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Solidarietà

di Velia Galati - Marzo 2020

 

L’antropologia contemporanea ha riscoperto la socialità dell’uomo, l’intersoggettività sociale: la solidarietà.
La comunità umana raggiunge la sua pienezza di significato in quanto comunità solidale, in cui ogni azione sia governata dalla norma etica del promuovere, con il proprio, il bene comune.
Primo luogo di solidarietà è la famiglia (la prima comunità umana), che una cultura imperante in tempi a noi non lontanissimi, invece di aiutarla nel processo di evoluzione, accusava di gretto “familismo”. Le grandi opzioni ideologiche, e le conseguenti scelte politiche, indirizzarono risorse e servizi a vantaggio di singole categorie di bisogni e, paradossalmente, contribuirono ad indebolire la famiglia, spogliandola di compiti propri, impoverendone le capacità di contenimento di bisogni dei suoi membri. Così essa finì per delegare il ruolo proprio (educazione dei figli, assistenza gli anziani…) ad una molteplicità di strutture alternative, che si inserirono al suo interno, come ulteriore elemento disgregativo.
L’esortazione di papa Francesco alla solidarietà ci ricorda che la Speranza lega la Fede alla Carità, cioè alla solidarietà. "La petite esperance - scrive Peguy (Porche de la deuxieme vertu) - non è la parente povera delle sue grandi Sorelle che sembrano condurla per mano, al contrario, è essa che, dal mezzo, trascina le grandi Sorelle.
La Speranza che lega la Fede alla Carità (solidarietà), non è una speranza generica, disorientata, ma speranza nel Signore, poiché, "siate forti" (Salmo 25), riprendete coraggio, voi tutti che sperate nel Signore".
La solidarietà va perseguita come bene comune, come responsabilità; non si può infatti parlare di solidarietà, se questa non si rifletta sugli orientamenti politici e strategici che ne debbono essere il corollario a tutti i livelli, e, cioè, là dove si operano le scelte e le opzioni che ne consentano la realizzazione.
Il bene comune, perseguito come responsabilità, deve essere l’idea guida delle scelte politiche, che sono sempre scelte morali e culturali, in grado di favorire il bene comune o di farlo regredire. Una società è solidale se si fa carico di tutti i suoi membri, se di tutti si fa responsabile, e se con tutti avanza, con la collaborazione di tutti, senza escludere nessuno: e nessuno emargina nell’accesso alla giustizia, ai beni, alla dimora, al sapere, al lavoro.
Ma come infondere solidarietà, come suscitare assunzione di responsabilità?
Nel momento in cui un’esplosione sociale minaccia le fondamenta stesse della nostra democrazia, sono necessarie nuove prospettive, nuove garanzie collettive, che generino una cultura della solidarietà, e che creino precise corresponsabilità. La solidarietà, che è una categoria morale, si estende quanto si estende la società: nella famiglia, nelle comunità intermedie, nella politica, fino alle generazioni future e a tutta l’umanità.
La realizzazione di un progetto solidale deve cominciare da un livello per così dire molecolare, il livello della municipalità. La democrazia è nata nelle città e nella città può rifondarsi, e la città è lo spazio privilegiato per riportare solidarietà nella vita, per sviluppare sinergie fra tutti gli attori della vita locale, su un consenso locale.
Dalla città si può cominciare per rafforzare legami e integrarli con quelli più estesi della vita nazionale, per il bene di tutto il paese e di tutta l’umanità. La collettività locale può diventare elemento animatore e catalizzatore per tessere trame di solidarietà in tutti i settori della vita, attraverso tutte le formazioni sociali intermedie, a partire dalla famiglia, cardine della convivenza civile, della quale deve essere garantita la pienezza dei diritti civili, sociali, politici e umani.
Solidarietà per assicurare il diritto al lavoro. Si sono avverate, infatti, le previsioni secondo le quali gli uomini d’affari avrebbero investito i loro capitali, o trasferito le loro aziende, nelle regioni di Europa o in altri continenti, in cui più debole è la protezione sociale e più basso il livello dei salari, cosicché la collettività nazionale avrebbe dovuto pagare i costi della disoccupazione, delle indennità, della cassa integrazione.
Molti anni or sono il cardinale Tettamanzi aveva aperto un dibattito con le forze imprenditoriali della città, e si era chiesto se le risorse economiche non fossero state spesso accantonate per un frutto privato, ed aveva segnalato anche la latitanza di alcune istituzioni, i particolarismi di certe consorterie e di gruppi di lavoratori. Il suo appello era stato alla responsabilità di tutte le componenti sociali e ai lavoratori cristiani, imprenditori, dipendenti, sindacalisti, per un fronte comune di solidarietà, che, superando gli interessi di parte, difendesse i diritti di tutti.
Certamente, occorre ricondurre l’economia al suo giusto posto di servizio dell’uomo.
Per quanto tempo può sopravvivere una democrazia in cui il sociale è divenuto un sottoprodotto dell’economico, in cui le spese sociali sono considerate spese improduttive, dannose per l’economia, in cui le manovre economiche di emergenza colpiscono le fasce più deboli della società?
Bisogna partire dalla dimensione municipale, perché è questo il livello in cui è possibile un controllo più immediato sugli eletti da parte degli elettori, degli amministratori da parte degli amministrati; poiché il controllo della collettività su coloro che gestiscono il denaro pubblico è troppo spesso al riparo da sguardi indiscreti. I cittadini più vicini a coloro che decidono sono un elemento positivo per il funzionamento della democrazia, perché si realizza una “dialettizzazione” specifica e immediata dei rapporti sociali.
C’è nella discrezionalità del controllo il germe di una strumentalizzazione che deve essere denunciata, il germe e il sospetto di un rapporto di scambio. Nel fallimento della coerenza etica di gran parte della politica, non minore è la responsabilità di coloro che operano nella società civile e, ritenendosi intoccabili, chiedono ai politici privilegi, secondo la peggiore tradizione clientelare, in un’aberrante interpretazione della solidarietà, che è anzi il rifiuto di tali rapporti privilegiati.
Solidarietà è anche quella dei cittadini che decidono di farsi carico dei problemi di certi quartieri degradati della città, loro che abitano nelle zone residenziali: di preoccuparsi, anche se non ne sono toccati, della difficoltà della scuola, dell’emarginazione giovanile, della disoccupazione; solidarietà di tutti i cittadini per rendere meno abbandonata la vecchiaia, meno disperata la malattia, meno tragica la vita nelle carceri, meno saccheggiato l’ambiente.
La gravità dei mali e dei drammi che sconvolgono e opprimono tanti paesi del mondo, e certamente coinvolgono responsabilità internazionali e richiedono interventi solidali internazionali, hanno provocato un fenomeno, quello dell’immigrazione, fenomeno che ha assunto dimensioni incontrollabili. Esso solleva problemi sul piano dei diritti umani e della pacifica convivenza, complessi e destinati ad aggravarsi. Dare risposte morali a questi problemi significa affrontarli responsabilmente, sia verso gli immigrati, sia verso la comunità che li accoglie per integrarli.
Non dobbiamo avere solidarietà selettiva sui diritti umani non posiamo escluderne donne, uomini e bambini solo perché non in regola con i permessi di soggiorno o con i contributi previdenziali.
Solidarietà infine anche nell'azione politica alla quale i cristiani portano il loro contributo, ma nella quale ogni giorno, per una pericolosa e perversa diaspora, nasce un nuovo circolo culturale, un’alleanza, un progetto che riproduce gli antichi vizi delle correnti: i cui componenti continuano a tenere in vita ambiziosi interessi e posizioni di potere. È ora che una solidarietà rigeneratrice si realizzi, e se questo avverrà a spese di un impoverimento numerico, i “sopravvissuti” rappresenteranno finalmente i valori della democrazia. Non dobbiamo soccombere sotto l’onda del panico, che sembra mettere in discussione la sopravvivenza stessa della speranza di una politica "diversa". Certamente è stato toccato il fondo, si è giunti al punto di caduta, si sono subite rotture vitali. Ma si hanno ancora i mezzi migliori – che sono i valori religiosi e civili su cui è fondato – per reinventare un umanesimo moderno.
In questo impegno di recupero di valori morali il Partito (che non c'è) avrà un ruolo essenziale anche nella società, per il rapporto diretto con i cittadini, le associazioni, i movimenti culturali; per la pertinenza e la serietà delle risposte che saprà dare ai problemi della società, anteponendo il bene comune al proprio tornaconto, il confronto delle idee all’antagonismo sterile, con proposte concrete, con idee semplici e generose, non disdegnando la politica del quotidiano, che non è certamente indegna di un grande disegno politico.

 

Velia Galati

Dott. Velia Galati - Psicologa

Medaglia d'oro al merito della Sanità Pubblica


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