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Reincanto del mondo: via percorribile o utopia?

di Antoine Fratini - Dicembre 2016

 

Secondo il punto di vista dell’approccio psicoanimistico il problema del disincanto del mondo moderno e dell’infelicità pro capite che ne deriva dipende fondamentalmente da fattori psicologici e culturali congiunti. L’anima, o psiche, necessita infatti di un terriccio culturale adeguato per realizzarsi pienamente. Purtroppo la cultura moderna, razionalistica e materialistica, ha smesso di rispondere a questa importante funzione. Per ovviare a questo problema mi pare ragionevole ispirarci alle pratiche e ai valori di quei plurisecolari popoli animisti che hanno posto l’anima al centro dei loro sistemi e che si sono evoluti in maniera più armoniosa rispetto all’uomo moderno. In questo difficile intento il primo passo consiste nell’operare una depossessione dal daimon economico. I significanti maestri “crescita”, “profitto”, “PIL”, “sviluppo”… che ricorrono nei discorsi degli attori politici ed economici, nonché di tutta la popolazione moderna, indicano sin troppo chiaramente la natura religiosa di quel che oggi viene chiamato “economia”. Si ci trova di fronte ad un sistema che nulla ha più a che vedere con il grande tema della spartizione e gestione delle ricchezze. L’equazione crescita/sviluppo = felicità, che l’esperienza contraddice sin troppo facilmente, regge esclusivamente su di un atto di fede inconsapevole che produce inquinamento, sovra popolazione, miseria, guerre e porta l’umanità alla rovina. Il secondo grande passo consiste nel recupero degli antichi valori legati alle tradizioni animistiche e sciamaniche, in particolare modo quelli legati al rapporto con Madre Terra e quindi al “sentire”, a quel che ho chiamato “percezione animistica”, ovvero la percezione dell’essenza o “anima” delle cose. Trattasi di una competenza tanto antica quanto fondamentale e di natura complessa, che coinvolge cioè l’intero essere nell’immaginazione. Per un approfondimento di queste tematiche rimando il lettore ai miei ultimi volumi(1). L’intento di questo breve articolo è invece di valutare alcune delle maggiori implicazioni legate all’adozione di una cultura dell’anima. Prenderemo in esami i campi dell’agricoltura, dell’industria, del tempo libero e dell’insegnamento per l’importanza strategica che rivestono nella nostra società complessa.

 

Agricoltura

Il passaggio dalla logica del profitto alla cultura dell’anima porterebbe probabilmente l’agricoltura ad assumere una fisionomia assomigliante a quella che in parte ebbe già negli anni ’70. Si tornerebbe ad una lavorazione estensiva dei campi onde favorire la rigenerazione dei terreni e produrre raccolti maggiormente di qualità che di quantità. Una salutare alimentazione, infatti, dipende molto più dalla qualità che dalla quantità dei prodotti. E nessuna qualità alimentare è possibile in assenza di un ambiente sano e quindi di un patto sacro con la Natura. In quelle condizioni, l’uso di OGM che intaccano la biodiversità e di pesticidi e fertilizzanti chimici altamente inquinanti non avrebbe più senso, così come non avrebbe senso la costruzione di orrendi capannoni ad uso stalla o fienile, simboli delle odierne e malsane agricoltura e zootecnia industriali. Ciascuna famiglia, anche in città, avrebbe un proprio orto e diventerebbe autosufficiente in materia di frutta e verdura. La rinascita dei piccoli poderi ridarebbe spazio vitale alle persone finendo per promuovere il sistema del baratto, le collaborazioni e la solidarietà tra famiglie, modalità comportamentali i cui primi e spontanei segnali si lasciano già intravedere oggi nei periodi di crisi economica. Abolito l’obbligo di una produzione industriale con la relativa tassazione, una siffatta agricoltura contadina sprecherebbe molto meno energia e acqua. Pertanto i fiumi e i torrenti tornerebbero a scorrere, la flora e la fauna a ripopolarsi. In sintesi, si metterebbero in moto dinamiche complesse con cicli di retroazioni positive per l’ambiente e anche per l’uomo che tornerebbe finalmente a sentirsi e a concepirsi parte integrante di quel “più grande di sé” ch’è la Natura. Un modo, già collaudato da molti millenni dai popoli tribali, per vivere la dimensione trascendente e la propria individuazione grazie all’ottimo e tradizionale supporto offerto dalla Natura. Finalmente si tornerebbe a gioire della commovente bellezza e dei straordinari misteri dei cicli della Natura.

 

La messa al bando del profitto come primo valore e del PIL come indice economico si accompagnerebbe logicamente dall’abbandono di pratiche tanto differenti, ma pur sempre irrispettose dell’anima e distruttive per l’ambiente, come per esempio la pesca a strascico, l’allevamento intensivo di bestiame e la caccia sportiva. Prevedibile sarebbe anche un sensibile aumento delle aree boschive in tutto il pianeta e quindi di un arricchimento del suolo e, in virtù di forme di collaborazione (couplage) tra Ministeri (in particolare con quello dell’industria), un ritorno al legname da usare come materiale edile e combustibile. A differenza del petrolio e di altri combustibili fossili, gli alberi si possono ripiantare e contribuiscono sensibilmente, trattenendo il CO2, a mantenere l’omeostasi del pianeta. Un tale sistema virtuoso ha già mostrato le sue prove da decenni nei paesi nordici. Anche il trattamento riservato agli animali di allevamento subirebbe un sensibile miglioramento qualitativo e una umanizzazione che potremmo sintetizzare con la frase: “meno capi, più cure”. I paesaggi agricoli finirebbero per assomigliare a quelle ampie zone colorate di una volta intrise di vita e di storie. Tornerebbero a suggestionarci i vari “denti del diavolo”, “covi della faina”, “culle della luna”... oggetti di tante passate conversazioni nelle vecchie osterie. Proprie come gli aborigeni australiani che, per orientarsi nei loro spostamenti, si affidavano alle antiche “vie dei canti” consistenti in vere e proprie canzoni ispirate alla conformazione del territorio, arricchite di ricordi e tramandate dalla notte dei tempi. I vari angoli del territorio diverrebbero così altrettanto luoghi dell’anima e riferimenti funzionali al vivere armoniosamente integrati alla Natura. Il mondo e le attività agricoli contribuirebbero così sensibilmente a sanare quella antica quanto infelice spaccatura tra Psiche e Natura che costituisce a mio parere uno dei mali peggiori del nostro tempo.

 

Industria

Immaginare un tipo di industria in accordo con l’anima e con l’ambiente non è certo un compito agevole. Anche se l’attuale agricoltura inquina forse più dell’industria, è soprattutto quest’ultima a collegarsi nella mentalità collettiva all’inquinamento del pianeta. Troppi sono i ricordi di stragi ambientali verificatesi nell’arco degli ultimi decenni in nome di Economia e del suo principale motore, l’industria, in particolare modo quella chimica e quella energetica. I simboli più evidenti e ancora carichi emotivamente inerenti a quelle stragi sono rappresentati per quanto riguarda la chimica dalla vicenda di Seveso, per il petrolio dalle cosiddette “maree nere” e per l’atomo dalla fuoriuscita di radioattività come nel caso della centrale russa di Chernobil e da quella giapponese di Fukushima. In barba al principio di precauzione recentemente introdotto nella comunità europea, i politici continuano ad investire sulla fissione nucleare ben sapendo che i rischi in caso di guasto (sempre possibile) alle centrali sono altissimi e che le scorie di materiale radioattivo rappresentano un problema irrisolvibile con cui l’umanità dovrà fare i conti per molti secoli ancora. Rinchiudere ermeticamente quelle scorie in grossi contenitori di metallo e cemento ed infine depositarli nei fondali marini o in antiche miniere viene spacciato come soluzione, ma rappresenta, dal punto di vista psicoanalitico, il passaggio all’atto di una rimozione collettiva il cui onere potrebbe rivelarsi letale. Non sembra nemmeno esagerato richiamarsi, come propone il filosofo Christian Godin (La haine de la Nature, Champ Vallon 2012), al concetto freudiano di pulsione di morte e vedere in quel comportamento l’opera di tendenze suicide inconsce. Ma possiamo convocare anche il lato possessivo inconscio dell’archetipo della morte/rinascita: “il nostro mondo è talmente avvelenato e va così male, perché non velocizzare la sua agonia, sperando magari in una rinascita migliore?”

 

Il problema delle fonti energetiche è tornato prepotentemente alla ribalta in questi ultimi anni a causa del prossimo esaurimento delle scorte di petrolio combinato alla crescente richiesta di energia da parte delle nazioni in via di sviluppo e delle nuove potenze mondiali, Cina e India su tutte. Ora, come altri hanno già rilevato(2), trattasi di un problema mal posto che dà per scontato l’esigenza di una crescita perenne dell’economia mondiale. Ci imbattiamo così nuovamente in quella fede in Economia che ci acceca a tal punto da impedirci di scorgere i nostri più basilari errori di logica. Il tasso di entropia (dispersione e degradazione dell’energia) prodotto dal paradigma della crescita infinita sarebbe troppo elevato per permettere una evoluzione positiva di qualunque sistema, sia esso chimico che biologico o sociale. Vale a dire che la nostra società destina troppo risorse per produrre cose che veramente non servono né alla vita dei cittadini, né a quella del pianeta e che, una volta concluso il loro periodo di vita, non possono essere riconvertite e nemmeno digerite dal pianeta (come nel caso del petrolio). La problematica, quindi, non andrebbe posta nei termini di un aumento della produzione, ma bensì di una sua riduzione e di una ottimizzazione del rendimento energetico. In altri termini, il vero problema da porre non è “come incentivare la crescita”, ma bensì come ridurre i consumi, come disassuefarci dal nostro attuale stile di vita e come attuare una decrescita consapevole e felice.

 

Ora, la cultura dell’anima è in grado di apportare una risposta a questo rompicapo. Se per esempio una fabbrica che costruisce motocicli intendesse preservare la propria anima, non dovrebbe cedere alle lusinghe della crescita, dell’ampliamento forzato della gamma dei prodotti o della sua conversione secondo il trend del Mercato in funzione sempre di un potenziale di crescita. Seguendo le regole di quel che potremmo anche chiamare principio dell’anima, l’azienda dovrebbe invece curare particolarmente il proprio nome e la propria tradizione, sacrificando quella pretesa di crescita infinita risultata purtroppo mortale per molte gloriose marche del passato motoristico a cavallo dei primi anni ’80. All’epoca, l’Italia presentava in quel settore uno scenario particolarmente interessante e significativo per il nostro discorso. Erano presenti una miriade di piccoli e medi costruttori e assemblatori che coesistevano dividendosi varie nicchie di mercato, facendo da traino nella stessa occasione a tutta una serie di ditte specializzate nella progettazione e fabbricazione di componenti e parti meccaniche di alta qualità. Chi era da tempo specializzato nel motocross, nel trial, nel turismo, nei ciclomotori, in certe cilindrate... Molte di questi marchi erano abbinati da anni a storie, anche romantiche, di uomini, ingegneri, meccanici, piloti, team sportivi. Quando circa all’inizio degli anni ’80, con l’introduzione dei colossi nipponici del settore, si allargò il Mercato ma anche la concorrenza (tra l’altro impari, considerando i mezzi economici a disposizione delle multinazionali giapponesi), lo sbaglio principale delle ditte italiane fu di avere inteso seguire e affrontare la concorrenza sul loro stesso terreno, investendo contemporaneamente in campi così diversi tra loro come il fuoristrada, la strada, i ciclomotori, sfornendo modelli nuovi anno dopo anno. Così al limite delle loro possibilità economiche, il minimo errore non poteva che risultare fatale. Proprio quella fede cieca nella crescita a tutti i costi, che si può riassumere nella massima economica anglosassone “crescere o morire”, ha portato la maggior parte di quelle ditte al fallimento. Paradossalmente, ci si è accorti con il passare degli anni che il consumatore era pronto a dare la propria preferenza a ditte “storiche” e a cavalcare moto esclusive, progettate e costruite sulla base di criteri artigianali o semi artigianali, quindi a marchi dotati di una lunga tradizione, vale a dire di un anima. Forse il collegamento tra industria e anima potrà sembrare un po’ azzardato, ma anche se i grandi simboli dell’inconscio mostrano una netta predilezione per le forme naturali, di fatto i sogni registrano la comparsa anche di elementi che richiamano certi prodotti dell’industria e che possono rivestire forti valenze simboliche, come appunto le moto e le automobili. Per esempio, alcuni autori hanno richiamato l’attenzione sul legame simbolico esistente tra le forme dolci e arrotondate di questi veicoli e l’archetipo del Femminile.

Ancora oggi, il maggior motivo di successo di quei pochi marchi motoristici italiani rimasti sul Mercato, come per esempio Ducati e TM, risiede nell’anima che hanno saputo preservare e mettere adeguatamente in risalto. Ma probabilmente è tutto il cosiddetto made in Italy a basarsi, più o meno inconsapevolmente, su quel che l’Italia conserva ancora in termini di anima, almeno nella immaginazione della gente: storie di individui romantici e creativi che perpetuano tradizioni secolari in luoghi altrettanto suggestivi dove arte, scienza, tecnologia e Natura fanno uno. Sorprendentemente, vediamo che l’animismo potrebbe portare ad una concezione più completa ed armoniosa anche dell’industria.

 

Tempo libero

Uno dei cambiamenti più importanti impliciti nell’opera di depossessione da Economia riguarda il recupero del tempo da parte della popolazione che si ritroverebbe in una situazione psicologica del tutto nuova in quanto priva della dipendenza dagli obblighi sacrificali inerenti al culto del danaro. Per la prima volta forse nella intera storia dell’Occidente, l’uomo (e non soltanto poche elite) giungerebbe naturalmente a porsi la questione della propria individuazione. Attualmente, il tempo libero essendo ancora subordinato al lavoro e al profitto, questo non può avvenire. Se si verifica, è solo a livello di tendenza in qualche rara mente illuminata o semplicemente più scettica nei confronti del sistema. Nella odierna società, il tempo libero così come le ferie vengono infatti concepiti come svago e riposo necessari ad una ripresa lavorativa più vigorosa. Tale finalità determina la qualità del vissuto del tempo libero: “ci si deve riposare”, “ci si deve divertire”, “si deve approfittare delle vacanze perché poi si torna al lavoro”... In quelle condizioni, anche le ferie e il tempo extra-lavorativo diventano spesso fonti di stress e non sono mai del tutto esenti da condizionamenti.

Inserito in una cultura dell’anima, nel tempo libero assumerebbero invece particolare rilevanza tutte le pratiche finalizzate al mantenimento di un rapporto positivo e creativo con sé stessi. Pratiche meditative in stretto contatto con il mondo naturale che favoriscono il decondizionamento dai media, ma anche momenti caratterizzati da un darsi all’esistenza secondo le proprie ispirazioni, nel gioco e nelle relazioni come nella fruizione di particolari momenti di vita. Una sorta di ritorno alla cura di sé dell’età imperiale, ma a tutti i livelli della popolazione e non solo nelle elite.

 

A questo punto, al lettore sarà forse sorto il dubbio che quel che chiamo “cultura dell’anima” altro non sia che una espressione del noto “fare anima” Hillmaniano. Rispetto a quest’ultimo però, chiaramente ispirato ai miti classici e ai suoi archetipi, la cultura dell’anima non si basa su nessuna concezione e nessun popolo in particolare, adotta una prospettiva transculturale e punta al recupero della percezione animistica del mondo, la quale è al contempo più antica della cultura classica e più avanti rispetto al materialismo moderno. In questo senso, una cultura dell’anima non si costruisce tanto rivangando miti quanto lasciandosi ispirare, suggerire, orientare, sedurre dalla percezione dell’essenza delle cose. Per fare un altro esempio, prendiamo la fase appena antecedente all’arrivo del temporale. Essa emana una serie di segnali appena percepiti dalla nostra psiche prima a livello inconscio, poi anche conscio. Tali percezioni si abbinano naturalmente a contenuti ideativi, immaginifici e simbolici che, nel loro insieme, costituiscono un qualcosa di vivo e intrinsecamente legato alla nostra psiche. Per cui i membri tribali, in caso di necessità, arrivano ad invocare, anche avvalendosi di pratiche rituali, lo spirito del temporale o della pioggia. Non c’è nessun bisogno di richiamarsi a uno dei tanti dei dell’Olimpo. Vale anzitutto la percezione animistica dell’evento nella sua purezza. I personaggi con cui Jung s’intratteneva in bordura del lago di Zurigo potevano somigliare a volte ad antiche divinità, come era il caso del vecchio alato Filemone, ma erano allo stesso tempo figure altamente personalizzate con le quali si poteva instaurare un dialogo altrettanto personale. Tale atteggiamento, ben inteso, non impedisce necessariamente lo studio scientifico, per esempio della meteorologia, ma semmai lo completa facendo in modo che l’uomo non dipenda esclusivamente dalla tecnologia, dai numeri e dalla razionalità.

 

Insegnamento

Il campo dell’insegnamento è estremamente importante per il futuro di una società. Il cittadino passa il primo terzo della propria vita in istituti a studiare materie e autori non scelti da lui. Egli viene anche portato a compiere delle scelte che, a partire dal liceo, orientano il proseguimento degli studi in funzione dell’obiettivo “lavoro”, il quale risulta quindi determinante nella formazione della personalità. Attraverso la scuola, il sistema imprime fortemente e in un modo generalmente sottovalutato le sue influenze già in tenera età. Secondo le stesse testimonianze dei ragazzi, troppo spesso ancora gli studi vengono concepiti e vissuti come “sacrificio”. E in nome di chi viene attuato tale sacrificio se non del dio Economia? In quel modo l’interiorità delle persone subisce gravi ritardi di maturazione che non di rado possono spingersi verso forme sociopatiche e psicopatiche. Saddham Hussein e Hitler, per esempio, furono studenti modelli, pur rimanendo pericolosamente immaturi nell’animo, alieni a qualsiasi modalità empatica e privi del necessario bagaglio umanistico atto a compensare le loro capacità di calcolo e di affermazione.

 

Seguendo invece il principio dell’anima, le proprie risorse interiori, come la sensibilità animistica e l’intuizione, anziché abbandonate verrebbero incentivate ad esprimersi e a svilupparsi armoniosamente. Per questo è l’intera concezione della Scuola che andrebbe profondamente riformata, a cominciare dall’introduzione di nuove materie come per esempio l’ecologia, la contemplazione, la meditazione, la comunicazione, l’analisi dei sogni, l’antropologia, la creatività, l’orticoltura... Alcune lezioni potrebbero essere tenute in Natura e i programmi essere maggiormente personalizzabili a secondo del carattere e degli interessi dell’alunno. Si arriverebbe in pratica ad una scuola che serve lo studente anziché il sistema. Sentirsi ingranaggi del sistema è, sempre secondo le molte testimonianze dei diretti interessati, infinitamente rivoltante e deprimente. Se i giovani sono sempre stati il motore di ogni rivoluzione, non è di certo colpa di una fase edipica mal sormontata, ma perché, non facendo ancora parte totalmente del sistema, ne percepiscono le ingiustizie e tendono naturalmente a rivoltarsi. Queste loro rivolte, purtroppo, solo raramente trovano adeguata espressione nella cultura e nella politica, mentre il più delle volte rimangono timidi gesti di stizza destinati a lasciare posto ad un migliore “adattamento” non appena i soggetti incominciano a salire di livello nei ranghi sociali, a ricevere stipendi o ad imprigionarsi in una concezione desueta del matrimonio come cellula del sistema.

 

   Antoine Fratini

 

 

Antoine Fratini lavora da oltre quindici anni come psicoanalista, è Vice Presidente dell'Associazione Psicoanalisti Europei e membro attivo dell’Accademia Europea Interdisciplinare delle Scienze. Egli ha scritto nel 1991 il saggio Vivere di fumo (Book Editore, Bologna) sul rapporto tra adolescenza e uso di stupefacenti leggeri, nel 1999 il saggio Parola e Psiche (Armando, Roma) sul collegamento tra gli indirizzi linguistico e archetipico in psicodinamica e decine di articoli su riviste e siti italiani e stranieri. Poeta e artista, egli ha fondato assieme all’Associazione Culturale C.G. Jung di Fidenza il Movimento per l’Arte Naturale, corrente artistica basata sul pensiero junghiano, e le sue poesie compaiono sui maggiori siti del settore. La sua ultima pubblicazione: Psiche e Natura, fondamenti dell'approccio psicoanimistico, Zephyro Edizioni, 2012.

 

NOTE

1) La religione del dio Economia (CSA Editrice, Crotone 2010) e Psiche e Natura (Zephyro, Milano 2012)

2) Mi riferisco agli esponenti della corrente della “decrescita”.


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