Lettere Online Indice
- Raccolta di lettere inviate dai visitatori
Massimo Livi Bacci, Amazzonia - L'Impero dell'acqua (1500-1800)
Editore: Il Mulino, 2012
di Roberto Taioli
Ottobre 2017
PROLOGO
- L’autore chiarisce ciò che intende trattare nel libro elencando i vari personaggi che si avventurarono in Amazzonia alla ricerca della terra di Eldorado come Candide di Voltaire nel romanzo omonimo. Pinzòn pilota di Cristoforo Colombo, Orellana e il suo scrivano frate Carvajal, Pedro de Ursùa, Lope de Aguirre, La Condomine (amico di Voltaire), uomo di scienza attento a classificare e misurare le caratteristiche del territorio.
- Si mette in evidenza la fragilità del mondo amazzonico liquido ed articolato in molte etnie e la compattezza, durezza e spietatezza dell’intrusione spagnola e portoghese abituata a fare la guerra e determinata a saccheggiare e razziare il territorio
- Mediatori deboli tra gli invasori e gli invasi furono gli ordini religiosi, in particolar modo i Gesuiti, che di fatto sostennero gli invasori europei col proposito dell’evangelizzazione delle popolazioni indigene
- L’arco di indagine dell’autore abbraccia tre secoli, dal primo avvistamento della costa brasiliana alla fine del Settecento quando i gesuiti vennero espulsi alle posizioni di governo sostituite dalle autorità civili omologando i tratti di quelle popolazioni ai modelli culturali imposti dagli iberici
CAP. I
- Gennaio 1500: VICENTE YANEZ PINZON “l’uomo più capace che c’era tra i piloti del Re di quei tempi” – cit. p. 17, al comando della Nina e che aveva accompagnato Cristoforo Colombo nel primo viaggio otto anni prima, avvistò l’esistenza del Grande Fiume (Rio delle Amazzoni) pur non consapevole di tale scoperta. Pinzòn nel 1499 aveva infatti ottenuto la licenza per l’esplorazione di nuove terre, purché non fossero quelle già toccate da Colombo.
- La spedizione era stata allestita nell’aprile del 1500 da Pedro Alvares Cabral che approdò in Brasile. Sbarco e tentativo di fraternizzazione con gli indigeni con iniziale scambio di doni, fallito con l’uccisione di otto spagnoli (testimonianza del cronista umanista di corte Pietro Martire di Anghiera) ( cit, p. 16). -
- DIEGO DE LEPE, parente del Pinzòn, ritentò l’impresa traversando lo stesso estuario, entrò in conflitto con gli indigeni, subì’ gravi perdite, ma riusci a catturare molti indios che riportò in Spagna. Il fiume venne chiamato Rio de Santa del mar Dulce, per le caratteristiche dell’acqua solo in parte salata vista la vicinanza al mare.
- Caratteristiche della popolazione indigena: testimonianza la famosa lettera al re scritta dal suo scrivano Pero Vaz de Caminha: “ Loro non coltivano terra né allevano animali, Né ci soni qui bue, né vacca, né pecora, né gallina, né qualsiasi altro animale che sia abituato al vivere degli uomini. Non mangiano altro che di questi tuberi, che qui abbondano, e questi semi e frutti che la terra e gli alberi producono spontaneamente. E con questo cibo sono tanto forti e ben nutriti, quanto lo siamo noi con tutto il grano e i legumi che mangiamo” cit. p. 17)
- I portoghesi concentrarono la loro azione sulla regione più orientale della costa brasiliana, più vicina all’Europa, ricca di legno pregiato di cui c’era forte richiesta
- Nel 1502 e 1503 i portoghesi allestirono due spedizioni (nella seconda era presente Amerigo Vespucci) ritornando in patria carichi di schiavi e di alberi. Veniva utilizzato il sistema delle feitorìas (fondaci e depositi commerciali portoghesi sulle coste brasiliane) sulle coste ove veniva ammassato tutto il materiale destinato ad essere imbarcato sulle navi. Tal sistema non era però possibile attuare nella costa a nord dell’estuario Grande Fiume con bassi fondali, lagune e difficili approdi. Del resto ciò non era possibile per i portoghesi anche per un altro motivo di ordine politico poiché il Trattato di Tordesillas (1494) delimitava nettamente le zona di influenza di Spagna e Portogallo assegnando ai portoghesi solo lo sfruttamento della parte orientale del Brasile.
-- Caratteristiche dell’esplorazione del Grande Fiume. NON avverrà dall’Atlantico risalendo l’estuario ma dalle SORGENTI valicando la catena delle Ande. La prima descrizione del fiume viene attribuita a due cronisti della seconda spedizione, Pedro de Ursùa e Lope del Aguirre : “ Assieme, questi questi tre fiumi tanto poderosi ( lo Huallaga, il Maranon e l’Ucayali) con molti altri minori e torrenti e lagune delle quali non ho il conto, ne formano uno a valle che non credo che nel mondo ce ne sia uno somigliante” – cit. p. 19.
-- L’insieme di questi fiumi ricchi di acque scendevano tutti verso il mare del Nord ossia l’Atlantico, un mare la cui costa americana era già stata comunque esplorata. Ma non si sapeva per quali percorsi. Ancora nel 1500 il gesuita Josè de Acosta che aveva ampiamente percorso il Perù scriveva che Rio delle Amazzoni “corre dalle montagne del Perù, dalle quali raccoglie immensità di acque delle piogge e dei fiumi … esce finalmente nell’oceano e vi sbocca di fronte alle isole La Margarita e Trinidad”, confondendolo con l’Orinoco (cit. p. 19).
-- La storia delle Conquista
-- Francisco Pizzarro aveva sottomesso un impero civilizzato e strutturato affacciato sull’immensità amazzonica. La proiezione spagnola oltre le Ande avvenne in tempi piuttosto rapidi e si presentò come un cuneo inarrestabile nella compatta società peruviana. La velocità della Conquista, nonostante il nanismo fisico dei paesi colonizzatori rispetto ad un territorio così ampio, è dovuta essenzialmente alla diversità di sviluppo delle due realtà geografiche; gli iberici e i portoghesi disponevano infatti di una consolidata esperienza politica, organizzativa e militare e di un potenziale tecnologico allora all’avanguardia sconosciuto alle popolazioni sud- americane: vela, bussola, ruota, acciaio, polvere da sparo determinavano un divario incolmabile.
-- Quindi il contatto te europei e americani si consumò in un lasso di tempo rapidissimo nei tempi della storia. Praticamente un continente venne assoggettato in un trentennio al termine del quale si calcola che oltre 100 mila fossero gli iberici sparsi in tutta l’America. Già nel 1537, cinque anni prima dell’arrivo di Pizzarro in Perù, l’impero era ormai definitivamente caduto in mani spagnole.
-Importanza strategica dell’oro
Nella prima fase della Conquista l’oro ebbe un ruolo fondamentale, anche se la sua ricerca richiedeva alti costi in manodopera e richiedeva l’impiego di servi e schiavi spesso soggetti a per malnutrizione, malattie, epidemie e tentativi di fuga da disumane condizioni di lavoro. Il declino della popolazione autoctona addetta all’estrazione dell’oro determinò alla lunga anche un calo dei quantitativi di oro che dalle zone aurifere arrivava alla Casa de Contrataciòn di Siviglia; il calo era circa di mille chilogrammi l’anno tra il 1511 e il 1520 e meno di 500 nel decennio successivo..
Negli anni trenta invece i quantitativi d’oro ricominciarono ad aumentare in seguito alla pianificata depredazione dell’oro tesaurizzato dagli Inca per fini religiosi votivi consistente in monili, oggetti votivi, arredi, sculture e perfino tegole e coperture dorate di edifici.
-- La spedizione di GONZALO JIMENEZ DE QUESADA.
--Intorno al 1536 Quesada con 800 uomini si diresse verso sud risalendo il Rio grande..
La spedizione andò incontro ad un clamoroso insuccesso; il gruppo fu decimato dal clima torrido, dagli attacchi degli indios, da malattie ed incidenti lungo il percorso. Quando Quesada riusci ad arrivare nella sabana (territorio pianeggiante privo di vegetazione) di Bogotà trovò il luogo prospero e ricco di sale che veniva scambiato con oro con le popolazioni vicine . L’esplorazione di Quesada portò alla scoperta di una miniera di smeraldi ed anche la presenza di oro. E Cieza de Leòn che aveva percorso quella regione in lungo e in largo scrisse: “Se ci fosse chi lo estraesse, c’è oro ed argento da estrarre per sempre; perché nelle montagne, nelle pianure e nei fiumi, ovunque si scavi e cerchi si troiveranno oro ed argento”- cit. p. 24. –
Ma c’era per gli spagnoli un sistema molto più rapido per procurarsi dei preziosi: la depredazione o il riscatto dei beni tasaurizzati dalla popolazione da parte di Quesada e dei suoi uomini.
-- La leggenda di Eldorado
Dopo la spedizione di Quesada che rientrò in Spagna, dopo pochde settimane due altre spedizioni si avventurarono nella zona:
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La prima guidata dal tedesco Nicolaus Federman, spregiudicato banchiere in contatto con Carlo V
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La seconda guidata da Sebastian de Benàlcazar, , uno dei più fidati uomini di Pizarro. Proprio all’interno di questa spedizione girava tra gli uomini la storia di Eldorado, che ben presto fu conosciuta anche da Quesada e Federman che ben presto si tramutò in una psicosi collettiva.
La struttura del mito
-- La posizione geografica in cui il mito di Eldorado aveva preso piede si situava nel territorio dei Chibcas, popolazione indigena , insediata nella cordigliera della Cundinamarca (oggi Colombia), dedita a pratiche votive.
La versione classica del mito racconta che il cacico di Guatavita si recasse alla laguna accompagnato da un corteo; veniva spalmato di uno speciale unguento e spolverato di polvere d’oro soffiato da alcune cannule, risplendeva d’oro. Saliva poi su una imbarcazione con alcuni sacerdoti e un carico di gioie; quattro rematori lo conducevano in mezzo al lago e lì si tuffava in acqua riemergendo alla superficie deterso e lavato, Successivamente l’imbarcazione veniva affondata insieme alle gioie. Il riturale, cosi codificato, veniva ripetuto periodicamente.
Il cronista Oviedo, uomo di mondo e smaliziato, pare un po’scettico sulla cerimonia del mito e nella sua testimonianza (p. 26) parlando del diritto di scopa, ovvero il ricco privilegio concesso dal re di appropriarsi dei residui o limature d’oro, nei locali ove si fondeva l’oro o si batteva moneta.
Il mito di Eldorado venne sfruttato dai conquistatori per allestire nuove spedizioni che si avvalevano delle credenze popolari degli indigeni per penetrare con l’appoggio di essi regioni impervie, esplorare le Ande e le selve e le coste. Gli indigeni assecondavano tali spedizioni anche con l’intento di spostare sempre più in là la ricerca della mitica terra sviando così le pretese degli esploratori.
Ma il mito incuriosiva ed attraeva anche gli europei che pur disponevano di conoscenze scientifiche moto più raffinate delle popolazioni indigene.
Nel 1799 il naturalista tedesco Alexander von Humboldt durante una spedizione credette di localizzare la regione di Eldorado ma senza evidenza scientifica. In realtà durante il Cinquecento la localizzazione del sito immaginario si spostò gradualmente dalla cordigliera colombiana all’attuale confine tra Brasile e Guyana, restando sostanzialmente indefinibile e indeterminabile.
Esso agì comunque come potente fattore propulsivo nello spingere uomini ed avventurieri nella regione sudamericana alla sua ricerca. Alla fine si consolidò nelle convinzioni degli esploratori che era inutile cercare Eldorado.
-Svanito nel tempo il mito di Eldorado, esistevano però ancora molte zone aurifere da essere sfruttate, per cui non mancarono altre spedizioni anche per la cattura degli schiavi, e per il reperimento di altre allettanti risorse quali la cannella e il cotone. Ciò nonostante un decreto reale del 1550 (la cèdula) che vietava la licenza delle licenze di esplorazione forse anche per evitare ulteriore dissanguamento delle risorse umane del paese dopo un quarto di secolo di conflitti.
-- Altra attività degli spagnoli nei territori conquistati fu la fondazione di città (Zamorra, Valladolid, Santiago de las Montanas, Baeza, Avila, Logrono, Sevilla de Oro ). L’edificazione delle città fu però una impresa disastrosa per le popolazioni locali asservite e sfruttate per la costruzione dei luoghi. Molte rivolte scoppiarono tra cui una particolarmente violenta che nel 1578 provocò la distruzione di Avila ove furono trucidati uomini, donne e bambini, saccheggiati case e fabbricati, incendiata la ciesa
- Le citta del resto erano modesti agglomerati instabili e gli scarsi ritorni economici determinarono la loro decadenza. Lo spopolamento degli indigeni fu inarrestabile e i conflitti tra gli spagnoli e gli indigeni, fra la società andina e quella amazzonica si tradussero in frattura e separatezza.
- Rapido spopolamento del Governatorato dei Quijos
-- Abitato da una etnia, i Quijos, abitarono le città di Archidona e Baeza. Ma la loro permanenza fu effimera. A dieci anni dalla fondazione delle città si contavano 6.800 indios tributari, ma nel 1608 essi erano scesi a 2.300.
- Documenti preziosi sui Quijos sono a noi giunti, in particolare la relazione del visitatore della regione Diego Hortegòn a cui si deve il racconto della ribellione del 1577. Il vicerè marchese de Canete ordino’ al governatore di Quito di pacificare e sottomettere la popolazione. La rivolta era motivata dal fatto dello sfruttamento della popolazione indigena sempre più intenso sia per la ricerca delle risorse naturali che per il servizio personale (una sorta di rapporto feudale)
Gli encomenderos (sorta di signore feudale cui veniva pagato un tributo) sfruttavano all’eccesso le risorse del territorio e gli indios loro affidati e non furono capaci di creare comunità ove integrarli. Per cui Hortegòn corse ai ripari: “Nelle tre città di Baeza, Avila e Archidona ho tolto gli obblighi oppressivi di servizio personale, che erano molti, che ricadevano sugli indios, e detti ordine che si pagasse il servizio degli indioso tributari con quello che si deve loro, che sono pezze di stoffa e mantelli, di modo che prestino servizio e avanzi loro il tempo per allevare i figli e coltivare i campi “– cit. p. 35. Misure che tuttavia non riuscirono a migliorare la condizione di sottomissione degli Indios.
CAP. 2
- La spedizione di Francisco de Orellana
-- Il 26 dicembre del 1541 ebbe inizio la navigazione del Grande Fiume da parte di Orellana.
Navigazione accidentata e tormentata per le numerose perdite di marinai subite per malattie, uccisioni con frecce avvelenate, stenti e fame.
Navigazione di 5.000 Km che si concluse in mare aperto il 26 agosto 1542, 244 giorni dopo la partenza.
- Nel gruppo di Orellana era presente un frate domenicano Gaspar de Carvajal che perse un occhio a causa di una freccia scagliata dagli indios. Ciò non gli impedì di stendere al ritorno una ampia relazione/cronaca del viaggio. Egli è il primo europeo a raccontare la società rivierasche nelle vesti di rionauta implicato nel viaggio
- relazione ampia e precisa per i riferimenti storici ed antropologici ma che tuttavia deve essere depurata dalle scorie del mito cui talora indulge il padre domenicano.
- Lettura della relazione di Carvajal
1) dimensioni del mondo amazzonico. Tutte le cifre fornite dal frate vanno interpretate e comunque non hanno valore assoluto. Così come probabilmente esagerato è il riferimento al numero degli Indios ostili incontrati lungo il viaggio
2) utilissime sono le notizie fornite sul modo di vivere e di nutrirsi dei rionauti in ambiente a loro sconosciuto. Risulta evidente che il mezzo più usato per il reperimento del cibo fosse la razzia sistematica nei villaggi indios incontrati nella navigazione. Le imbarcazioni dei rionauti erano infatti prive di scorte di cibo, per cui il problema dell’alimentazione e sopravvivenza dei partecipanti diventa determinante. Ne si può pensare che il reperimento del cibo fosse fornito in dono amichevole ai rionauti da parte degli indios. (ricordiamo ancora l’episodio del ferimento del frate ad un occhio).
3) Livello di civilizzazione degli indios. Dalla relazione risulta che il livello di vita degli indios incontrati durante le soste della navigazione non fosse proprio primitivo. Il livello tecnologico documenta l’esistenza di capanne, di ceramiche, di tessuti e manufatti, di coltivazioni, depositi e riserve alimentari nonché di sentieri e camminamenti all’interno ed esterno dei villaggi.
Vicende della spedizione di Orellana
-- Era sostanzialmente fallita la spedizione di Gonzalo Pizzarro (il più giovane dei fratelli Pizzarro) incaricato dal fratello Francisco di allestire una esplorazione oltre la cordigliera alla ricerca della cannella, albero dalla scorza molto preziosa. L’intento era quello di mettere in piedi un lucroso commercio, forse più dell’oro. In realtà di alberi della cannella ne trovarono pochissimi. Alla spedizione era stato invitato anche Orellana che si aggiunse strada facendo.
- Quando i due si ricongiunsero, Pizzarro incarico’ Orellana di costruire una imbarcazione per trasportare lungo il fiume i feriti, le scorte. Ma lungo la discesa del fiume la mancanza progressiva di viveri si fece drammatica e fu deciso che Orellana avrebbe continuato la navigazione per cercare approvvigionamenti mentre Pizzarro avrebbe aspettato il suo ritorno.
- L’attesa fu vana e Pizzarro fu obbligato a riprendere la marcia verso Quito ma la marcia fu disastrosa; Pizzarro perse gran parte dei suoi uomini e cavalli. La spedizione era quindi fallita: non solo non aveva reperito la cannella ma aveva avuto un alto costo in perdite umane.
- La separazione da Pizzarro
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Orellana si staccò quindi dal corpo di spedizione di Pizzarro ( 26 dicembnre 1541) decidendo di proseguire autonomamente l’esplorazione del fiume che per lunghi tratti presentava rive selvagge e spopolate. Quando il problema della fame diventa impellente, sbarcano in cerca di erbe e radici.
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La sera dell’otto gennaio, rulli di tamburi segnalano la presenza di luoghi abitati. Si erano imbattuti nel villaggio che Oviedo chiamò Imara con una accoglienza non particolarmente ostile dagli indigeni (si nutrirono di yucca, mais, volatili e pesci) e tentano di riparare il barco, l’imbarcazione che si trovava in condizioni precarie. Orellana ebbe anche l’idea di costruire un brigantino dotato di albero e coperta. Ma il progetto fu in seguito abbandonato e i rionauti ripartirono il 2 febbraio dopo essersi riforniti di cibo.
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Continuando la navigazione, sempre secondo la testimonianza di Carvajal, entrarono in una regione piuttosto popolata di villaggi ove gli indios sembravano ospitali. Furono anche invitati nel villaggio principale ove trovarono buona accoglienza e riforniti di provviste. Orellana ricambiò doni e cortesie rappresentandosi come inviato da re Carlo, imperatore e re di Spagna e testimone dell’unico Dio dei cristiani. Il discorso apologetico pare sia stato ben accolto. Nei giorni seguenti Orellana fece costruire una grande croce e prese possesso della regione in nome di sua maestà. Geograficamente i rionauti si trovavano nella regione dell’attuale frontiera tra Perù, Colombia e Brasile.
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In queste condizioni favorevoli Orellana decise di mettere mano alla costruzione del brigantino che era stata rinviata. L’imbarcazione fu questa volta costruita disboscando il territorio circostante per farne tavole e si allestì una fucina per produrre chiodi e ferramenti e calafatare il naviglio. La partenza dal villaggio avvenne il 24 aprile
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Il 12 maggio la spedizione arrivo’ alla terra dei Machiparos, popolazione assai più scortese ed ostile che ingaggiarono con gli spagnoli una furiosa battaglia, poco disposta a farsi depredare del loro cibo. Una caratteristica che va sottolineata di questa popolazione è la presenza abbondante di “tartarughe in recinti con piscine d’acqua, molta carne e molto biscotto, e tutto questo in tale abbondanza che c’era da dar mangiare ad un accampamento di mille uomini per un anno “- cit. pp. 47-48. L’ostilità della popolazione indigena con morti e feriti tra gli spagnoli indusse Orellana a riprendere la via del fiume, inseguito a lungo dalle canoe degli indios infuriati.
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Arrivo alla terra degli Omaguas. Anche queste popolazioni si mostrarono inospitali e d ostili e furono sottoposte a razzie forzate. Si trattava comunque di una popolazione abbastanza sviluppata ed antropologicamente evoluta: fu reperito vasellame, ceramica dipinta in vari colori, oro ed argento e diversi sentieri tracciati verso l’interno del territorio, indizio di una gente ben insediata ed organizzata.
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Da allora in poi gli spagnoli preferirono approvvigionarsi in villaggi di piccole dimensioni, onde scongiurare aggressioni violente da parte dei residenti.
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Il 3 giugno la spedizione raggiunge la confluenza con il Rio Negro e Carvajal scrupolosamente annota il colore diverso delle acque dei due fiumi che scorrono a lungo affiancate senza mescolarsi
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Nell proseguio del viaggio viene raccontato un episodio alquanto inquietante. Orellana fa impiccare alcuni piezas (indios) catturati, come monito per gli altri a concedere aiuto alimentare agli spagnoli. Ma anche altre orrendezze compaiono nel resoconto del Padre domenicano: l’uccisione di un capo villaggio e l’incendio delle capanne per far fuggire gli indios che oppongono resistenza per “prendere il cibo che, lodato sia il Signore, in questo villaggio non mancò: tartarughe e volatili”- cit. p. 49.
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Il 24 giugno i rionauti giunsero in un altro villaggio ove si svolse l’episodio già menzionato della perdita dell’occhio da parte del padre domenicano. In questa furiosa battaglia è testimoniata anche la presenza di donne guerriere, le AMAZZONI (di cui si parlerà ampiamente in seguito).
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Altre avventure videro i rionauti protagonisti e soggetti all’ostilità delle popolazioni locali, tra cui la battaglia delle piroghe condotte da uomini dipinti di nero al punto che Carvajal chiama questa terra provincia de lo Negros. Ci furono razzie di villaggi e la morte di uno spagnolo colpito da una freccia avvelenata. Gli spagnoli divennero allora guardinghi nelle loro scorrerie avendo compreso che l’unica arma da cui non potevano difendersi era il lancio di frecce avvelenate di cui gli indigeni erano dotati.
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A pieno mese di luglio i rionauti sono ormai nell’arcipelago dell’estuario ricco di isolotti che rendono tortuosa la navigazione. I bassi fondali complicavano la navigazione col rischio dell’incaglio dell’imbarcazione, come di fatto avvenne, finendo sotto il tiro degli indios. Venne fatta una riparazione di fortuna. Il 20 agosto ripartirono ma la navigazione fu poco agevole perché i navigli non erano attrezzati a navigare in mare aperto e spesso le maree li respingevano indietro.
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Solo il 26 agosto la navigazione divenne più agevole al largo e il brigantino raggiunse Nueva Cadiz nell’isola di Cubagua distante 450 leghe dalla bocca del Rio, ove era già arrivato da due giorni il brigantino piccolo che aveva perso contatto da quello grande . la data era l’ 11 settembre 1542.
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Note geografiche/ambientali fatte da Carvajal
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Premesso che le annotazioni, soprattutto quelle numeriche e aritmetiche della relazione di Carvajal scontano una qualche approssimazione, si deve dire la popolazione rivierasca (vàrzea significa fascia rivierasca) calcolata dal frate si aggirerebbe sui 5 milioni . Per quanto riguarda poi il numero dei villaggi avvistati, la relazione parla di 20 siti trovati anche in un solo giorno.
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. Ma Carvajal avrebbe contato solo quelli visibili sulle rive del fiume, non tenendo conto di probabili insediamenti posti all’interno e quindi non percepibili agli occhi dei rionauti.
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Ma anche la nozione di villaggio ( pueblo) è insicura poiché indifferentemente ci si riferisce ad insediamenti minori con qualche decina di abitanti ad altre più popolate da qualche centinaio di residenti.
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Le fonti dei gesuiti, i primi ad impegnarsi in un’opera sistematica di evangelizzazione delle popolazioni, come era stato loro prescritto dai vertici dell’Ordine, parlano di almeno due casi ove si riusci a creare villaggi stabili di oltre 1.000 abitanti, ma ciò perché le regole dell’evangelizzazione escludevano la costituzione di insediamenti di dimensioni ridotte, ciò anche a causa del numero del personale religioso da impiegare.
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la relazione fornisce inoltre qualche notizia sul livello di organizzazione sociale delle popolazioni incontrate dai rionauti. Sappiamo di una organizzazione sufficientemente stratificata con la presenza di un capo o signore. Tra gli Omaguas si trovavano case di buona fattura con gli idoli e buona ceramica e altre case con ricchi indumenti cerimoniali, oggetti d’oro e una rete cospicua di sentieri e percorsi che conducevano all’interno. Segnali questi di una vita associata di una qualche complessità. E poi viene segnalata la presenza dell’acquacultura delle tartarughe da fiume, le coltivazioni di mais, yucca e cotone, la produzione di tessuti..
Conclusioni
La sorte dei protagonisti di queste spedizioni.
1) A Gonzalo Pizzarro, fatto prigioniero dai realisti nello scontro di Sacsahuana fu tagliata la testa e mostrata al popolo in ammonizione del destino dei ribelli (1548)
2) Orellana: anch’esso ebbe un destino tragico. Mori in un naufragio con la giovane moglie nel 1546 dopo essere rientrato in Spagna e ricevuto onori e ricompense. Non contento e di spirito irrequieto allestì una spedizione con quattrocento uomini e quattro navi. In una sosta a Capo Verde l’equipaggio fu falcidiato da un’epidemia per poi morire nel modo che si è detto verso l’estuario del grande Fiume. Aveva solo 34 anni.
3) Carvajal: fu il solo ad avere una buona vita morendo a 83 anni nel convento dei domenicani di Lima, sebbene privato di un occhio per le vicende sopra ricordate. .
Scrisse la relazione del viaggio a giustificazione dei rionauti e per discolpare Orellana dall’accusa di tradimento.
CAP. 3
La seconda navigazione amazzonica di Pedro De Ursùa
--Essa avvenne quasi vent’anni dopo quella di Orellana e fu la più drammatica perché si concluse con una tragedia
Ursùa era un ricco navarro ambizioso che portò con sé la bella amante Inès de Atienza, il giovane sivigliano spregiudicato e avido Federico de Guzman e il folle dall’oscuro passato Lope de Aguirre e sua figlia Elvira
Il canovaccio della spedizione
--Nel 1550 Ursùa, sotto la protezione del vicerè del Perù, organizza la spedizione alla ricerca ddegli Omagua e di Eldorado. La spedizione ebbe un lungo prologo in quanto Ursùa giunto sulle rive del fiume Huallagua apre un cantiere per la costruzione di robuste imbarcazioni per la navigazione del fiume
--Per un anno e mezzo abbandona il cantiere per la ricerca di uomini e mezzi che sostenessero l’impresa. Reclutò qualche centinaio di spagnoli tra cui non pochi personaggi violenti e sediziosi, indios e schiavi nere ed anche donne
--Il 26 dicembre 1560 parte ufficialmente la spedizione ma già serpeggiava tra i rionauti il malcontento per l’insufficiente scorta di viveri e provviste. Un inconveniente non da poco si palesò all’inizio: nella lunga attesa della partenza “tutte le imbarcazioni erano marcite e quando vennero spinte in acqua si sfasciarono quasi tutte”- cit. p, 60.
--Sopravvissero solo due brigantini e tre chiatte che però non erano in piena efficienza. Ricerca di imbarcazioni sostitutive per trasportare la grande quantità di materiale al seguito per lo più atte a preparare munizioni (barre di piombo, bottiglioni di salnitro e zolfo, armi ed archibugi, ma pochi viveri)
--Alla metà di ottobre la spedizione allestita in maniera piuttosto maldestra, incrocia il gruppo di Vargas alla confluenza del fiume Ucayali e più avanti il gruppo di Garcia de Arce inviato mesi prima alla ricerca di cibo e attestatosi su un’ isola abitata da indios che indossavano camiciole dipinte e con case quadrate e grandi.. Gli indios erano armati con picche di legno grandi come giavellotti che lanciano con una sorta di fionda.
--Gli esploratori battezzano la regione provincia dei Carari, dal nome attribuito al villaggio, regione non molto popolata
--La spedizione prosegue verso la provincia dei Machifaros , ricca di villaggi ed il più grande viene adibito a quartier generale dell’impresa.
-- In queste terre si consuma la prima parte del dramma. Ursùa ha la mano debole , gli uomini non obbediscono agli ordini stremati dagli stenti ma soprattutto sono delusi e scoraggiati perché fino a quel momento non si è vista traccia delle favolose ricchezze vagheggiate,. I tumulti, fomentati tra l’altro dal folle Lope de Aguirre che aspirava al comando della spedizione, sfociano in una aperta rivolta che culmina nella uccisione di Ursùa e di altri suoi fedeli nel gennaio del 1561.
-Il comando passa tuttavia nelle mani di Ferdinando de Guzman, fantoccio e strumento nelle mani di Aguirre, si eliminano fisicamente i dissidenti e si elabora un nuovo piano: abbandonare le esplorazioni, arrivare al mare, risalire sulla costa panamense e impadronirsi di Panama, ridiscendere in Perù e fomentare una rivolta che avrebbe portato Guzman ad essere proclamato principe in attesa di essere incoronato re del Perù.
--Piano azzardato e quasi folle che però necessitava di sostituire le vecchie imbarcazioni ormai deteriorate con mezzi efficienti e veloci. A tal scopo vennero costruiti due brigantini (il villaggio venne chiamato villaggio dei Brigantini) che giunsero dopo soste minori a lpiù grande villaggio fino ad allora incontrato ove si fermarono un mese.
--I cronisti chiamarono questo villaggio pueblo de las Matanzas, ove si consumò la tragedia.
Aguirre farà uccidere Guzman, sarà assassinata la bella Dona Ines, già amante di Ursùa, insieme al suo nuovo protettore ed anche un chierico, assumendo il comando assoluto
- Dopo altre soste minori si procede verso il mare aperto non senza compiere un altro atto disumano: l’abbandono di 100 indios ladinos (cioè spagnolizzati e cristianizzati, allo scopo di alleggerire i brigantini “perché era pericoloso andar per mare con tanta gente, e sarebbe mancato il cibo e l’acqua”- cit. p. 63
-- Raggiunta l’sola di Margarita Aguirre e i suoi scherani terrorizzano la popolazione uccidendo molti abitanti ed anche il governatore. Qui Aguirre cambia un’altra volta il suo piano; non più passare a Panama, ove era giunta la notizia della strage, ma di sollevare le popolazioni del Venezuela e della Nueva Grenada (Colombia) raggiungendo via terra il Perù. L’isola di Margarita fu lasciata in uno stato di enorme devastazione e spogliazione. Dalle testimonianze: “ Vi era rimasto quaranta giorni e la lasciò così devastata e spoglia di bestiame, viveri e altre cose, che quanti vi sono rimasti riescono a stento ancor oggi a sostentarsi”- cit. p. 64.
- Passato in terra ferma Aguirre non incontrò particolare resistenza ma scarsa adesione al suo folle progetto. Va ricordata la famosa lettera-manifesto che Aguirre scrisse al re Filippo II, firmandosi “Figlio di fedeli vassalli in terra basca e ribelle sino alla morte per la tua ingratitudine, Lope de Aguirre , il Peregrino”- cit. p. 64.
Morte di Aguirre
- Il 27 ottobre, abbandonato da gran parte dei suoi, “pugnalò la sua unica figlia, una meticcia molto bella, per cui nutriva grande affetto e disse che la uccideva affinchè non rimanesse sola con i suoi nemici e non venisse chiamata la figlia del tiranno”- cit. p. 64. Ma egli stesso fu ucciso con due colpi di archibugio e la sua testa mozzata messa in una gabbia di ferro esposta al pubblico, mentre la mano destra fu inviata a Merida e la sinistra a Nueva Valencia.
--La sua figura ambigua e sfaccettata è in seguito diventata un mito, dal dannato angelo del male al visionario libertario
L’Amazzonia nei resoconti dei testimoni
-- Il paragone va fatto con le due spedizioni precedenti, quella di Orellana e quella di Ursùa
--La prima fu casuale e improvvisata, la seconda pianificata. La prima contava una cinquantina di uomini, la seconda tre o quattrocento.
--La prima viaggiò in un territorio totalmente incognito per gli spagnoli, la seconda potè usufruire delle conoscenze ed esperienze provenienti dalla precedente esplorazione
- Sul popolamento del territorio le cronache confermano quanto già osservato dalla relazione di Carvajal, con ampi tratti spopolati e la difficoltà dei rionauti di procurarsi il cibo. A volte la pesca suppliìla mancanza di idonea nutrizione
- Un dato geografico interessante sulle caratteristiche del grande Fiume si desume dalla già citata lettera di Aguirre a Filippo II “E un grande fiume e terribile: ha una foce di ottanta leghe d’acqua dolce … grandi banchi di sabbia, ottocento leghe di rive disabitate, come sua Maestà potrà vedere in una relazione ben veritiera che abbiamo fatto”- cit. p. 67 (La relazione è quella più volte ricordata di Carvajal)
- Sulle zone popolate le relazioni forniscono dati non sempre concordanti. Il cronista Almesto prima parla di villaggi di villaggi abbastanza grandi con qualche centinaio di abitanti, ma poi in aperta contraddizione, riferisce di aver notato villaggi densamente abitati, con circa sette o ottomila o addirittura diecimila abitanti
- Addirittura più generoso è Altamirano che attribuisce al villaggio dei Cararari 8.000 abitanti, riferendo tra l’altro l’abbondanza di campi coltivati a yucca e mais.
Queste considerazioni sono molto generiche, non frutto di un reale censimento, allora impossibile.
-Emergono anche dati antropologici rilevanti:
-gli indios vengono descritti come curiosi, inclini allo scambio e al baratto, abbastanza socievoli, ma la loro natura cambia quando le spedizioni effettuano soste più lunghe e lo scambio si tramuta in razzie e violenza dei rionauti. Allora gli indios diventano ostili e aggressivi, per difendersi dagli intrusi, ricorrendo a forme di difesa allora molto in uso come l’impiego di fecce avvelenate
- la struttura sociale degli insediamenti indios presenta quasi sempre una gerarchia e strutturazione . Anche la tecnologia non è proprio elementare: si tesse, si colora il cotone, si confezionano piccoli gioielli d’oro, si provvede al reperimento di sostanze per armare le frecce col veleno, si fanno vasi di terracotta, si calzano sandali di pelle di cervo attaccati con cordicelle.
CAP. 4
Argomento: L’EVANGELIZZAZIONE
Protagonisti principali della evengelizzazione delle terre amazzoniche furono i GESUITI
- i primi religiosi che si spinsero nell’alta Amazzonia furono il sardo Gaspare Cugia e Lucas de la Cueva, figure che troveremo ricorrentemente lungo la storia dell’evangelizzazione del territorio
- l’evangelizzazione del territorio durò centotrenta anni e vide protagonisti in diverse epoche circa qualche centinaio di religiosi dell’Ordine fondatori di oltre cento 150 insediamenti che ebbero vita piuttosto effimera. Questo elemento va tenuto presente, nonostante il lungo periodo dell’evangelizzazione, poiché pochi furono gli insediamenti che ebbero vita durevole
- L’opera di evangelizzazione fece parte di quel patto non scritto fra le autorità coloniali e l’Ordine gesuitico. Per le autorità si trattava di consolidare il potere in quei territori ove maggiore era il rischio delle infiltrazioni portoghesi, i gesuiti invece si vedevano riconoscere il privilegio tra gli altri ordini, di operare in quelle terre, come una sorta di diritto esclusivo.
- L’arrivo dei padri Cugia e Cueva segnò una nuova fase nel processo di colonizzazione, in quanto la precedente si era contraddistinta per l’opera di rapina e di sfruttamento, segnando un solco profondo tra europei ed indios.
Campo d’azione: fu una vastissima regione chiamata Mainas descrivibile come un tozzo triangolo, la cui base si estendeva lungo il piede delle Ande, il vertice si situava alla confluenza del Rio delle Amazzoni con il Javarì, e i due lati del triangolo erano delimitati a a nord dal corso del Putumayo e a sud da quello dello Javarì.
- L’accesso a questo territorio da parte dei gesuiti fu arduo e difficile perché bisognava scavalcare le Ande a oltre 4.ooo mt di altezza, ridiscendere per percorsi impervi anche per i muli e raggiungere le vie d’acqua le cui correnti erano spesso impetuose e pericolose in particolare nei periodi delle piogge e delle piene.
- Le vicissitudini del viaggio si deducono principalmente da diari e racconti, tra i quali il basco padre Manuel Uriarte. Nel suo diario di viaggio si legge che partì da Quito nel natale del 1750 insieme a quattro religiosi , accompagnato da indios in funzione di portatori dei bagagli, tra cui un altare portatile. Scavalcate le Ande rimandarono indietro i cavalli e giunsero nel giorno dell’Epifania ad Archidona. Da lì’ proseguirono via terra fino Puerto Napo ove il gruppo si imbarcò il 20 gennaio sulle canoe verso il villaggio di Nombre de Jesus Marìa, ove Uriarte dovette occuparsi di soccorrere la popolazione locale affetta da una grave epidemia di “catarros y curso de sangre” – cit. p. 79 che fece non poche vittime tra i locali. Battezzò alcune persone ed edifico una piccola chiesa. Da li si mosse per visitare altri villaggi contigui e quando rientro a Nombre de Jesus fu accolto con grande gioia dagli abitanti.. Da lì partì la sua opera evangelizzatrice che sarebbe terminata diciotto anni dopo con l’espulsione da Mainas.
- l’ingresso dei padri Cugia e Cueva in Mainas, va ricollegato nel 1635 alla rivolta degli indios contro le vessazioni subite dagli encomenderos (sorta di signori feudali) che ebbe esiti cruenti costringendo gli scampati a ripararsi nella chiesa.
- Qualche giorno dopo subentrò la repressione delle autorità descritta Padre Francisco de Figueroa, uno dei gesuiti di maggior spicco della prima fase della evangelizzazione: egli vide “ indios giustiziati, corpi fatti a pezzi appesi agli alberi, con orecchie, mani e piedi mozzati, piagati e scarnificati fino all’osso…” – cit.p. 80.
- Prima dell’arrivo dei Gesuiti avevano operati i francescani la cui azione perse consistenza e peso con la presenza dei gesuiti.
- Si ha notizia anche della fondazione di 152 villaggi-missioni di vita effimera anche per la scarsità dei sacerdoti impiegati. Successivamente il contingente dei gesuiti divenne più numeroso ma mai sufficiente ad operare in un territorio così vasto e complesso dal punto di vista geografico. Essi però riuscirono in qualche modo a coordinarsi, animati dallo stesso ideale.
- All’invio dei missionari procedeva direttamente la casa madre dell’Ordine che attingeva tra sacerdoti di varie nazionalità (161 padri) prelevati dalla Spagna, dalla Germania, dal Portogallo, dall’Italia, dall’Ungheria. Ciò poneva anche il problema della comunicazione tra i vari missionari tra di loro e tra questi e gli indios, per cui si fece ricorso ad interpreti che facilitassero il dialogo con gli indigeni.
- La rigida struttura gerarchica dell’Ordine prevedeva ogni tre anni una valutazione da parte dei superiori in base ad alcune qualità: ingenium, iuditium, prudentia, experientia, litera. Il personale giudicato inadeguato veniva fatto rientrare.
- Dal 1720 si verificò una forte penetrazione gesuitica nel bacino del Napo ove operava padre Uriarte
- la documentazione a disposizione non permette tuttavia una ricostruzione fedele degli spostamenti dei vari sacerdoti; si conosce comunque quello che potremmo chiamare il mansionario dei missionari: una delle incombenze principali dei missionari era di tenere i registri dei battesimi, delle sepolture, dei matrimoni che si svolgevano nei vari villaggi. Censimenti veri e propri non sono affidabili.
- Più credibile è la relazione di Padre de Figueroa (che fu ucciso barbaramente nel 1666 dal gruppo dei Cocomas) ove racconta di parecchi insediamenti di indios raggiunti dai missionari, molto frastagliati e frammentati tra di loro, il che spiega anche la fragilità del sistema missionario.
- Nel 1750 la firma a Madrid del tratado de limites tra Spagna e Portogallo poneva fine alle controversie tra i due Stati sulle competenze territoriali in Sudamerica.
- Nel 1767 il decreto di Carlo III mise fine alla secolare opere dei Padri. Si stabiliva infatti l’espulsione dei Gesuiti dai domini spagnoli ed il sequestro dei beni della Compagnia di Gesù.
CAP. 5
Successive spedizioni in Amazzonia
Dopo il fallimento della spedizione di Pedro de Ursùa dopo alcuni decenni altri europei tentarono altre imprese.
E’ il caso di due Fratelli francescani (invisi ai Gesuiti) Domenico de Brieva e Andrès da Toledo che nel 1636 con alcuni soldati spagnoli si imbarcarono su una canoa lungo il fiume Napo. Questa terza spedizione, a quasi cent’anni dalla prima e ottanta dalla seconda, ha lasciato di sé tenui testimonianze ma sanciva la definitiva conoscenza del grande Fiume da parte degli europei.
- L’Amazzonia aveva ormai perduto ogni aura di mistero e di suggestione mitica e da allora in poi divenne oggetto di osservazioni geografiche, naturalistiche, antropologiche da parte degli esploratori.
- Il viaggio dei due frati francescani fu la conseguenza del fallimento dei tentativi di evangelizzazione organizzati dai francescani, molto meno preparati dei gesuiti che tra l’altro godevano dell’imprimatur spagnolo, e si diresse verso la terra degli Encabellados, popolazione detta cosi perchè usava portare capelli lunghi fino alla vita sulla sponda nord del fiume Napo. - -- Questi indios il cui nome reale Icahuates furono in seguito raggiunti da una spedizione di trenta spagnoli seguiti da soldati con conseguente sollevazione della popolazione locale per i soprusi subiti. Laureano de la Cruz che era presente riferisce che “i soldati misero in fuga gli assalitori con una scarica degli archibugi, uccidendone alcuni”- cit. p. 92, infatti l’evangelizzazione appoggiata dai militari era mal vista dagli indigeni e spesso precipitava in avvenimenti cruenti.
- La canoa dei frati francescani approdò comunque al forte portoghese di Carrupà (1637) in pieno territorio di pertinenza portoghese aprendo di fatto un caso politico : nonostante l’unione personale dei regni di Spagna e Portogallo, l’arrivo di spagnoli dal Perù in zona portoghese dimostrava l’enorme potenzialità della via d’acqua nell’unire l’oceano alle fonti delle ricchezze minerarie americane, tra cui l’argento. Si sa comunque che i portoghesi non ebbero scrupoli a rifornire la spedizione francescana rimettendola in viaggio
- L’ esplorazione continuò senza particolari incidenti fino alla terra degli Omaguas, una popolazione indigena tra le più evolute e civilizzate, ove i rionauti non ebbero difficoltà ad essere accolti e approvvigionati. Si sa comunque che lungo la navigazione si imbatterono anche in altri gruppi indigeni tra cui cannibali, segno che questa pratica era ancora in vigore in talune tribù.
- Il governatore portoghese non ebbe quindi più remore ad allestire una grande spedizione esplorativa affidata ad un veterano dell’Amazzonia, Pedro de Texeira che organizzò una spedizione imponente per impiego di uomini e mezzi e che si mosse il 25 luglio del 1637.
-- Dobbiamo le informazioni su questo viaggio al gesuita Alfonso de Rojas che non vi partecipò personalmente ma raccolse la narrazione del pilota mayor, Benito de Acosta al quale si deve anche la prima mappa del fiume.
-- Sappiamo che nei piani del comandante la spedizione avrebbe dovuto essere pienamente autosufficiente in quanto a viveri e scorte, anche se non mancarono razzie e requisizioni; ma mai la spedizione fu aggredita dagli indios che si dimostrarono pacifici e accoglienti, forse impauriti dall’armamento e dal potenziale offensivo di cui gli esploratori erano forniti-
- Il viaggio consenti tra l’altro di raccogliere interessanti notizie demografiche e antropologiche confluite nella relazione del già citato De Rojas. Le più interessanti sono:
il popolamento. Presenza di popolazioni e agglomerati umani alcuni grandi e altri piccoli ma comunque con un tasso demografico rilevante al punto tale che il cronista, usando un’iperbole, scrive: “ tanti e cosi innumerevoli sono questi indios che se fosse fatto cadere dall’alto un ago, esso avrebbe dovuto per forza cadere sul capo di un indio” – cit. p. 97
lavoro e coltivazioni: semina di yucca e mais in grande quantità
tecnologia: per evitare che inondazioni disperdessero il frutto del lavoro, venivano scavate in terra delle buche profonde o cavità e dentro depositavano la yucca ricoprendo poi le buche di terra che venivano riaperte quando l’acqua si fosse ritirata, evitando che l’umidità facesse marcire il raccolto.
I due accompagnatori ufficiali della spedizione erano due gesuiti, Padre Cristobal de Acuna e Andrès de Artieda.. In particolare ad Acuna (leggere Acugna) fu chiesto di stendere una relazione sulla spedizione.
La relazione di Padre Acuna
Essa può essere divisa in tre parti:
gli antecedenti del viaggio (di cui sopra si è parlato)
Quadro geografico del Grande Fiume, degli affluenti, del clima , della flora e della fauna , del modo di cacciare e pescare, dei riti religiosi o sciamanici in essere, della fabbricazione di utensili ed armi
Descrizione cronologica delle fasi del viaggio e dei popoli incontrati.
-Tuttavia la relazione di Acuna non è esente da difetti e talora omissioni. Essendo un gesuita e dovendo rispondere all’autorità religiosa da cui dipendeva, risulta evidente la tendenza ad edulcorare notizie ed edulcorare fatti.
- interessante nella relazione di Acuna è la descrizione antropologica delle popolazioni incontrate nel viaggio. Tra le più significative vanno ricordati:
1) gli Omaguas. La popolazione più evoluta del grande Fiume. Sono organizzati secondo ordine e gerarchia obbedendo ai loro cacichi (autorità principale del villaggio). Coltivano e tessono il cotone e vestono con decoro e decenza. Hanno schiavi catturati in guerra ma questi sono ben trattati e vivono nelle case degli indigeni e mangiano alla stessa mensa. Praticano la particolare usanza di sviluppare fronti piatte, costringendo la testa dei neonati tra due tavolette legate da cordicelle.
2) i Curuziraris. Non mancano segnali di governo ed ordine.. Sono presenti estese coltivazioni ed una attività specializzata nella produzione di terracotta per contenere, cuocere e conservare alimenti che commerciavano anche con altri popoli. Uomini e donne andavano nudi, e si adornavano con pendenti le orecchie e le narici forate
3) gli Yorimanes. I più bellicosi del Grande Fiume, ma anche capaci di commerciare, distribuiti in villaggi molto popolosi
4) i Basururù. Nei loro insediamenti vennero trovati asce, machete e coltelli, provenienti dal commercio con gli uomini dai capelli gialli, ovvero gli olandesi, secondo una pratica che troveremo anche in altri gruppi.
5) I Tupinambàs. Parlavano la lingua generale del Brasile, per cui non occorreva interprete.. Gente fiera, abili con archi e frecce
6) Amazzoni. Donne guerriere che vivono da sole ma che ogni anno ricevono la visita di uomini di altre terre, li ospitano e dei figli che nascono allevano solo le femmine, probabilmente eliminando i maschi, per perpetuare la casta di guerriere
7) Tapajòs. Molto temuti per l’uso di frecce avvelenate. Con la spedizione si mostrarono tranquilli scambiando galline, anatre, , farina, frutta.
Contro questa popolazione è riferito un atto di violenta scorreria per razziare schiavi dai Tapajos, nonostante l’ammonimento del gesuita (Acuna) che cercò di scoraggiare l’azione.
- Al termine del viaggio Acuna inserisce nella relazione una elegia del Grande Fiume: “al povero offre sostentamento, al lavoratore soddisfazione per la sua opera, al mercante occasioni, al ricco maggior ricchezza, al nobile onori, al potente, possedimenti, e allo stesso Re, un nuovo impero”- cit- p. 106. E inoltre una moltitudine di fedeli a Dio.
Annotazioni antropologiche delle relazione/Acuna
- Ogni gruppo ha i propri stregoni e sciamani
- i popoli del Fiume hanno riti diversi per i defunti ( sepolture presso le loro abitazioni, falò per bruciare i cadaveri spesso anche con i loro beni, ubriacature, pianti, lamentazioni per giorni e giorni)
- conflittualità tra i vari popoli anche se vicini tra di loro e rivalità perenne, Forma anticipatrice del malthusianesimo per regolare con le guerre la crescita della popolazione
- grande esperienza nella pesca con varie modalità; una delle più praticate nelle acque basse è quella del timbò, una sorta di liana tritata con effetto sedativo sui pesci che vengono poi pescati con le mani; pesca con la fiocina, con arco e frecce
- con le stesse armi e con la cerbottana cacciano mammiferi e volatili di ogni genere. Tra le armi preferite ci sono le zagaglie, dardi di duro legno con punte bene aguzze
- per il lavoro del legno usano asce di pietra o con una lama fatta con la corazza di tartaruga
- grande abilità nella fabbricazione di canoe data la costante presenza dell’acqua nella loro esistenza.
- Nella relazione di Acuna c’erano anche molte altre considerazioni di ordine morale che non vennero tenute in alcun conto nella politica coloniale della Spagna. In sintesi esse erano di:
praticare una conquista pacificatrice ed evangelizzatrice che invogliasse gli indios a rimanere nelle loro terre, evitando così lo spopolamento di intere regioni a causa delle guerre fratricide tra di loro. Presentare il vangelo come proposta di pace generale che consentisse la pacifica coesistenza di gruppi antagonistici o rivali.
La spedizione del 1650
Allestita dai francescani (che già avevano tentato la navigazione) non fu molto fortunata.
Il personaggio di maggior spicco, Laureano incrociò gli Omaguas (di cui si è già detto) e i Curuziraris di cui descrive alcuni tratti:
- girano nudi, vivono in rancherias (fattorie) , abitazioni fatte di legno e frasche chiuse per difendersi dalle zanzare
- fabbricano vasellame che scambiano con altre tribù e gli Yorimanes, molto aggressivi presso i quali non osano fermarsi.
- Più avanti ancora “un luogo con sei case” (p. 110) che richiama la storia delle donne-guerriere. Laureano riferisce comunque che “tutto questo e altre cose che udimmo, sono solo voci, e nulla vedemmo né si potè accertare, né dagli indios né dai portoghesi che ordinariamente navigano per questo fiume”.- Cit p. 110. Cioè laureano non ha visto il villaggio delle donne guerriere ma riferisce voci e notizie riprese da altri.
Si unisce però ai portoghesi che stanno risalendo il fiume alla ricerca di schiavi e partecipa alla scorreria contro i Tapajos e alla cattura di schiavi secondo queste modalità: ciascun prigioniero è scambiato con tre attrezzi di ferro, una camicia e due coltelli.
Pratica che i portoghesi chiamano riscatto.
CAP. 6
Ancora sulla evangelizzazione
--Sappiamo che i Padri Gesuiti Cueva e Cugia furono i primi evangelizzatori della regione
In particolare padre Cueva si dedicò alla evangelizzazione degli Xeveros, opera lunga e difficile poiché la loro “riduzione” (cioè conversione) richiedette pazienza e concessioni, regali di asce, coltelli, aghi, punzoni, ami ed altri oggetti.
--Cueva riusci alla fine a “ridurre” gli Xeveros in villaggi stabili ed organizzati ed utilizzati come ausiliari in successive spedizioni
- Un successore di Cueva Padre Figueroa riconosceva i meriti del confratello nell’aver trovato la chiave giusta per addomesticare gli indios rendendolo disponibili alla evangelizzazione
- Sappiamo comunque che Cugia dovette a lungo faticare ed affrontare anche momenti drammatici come quando registrando il nome dei battezzati fu sospettato di voler trasmettere gli elenchi agli spagnoli con un inizio di rivolta e fuga.
- I due Padri mediarono poi presso le autorità spagnole perché fosse risparmiata la vita ai responsabili della rivolta.. Gli spagnoli infatti continuavano a praticare metodi che inducessero le popolazioni indigene al terrore di rappresaglie e sommarie esecuzioni.
- Figueroa nelle sue note descrive positivamente gli indios cristianizzati come dediti al bene e devoti ai padri
--Nel 1660 la località di Limpia Concepciòn appare pacificata. Gli indios non girano più nudi ma indossano camicette che tessono e dipingono, hanno una chiesa ben tenuta, i bambini e gli adolescenti pregano regolarmente e si insegna loro il catechismo.
-Anche l’educazione religiosa degli adulti è molto curata, inducendoli ai sacramenti della Confessione e della Comunione.
- Sul livello di religiosità acquisito dagli Xeveros tuttavia si nutre qualche dubbio; I Padri miravano a sradicare alcuni comportamenti quali gli omicidi, la promiscuità, l’ubriachezza ma con grande prudenza. Del resto prudenza e pazienza era loro suggerita anche dal padre provinciale che consigliava di somministrare il battesimo solo ai neonati o ai moribondi. Si voleva cioè procedere con cautela, secondo una regola guida dell’Ordine.
- La missione messa in piedi provvedeva anche alle necessità materiali dei residenti e dei missionari con la coltivazione di yucca, babane, mais ecc . e si era data anche una organizzazione interna di tipo gerarchico con i regidores (consiglieri), alcades (funzionari giudiziari), alguaciles (incaricato di eseguire gli ordini del giudice) e fiscales (funzionari con mansioni di giudici)
- Successivamente e col tempo la missione integrò anche altri elementi di altri gruppi etnici (Xeveros, Alabonos, Jivaros, Ticunas, Barbudos, Yameos, Ataguates) a testimonianza di un processo di assimilazione e di fusione tra i gruppi
- In particolare gli Xeveros, il cui spirito guerriero era ben noto, vennero impiegati come ausiliari dei Padri e degli spagnoli in occasione di rivolte, come quella del 1666 nella quale mori anche padre Figuereoa, e che diede luogo a morti ed impiccagioni.
- L’evangelizzazione degli jiavaros fu particolarmente difficoltosa per lo spirito ribelle di questo gruppo per cui si procedette a disperderli in varie zone onde rendere più problematici i contatti tra di loro. Con essi vennero anche tentati metodi brutali ma con insuccesso. Essi erano un popolo della montana, e che già si erano distinti in distruzioni e violenze contro gli spagnoli che sfruttando il lavoro degli indios si approvvigionavano dell’oro presente nei depositi fluviali.
- Da ricordare è la spedizione allestita dal governatore Martin de la Riva Herrera che si era addentrato nel territorio degli Jiavaros allo scopo di stanarli. Essi adottavano però la tattica della guerriglia e dell’imboscata nella quale erano espertissimi. Ma la spedizione non ebbe successo sia perché gli Jiavaros non furono stanati sia per il mancato ritrovamento dell’oro che si pensava esserci nella regione. L’esito catastrofico della spedizione indusse Padre Cueva a chiedere la destituzione di Herrera che aveva tra l’altro cercato di restaurare il feudale rapporto di encomienda tra gli spagnoli.
- La sciagurata spedizione di Padre Francesco Viva
- Il piano di P. Viva prevedeva una spedizione con lo scopo non di “ridurre” gli jiavaros in villaggi, ma trasferirli nelle varie missioni esistenti.
-- La spedizione era imponente per uomini e mezzi ma incontrò i soliti inconvenienti di reperimento di provviste e di scarsa motivazione degli uomini al seguito mossi più dalla ricerca dell’oro che dal problema degli jiavaros.
- Viva si ammalò di malaria, molti indios tornarono indietro, i rifornimenti scarseggiavano e gli jiavaros difficili da raggiungere. Di fatto la spedizione smobilitò anche perché gli indios che la accompagnavano si rifiutarono di proseguire senza ricevere il compenso pattuito di utensili atti alla coltivazione, che costituiva il loro salario.
- Viva in anni successivi riprese il suo folle progetto organizzando altre spedizioni di cattura ed anche il tentativo di un insediamento di un grosso villaggio.
-- Durissimo su di lui il giudizio di Padre lucero che così si espresse: “ … si sono prese con le armi più di 700 persone (Jiavaros) e la maggior parte dei prigionieri sono morti nelle mani dei soldati senza che li ebbero in pagamento del loro lavoro, E siccome questo soldati trattano
i i prigionieri come pezzi di stoffa, vorrebbero che questa spedizione durasse altri sette anni. E questo è lo stato del villaggio di los Naranjos, che tanto pregiudizio ha causato alle nostre missioni e in questo si è risolto l’impegno del padre Viva, che promise la conquista ma che a conclusione del suo impegno ci ha portato sul punto di perdere le missioni”- cit. p. 126.
Si stroncava in tal modo l’operato di Padre Viva che aveva messo in pericolo il duro lavoro di evangelizzazione compiuto nei decenni da altri Padri.
L’azione di Padre Fritz (missionario boemo)
--Uomo di indiscusso valore e con grande ascendente presso gli indios e gli europei, operò particolarmente presso gli Omaguas che gli riconoscevano autorità e prestigio. Uomo dall’atteggiamento apostolico (il contrario di P. Viva) andò incontro ad una serie di disavventure.
-- Nel 1689 si ammalò di febbri e rimase bloccato pere tre mesi nel villaggio inondato. Decise comunque di scendere al Parà per curarsi e perorare la causa delle sue genti, ma fu bloccato dai portoghesi per quasi due anni.
- Quando venne riaccompagnato dai portoghesi verso il confine del tratto di fiume che era di pertinenza dei cristiani, trovò le sue isole spopolate per le incursioni avvenute durante la sua assenza-
-La sua opera era andata vanificata. Il grande sforzo profuso percorrendo su e giù il Grande Fiume per scoraggiare le fughe, richiamare i fuggiaschi e insediare nuovi migranti, sedare rivolte e contrastare la pressione portoghese era andata perduta. Scoraggiato pensò di ritirarsi.
- Fu poi cappellano in un’altra spedizione raccogliticcia che ebbe effetti effimeri sui portoghesi.
-- Il territorio di Omagua andò definitivamente perduto e il sigillo dell’abbandono fu definitivamente posto nel 1711 da parte della Audiencia di Quito che rinunciò ad ogni pretesa territoriale per mancanza di fondi.
- Dopo varie spedizioni i portoghesi si insediarono definitivamente nel territorio Omagua. L’intervento dei gesuiti si fece quindi più rarefatto e sporadico.
- Le cure di Padre Fritz verso gli Omaguas andarono disperdendosi. Egli, che ben li conosceva, li aveva descritti come tra i più evoluti tra gli indigeni, capaci di tolleranza verso i propri simili e rispettosi delle loro famiglie.
- Nel villaggio di san Joaquin era in uso il valore d’uso e il valore di scambio: “le missioni basse, del Napo, del Nanay, l’officina del fabbro era utilissima. C’erano tre maestri, un Omagua abile che imitava ciò che vedeva, … che faceva chiavi, cardini e altro, un Yameo e un Mayourana che lavoravano settimanalmente, due a due, e si pagava loro tutto, dandogli carbone, utensileria e due incudini … venivano da tutte del Tigre, dal Napo, dal Nanay”- cit. p. 130. Una comunità modello anche per le altre.
- Ma per lo più la rete di evangelizzazione non conseguì mai risultati stabili e nel tempo soddisfacenti.. In molti casi essa fu lacerata violentemente e distrutta, come abbiamo visto per padre Fritz. La vita stessa dei missionari era costantemente in pericolo, per malattie terribili, uccisioni ed incomprensioni. Il territorio molto vasto non consentiva un coordinamento stabile e i rapporto con le autorità spagnole e portoghesi spesso furono difficili se non addirittura negative.
In questo quadro di instabilità si iscrive la morte e l’uccisione di padre Figueroa. Egli mori durante la repressione della rivolta dei Cocamas e la sua testa esibita come un trofeo.
Altri problemi delle missioni
- Poiché il processo di evangelizzazione duro circa 130 anni, si crearono problemi legati al ricambio dei padri nelle terre per cui era necessario rifornire le missioni di neofiti, spesso inesperti, per evitare il declino delle missioni.
- Il ricambio non fu facile anche in termini numerici e mai tale da riempire le necessità che di volta in volta si creavano. Si trattava infatti non solo di difendere le missioni già in essere ma anche di costituirne di nuove.-
- Inoltre man mano i gesuiti chiesero alle autorità l’assenza di soldati nelle missioni.
Era stato per primo padre Cugia a farlo presente in una lettera al Padre provinciale: “Chiedo alla Eccellenza vostra che se il mio insegnamento devo farlo con l’aiuto dei soldati allora mi richiami al mio convento, perché non posso ottenere nessun risultato in tale compagnia … Riuscimmo poi ad ottenere dal Governatore che nelle nostre riduzioni i soldati non debbono stare,, né essere visti”- cit. p. 135
- La presenza armata infatti impauriva le popolazioni indigene e rendeva problematico l’approccio con i religiosi che venivano visti come intrusi e protetti dalle armi.
- semmai era accettata una piccola scorta ma senza ostentazione di armi e di volontà di offesa. Si raccomandava pertanto la discrezione.
- Un fattore che invece giocò a favore dei missionari nel loro difficile compito fu il reperimento nel bacino amazzonico di grandi quantità di oggetti di acciaio, ferro, come le asce e i cunei, gli aghi, i machete e gli ami, strumenti molto ambiti dagli indigeni da utilizzare nei più svariati lavori.
- La disponibilità di questi materiali messi a disposizione degli indios faceva a questi compiere il passaggio dal Neolitico all’Età del ferro . Per cui i missionari partivano per le missioni ben riforniti di questi strumenti da offrire agli indigeni e conquistarne la benevolenza. Un religioso a tal proposito racconta un aneddoto: “Un giorno un indio si presentò a Padre Lucero. Prendi. Ti regalo mio figlio ma tu mi dai in cambio un’ascia o una vanga”- cit. p. 137. Lucero lo apostrofò con un sermone ma la risposta dell’indio fu sconcertante: “Padre, di figli ne posso generare quanti voglio, ma un’ascia no”- cit. p. 137.
- L’episodio, forse apocrifo, denunciava però un atteggiamento costante da parte della popolazione indigena pronta a tutto pur di avere gli strumenti portati dai padri.
-- Il problema della lingua. Per comunicare era necessario uno strumento linguistico efficace. Ai Padri venne imposto di imparare la lingua dell’Inca, ovvero il quechua; ma ciò non bastava per l’estrema frammentarietà idiomatica della zona.
- fu necessario pertanto ricorrere ai viracochas, meticci con funzione di interpreti per veicolare i messaggi. Questo ruolo degli interpreti si rivelò importantissimo anche per consentire la comunicazione interetnica quando varie etnie convivevano nella medesima missione.
CAP. 7
Antropologia del fiume
-- Esso rappresenta un sporta di Paradiso per l’antropologo tante sono le informazioni e le scoperte che il corso d’acqua fornisce.
-- Due scuole di pensiero
1) Jiulian Steward: ipotizza la diversità ambientale ed antropologica tra la cultura andina (alta montagna) e quella della foresta tropicale; la civiltà delle terre alte si fondava su un’agricoltura intensiva e su terre che non dovevano essere disboscate. Una popolazione densa richiede una organizzazione sociopolitica elaborata; surplus produttivi permisero articolazioni elaborate religiose ,artistiche e manifatturiere.
2) Anna Roosevelt. Valuta diversamente le caratteristiche locali. La culture della foresta tropicale erano invece adatte ad un ambiente torrido, umidi con densa foresta. Per cui prevalse la consuetudine della caccia e della pesca e una agricoltura del taglia e brucia, poco estesa, con bassa densità demografica e piccole comunità.della foresta tropicale non degradandola a zona inferiore. Secondo la studiosa la popolazione di molte zone crebbe rapidamente durante la tarda preistoria insediandosi in grandi villaggi e città. Nota ancora la presenza di infrastrutture pubbliche, elaborata arte cerimoniale, scambi a lunga distanza, simbolismo elitario
Altro problema che appassionò gli studiosi è quello della cosiddetta catastrofe/tracollo demografico che avrebbe colpito il territorio tra il Cinquecento e il Seicento.. E’ emerso il convincimento che in ogni contrada del continente l’incontro anche sporadico con gli iberici sia stato motivo di rovinoso crollo demografico. , Altri pareri attenuano la tesi precedente (William Denevan) parlando di una catastrofe demografica non giustificata
- Il fiume era pescosissimo e la caccia offriva ampie risorse. La fascia rivierasca (varzèa) era favorevole al popolamento ed in essa abitava oltre la metà degli indios dell’immensa regione. Ma il popolamento non era omogeneo tra i vari gruppi etnici: gli Omagua (di cui si è già ampiamente parlato) a metà Settecento occupavano le isole ed un tratto di fiume per circa 700 km, con una densità insediativa superiore a quella di altri gruppi etnici.
IL problema demografico
- Sul crollo demografico intervenne anche Padre Figueroa alludendo al crollo demografico per una molteplicità di fattori tra cui le vessazioni subite in seguito all’instaurazione del rapporto di encomienda (rapporto di vassallaggio feudale) e le ricorrenti epidemie di vaiolo ed altre epidemie terribili che infestavano la zona.
- Le nuove missioni create non riuscivano a provvedere ai fabbisogni della popolazione anche a causa dello scarso personale religioso impegnato, al quale veniva non di rado assegnata la cura di più missioni. E quindi non riuscirono a frenare il declino demografico.
- Il ruolo del vaiolo. La malattia occupa un posto centrale nella questione demografica tanto che esso è considerato come un protagonista, ma non l’esclusivo.
I dati epidemiologici parlano di una mortalità molto elevata tra il 30 e 40%, ma il vaiolo si presentava ad ondate successive e colpiva quindi coloro che non si erano immunizzati dalla precedente epidemia o che erano nati dopo.
Il vaiolo infuriò nelle zone per un lungo arco di tempo e se ne ha notizia fino al 1762.
Tuttavia durante questa epidemia avvenne il primo tentativo di contrasto della malattia mediante l’inoculazione , praticata dal padre gesuita fiorentino Esquini. Riferisce il diario di padre Urarte:
“disse che facendo ingerire il vaiolo di buona qualità, ne salvò molti “- cit. p. 154, una sorta di vaccinazione quindi, mentre in Europa si era in piena Età dei Lumi.
Altri riti ed usanze si diffusero nel contrasto della malattia con uso di piante medicinali e una ricca farmacopea, la cui efficacia non fu mai decisiva. Va registrato qualche caso di eutanasia per sottrarsi alle sofferenze.
I morti per vaiolo venivano spesso sepolti nella stessa abitazione o nei suoi pressi. Prassi questa che i gesuiti cercarono di sradicare, come pure
- l’infanticidio che era in uso presso alcune popolazioni, quando il neonato presentasse delle deformità. Abbiamo a tal proposito la testimonianza di padre Lucero. “Uccidono i loro figli a volte perché nascono femmine e non maschi, che prediligono, altre volte perché la madre non ha voglia di allevarli …. Il modo di ucciderli è di mettere i neonati ancora vivi in una buca che scavano e poi ci gettano sopra della cenere, molto lentamente, e in questo consiste la pietà paterna”- cit. p. 157.
- Diffusa era poi la pratica dell’aborto, che spesso determinava la morte sia del bambino che della madre.
- trattamento della pubertà: le notizie ci pervengono dal già citato padre Fritz , l’iniziazione alla pubertà riguardava soprattutto le ragazze secondo alcune rituali modalità:
1) venivano sospese in una rete alla sommità di una capanna per otto o più giorni alimentate con yucca ed acqua
2) veniva loro dato del cotone perché passassero il tempo imparando a lavorarlo
3) alla fine del periodo di sospensione venivano liberate dalla rete, portate al fiume, lavate dai piedi alla testa
4) il corpo veniva dipinto fino a metà busto e adornate con piume riportate al villaggio con un rituale di musiche e danze
5) Le donne del villaggio danno loro da bere una bevanda imponendo di bere fino a scoppiare
6) il più vecchio tra gli indio con un colpo di bastoncino sulla spalla impone loro un nome da conservare per tutta la vita
7) dopo la cerimonia le ragazze erano pronte ad essere chieste in moglie ai loro genitori
8) senza la cerimonia sopra descritta, l’unione tra uomo e donna era considerato un delitto da punire poiché le ragazze non erano state iniziate
IL Matrimonio
-- Prima della cristianizzazione il matrimonio monogamico non esisteva, ma le coppie erano instabili e non c’era preclusione circa l’unione tra affini.
L’evangelizzazione cercò di sradicare le pratiche e consuetudini sessuali anticristiane, proponendo il modello monogamico che trovò resistenze nell’essere accettato.
- Un’altra forza disgregatrice spesso trascurata dagli antropologi era la presenza in alcune collettività di una forte endogamia che portava a richiudersi nel proprio gruppo, con scarsa mobilità anche sessuale.
Ciò era determinato dall’elevato tasso di frammentazione delle etnie, che incideva nel calo demografico e nella crisi di lento spopolamento.
CAP. 8
- La spedizione di Charles Marie La Condamine
- Il 16 novembre 1735 (età dei lumi in Francia) partita da La Rochelle, la nave da guerra Portefaix giungeva dopo sei mesi in Colombia.
- Caratteristica di questa spedizione era prettamente l’interesse scientifico, dato che essa prevedeva la presenza di scienziati e tecnici francesi incaricati dall’Accademia delle Scienze di misurare la lunghezza del grado di un arco di meridiano nelle prossimità dell’equatore.
Ricca la dotazione di strumenti scientifici a bordo della nave, il che spiega l’intento preminente della spedizione, essendosi ormai esaurita la favola mitologica della Terra di Eldorado.
- Personalità di spicco della spedizione fu Le Condamine, ricco e colto scienziato amico di Voltaire
- E’ la prima volta che un documento di viaggio riferisce di conoscenze scientifiche tralasciando l’aspetto avventuroso, scritta da un uomo dell’Età dei Lumi, lontano dalle visioni mitologiche finora prevalse.
- la finalità del viaggio era prettamente di natura geodetica. Le Condamine era a conoscenza della disputa scientifica tra Huygens e Newton sulla ipotesi se la Terra fosse non sferica ma lievemente schiacciata ai poli . La sua esplorazione si orientò verso l’Ecuador e confermò le teorie dei due scienziati.
-Nel viaggio di ritorno iniziato nel 1743, più rocamboloesco, Le condamine esplorò la regione del Maranon, ove si fece costruire una robusta zattera per il trasporto di bagagli, strumenti e scorte di viveri. Superò il tratto delle rapide del fiume fino a giungere a Borja, capitale della regione, proseguendo la navigazione nel mare d’acqua dolce e poi attraverso la pianura fino all’Atlantico. Le sue impressioni “I miei occhi erano abituati da sette anni a vedere le montagne perdersi nelle nubi … non si stancavano di fare il giro dell’orizzonte … acqua, vegetazione e niente più”- cit. p. 167.
- incontrò nel suo viaggio la presenza del vaiolo, responsabile non secondario del calo demografico., e si stupi del perché non venisse praticato su larga scala il metodo della inoculazione di cui egli divenne un accanito sostenitore.
--Fu incuriosito dall’incontro con la civiltà delle Amazzoni, una repubblica di donne che vivono senza uomini, bellicose e guerriere, gelose della loro identità. Egli integrò le conoscenze su questa comunità che già Orellana aveva fornito. Si sa per es. che tra queste donne c’è una signora chiamata Conori che tutte le governa e comanda come suddite., che c’è grande abbondanza di oro e di argento, a disposizione delle signore di rango, mentre quelle di origini plebee utilizzano oggetti di legno. Viene confermata la pratica della soppressione di figli maschi e la tutela delle femmine da addestrare a guerriere
- Egli descrisse gli indios come una popolazione insensibile e apatica, indifferenti al progresso, inerti nel lavoro, fatalisticamente orientati a non riflettere sul futuro di cui accettavano gli accadimenti, abbandonati al ciclo della vita tra nascita e morte. Incapaci di pensare in forma astratta e quindi portatori di un linguaggio povero e arcaico.
Mentalità questa che non collimava certo con il pensiero di uno scienziato illuminista.
Rientrerà a Parigi nel 1745 e presentare la relazione alla Accademia delle scienze.
- Con lui cambiò radicalmente la natura dei viaggi amazzonici; prevalendo l’intento scientifico si procedeva a misurare, confrontare, annotare, comparare, costruire mappe, raccogliere e catalogare reperti floreali, faunistici e minerali . le successive spedizioni non poterono non tenere conto di questo nuovo approccio.
-La descrizione impietosa e severa di Le Condomine ed anche del Gesuita Magnin che incontrò, differiva però dalla filosofia del buon selvaggioche si diffuse in Europa nella seconda metà del Settecento con accenti già preromantici. Tesi questa che fu anche aspramente contestata (cioè di una natura antropologicamente inferiore degli indios) , tra tutti Bartolome’ de las Casas dedicò pagine polemiche contro questo mito denigratorio, raffigurando gli indios in positivo, capaci di autogoverno, di intelletto, di prudenza economica e politica.
- Uno dei più radicali denigratori fu invece l’abate De Paw, secondo la descrizione che ne riporta Antonello Gerbi: “quegli uomini, gli indiani, sono anche peggiori degli animali … hanno meno sensibilità, meno umanità e gusto e meno istinto, meno cuore e meno intelligenza. Meno tutto. Sono come bimbi scemi, inguaribilmente pigri e incapaci di qualsiasi progresso mentale”- cit. p. 170
La spedizione di Alexander von Humboldt
-Anch’egli conferma la presenza delle Amazzoni ma le chiama “donne stanche dello stato di schiavitù nel quale erano tenute dagli uomini, che si sono riunite in villaggio e che il desiderio di conservare l’indipendenza le ha rese guerriere” – cit.p. 180-181.
- Condivide le relazioni di Le comandine così esprimendosi: “ Con frequenza a Parigi mi hanno domandato, al mio ritorno dai viaggi in Orinoco e nel Rio delle Amazzoni, se io condividevo l’opinione di questo saggio (Le Comandine) o se io invece la pensavo come molti contemporanei, che egli avesse assunto la difesa delle Cougnantainsecoiuma (donne senza marito) … solo per attrarre in una seduta pubblica dell’Accademia la benevolenza di un uditorio assai avido di novità. Questa è l’occasione per esprimermi francamente al riguardo” – cit. p. 180
- Le spedizioni in epoca illuministica Le comandine, (Humbold, Jean e Isabel Godin des Odonais)aprirono l’Amazzonia ad un mondo ormai imprenditoriale messo in moto dalla rivoluzione industriale.
- Di questo spirito ormai capitalistico abbiamo la testimonianza nelle parole del capitano Herdon della marina americana : “Posso immaginarmi il risveglio delle popolazioni quando iniziasse la navigazione amazzonica di bastimenti a vapore. Fantastico udire il frastuono della foresta
abbattuta per far posto alle coltivazioni di cotone, cacao, riso, zucchero e l’acuto stridore delle segherie che riducono in tavole i preziosi e magnifici alberi della regione …” – cit. p. 183.
CAP. 9
Il problema della spartizione iberico/portoghese dei territori amazzonici
- Il Trattato di Madrid del 1750 rese definitiva la spartizione tra aree di influenza spagnole e portoghese nel territorio. Di fatto il trattato ufficializzava una situazione già in essere sul campo.
- Per lungo tempo la presenza spagnola aveva lasciato in ombra quella portoghese che tuttavia nella media e bassa Amazzonia era diventata molto consistente ed invasiva mirando esplicitamente allo sfruttamento della manodopera – schiava o libera che fosse- per l’assoggettamento della popolazione indigena con metodi anche brutali e spietati
- Gli ordini religiosi, non solo gesuiti ma anche e francescani e carmelitani, non riuscirono quasi mai a contenere la brutalità dell’intervento portoghese, svolgendo semmai una funzione di intermediari tra gli invasori e gli indios
- L’insediamento portoghese in Amazzonia fu relativamente tardivo rispetto a quello spagnolo ma venne assumendo successivamente ritmi sempre più incalzanti. I circa 30 mila portoghesi che alla fine del Cinquecento erano insediati lungo la costa rappresentavano una potenziale minaccia per gli avamposti inglesi francesi e olandesi posti nell’estuario del fiume. Ma c ’era anche il pericolo che il Portogallo perdesse il controllo della grande via di comunicazione fluviale verso l’interno.
- da parte del governo di Lisbona si provvide a fortificare la regione con insediamenti militari e fondazione di nuove colonie del Maranaho e del Gra Parà
- all’inizio degli anni Trenta lo strapotere portoghese sull’estuario era ormai consolidato ed anche la proiezione verso l’interno procedette senza difficoltà e con continuità, ove le popolazioni locali andavano assottigliandosi sia per l’effetto di persistenti malattie euroasiatiche che per l’insediamento di avamposti portoghesi.
- l’Amazzonia portoghese si differenziava nettamente da quella spagnola soprattutto per l’accentramento amministrativo.
Vediamo gli elementi fondamentali della struttura di governo portoghese
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Il governatore era a capo dell’amministrazione coloniale
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Altre figure stabili erano un ouvidor (magistrato) e un provedor de fazienda (tesoriere) (e un capitao mor ( con responsabilità militari)
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I coloni erano rappresentasti dal Senado da camara, ma spesso i loro interessi confliggevano con quelli della Corona.
- Importanti nel supporto erano gli ordini religiosi, francescani, carmelitani e gesuiti, i più esperti nell’opera di evangelizzazione. Gli ordini erano sostenuti dalla Corona che li considerava alleati essenziali nell’esercizio del dominio. Ma l’azione dei gesuiti non andò oltre il 1757 quando furono espulsi.
- Si passò poi alla fase del Direttorio, nel quale gli amministratori vennero sostituiti con amministratori civili
Lo status civile degli indios
Fu essenzialmente simile a quello che prevalse nell’America spagnola
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gli indios erano considerati liberi e non potevano essere posti in schiavitù purchè capaci di darsi e seguire regole di convivenza
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2 facevano eccezione quelli dediti a delitti, incesto e cannibalismo o quelli dichiaratamente ostili. Questi ultimi erano denominati barbaros e potevano essere sottomessi con la formula allora in voga della guerra giusta.
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La distinzione tra indio “politico” ed indio “barbaro” era però sottile e spesso si prestava a fraintendimenti e manipolazioni. Una labilità definitoria che lasciava alle autorità larghi margini di discrezionalità e soggettività
Il regime di vita prevalente
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Agli indios aldeados, cioè insediati in abitati sotto controllo portoghese, era garantita la libertà e la proprietà delle loro terre ma potevano essere obbligati a lavorare per i residenti portoghesi in cambio di un salario
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Gli indios ostili o nemici potevano essere resi schiavi ( ma qui giocava il ruolo della discrezionalità nel giudizio dell’operato dell’indio) e verso di loro poteva essere praticata la guerra giusta, motivata da atti di ostilità e di guerra, ostacoli posti alla predicazione, cannibalismo.. Il sistema si prestava pertanto a palesi abusi
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L’aldeamento : esso altro non era che il trasferimento di gruppi di indigeni dai loro territori verso i luoghi ove veniva costruita una aldeia (villaggio di indios amministrato da un missionario). Tale pratica era anche chiamata descimento, ovvero discesa perché frequentemente si trattata di una trasmigrazione a valle, sotto la guida e responsabilità di un religioso. Era questo il primo passo per rendere possibile l’evangelizzazione dei soggetti raccolti e raggruppati.
L’opera di Antonio Vieira (gesuita)
-- Denominato il Las Casas portoghese divenne paladino degli indios e si schierò apertamente con essi quando la Corte aveva ancora una volta decretato lo status di libertà degli indios, provocando la durissima reazione dei coloni che ne chiesero la revoca.
-- La sua opera mediatrice tra interessi opposti non ebbe gran successo, Sotto la pressione dei coloni la legge venne modificata in senso favorevole a questi e il religioso insieme ad altri gesuiti a lui vicini vennero espulsi e imbarcati per il Portogallo.
-- La nuova legge era più restrittiva; prevedeva infatti che
1) gli indios possedevano sì la terra ma erano anche obbligati a lavorare dietro mercede per i coloni
2) vennero istituite tre categorie di aldeias: - quelle che servivano alle necessità dell’ordine religioso – quelle per il servizio pubblico che provvedevano a trasporti verso le infrastrutture – quelle nelle quali il lavoro degli indios era riservato ai coloni
-- Soprattutto nella missione il controllo assoluto era esercitato dai Padri che controllavano tutte le operazioni di produzione, trasporto e vendita, come in un regime monocratico (essi infatti garantivano il principio di autorità)
--Presero poi piede le spedizioni di guerra chiamate resgates (spedizioni che compravano o riscattavano indios tenuti prigionieri da altri indios).
- Al religioso che accompagnava la spedizione spettava il compito di distribuire merci e utensili per gli scambi ed accertare che ogni schiavo fosse catturato “legittimamente”, cioè secondo regole codificate di scambio..
--. Le frequenti rivolte represse duramente contribuirono non poco al calo demografico della popolazione, anche se cifre sicure non ne possediamo. Sono per lo più i religiosi a fornire dati numerici sui massacri operati, come anche sul numero di schiavi introdotti
-Alcuni gruppi come i Manaos si specializzarono nel mercato degli schiavi con i portoghesi in cambio di mercanzie europee
- Successivamente i rapporti tra i Manaos e le autorità portoghesi si guastarono al punto da dichiarare una guerra giusta contro questo gruppo che forse reclamava una maggiore libertà di azione. La guerra si concluse con lo sterminio da parte dei portoghesi di quelli che erano stati loro collaboratori.
- Verso la fine del Settecento comunque le popolazioni amazzoniche avevano perduto molti dei tratti originari. L’omogeneità etnica era stata fortemente compromessa nel contatto con bianchi, neri e meticci. Alcuni gruppi etnici erano scomparsi o altri si erano detribalizzati, trasformandosi in indios “generici” senza più connessione con i loro luoghi, la loro cultura e la loro lingua sostituita dalla lingua geral, sorta di lingua franca.
- il nuovo indio che si presenta nel Settecento è quindi profondamente conformato, riplasmato o deformato dai nuovi modelli culturali loro imposti durante la sottomissione al mondo coloniale.
EPILOGO
- Il contatto con gli Europei aveva profondamente trasformato l’identità degli indios e di quelli che erano sopravvissuti ad epidemie, massacri, guerre.
- Il declino demografico non portò comunque all’estinzione. Stime appartenenti al secolo scorso (Novecento) parlano di presenze intorno alle 150-200 mila unità.
- nel 2010 un censimento rileva circa 300 mila unità che si dichiararono di ascendenza india e una cifra quasi tripla nelle altre regioni amazzoniche come la Bolivia,. Ecuador, la Colombia, il Perù ,
- sempre nel 2010 l’intera area amazzonica censita contava circa 34 milioni di abitanti ma con densità bassissima di poco più di 5 abitanti per chilometro quadrato.
- la penetrazione umana europea ha convertito intere estensioni della selva in pascoli e coltivazioni
- sul corso del fiume sono sorte metropoli popolose
- spedizioni industriali reclamano nuovi spazi per l’estrazione del petrolio
- dighe e bacini alterano e modificano profondamente la geografia iniziale.
Nell’alta Amazzonia l’espulsione dei gesuiti determinò il declino delle missioni alla cui direzione si avvicendarono clero secolare e francescani, incapaci tuttavia di arrestarne la fine.
- Su questo aspetto va ricordato che già nel 1785 Francisco Herrera, un valoroso funzionario spagnolo, aveva criticato a fondo la gestione e il malgoverno del clero cui erano affidate le missioni E’ utile ricordare le sue parole: “ Si può ben comprendere che non possono disimpegnare col dovuto amore e zelo il compito del loro ministero e i loro costumi riflettono in consonanza la loro tiepidezza e il loro disimpegno, come di fatto mi consta per molti comportamenti disordinati degni di riprovazione che nelle tenere piante dei neofiti e dei catecumeni ingenerano scandalo molto pregiudizievole alla propaganda del Vangelo, e senza inoltre procurare nemmeno quei beni temporali che dovrebbero offrire loro, utilizzando le loro prebende per il proprio lucro, facendo commercio ed estraendo dall’infelice paese che abitano uanto possono per il loro utile”- cit. p. 213.
- un altro fattore di perdita dell’autonomia della società amazzonica a partire dalla metà dell’Ottocento fu lo sfruttamento delle foreste per la produzione del caucciù
- Le nuove applicazioni industriali resero il caucciù essenziale nella fabbricazione di prodotti per i quali c’era forte domanda.
- Disperso nella foresta il reperimento del caucciù richiedeva una forte domanda di manodopera e una complessa organizzazione del lavoro
- Nel quindicennio anteriore alla prima guerra mondiale la produzione e lavorazione del caucciù risultava seconda solo a quella del caffè-
-- Sotto l’aspetto sociale e demografico la ricerca del caucciù dette logo ad un reclutamento molto consistente di indios tenuti in condizioni di semischiavitù da imprenditori rapaci e senza scrupoli ( si presume che varie decine di migliaia di lavoratori fossero all’opera nella raccolta). – Ci furono quindi intense migrazioni di lavoratori per lavorare alla raccolta (l’infame peruviano Arana reclutò per il distretto del Puntamayo migliaia di uomini in stato quasi di schiavitù provenienti dalle Barbados )
- Le condizioni di vita peggiorarono rapidamente anche per lo scoppiare di un’epidemia di malaria
Il modello prevalente era quello preda/predatore. I secondi si nutrono delle prime e
crescono di numero finchè la popolazione delle prede è numerosa, ma quando questa comincia a calare ai predatori viene meno il sostentamento e tendono a declinare. Questo modello mutuato dal mondo animale non era però automaticamente applicabile al mondo umano poiché il ciclo non si ripete invariato. Infatti nel mondo umano giocano altre variabili (per es. gli indios possono evitare il contatto ritraendosi nella selva,, intervengono altre forze (i missionari) per isolare gli indios dallo sfruttamento).
Apppendici
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RIO DELLE AMAZZONI: CARTA DI IDENTITA’
1) Il nome ufficiale del grande fiume è Rio delle Amazzoni ma non è sempre stato così.
Gli iberici lo denominarono Maranon
-l’etimologia è ignota; alcuni pensano l termine castigliano marana (leggesi maragna), cioè intrico
per la moltidudine di canali e delle acque all’estuario. Ma potrebbe anche riferirsi all’isola di Marajò all’estuario donde il nome del fiume maranhao e i suoi abitanti Maraones.
- Il nome Rio delle Amazzoni si deve alla popolarizzazione del racconto di Carvajal sulle battagliere guerriere che attaccarono orellana e la sua spedizione-
- Questa denominazione divenne poi di uso comune nel Seicento in alternanza o sovrapposizione con Rio Maranon
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La lunghezza del fiume si aggira tra i 6.500 e 6.800 km; l’imprecisione deriva dal fatto che il percorso muta continuamente specialmente nei tratti ricchi di meandri, deviazioni, anse.
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Le sorgenti del fiume più remote vengono poste a 4.000 mt di altezza nel dipartimento di Arequipa in Perù
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Dimensioni del bacino e portata. Il Grande Fiume non ha rivali. L’intero bacino amazzonico misura 6,9 milioni di km quadrati. La portata dell’estuario è calcolata in 214 milioni di litri di acqua al secondo ed è la maggiore del mondo.
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Si valuta inoltre che il Grande Fiume contribuisca per quasi un sesto all’intero volume di acque dolci che si riversano negli oceani del globo. Tanta è la portata che presenza di acqua dolce si trova anche a 160 Km in mare aperto
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Il fiume è ricco di affluenti: ben 15 .
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La piovosità è alta e la stagione delle piogge copre un arco di tempo da gennaio a giugno/luglio. La stagione secca da agosto a dicembre.
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Il periodo delle piene raggiunge il massimo tra marzo e giugno
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Il fiume con la sua forza prodigiosa trascina con sé enormi quantità di sedimenti erosi dalle Ande
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Le acque del fiume hanno colore marrone, motoso, a causa dei tanti sedimenti veicolati.
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Il limo depositato sul suolo quando le acque si ritraggono dai territori inondati è richissimo di elementi nutrienti e fertilizzzanti.
II - ARITMETICA AMAZZONICA
SUL NUMERO, LA DURATA E IL RICAMBIO DELLE MISSIONI
-- Juan del Velasco aveva identificato 73 missioni che nel 1696 erano calate a 18. .
Si può azzardare che ogni anno ci fossero in attività 25 missioni e che in Manias l’opera evangelizzatrice sia svolta in 3.250 anni- missione o anni-villaggio.
La vita media delle missioni fu di poco superiore a un paio di decenni, solo una Limpia Concepcion durò l’intero periodo di 130 anni.
- I 161 gesuiti impiegati contribuirono a poco più di venti anni-missione ciascuno. Ma molti di essi ebbero anche l’incarico di gestire più missioni contemporaneamente, dato il difficile ricambio di personale religioso-
I BATTESIMI DEL VESCOVO DI QUITO, 1687
--Il vescovo, poco convinto dell’opera evangelizzatrice dei Gesuiti, fece raccogliere dai registri parrocchiali il numero dei battesimi somministrati nelle varie missioni
Il numero tale ammontava a 103.320 battesimi in 18 missioni. Molte incognite comunque gravano sulla autenticità di questi dati. Un elemento da prendere in considerazione e’ che nel novero dei battezzati fossero calcolati anche i “barbari” convertiti e poi ritornati nella selva
MEZZO MILIONE NEL 1648 … QUANTI UN SECOLO ?
- Ci si riferisce con questa cifra alla popolazione della varzea (fascia rivierasca) a metà Seicento.
I dati, anche in questo caso incerti, si devono alle indicazioni di Padre Laureano e Antonio Porro.
La scarsa densità costiera è anche da attribuire al carattere mobile di molti gruppi indigeni. Per es. gli Omaguas (già studiati dai padri Acuna, Cruz e Fritz) abilissimi navigatori, erano soliti abitare sulle isole e non sulle rive.
ANCORA SUL RICAMBIO DELLE POPOLAZIONI DELLE MISSIONI
-I censimenti di Mainas informano che nel 1745 vennero conteggiati 12.912 indios nelle missioni e 12.229 nel 1761.
- Non conosciamo i tassi di natalità e mortalità ma in alcune missioni del paraguay la natalità fu pari al 58% e la mortalità al 47%..
Il dato sulla natalità non deve sorprendere in quanto nella realtà amazzonica l’unione matrimoniale avveniva già in pubertà.
Sulla mortalità incise il ricorrente pericolo del vaiolo che abbassò notevolmente gli indicatori.
I dati in possesso non sono comunque in assoluto attendibili e vanno presi con cautela.
Roberto Taioli
Roberto Taioli nato a Milano nel 1949 ha studiato filosofia con Enzo Paci. Membro della SIE- Società Italiana di Estetica, è cultore di Estetica presso l'Università Cattolica di Milano. Il suo campo di ricerca si situa all'interno dell'orizzonte fenomenologico. Ha pubblicato saggi su Merleau-Ponty, Husserl, Kant, Paci e altri autori significativi del '900.
Negli ultimi tempi ha orientato la sua ricerca verso la fenomenologia del sacro e del religioso e dell'estetica. Risalgono a questo versante i saggi su Raimon Panikkar e Cristina Campo.
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