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Le Pulci nell'Orecchio di Riccardo Magnani

Le Pulci nell'Orecchio

Divulgare il metodo scientifico perché ognuno possa giudicare in modo consapevole e autonomo.

Di Riccardo Magnani - indice articoli


Alla ricerca dell'immortalità

Aprile 2020



Vivi come se dovessi morire domani (Ghandi)
Prima o poi l'azzecchi (Woody Allen)


Diciamolo chiaramente: dover morire è una grande scocciatura. Siete tutti d'accordo. Nasciamo con una data di scadenza che non conosciamo ma sappiamo che esiste.  Lungo il corso dell'esistenza questo pensiero fa capolino ogni tanto per ricordarcelo. Prontamente lo accantoniamo perché la sensazione di fastidio che ci procura rovinerebbe il piacere che ci può dare il vivere l'attimo presente. Ma più passano gli anni della nostra vita, più questo tarlo emerge con frequenza e il ricacciarlo nell'inconscio diventa sempre più difficile. Si finisce con l'invidiare gli animali che, per quanto ne sappiamo, non hanno il senso della morte. Loro non hanno mangiato il frutto della conoscenza in quella lontana Valle dell'Eden.  Beata ignoranza si potrebbe dire.
L'approccio alla questione in linea teorica è molto diverso tra un credente e un ateo o un agnostico. Chi crede veramente (e forse non sono moltissimi) sa che oltre a questa lo attende un'altra vita, sicuramente eterna. Si tratta solo di meritarsela. Anche questo è comunque un piccolo tarlo che può disturbare la mente di chi ha una fede. Se invece la tua religione prevede la reincarnazione (Metempsicosi) la morte è solo un passaggio dell'anima da un corpo ad un altro.  Per l'ateo convinto invece dopo la morte non c'è nulla, quindi a parte il trapasso, perché preoccuparsi? Amleto si pone la famosa domanda e la risposta che si dà è:

"Morire, dormire… nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne... Morire, dormire.
Dormire, forse sognare..."


Ma cos'è la morte se non un sonno senza sogni?
Ma dunque è proprio necessario morire?  Tutti gli esseri viventi subiscono questo processo? Sembrerebbe scontato ma non è così.
Prendiamo a un batterio come quello dello yogurt. In condizioni ottimali duplica il proprio DNA e poi si divide in due batteri identici. Questo ogni 30 minuti. La domanda è: il batterio è morto per originare i due "figli" oppure si è solo trasformato in due gemelli suoi cloni? Dopo mille anni ritroverei quel batterio identico (salvo possibili mutazioni casuali nel processo di replicazione del DNA) e sarà sempre LUI. Naturalmente la morte può coglierlo in ogni momento ad esempio passando per il vostro stomaco dove un pH acidissimo lo uccide. Ma noi parliamo di invecchiamento e di morte. Tutto questo non ha senso se parliamo di un batterio. Potete vedere la sua vita come la più breve che ci sia oppure come eterna.
E le piante? Molte specie di piante arboree come le Sequoie, ogni anno rigenerano la parte viva del tronco (Floema) producendo un nuovo anello di crescita che ha sempre l'età di un anno (Ne hanno trovate di 4000 anni senza un segno di senescenza).  Un albero del genere è praticamente immortale nel senso che può crescere all'infinito. La sua parte viva è sempre giovane. Il suo unico limite potrebbe essere quello di non trovare acqua a sufficienza con le radici oppure un incendio della foresta. Fenomeni che non hanno nulla a che fare con l'invecchiamento. E che dire delle fragole? La piantina lancia continuamente nuovi stoloni che le permettono di spostarsi cercando nuovi territori da occupare. È sempre la stessa piantina e se trova terreni per attecchire è praticamente immortale. E le banane? Sono migliaia di anni che non esiste una pianta nata dal seme. Sono tutte talee ovvero riproduzione vegetativa. La medesima pianta di banano moltiplicata per clonazione. Esempi del genere se ne trovano a centinaia in natura. Quindi non si può dare per scontata la morte come esito finale della vita.
Un discorso a parte meritano gli insetti. Questi animali hanno una lunga vita larvale. Quando poi diventano adulti pronti per la riproduzione, si avviano rapidamente alla morte. Il motivo è che possiedono uno scheletro esterno semirigido fatto di chitina. Non contiene cellule come invece per noi l'epidermide, quindi non può rigenerarsi. L'insetto invecchia come invecchia una automobile con l'uso. Gli urti che prende gli ammaccano la carrozzeria finché cade a pezzi e muore in periodi di tempo abbastanza brevi. Un esempio estremo è l'effimera che vive un giorno, e in questo brevissimo periodo depone le uova senza nutrirsi. Nasce senza apparato boccale. La natura va al risparmio. Se una cosa non ti serve non te la do. È il modello della UNIPARITA', ovvero concentrare tutte le energie in un unico atto riproduttivo.
Interessante è il caso dei salmoni. Quelli dell'Oceano Pacifico seguono in modo drammatico questa filosofia riproduttiva. Spinti dai loro ormoni, risalgono i fiumi per arrivare nei luoghi di deposizione delle uova. Le femmine, oltre a non nutrirsi, demoliscono gli organi interni e i muscoli per produrre più uova possibili. Un meccanismo di autodistruzione finalizzato esclusivamente alla massima efficienza nella riproduzione.
Anche i maschi smettono di nutrirsi. Sotto l'effetto degli ormoni la bocca si deforma. In queste condizioni lottano fino alla morte per difendere il territorio, attirare le femmine ed essere quindi i fecondatori delle loro uova. La ricerca della morte in cambio della nuova vita. Il tutto sotto l'occhio attento degli orsi che ne approfittano con un menu all you can eat per quell'unica occasione annuale.
Strategia differente per il Salmone dell'Oceano Atlantico. Riduce l'investimento per la riproduzione consentendo quindi di conservare energie sufficienti per sopravvivere e ritornare all'oceano e ripetere il gesto riproduttivo altre volte. Entrambi i modi di riprodursi hanno successo anche se in ambienti differenti.
Nelle piante la situazione non è differente. C'è chi investe pochissimo in ogni seme, producendone milioni e affidandoli al vento (strategia quantitativa). Altre invece producono pochi semi (strategia qualitativa) ma che inseriti in un frutto gustoso (anche se estremamente dispendioso) hanno la garanzia che verrà mangiato da qualche animale e rilasciato in un terreno "concimato". Lo stesso discorso vale per i gameti, ovvero uova e polline. Si può investire molta energia per produrre un fiore che sia colorato e profumato per attirare l'insetto impollinatore, gratificandolo con del nettare (liquidi zuccherini). Lo sappiamo, nessuno lavora gratis in natura.
In alternativa lasciare che il vento distribuisca il polline casualmente risparmiando sul fiore ma aumentando enormemente le quantità.
Anche parlando di esseri umani, ed in generale per tutti i vertebrati, vale il discorso che la linea germinale, cioè i gameti maschile e femminile (uovo e spermatozoo) costituiscono quella parte di noi che è immortale. Naturalmente questo è vero se riescono a "entrare" in un figlio prima della nostra morte. Quindi esiste un Riccardo mortale che è il nostro corpo, formatosi dalla clonazione dell'uovo fecondato e costituito da cellule "diploidi" ovvero cellule che contengono il patrimonio genetico ricevuto da entrambi i genitori. Poi abbiamo un Riccardo potenzialmente "immortale" che sono i miei spermatozoi. Il filo rosso dell'immortalità è quindi sostenuto dalla sequenza:

 

Alla ricerca dell'immortalità

 

L'individuo mortale ha una vita di decine di anni. I gameti invece vivono poche ore e fungono da ponte tra noi e le generazioni che verranno. Magari questa possibile immortalità della vostra "linea germinale" non vi consola del fatto di essere dentro un corpo mortale, ma le cose stanno così.
Rimane forse un ultimo dubbio. Se la selezione naturale tende ad eliminare tutto ciò che è negativo per la specie o comunque superfluo, perché la nostra morte non è stata eliminata?
La natura ha messo dei paletti anche agli esseri umani. La menopausa è un esempio. L'uomo non produce milioni di figli come il salmone ma in compenso questi figli richiedono molte attenzioni e cure prima di essere autosufficienti. Mettere un limite di età alle gravidanze diventa indispensabile se si vuole avere una aspettativa di vita sufficiente per avviarli ad una vita totalmente autonoma.
Morire di malattie incurabili in giovane età è un evento abbastanza raro perché su di esso agisce la selezione impedendo a quell'individuo di riprodursi e quindi di trasmettere ai posteri la sua "imperfezione genetica". Il vero problema sono le malattie degenerative che intervengono avanti negli anni quando ormai abbiamo trasmesso le nostre caratteristiche genetiche alla prole sfuggendo così alle strette maglie della selezione naturale.
Nel secolo scorso le malattie infettive erano la principale causa di decesso della specie umana (oltre alle guerre). L'utilizzo dei sulfamidici prima e la scoperta degli antibiotici poi, hanno permesso di abbattere drasticamente questo dato almeno per quanto riguarda le infezioni batteriche come la polmonite. Per le infezioni da virus, dove possibile, sono intervenute le vaccinazioni. Qui val la pena di ricordare che l'influenza spagnola del 1919 provocò nel mondo tanti morti come la prima guerra mondiale appena terminata.
Nonostante il problema che l'uso indiscriminato di antibiotici porta alla formazione di ceppi resistenti, è innegabile che questi medicinali abbiano sottratto la specie umana alla mannaia della selezione naturale, consegnando alla vecchiaia una enorme quantità di persone che non ci sarebbero mai arrivate.
Ecco quindi la nuova frontiera: le malattie degenerative. Un problema che non sussisteva quando la morte colpiva in più giovane età. Malattie da invecchiamento dell'apparato circolatorio e nervoso, dall'accumulo di mutazioni del DNA nel corso degli anni, sono in aumento solo perché un maggior numero di persone può accedere a questo allungamento della vita.
Probabilmente nei prossimi decenni le aspettative di vita aumenteranno ulteriormente anche se mai potremo parlare di immortalità per la nostra specie. Il vero problema però sarà come riusciremo a vivere questi anni in più perché vivere non è sinonimo di sopravvivere.

Riccardo Magnani


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