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Il bene moneta

di Gianfranco Venturi

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Il termine “bene” applicato ad oggetti di valore indica chiaramente come essi siano stati storicamente considerati una comodità con esternalità positive (effetti positivi). Tra questi beni, ve ne sono di necessari e di superflui. E tra i necessari, si distinguono quelli necessari al corpo fisico (es. cibo) e quelli necessari al corpo sociale (es. abitazioni, utensili). Ma in una società con frequenti scambi di beni e servizi (come la nostra società moderna) esiste un bene che più di tutti risulta essere necessario non solo al corpo sociale ma anche al corpo fisico: il bene moneta.

Tale bene infatti è il “mezzo” utilizzato nelle società moderne per raggiungere il “fine” dello scambio. Scambio che, in una società che riconosce la proprietà privata, diviene necessario non solo per il funzionamento del corpo sociale ma anche per la sopravvivenza del corpo fisico stesso (sempre che si rispetti la proprietà privata altrui).

Si comprende quindi come un mezzo (al fine) dello scambio diventi necessario nelle società moderne.

Ma, come in ogni situazione umana, si pone il problema del potere: chi decide?

In questo caso, la decisione riguarda la produzione del bene mezzo di scambio, cioè del bene moneta, e la conseguente proprietà dello stesso bene prodotto.

Il bene moneta, nato storicamente come bene privato di valore elevato (valore sociale/convenzione “reale”/uso o consuetudine/legge derivante da uso o consuetudine; si pensi ad esempio all’oro) con la sua utilizzazione come unico bene di scambio legale (valore sociale qualsiasi, anche nullo, ma con valore legale/convenzione “astratta”/legge non derivante da uso o consuetudine) è divenuto un bene pubblico.

La tradizionale divisione sull’origine del valore della moneta tra “monetarism” (secondo cui il valore della moneta deriva dal valore intrinseco del bene) e “chartalism” (secondo cui il valore della moneta deriva dall’imposizione dell’autorità) è quantomeno quindi antistorica: si tratta infatti di due diverse fasi storiche dello sviluppo del concetto di moneta, e non di due teorie in contrasto tra loro. Tali due scuole di pensiero corrispondono rispettivamente ad un considerare l’origine del bene moneta come bene privato (monetarism) o come bene pubblico (chartalism). La realtà storica mostra che, sebbene la moneta sia nata (analisi temporale) come bene privato, l’origine (fonte) del suo valore (analisi atemporale) è multipla: può derivare dal suo valore intrinseco così come da un’imposizione autoritaria.

Fino al 1971 le banconote (es: il dollaro) erano garantite dalla riserva aurea che ogni banca centrale possedeva. Da allora, con l’abolizione della riserva aurea, le banconote emesse dalle banche centrali non sono più garantite dall’oro.

Confusione sulla questione monetaria è spesso generata anche dalle funzioni che si attribuiscono solitamente alla stessa: unità di conto, mezzo di scambio e riserva di valore.

Come visto sopra, la moneta è un bene, un oggetto di valore. E solo una cosa reale, sensoriale può essere oggetto di valore, cioè di misurazione. Misura e valore sono infatti sinonimi: non vi è misura se non per misurare il valore (quantitativo o qualitativo) di qualcosa ed allo stesso modo non vi è valore se esso non può essere misurato, altrimenti non vi sarebbe comparabilità (qualitativa o quantitativa). Valorizzare e misurare significano cioè “creare una comparabilità tra essenze definite”. Non ogni cosa può essere comparata con le altre, e quindi non ogni cosa può fungere da bene moneta. In particolare, solo una cosa sensorialmente reale può essere comparata con tutte le altre, dato che il concetto di comparazione presuppone la reale finitezza degli oggetti comparati: non è possibile comparare ciò che non ha un limite. E la limitatezza è un concetto esclusivamente reale (l’immaginario è invece per definizione immaginato e non corrispondente al reale: esso è non conosciuto sensorialmente, ed essendo non conosciuto (definito) è anche di conseguenza non comparabile).

Il bene moneta può quindi essere solo un oggetto reale. La funzione di mezzo di scambio presuppone la finitezza reale dell’oggetto, così come la funzione di riserva di valore. Non è così invece per la funzione di unità di conto, cioè di misura del valore.

 

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