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Quella visione di comodo del bene e del male
di Pietro Mastandrea
Recentemente è stato festeggiato il venticinquennale del pontificato di Giovanni Paolo II, il polacco Karol Wojtyla, un Papa non italiano dopo più di quattro secoli, ed una riflessione tenta di farsi largo con una certa prepotenza fra i miei pensieri. La ricorrenza, è naturale, non poteva che esigere festeggiamenti degni dell’innegabile carisma del personaggio o della rilevanza della Chiesa Cattolica nel mondo e i mass-media si sono prodigati in una maratona mediatica di una settimana per non deludere le aspettative dei milioni di fedeli sparsi nei cinque continenti. Una maratona modello Telethon, o giù di li, per rinfrescare con una pennellata di mediatica bontà la facciata dell’immensa cattedrale sede dalla cattolicità globalizzata. È una fede quella cattolica che richiede pochi sacrifici, tollerante ed elastica. Una fede che si adatta alla modernità e che risponde ad una concezione forse troppo terrena di integrità morale o del vivere virtuoso e, data l’impossibile verifica, mi resta il legittimo dubbio di improbabile rispondenza fra l’umano e il divino sul concetto di santità. Ma non voglio qui evidenziare le lacune del cattolicesimo, ogni religione che brandisce il Sacro Verbo alla stregua di un codice penale ne ha. Anzi, considerando che nel mondo il clero di “Sancte Romanae Ecclesiae” assolve spesso ad una funzione sociale di tutto rispetto e, talvolta, anche ampiamente rispondente ai dettami evangelici e cristiani, seppure grazie unicamente a sporadiche ma autentiche santità terrene come Madre Teresa di Calcutta, colgo doverosamente l’occasione per rimediare almeno alle pendenze sanabili dando a Cesare quel che è di Cesare, visto che non è aria di dare il dovuto anche a Dio. Ciò che mi preme però, è analizzare in modo realistico l’operato di questo pontificato, tra i più lunghi nella storia della Chiesa, che proprio per questo ha influito non poco sulle sorti del mondo.
È importante rilevare che Karol Wojtyla è approdato al soglio di Pietro il 16 ottobre 1978, nell’ultimo periodo della guerra fredda, quando il blocco orientale già cominciava a vacillare scosso con una certa energia da Solidarnosc e dai moti di Danzica. Serviva dunque una spallata, ed il nuovo Pontefice non ha esitato a darla con tutto il vigore di una maturità fisica ancora integra. Ma, tornando all’analisi, mi chiedo: l’ascesa di un polacco al Seggio Pontificio fu designazione politica della Diplomazia Vaticana perché i tempi erano maturi, o ingerenza divina per rivelare agli uomini una possibile santità altrimenti destinata all’anonimato ? Questo interrogativo apparentemente ironico e irriverente nei confronti del cattolicesimo, trova la sua legittimazione in una enfatica, autorevole e perentoria affermazione di Don Baget Bozzo al congresso Socialista del 1984; affermazione rispolverata vent’anni più tardi, in occasione dei festeggiamenti per il decennale di Forza Italia il 26 gennaio di quest’anno. Nel 1984 Prete Gianni tuonava : “La politica del PSI, la libertà socialista, ha per se il presente, ha per se il futuro, ha per se l'eterno!", e nel 2004 (rimediando alla lacuna ideologica di un partito nato dieci anni fa in fretta e furia per arginare l’aggressione comunista al vuoto di potere originato dal dissolvimento della DC) di nuovo ringhia il vecchio monito adattandolo (rielaborato) all’occasione :"Forza Italia non ha un'ideologia, ma ha un ideale: la libertà. E la libertà ha per sé non soltanto il futuro, ma l'eterno». Poi Don Baget Bozzo si spinge oltre e, rampognando la sede centrale del cattolicesimo che “… stranamente, contro i suoi principi, non crede che lo Spirito Santo agisca anche sui laici e sugli eventi temporali”, evoca un “approccio laico-religioso” di Forza Italia alla politica e (nientemeno) classifica come “figura semireligiosa” qualche suo gelatinoso esponente. Sull’azzardato mix di sacro e profano predicato da Don Bozzo (da quanto mi riesce di ricordare ma potrebbe anche sfuggirmi qualcosa) non ci fu esplicita condanna del Vaticano, ma io che sono un laico convinto (non ateo) e non possiedo le certezze di Don Gianni, escludendo l’ingerenza divina sulle meschinità terrene nella personale convinzione che il giorno in cui il trascendente deciderà di interferire nella miseranda condizione di una umanità putrescente sarà solo per annientarla definitivamente (se nel frattempo non c’è riuscita da sola grazie agli sforzi di chi regge le redini del potere, arbitro indiscusso delle sorti del mondo), direi che la determinazione di una diplomatica volontà terrena, seppur di origine pontificia, è più rispondente alle esigenze di storiche verità. La stessa “casualità” che ha decretato un pontefice dalla provenienza etnica e geografica di Solidarnosc ne è una conferma. Appena eletto infatti, Giovanni Paolo II si è messo subito all’opera sorretto da fede incrollabile, soprattutto nella Madre Celeste che si vocifera abbia predetto a Fatima il crollo comunista con oltre 70 anni di anticipo. Una profezia fortunatamente avveratasi senza alcun rimpianto per un regime la cui degenerazione, frutto del culto della personalità di un folle e del consolidamento di un potere fondato sull’uso dei gulag, è stato tra i più spietati; un regime le cui nefandezze non sono state seconde a quelle del nazismo; a conferma di un postulato che vuole la ferocia umana quale variabile dipendente (e direttamente proporzionale) del potere; usurpato o affidato che sia, il risultato ai fini pratici non cambia anche se può differire il tempo di degenerazione. Qualche rimpianto invece per quella ideologia Marxista tradita che, “a lume di naso”, è assai più rispondente del capitalismo ai precetti cristiani, Eppure proprio la Chiesa Cattolica, la succursale terrena del Ministero di Cristo, ha demonizzato quella ideologia a tal punto da far degenerare in livore , in odio così profondo il contrasto fra ideologia e religione, che solo l’annientamento dell’una o dell’altra poteva porvi fine. Gli insegnamenti cristiani avrebbero dovuto suggerire l’apostolato, l’evangelizzazione, non la degenerazione della conflittualità ideologico-religiosa in scontro politico sfociato poi nell’odio più profondo. Ma tant’è ! L’alterno andamento che caratterizza l’eterna lotta fra il bene e il male, con la caduta del muro di Berlino nel ’91, se la memoria non m’inganna, ha infine decretato la sconfitta di “Satana”. La testa del drago comunista è stata schiacciata. Il demone rosso armato di falce e martello si è dissolto col suo inno e l’est è stato redento dopo quasi ottant’anni.
Il problema è che i conti non mi tornano. C’è qualcosa che non quadra. Eh già, perché nei paesi liberati dal demone comunista il divario fra i pochi ricchi e i molti poveri, è cresciuto. La ricca nomenklatura di ieri si è riciclata nella ricchissima borghesia d’oggi e il popolo (sempre quello) arranca nella miseria più di prima. I nuovi capitalisti o imprenditori che dir si voglia, trasformando con maestria altrettanto camaleontica un potere liberticida in potere economico, continuano ad esercitare una tirannia giustificata dalla legge del profitto, dunque certamente meno visibile, meno appariscente, ma non per questo meno spietata. L’annientamento del male assoluto dunque non ha migliorato l’umanità, non ha portato pace fra i popoli, non ha sostituito l’odio con l’ amore, non ha promosso solidarietà, né vera libertà, né fratellanza né tanto meno uguaglianza, neppure in quei paesi dove il male regnava incontrastato. Mi sorge allora il sospetto che il Maligno non era insediato solo ad est; magari per godersi lo spettacolo dell’aurora prima degli altri. E forse il male non è poi classificabile con tanta imprudente superficialità. Forse un imperdonabile equivoco ha condizionato quasi un secolo di storia dell’umanità ed un’incauta affermazione di Marx, probabilmente poco meditata nella forma e nell’esposizione prima di metter nero su bianco, è stata la causa di un odio tra i popoli lungi dal sopirsi, e di sanguinosi conflitti che forse non finiranno mai. La causa scatenante, il movente dei maggiori contrasti dell’ultimo secolo, potrebbe risiedere in quella piccola affermazione di Marx (all’apparenza trascurabile per sinteticità) che sentenzia: “le religioni sono l’oppio dei popoli”. Certo, avendo usato il plurale onestamente mi stupisce come mai non tutte le religioni se la siano legata al dito come il cattolicesimo. Non mi risulta che Cristo fosse stato più vendicativo di Maometto anzi, di entrambi mi risulta esattamente l’opposto, entrambi hanno predicato pace e fratellanza, non odio e rancore. Dunque mi chiedo: “Col senno di poi e alla luce degli eventi che hanno seguito la resa incondizionata del demone comunista, valutando le conseguenze a livello mondiale dell’attuale fanatismo religioso che impone ai musulmani un martirio mai preteso da Allah, valutando le conseguenze di quell’estremismo che porta ad affrontare la morte col sorriso sulle labbra pur di annientare il maggior numero possibile di “infedeli”, se la sentirebbe Papa Wojtyla di negare che la religione in questi casi ha gli effetti di un oppiaceo, anzi di eroina purissima? E la storia del cattolicesimo dei secoli bui non è forse intrisa dello stesso fanatismo? Se almeno Marx, data la delicatezza dell’argomento, avesse usato più tatto nel metterci in guardia, eventualmente adottando una forma meno tassativa, meno perentoria e più diplomaticamente dubitativa, se solo fosse stato possibilista, magari scrivendo “le religioni possono diventare l’oppio dei popoli”, forse l’umanità si sarebbe risparmiata le vittime di ottant’anni di incomprensioni, di contrasti e di stermini. E chissà, forse anche nell’odio che ottenebra le menti, in quell’allarmante sonno della ragione urlato da Goya, forse avrebbero meno senso fanatismi, estremismi e Jihad.
È proprio vero, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.
Pietro Mastandrea - Roma
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