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Sé grandioso e Io ipertrofico

Due grandi forme paradossali del patire l’amore estreme e contrapposte ma sempre più comuni

di Baldo Lami - Luglio 2023

 

In comune tra di loro hanno la grandiosità e l’onnipotenza narcisistica, nonché la possessività, tant’è che sono più comunemente conosciuti come “disturbi narcisistici di personalità”, in cui trovano spazio tutta una serie di disagi legati all’immagine di sé e all’autostima, che però si posizionano ai lati opposti dello spettro psicolibidico: il Sé da una parte e l’Io dall’altra.
Dobbiamo a Heinz Kohut, il grande teorico della “Psicologia del Sé” secondo cui il senso del sé non si può sviluppare se non nella relazione con gli altri (esperienze di oggetti-sé), la concezione di un rudimentale nucleo narcisistico di base formato da due strutture arcaiche molto potenti ma fondamentalmente positive: il “Sé grandioso” e l’“Imago parentale idealizzata”, che andranno a comporre un Sé bipolare, ambizioso e idealistico, che orienterà l’intero sviluppo della personalità, in senso narcisisticamente sano, adattivo, o narcisisticamente malato, disadattivo. A decidere il senso della configurazione psico-identitaria che ci fornirà l’idea e il sentimento dell’importanza che la nostra venuta al mondo ha al fine di poterlo creativamente affrontare, è la responsività materna. In assenza o grave carenza di rispecchiamento empatico, il Sé grandioso resta “fissato” a fasi primitive di sviluppo in senso ipertrofico o ipotrofico. Per la prima volta in campo psicoanalitico, queste affezioni estreme dell’amore sono per Kohut passibili di trattamento psicoterapeutico, al fine di riequilibrare attraverso i diversi “transfert d’oggetto-sé” che saremmo messi in campo (speculare, idealizzante e gemellare) quel delicato processo di “interiorizzazione trasmutante” che conduce a un amore di sé più realistico e più maturo, perché in grado di tollerare ed elaborare costruttivamente le frustrazioni e le rotture narcisistiche. Sarà proprio questa sopraggiunta tolleranza la chiave che ci consentirà di mettere in comunicazione osmotica le due grandi linee della vita, e dell’amore, così da spostare parti sempre più ingenti della potenza libidica relativa all’amore narcisistico, o di sé, su quella parallela e compresente fin dall’inizio relativa all’amore oggettuale, o dell’altro.
Resta però obiettivamente difficile pensare il narcisismo senza l’Io, ma Kohut non ha mai parlato di “Io ipertrofico”, per lui ipertrofico può esserlo solo il Sé, che è già grandioso di suo, né ha mai chiarito bene i rapporti che intercorrono tra Io e Sé, generando un’ambiguità che è rimasta anche nei post-kohutiani. Questa è la ragione per cui, nonostante questa importante innovazione teorico-pratica di cui bisognerà comunque tener conto, molti psicoanalisti hanno continuato sul narcisismo a pensarla come Freud (narcisismo primario e secondario) magari integrato con André Green (narcisismo di vita e narcisismo di morte). Ma la psicologia del Sé ha continuato il suo sviluppo mettendo radici sempre più solide nella psicoanalisi freudiana dove è giunta se non altro a identificare i punti nodali della questione su cui fare sempre più chiarezza. Il Sé appare adesso come il generatore dell’esperienza soggettiva e intersoggettiva di cui l’Io si farà poi interprete assumendosi la responsabilità delle scelte e delle difese.
Distinto chiaramente per struttura, proprietà e funzioni dal complesso maggiore dell’Io, col quale si trova comunque sempre in stretta relazione e interazione essendo oltretutto una sua emanazione, il Sé junghiano, quale immagine archetipica del sommo potenziale dell’individuo e dell’unità complessiva della personalità, si presta molto meglio del Sé kohutiano a rappresentare le due grandi forme narcisistiche del patire l’amore che possono essere fatte risalire al tipo particolare di amalgama e intrecci di linee e di flussi destinali e psicolibidici che si è dato in quell’immaginifico crogiolo materno-familiare che Winnicott ha chiamato holding (con-tenimento). Si tratta per Jung di due eventi estremi e contrapposti di totalitarismo psichico a carattere catastrofico che ha pensato bene di porre in antitesi nel concetto di “inflazione”, che in quanto rigonfiamento è un sinonimo di ipertrofia: nel primo, paragonabile al Sé grandioso, abbiamo un’“assimilazione dell’Io al Sé”, che per questo definisce una personalità quasi totalmente irrazionale, debordante e sempre sopra o sotto le righe; mentre nel secondo, paragonabile all’Io ipertrofico, abbiamo il processo opposto di un’“assimilazione del Sé all’Io”, che per questo definisce una personalità estremamente razionale, ipervigile e controllante.
Il problema terapeutico per entrambe queste grandi affezioni d’anima non è di poco conto, perché entrambe portano con sé il gravoso fardello di antiche problematiche nel rapporto con l’altro che rendono difficile o distruttivo se non totalmente impossibile ogni rapporto d’amore, e spesso proprio di quell’altro che paradossalmente si ama con la stessa intensità con cui ci si difende e in sostanza lo si esclude. Il grande fascino di Kohut, oltre all’originalità della sua teoria, risiede nel suo impareggiabile ottimismo, era molto più ottimista di Jung e certamente più di Freud che ottimista non lo era per niente e che anzi non vedeva di buon occhio gli ottimisti, quasi come i narcisisti… Il suo ottimismo era quasi una fede, quella di poter riuscire con una relazione analitica “sufficientemente buona” a recuperare dal fondo della nostra anima oggetti-sé grandiosi tenuti artificialmente in vita ma distrutti, feriti e doloranti per farli risplendere di nuova luce: la luce dei confini, tra sé e l'altro da sé, che il cuore esige che siano rispettati per l'esserci stesso della vita, che è relazione. Anche se è vero, poi, che il cuore non conosce confini. Ma questa è un'altra storia.

Baldo Lami

Psicologo e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica e psicosomatica


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