l'uomo ha, alquanto recentemente, acquisito informazioni tecniche sufficienti allo sfruttamento indiscriminato e cieco della natura, egli ha cominciato a compromettere anche questo nostro meraviglioso patrimonio naturale. Colpa di una combinazione maligna di leggi naturali evolutive?
Io penso che questo Dio che cerchiamo di individuare, questo Essere, padre di ogni cosa vivente, immerso nell'Universo, non amministri la giustizia dall'esterno con autonomia decisionale personale, non stabilisca le cose da fare, ma le lasci avvenire, non esaudisca richieste specifiche degli uomini rivolte a Lui ma, se intuito profondamente, possa suscitare nell'uomo la spinta a vivere in modo equilibrato la vita del mondo, con un senso di appartenenza responsabile, permeato dalla sua ineffabile, misteriosa grandezza. Io penso che l'uomo possa acquisire il senso della presenza di questo Dio immerso nella divinità globale dell'Universo e il senso di appartenenza a questo divino.
Più che nel Tempio, egli è in ogni cosa e nella vita. La “conversione dell'uomo” potrebbe consistere allora nella maturazione di una nuova comprensione del mondo e della vita, nel sentirsi dentro a questo “tutto” meraviglioso, nell'abbandonare l'idea che la realizzazione della vita debba passare attraverso mille prestazioni e piccoli o grandi successi personali, con l'acquisizione ingorda di beni, nella prevalenza sugli altri; sarebbe tempo di cominciare a sentirla in modo più semplice, nella felicità dell'esserci, compiaciuti di star passando un giorno nella infinita storia dell'universo nella condizione di esseri vivi e pensanti.
L'uomo ha purtroppo difficoltà a cogliere questo maturo senso della vita e si perde a inseguire mete frammentarie che poi vive con il senso di una futura, ineluttabile perdita; egli riesce per lo più con difficoltà a centrare il pensiero sulla bellezza, sul privilegio di essere qui oggi, se pure temporaneamente, con un “Dio con noi”. Io credo che per lui molto cambierebbe se egli fosse in grado di passare dal bisogno di avere, di possedere e di potere, alla gioia dell'esserci, del comprendere e aiutare chi è in difficoltà, a sentire con piacere il prendersi cura, il migliorare la vita di altri.
Il Vangelo introduce a questi concetti presentando una vita da vivere con i piedi per terra e su questa terra, mettendo l'accento sull'uscire dall'egoismo e dall'isolamento individuale. Gesù ha puntato sul “senso di comunità umana”, sul comprendere e perdonare. Egli ha invitato ad uscire dalla nostra crisalide. Questo atteggiamento può far sentire più vivi, capaci di respirare a pieni polmoni la vita nel mondo che il destino (se vogliamo il caso) ci ha donato. E' allora che l'uomo riuscirà forse a vedere e a vivere in modo nuovo e pieno ciò che è fuori di lui e sentirà vagamente che Dio è anche dentro di lui.
Se il fondamento dei principi di Gesù sta nel “sentire l'altro” e soprattutto l'altro in difficoltà, nel partecipare alla sua vita e ai suoi sentimenti, la Chiesa, basata sul suo messaggio non dovrebbe essere centrata e limitata su un Credo religioso imposto, fatto di rigidi schemi dualistici, su precetti fissi e astratti di fede, allettati da promesse future più che dal valore della vita qui e oggi, in questo mondo meraviglioso che probabilmente cela Dio stesso dentro di sé.
La strada per “fare esperienza di Dio” passa per la capacità ad uscire più e più da noi.
Io penso che questa esperienza di Dio si possa ottenere se c'è la capacità di immergersi nella realtà del mondo attorno a noi, di uscire dall'illusione di esserne al centro, cosa che, tra l'altro, tarperebbe le ali di una curiosa e feconda esplorazione. Ciò si potrebbe ottenere facendo crescere la relazione con l'umanità che sta fuori di noi, sostituendo la competizione con le aperture, con la capacità di guardare la vita con sguardo nuovo, nel sostituire il denaro e l'avere con la dignità, nel recuperare semplicità, nel non farsi bloccare dalle difficoltà, nel sapersi rinnovare.
Fare qualcosa per gli altri non è una perdita, ma attiva umanità ed energia, allarga l'orizzonte, fa uscire da un mondo ottuso e potenzialmente cieco, genera forza positiva: l'esclusivo interesse personale richiude in spazi ristretti.
Vivere e apprezzare il legame con gli altri libera dal soffocante legame con il sè e, in qualche modo, tenta la scoperta di un Dio altrimenti irraggiungibile.
Il classico Dio della Religione è quello che fa leggi, che punisce e perdona attraverso riti e sacramenti, ma non aiuta ad allargare la visuale, ad uscire da sé, non è base fondamentale per capire che tutti sono fratelli e sorelle e, al di sopra di ogni differenza sociale e di idee, tutti vivono una breve vita, in un tutto per gran parte sconosciuto.
Per uscire da sé, per vedere più lontano, per partecipare alla vita del tutto, è fondamentale evitare la via affettiva strettamente personale che non ha grandi orizzonti. E' la via delle aperture, che ci fa vedere lontano; staccati da noi, si aprono le porte che ci fanno entrare nei grandi spazi dove si trova Dio, non il Dio persona della Chiesa tradizionale, soffocato e talora sfruttato a livello di dominanza, oggetto di scena e di pressione psicologica. La vera via passa attraverso l'immagine del Dio Tutto, Dio nell'Universo, Dio nella vita. Tutto ciò non è facile. Abituati, come siamo, a pensare alle cose nello stretto rapporto che possono avere con noi, diventa difficile entrare nel concetto del “tutto”; è più facile e immediato pensare a un Dio individuo, a un grande Imperatore onnipotente e giudice davanti a cui prostrarci.
Ma ecco il dubbio: Con questi pensieri, con queste riflessioni e ragionamenti, con questa impostazione mentale, siamo dentro o fuori dalla nostra Chiesa ufficiale? Lascio il quesito al lettore, ma penso che anche dentro la Chiesa si possano seguire percorsi razionali personali, purché permeati dalla genuina e primaria eredità di Gesù. Penso che ciò passi sopra i supposti obblighi di fede nati dalle deliberazioni dei Concili ecumenici che si sono susseguiti per due millenni. In essi l'umanità religiosa ha introdotto molta politica, inserendo nel genuino messaggio di Gesù concetti utili a blindare la “fede religiosa” per farne strumento forte e fondamentale di autorità terrena.
La straordinaria potenza ideologica dell'idea astratta ha generato il Dio-persona e con esso le Religioni, le Comunità dal credo assoluto. Se il credo non è assoluto, nascono Comunità diverse e non rigorose, come ad esempio quella cristiana originaria.
Gesù è stato messo a morte dalla religione ebraica perché minacciava di corrompere l'idea assoluta del suo Dio e con ciò la stessa Religione di Jahvè. Poi, nel tempo, l'Impero romano, bisognoso di rinnovare i suoi Dei assoluti, ormai decaduti, si è appropriato del fresco e vigoroso Cristianesimo originario che prima aveva perseguitato, ne ha trasformato il credo relativo al prossimo in astratto assoluto: Era rimasta solo formalmente una Religione cristiana: era nata la Religione Cattolica.
Io penso che la fedeltà a Gesù di Nazareth non sta nel blindare l'inquadramento ideologico attuale della Chiesa Cattolica. Gesù ha presentato il suo pensiero, la sua fede, sciolti dai vincoli ideologici della Religione di Jahvè in cui era nato; lo ha fatto al costo della sua vita, sulla croce.
La fedeltà al Dio di Gesù sta in una vita dove l'impegno per il prossimo non è vincolato da rigide regole astratte capaci di tenere assieme una Comunità; altrimenti del Cristianesimo originario rimarrebbe ben poco. Migliore sarebbe, io credo, una “Chiesa non religiosa” e cioè non strettamente vincolata ad un pensiero rigido e prefissato, in qualche modo militare. La Chiesa reale può ben collegare uomini accomunati da un Dio incerto, fondamentalmente sconosciuto, parte di ogni cosa e Padre di tutti. E' il Dio degli uomini impregnati di umanità, di comprensione, di curiosità, di disponibilità all'aiuto reciproco, è il Dio di Gesù e di noi tutti; è il Padre che dobbiamo ancora scoprire completamente.
IL POPOLO DI DIO
Si impone una domanda: “Chi è il popolo di Dio?” Una risposta verosimile è: “Non sono i battezzati o gli affiliati a una qualunque Religione ma tutti i viventi”. Se è così, per quanto riguarda il Cristianesimo, la conclusione è che il Battesimo, più che l'accettazione a chiudersi in una specifica ideologia trinitaria e magari l'inserimento nella schiera militante dei Crociati del pensiero, è la comprensione e l'accettazione del grande, quanto semplice messaggio umano di Gesù, è un atto di amore per un'idea. Per Gandhi il popolo di Dio era la classe degli “intoccabili”, dei più miseri dei miseri, esclusi da tutto. In questo senso temo che la Chiesa escluda una parte importante del popolo di Dio, i non battezzati.
Da un punto di vista psichico le Religioni classiche offrono all'uomo un gruppo, una Comunità di fede, cosa altamente apprezzata dall'uomo che, per sua natura, ha bisogni sociali, ha il bisogno di “sentirsi assieme”, di essere rassicurato da dubbi, da paure, da incertezze. Nella loro Religione gli uomini si sentono aggregati e impegnati, difesi da una Comunità che si presenta forte e peraltro impone valori e principi astratti, leggi religiose, comprensibili o meno, che li condizionano. Essi si sentono protetti, ma sono nel contempo timorosi e influenzati dall'oscura potenza di un mondo astratto che non c'era nella Comunità di Gesù. Come tutte le Religioni, anche quella Cristiana delimita nettamente, se non anche isola, i suoi fedeli dal resto dell'umanità. La fede in Gesù non lo fa.
La Chiesa Cattolica ha il grande merito di aver consentito l'incontro con la “Parola” di Gesù. Peraltro, come altre Religioni, a differenza del mondo ideale di Gesù che non accettava esclusioni, ma vedeva tutti figli di Dio, anch'essa divide e isola il gruppo di “eletti battezzati”. Essa offre, o meglio impone al fedele un mondo spirituale ristretto da precetti e da un'impostazione dualistica che non c'è in Gesù. Essa rappresenta in esclusiva un Dio-persona “onnipotente e buono”, ma molto autoritario e pronto a punire i contravventori delle sue leggi nel fuoco. Mettendo l'accento sulla specificità del Cristiano, la Chiesa Cattolica distingue e separa; è stata capace di organizzare sanguinose Crociate contro gli “infedeli” per liberare il sepolcro di Cristo e di punire con la morte sul rogo coloro che non accettavano i suoi dogmi.
Ciò che potrebbe vivificare oggi una Chiesa Cristiana, pronta a tornare ai semplici principi di Gesù, sarebbe la rinuncia a molti oggetti acquisiti durante il suo lungo percorso ufficiale nel tempo; tra essi la sostanziale anche se dolorosa rinuncia a molti beni terreni, ai fasti, agli ori e agli incensi. Oggi, più che mai, si sente il bisogno di una Chiesa che si rifaccia più direttamente a Cristo, forse con meno giaculatorie, ma aperta con grande semplicità a tutti gli uomini di “buona volontà” del mondo, interpretando in tal modo le parole di Cristo.
L'uomo aspira a una famiglia, ad un gruppo, ad una Comunità, ma troppo spesso la trova ristretta e intrisa di interessi. Sarebbe essenziale che la Chiesa fosse una Comunità di cooperazione, meno religiosa e cioè meno rigorosa, non accentratrice, né ancorata strettamente a rigide specificità e alle tante teorie astratte nate dai Concili che l'hanno fatta diversa dalla genuina, primitiva comunità cristiana. Nei secoli essa ha avuto talora un'evoluzione poco edificante, ha avuto ed ha molti esempi bui. Dovrebbe essere evangelica, semplice, capace di rinunciare al mondo ellenistico che l'ha infarcita di concetti astratti, ad ogni ricchezza dei suoi rappresentanti centrali.
Aldo Paliaga
Aldo Paliaga. Sono nato a Pola (Istria), Medico Chirurgo. Laureato a Pavia. Alcune libere docenze in campo chirurgico. Già alla Clinica Chirurgica dell'Università di Roma e Registrar all'Università di Leeds (GB). Sono stato Primario Chirurgo all'Ospedale Regionale di Ancona. Ora sono pensionato da parecchi anni. Ho scritto "Dietro il sipario dell'Io" (Nel regno dell'astratto e del Sacro).
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