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Figli senza padri, padri dei propri padri, uomini senza patria

di Rita Farneti
Marzo 2017

 

 

Nel testo di Massimo Recalcati sul complesso di Telemaco l’autore sottolinea la differenza fra Edipo e Telemaco: se Edipo viveva il padre come rivale, per Telemaco il padre rappresenta un augurio e la speranza di una giustizia giusta.
Rappresenta la possibilità di investire in un oggetto interno buono a fronte di tanto male che allaga il suo presente.
I Proci hanno occupato la sua casa, godono delle sue proprietà, insidiano la madre Penelope.
In Telemaco la speranza di rivedere un padre per tanto tempo lontano si esprime nell’agognare un futuro vivibile di cui può (ancora) aver possesso.
Non cede nel presente, pur problematico, alla trappola dello scoramento.
Per dirla con P. Trabucchi è resiliente.
La sua domanda di padre chiama in causa una verità declinabile solo alla presenza di un testimone coerente.
Recalcati parla di un padre umano fra gli umani, non più padre padrone avviluppato nel desiderio di esercitare solo potere e disciplina. Dunque una figura genitoriale in grado di dare senso alla vita del figlio attraverso la testimonianza   dell’attraversare la parabola della vita con passione e senso di responsabilità.
Un genitore assolutamente in grado di dimostrare che la vita può essere dotata di senso: possibile, dunque ,la trasmissione dell’eredità simbolica più significativa, quella della vivibilità della stessa esistenza.
In ognuno di noi, forse, può c’è un po’ Telemaco.
Se nel complesso di Edipo si colloca il riconoscimento del padre come ostacolo (necessario), e sovente la relazione padre-figlio fermenta di prepotenza e prevaricazione, incistandosi talvolta anche in un antagonismo mortale, nella figura di Telemaco si appalesa la condizione psicologica di un figlio che tiene lo sguardo aperto sul mare(1).
E’ in attesa del ritorno del padre: esprime cioè una radicale invocazione del Padre, che sgorga dalla presa di coscienza che senza legge non c’è senso, non c’è felicità(2).
La relazione fra Telemaco ed Ulisse mette sulla strada di una vita sostanziata dall’incontro, simbolico e reale, col limite, illuminata dal riverbero della consapevolezza che il porre confini non obbedisce a mere finalità mortificatorie ma, piuttosto, al farsi guida sapiente del gioco del desiderio(3).
Un padre, adulto e figura significativa in grado di passare eredità, è in grado di conquistarsi ri-conoscimento non per il nome che porta ma per le azioni che compie, mentore ed al tempo stesso fecondo nel dimostrare che un legame tra legge e desiderio esalta dell’esperienza del vivere la sua qualità più essenziale.
Nelle nuove generazioni la trasgressione sembra avere come base d’appoggio un’inquietante solitudine.
Ci sono relazioni padre-figlio che appaiono confermare il conflitto come il carburante più efficace. Il conflitto espresso nel perverso, manifesto od anche manipolatorio attacco all’io sottolinea la consistenza di ruoli assimilati a contenitori privi di contenuto e diventa lo specchio di una delusione distruttiva.
Fotografa una coppia reciprocamente e tenacemente screditata e screditante.
Come affermava John Donne nessun uomo è un’ isola: la solitudine nel presente di ognuno cattura luce da un’ombra opaca e sconfortante, il dover confessare di essere (appena) compagno di sé nell’esperienza del vivere.
Al viaggio in luoghi diversi fa da contraltare l’insediarsi in luoghi dell’anima problematici per ferite generate dalla difficoltà del rapporto con l’altro e da interazioni in bilico fra il passato ed un presente che stenta a dirsi al futuro.
E’ in gioco, afferma Methnani, la ridefinizione dell’identità, un cammino interiore, per vincere, ove possibile, mortificanti pregiudizi, per combattere marmoree diffidenze, per superare consolidati stereotipi.
Colui che s’ insedia, come colui che s’appresta a partire, diventa prigioniero dell’attesa e vive un presente non ancora calato nel futuro.
Il domani s’intravede attraverso la nebbia di identità surrettizie, scandite dallo sforzo di adattamento: per orientarsi in un paesaggio percepito disforico(4), regolamentato in spazi urbani troppo o per nulla ampi, più spesso sentiti come labirinti tenaci nel creare inquietudine, occorre cercare un luogo che non obbedisca a Kronos(5), ma accolga la potenziale opportunità nel Kairos(6).
Perché straniero nel fondo rimane colui che non può più partire, ma può solo fuggire, fuggire altrove(7).
L’immagine del clandestino diventa allora un paludamento mentale nel quale risulta difficile affermare il diritto a piaceri  e desideri, coltivando la speranza di poter guardare a se stesso come ancora se stesso.
E’ la condizione esistenziale di colui che prende luogo in una comunità diversa da quella di origine, alla quale sente ancora di appartenere(8).
La nostalgia cementa il senso di precarietà del ritorno, miraggio di un’autorappresentazione appena consolatoria(9), equivoco in bilico tra oggettività e soggettività(10).
Permangono dolore e pena provocate dalla lontananza dalla propria terra, intristite giorno dopo giorno dal senso di estraneità e solitudine. Il desiderio di ritorno, secondo Levi- Strauss, altro non è che un eccesso di comunicazione con la propria identità (11), pungolato da un’amarissima lontananza.
D’ora in poi, mi dico , meglio non mangiare il cibo cui sono stato abituato : alla fine ti lascia solo il sapore di ciò che non sei più(12).

 

Rita Farneti

 

Figli senza padri, padri dei propri padri, uomini senza patria

 

Bibliografia

1) 2) 3) M. Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano, 2013;
4) 7) 8) 9) 10) 11) 12) A. Luzi, Migrazione e identità: Immigrato di Salah Methnani, www.disp.let.uniroma1.it;
5) Cronos: tempo in senso generale in F. Rocci, Dizionario greco italiano;
6) Kairos: il tempo giusto, la buona occasione in F. Rocci, Dizionario greco italiano.

 

In sintesi - Rita Farneti, psicologa e psicoterapeuta, vive a Ravenna. Già consulente del Centro per lo Studio della Fisiopatologia del Climaterio e della Postmenopausa del Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna (1986-1992), collaboratrice esterna Dipartimento di Scienze dell’Educazione Università degli Studi di Padova Facoltà di Psicologia (1995-2003), giudice non togato al Tribunale di Sorveglianza di Bologna (1999-2000), ha partecipato nel gruppo di lavoro dell’Ordine degli Psicologi della Toscana alla stesura del Documento programmatico RSA (2009-2010). Docente e formatore degli operatori  sulla relazione di aiuto (anziani, migrantes, malati oncologici) per Enti ed associazioni del territorio ravennate, è autrice di pubblicazioni nazionali ed internazionali. Redattrice di Geragogia.net (1998-2011), dal 2013 al 2015 ha collaborato con l’Università Popolare di Firenze e con il C.S.C.P di Firenze. Dal 2015  collabora come redattrice e conferenziera con il Garden Club di Ravenna ed è consulente  per enti Istituzionali sull’identità di genere femminile.


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